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UNA NUOVA VITA
UN NUOVO AMORE
UN SEGRETO CONTRO CUI LOTTARE
IL CASO LETTERARIO CHE HA COMMOSSO
TUTTA L’EUROPA E CHE HA ISPIRATO
IL FILM PRODOTTO DA ALAIN SARDE
(già noto per Mulholland Drive e Il pianista)
PRESTO NELLE SALE
300.000 copie vendute in Francia
nel primo mese dall’uscita
Hanno scritto dell’autrice:
« La passione e la speranza ispirano
questa campionessa della resilienza. »
L’Express
« Una storia vera che sembra uscita da un romanzo
di Guillaume Musso o di Marc Levy. »
Sophie Davant, France 2
« L’impossibile che diventa possibile soltanto
in letteratura. Invece è realtà. »
D la Repubblica
Charlotte Valandrey è nata il 29 novembre 1968 a Parigi.
Ottenne il successo come attrice nel 1985, con il famoso
film Rouge Baiser, vincendo tra l’altro Un Orso d’argento e
un César award come Giovane attrice più promettente.
Nel 1985, però, scopre anche la sua sieropositività. È l’inizio della sua lotta per la vita, a cui rimane pervicacemente
attaccata, fino al trapianto di cuore nel 2003. A questo punto Charlotte si separa dal marito, con il quale, nel frattempo
ha anche messo al mondo una bambina, Tara, nata nel
2011 e fortunatamente sieronegativa.
Dopo il felice esito dell’operazione, Charlotte sente che la
sua vita sta per cambiare, ma non immagina quali sorprese il
destino le possa ancora riservare.
IL CASO DELLA ‘‘MEMORIA CELLULARE’’
Recentemente l’autrice ha dichiarato di non essersi interessata all’identità della sua donatrice (di cui peraltro una legge, in Francia come in Italia, protegge l’anonimato) fino al
2005, due anni dopo il suo trapianto. Fino a quel momento
la sua vita aveva avuto uno svolgimento regolare, compatibilmente con il grosso trauma che il suo fisico aveva subito,
ma improvvisamente Charlotte inizia ad avvertire dei cambiamenti.
Gusti che prima le erano estranei iniziano ad attrarla, da
astemia che era si trasforma in estimatrice di vino e di babà
al rum. Durante un viaggio in India, davanti al Taj Mahal,
Charlotte ha la certezza di aver già visitato quel luogo con
una persona che ha amato moltissimo e ricorda l’esatta posizione di un corso d’acqua dietro al tempio, non segnalato
dalla guida e che non poteva conoscere, se non per essere già
stata in quel posto.
L’autrice ha dichiarato di essersi interessata al fenomeno,
che qualcuno riconosce come ‘‘memoria cellulare’’, più volte
osservato da alcuni pazienti, ma mai accertato scientificamente. Consiste nel ricordare fisicamente cose che nella
propria vita non si sono vissute, perché si pensa che l’organo
che presiede al funzionamento della memoria non sia solo il
cervello, ma anche il cuore, o altri organi, che conservano in
qualche modo traccia degli eventi traumatici, o emozionanti
che sono accaduti nella vita di una persona.
» LA
GAJA
VOLUME
SCIENZA «
1040
IL MIO CUORE
SCONOSCIUTO
di
CHARLOTTE VALANDREY
con JEAN ARCELIN
Traduzione di
MARCELLA UBERTI-BONA
P R O P R I E T À
LE TT ERAR IA
R IS ER VAT A
Longanesi & C. F 2012 – Milano
Gruppo editoriale Mauri Spagnol
www.longanesi.it
ISBN 978-88-304-3407-3
Titolo originale:
De Cœur inconnu
In copertina:
Art director: Francesca Leoneschi
Graphic designer: Laura Dal Maso
foto F Carole Bellaiche/H&K
Per essere informato sulle novità
del Gruppo editoriale Mauri Spagnol visita:
www.illibraio.it
www.infinitestorie.it
Copyright F Le Cherche-Midi 2011
Prima edizione digitale 2012
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
IL MIO CUORE SCONOSCIUTO
A mia figlia Tara,
e ad Anna.
Il sogno è la parte dell’uomo
che non gli si può portare via.
Qualche mese prima, inizio estate 2005, Parigi, ospedale
Saint-Paul
Ho appuntamento per una biopsia. Ogni tre mesi bisogna
prelevare un frammento del mio cuore trapiantato per verificare che non sia in corso un rigetto. Ogni tre mesi io mi
stresso, senza avere davvero paura. Confido nella mia buona
stella, e nel mio buon carattere. Mi dico che tutto questo
non avrebbe alcun senso se il mio innesto decidesse a un
tratto di piantarmi in asso. E comunque me ne accorgerei
da sola. Il cuore che si ferma... immagino che lo si senta. Invece il mio cardiologo afferma il contrario. Il processo di rigetto può avere inizio senza alcuna sensazione particolare, e
senza una logica. Rassicurante, vero? Cosı̀ mi rassegno alle
biopsie.
Ben diversamente dal fegato, che si rigenera senza sosta, il
cuore non è in grado di ricostruirsi, i suoi danni sono irreparabili. Nulla di sorprendente. Semplicemente non ricresce, non si rimette mai completamente dalle sue ferite, nel
migliore dei casi diviene più forte, cicatrizza. È il dolore del
cuore.
Ogni volta esigo dal cardiologo, il dottor Rioux, che ordini alle infermiere di prelevare la minor quantità possibile
del mio nuovo cuore. Il dottore mi assicura che il frammento asportato è infinitesimale, ma io ho la sensazione ogni
volta di essere come rosicchiata. Un milligrammo del mio
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cuore, potrebbe essere un secondo in più di gioco con Tara,
un momento in più per ridere, o sperare.
