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n° 325 - maggio 2006
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
L’altro Rinascimento
Michelangelo…parlando di
Gentile usava dire che nel dipingere aveva avuto la mano
simile al nome (G. Vasari, Le
Vite). Nel sintetico giudizio di Michelangelo, riportato da Vasari, è racchiusa
l’autorevole consacrazione
che a circa un secolo dalla
sua morte, avvenuta nel
1427, Gentile riceveva per
bocca di uno dei massimi
rappresentanti del Rinascimento nella pienezza del
suo fulgore.
All’arte di Gentile e all’ambiente che vide la sua formazione è dedicata la mostra che si tiene a Fabriano,
presso lo Spedale di Santa
Maria del Buon Gesù, aperta
fino al 23 luglio prossimo.
Si tratta di una prima assoluta, in quanto una mostra
incentrata sull’attività di
questo maestro non è mai
stata realizzata, nonostante
sia da tempo riconosciuto
come uno dei protagonisti
della pittura del primo
Quattrocento nell’Italia
Centrale.
Dopo gli anni della formazione nella città natale, troviamo Gentile in Lombardia intorno al 1395, quando
il pittore ventenne si recò
presso la corte di Giangaleazzo Visconti con il patrocinio del signore di Fabriano, Chiavello Chiavelli,
condottiero del duca di Milano. Alla fine del Trecento,
presso le botteghe lombarde
la tecnica dei fondi oro e
dell’impiego di colori e vernici per ottenere risultati
di raffinata eleganza, aveva
raggiunto livelli elevatissimi. Di questa maestria
tecnica Gentile fece tesoro
per tutta vita, imitando
sulle tavole dipinte, con
straordinari effetti in rilievo, i preziosi gioielli che
giungevano presso la corte
milanese dalle botteghe
orafe parigine. Dopo la
morte di Giangaleazzo, ucciso dalla peste nel 1402,
l’artista si trasferiva a Venezia, dove qualche anno
dopo fu incaricato della decorazione nella Sala del Maggior Consiglio a Palazzo
Ducale, insieme con il veronese Pisanello. Gli affreschi ebbero vita breve: rovinati dall’umidità salmastra si deteriorarono rapidamente, finché nel 1474
Giovanni Bellini li coprì
con i suoi dipinti su teleri,
nascondendoli definitivamente alla vista. Tra le opere
realizzate da Gentile nel
primo decennio del Quattrocento spicca il Polittico
di Valle Romita, dipinto per
il monastero che Chiavello
aveva destinato ad ospitare
il proprio sepolcro e attualmente custodito presso la
Galleria di Brera. Il polittico costituisce il cuore della
sezione che la mostra fabrianese dedica agli anni
veneziani di Gentile, ed è
affiancato da opere contemporanee sia di Gentile, che
di Pisanello e Jacobello del
Fiore, offrendo una visione
complessiva della pittura
tardogotica a Venezia agli
inizi del XV secolo. Il grande
polittico, dipinto a Venezia e da lì trasportato nelle
Marche, è dominato dalla
scena centrale con l’incoronazione della Vergine,
che occupa entrambi i registri in cui sono suddivise
le parti laterali; l’abilità di
Gentile nel rendere la ricchezza dei tessuti e nel trattare in modo “materico”
l’oro del fondo e degli elementi decorativi fanno di
quest’opera una sontuosa
testimonianza dello splendore toccato dal gotico internazionale nella sua stagione più matura. Alla base
del polittico, al di sotto degli angeli musicanti dalle
eteree vesti lumeggiate
d’oro, splende un cielo punteggiato di stelle, in cui il
sole e la luna incorniciano
la firma orgogliosamente
aurea del maestro “gentilis de fabriano pinxit”. Al
periodo che Gentile trascorse a Firenze dopo un
decennio di intensa attività
fra Marche, Umbria e Lombardia - a Brescia affresca
fra il 1414 e il 1419 la cappella nel Broletto per conto
di Pandolfo III Malatesta -
Gentile da Fabriano: Polittico di Valle Romita Milano, Pinacoteca di Brera
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è dedicata la sezione centrale della mostra. Arrivato
a Firenze intorno al 1422,
Gentile entra in contatto
con l’ambiente artistico più
avanzato dell’epoca, in cui
spiccano le figure di Brunelleschi - che nel 1418
aveva vinto il concorso per
la cupola di Santa Maria del
Fiore - Donatello, il giovane Masaccio, presente
nella mostra di Fabriano
con una Madonna con Bambino proveniente dalla Galleria degli Uffizi. La fortuna di Gentile presso le
grandi famiglie dell’aristocrazia fiorentina è testimoniata dalla commissione da
parte di Palla Strozzi della
pala con l’Adorazione dei
Magi, che Gentile firma nel
maggio 1423. Il celebre capolavoro del maestro è stato
recentemente sottoposto a
un restauro che gli ha restituito tutto l’originario
splendore (e per questo motivo si è preferito non sottoporre la tavola ai rischi
di un trasporto). Gentile vi
coniuga la magnificenza
decorativa tardogotica con
una nuova spazialità, introducendo un’accurata osservazione della realtà nello
studio delle fisionomie dei
personaggi; le notazioni naturalistiche finemente descrittive caratterizzano un
intero mondo di animali e
piante che fa da sfondo alla
scena centrale, popolando
vivacemente soprattutto le
lunette nella parte alta della
pala.
Nella mostra di Fabriano
viene ricomposto il Polittico Quaratesi, realizzato per
la chiesa di San Niccolò Oltrarno e smembrato successivamente in diversi musei, affiancato dal Polittico
dell’Intercessione, dipinto per
la stessa chiesa e oggi restaurato dopo un lungo periodo trascorso nei depositi
in seguito ai danni subiti
in un incendio. L’attività
di Gentile si concludeva a
Roma, dove l’artista era
stato chiamato da papa Martino V per lavorare alla decorazione della basilica di
San Giovanni in Laterano,
oggi perduta, e dove l’artista morì nel 1427.
Ad un’altra straordinaria
personalità della pittura del
Quattrocento, Antonello
da Messina, è dedicata la
rassegna monografica che
si tiene a Roma presso le
Scuderie del Quirinale fino
al 25 giugno. Si tratta di
un evento eccezionale, perché per la prima volta sono
state riunite quasi tutte le
opere di Antonello giunte
fino ai giorni nostri, concesse in prestito da musei
di tutto il mondo.
L’artista si trasferì ben presto dalla città natale a Napoli, dove completò la sua
formazione lavorando nella
bottega di Colantonio: di
questo pittore sono esposte a Roma due piccole tavole con episodi della vita
di San Francesco Ferrer nelle
quali si coniugano la minuzia descrittiva fiamminga
e una struttura architettonica propria del Rinascimento italiano. A Napoli
la corte aragonese costituiva
un vivace e stimolante polo
di attrazione per artisti di
provenienza e formazione
quanto mai diverse ed eterogenee, e il contatto con
un ambiente cosmopolita
aveva consentito ad Antonello di conoscere opere
catalane e provenzali accanto a quelle di pittori nordici, come Jan van Eyck. A
questo periodo appartiene
il Polittico di San Gregorio,
dipinto nel 1473, che accanto alla tardiva presenza
del fondo oro - forse connessa con istanze della committenza ecclesiastica - presenta una grande competenza nella resa prospettica
Gentile da Fabriano: Adorazione dei Magi (Pala Strozzi) - Firenze, Galleria degli Uffizi
e un’attenzione ai dettagli
narrativi e naturalistici che
Antonello dispiegherà poi
compiutamente nella ritrattistica.
Alla presenza di Antonello
è stata attribuita l’introdu-
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zione della pittura ad olio
a Venezia. Vi era giunto a
intorno 1474 proveniente
da Napoli, da dove portava
con sé la lezione di Van Eyck:
nonostante si fermasse a Venezia solo due anni, Antonello lasciò un’impronta
durevole nell’ambiente artistico locale, soprattutto
per il tramite di Giovanni
Bellini. Tra le opere presentate in mostra spicca il
San Girolamo nello studio,
che apre il percorso espositivo; la piccola tavola presenta un’articolazione dello
spazio estremamente complessa: il punto di vista dello
spettatore si trova fuori dal
portale di una chiesa, all’interno della quale è collocato lo studiolo del santo,
mentre dalle finestre sul
fondo si intravede il paesaggio che circonda l’edificio. Tale complessa costruzione en abîme è rigorosamente sorretta dai principi della “scatola spaziale”
brunelleschiana, uniti a
un’accuratissima descrizione dei dettagli ambientali, che richiama il naturalismo delle vedute di interni care alla cultura figurativa fiamminga; da quest’ultima traggono origine
anche i valori simbolici sottesi all’apparente anonima
quotidianità degli oggetti
rappresentati.
Opera chiave del percorso
artistico di Antonello e in
assoluto la più famosa di
tutta la sua produzione,
l’Annunciata di Palermo costituisce una rivoluzione
iconografica: l’artista spoglia la figura della Vergine
di tutti gli attributi caratteristici presenti in dipinti
di questo soggetto per sublimarne l’immagine nel
semplice ritratto a mezzo
busto di una giovane donna
il cui sgomento stupore all’annuncio dell’angelo si
materializza e concentra
nella gestualità delle mani,
protese verso lo spettatore
e quasi tremanti in atto
di diniego, mentre lo
sguardo assorto e sfuggente
si perde in un altrove indefinito. Si tratta di una tavola di dimensioni contenute, come gran parte della
produzione di Antonello;
molte opere di soggetto religioso,appaiono per questo motivo evidentemente
destinate alla devozione privata, come le numerose versioni di Ecce homo, interpretato con l’intenso patetismo tipico dei dipinti fiamminghi, e le Crocifissioni dove l’occhio indaga i particolari naturalistici ed anatomici con una nitidezza
cristallina che sublima il
pathos drammatico della
scena. Anche per i ritratti
Antonello sceglie sempre
tavole di piccole dimensioni: in questo genere l’artista eccelse, portando ai
vertici l’acuta indagine fisionomica e caratteriale
della pittura fiamminga, e
rinnovando l’iconografia
quattrocentesca con l’abbandono dello sfondo neutro per l’inserimento di vedute paesaggistiche, in anticipo sulle sperimentazioni
di Giovanni Bellini; alcuni
ritratti belliniani, presentati nella mostra romana,
permettono un interessante
confonto diretto con le opere
di Antonello.
Chiude il percorso espositivo il San Sebastiano di
Dresda che, insieme con la
Pala di San Cassiano (custodita a Vienna e non con-
Gentile da Fabriano: Ricostruzione del polittico Quaratesi
L’opera, smembrata, è collocata in vari musei
cessa in prestito per la mostra), è quanto resta della
produzione di Antonello
per le chiese veneziane.
La tavola avrebbe dovuto
far parte di un trittico, commissionato al maestro nel
1478 dalla Scuola di San
Rocco mentre in città infuriava una violenta pestilenza: il martirio del santo
è ambientato in una Venezia accuratamente rappresentata nei dettagli delle
sue caratteristiche architetture e della vita quotidiana
che si svolge lungo i canali
della città che Antonello
aveva ormai lasciato da due
anni per ritornare in patria:
i volumi della monumentale figura del santo appaiono armoniosamente plasmati dalla luminosità diffusa che pervade la scena,
mentre il realismo dei dettagli si accompagna a un’atmosfera pacata di serenità
ultraterrena, che colloca la
rappresentazione in una dimensione fuori dal tempo.
Antonello da Messina: Polittico
di San Gregorio - Messina, Museo Regionale
donata brugioni
Antonello da Messina: San Girolamo nello studio
Londra, The National Gallery