L’operazione è sgradevole. Alla base del collo mi viene introdotto uno spesso ago munito di una minuscola pinza che
attraversa l’incavo morbido che si apre dietro la clavicola e
arriva direttamente al cuore.
Subito dopo il trapianto il ritmo delle biopsie era infernale. Mi punzecchiavano come un feticcio satanico. La pelle
cicatrizzava male e perdeva colore nel punto di ogni puntura. Mi si possono contare le biopsie sul décolleté. Affascinante, no?
Nell’ufficio del reparto cardiologia
« Buongiorno, Henriette! Che estate schifosa! »
« Buongiorno, Charlotte! Sı̀, è un orrore! Ma sei in anticipo, piccola... »
« Sı̀, preferisco, non si sa mai, potrebbe esserci un annullamento, un cuore che lascia prima di me! »
« Ma dai... cosa dici! Lo sai bene che devi essere l’ultima... »
Sı̀, lo so. Me l’hanno vagamente spiegato e non ho cercato di capire meglio. È perché sono sieropositiva, una misura
di sicurezza della sala operatoria, nessuno deve entrarci dopo
di me. Non mi piace essere trattata diversamente dagli altri e
cosı̀ arrivo sempre in anticipo e mi metto a leggere, aspetto,
chiacchiero con Henriette. Lei era già qui nel 2003 ed era di
servizio quella domenica, il mattino del mio trapianto. Fin
da subito mi aveva chiamato « piccola », ed è vero che non
ero certo grossa. Henriette mi teneva la mano quando sono
rimasta sola e tremante prima dell’anestesia che mi avrebbe
spedito su un’altra galassia. Volevano portarmi via il mio orsacchiotto di peluche. Di lui ho bisogno solo per dormire in
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ospedale. Però era una cosa che faceva ridere tutti e io non
me la sentivo di combattere. La capoinfermiera si era arrabbiata: « Mi dia subito quel coso! » Stavo per mollare la presa
quando Henriette era intervenuta d’autorità: « Ma insomma, lasciatele il suo orsacchiotto! »
Un giorno Henriette ha cominciato a chiamarmi « la
star ». Eppure, nel corso delle nostre lunghe conversazioni,
mi ha confidato che alla tv guarda solo il telegiornale e i reportage di viaggio. Henriette non va mai al cinema, preferisce l’uncinetto, ma ripete ciò che sente in giro. Un giorno
mi ha chiesto: « È vero che sei famosa? » Ho risposto:
« Bah... » Lei non ha insistito. Io volevo che continuasse a
chiamarmi « piccola ».
È buona, Henriette, dolce, posata, appassionata di maglia
e di uncinetto, e il suo nome mi sembra fantastico, rassicurante, capace di sfidare il tempo; è un nome da nonna, da
fossile. Buona, gentile Henriette.
Amo la gentilezza più di ogni altra cosa, ne sono conquistata. Prima davo la priorità alla bellezza, all’intelligenza, e la
gentilezza mi sembrava una caratteristica banale, semplice,
quasi mediocre. Ma poi ho capito, sono cambiata. Essere
gentili è difficile, essere buoni è quasi impossibile. Invece
l’intelligenza e la bellezza sono doni di natura.
Il giorno dopo l’operazione Henriette era venuta a confortarmi al risveglio con una sorpresa. Il mio torace era rimasto spalancato per dieci ore, con le interiora in vista. Nel
cuore era stata aperta una breccia di quasi quindici centimetri. E mentre dormivo Henriette aveva lavorato all’uncinetto
un bel cuore rosso, applicandolo poi sulla pancia dell’orsacchiotto. Me l’aveva restituito con un bacio schioccante sulla
fronte e con un commento che suscitò la mia prima risata
postoperatoria, quasi una smorfia:
« Tale madre, tale figlio! »
Henriette ama il suo lavoro, eppure si lamenta della stan-
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chezza e conta i giorni che mancano alla pensione come un
soldato aspetta il congedo.
Anche oggi mi aggiorna con precisione:
« Con domani mancheranno settecento giorni precisi al 5
giugno 2007, tieni a mente questa data, è facile, basta ricordare i numeri 5/6/7. »
« M’inviterai alla festa di saluto? »
« Ma certo, tra settecentoun giorni; sarai la prima persona
che invito. »
« Aspetta, devo vedere se non ho altri impegni. »
Henriette ride di cuore, poi stringe le labbra consultando
l’agenda e mi dice, d’un tratto preoccupata:
« Lo sai che il dottor Rioux se n’è andato? »
« No?! »
« Sı̀, il mese scorso, ora lavora in un altro ospedale, se
vuoi posso darti i nuovi riferimenti; è stato sostituito dal
dottor Leroux, ti dispiace? »
« No... cioè, ero abituata al dottor Rioux... Comunque
non era poi cosı̀ simpatico, parlava poco e aveva le labbra
molto sottili, quasi inesistenti, hai notato? »
« No... E cosı̀ non ti dispiace, vero? Vedrai che questo
nuovo medico è in gamba, un po’ riservato ma serio, viene
da un altro ospedale. »
« Però Leroux è il nome di una marca di caffè alla cicoria.
Mia nonna adorava la cicoria. A me invece fa schifo. Ha un
gusto indefinibile. È proprio inaccettabile, quel misto di
caffè, tisana e terriccio... Davvero imbevibile! Dottor Leroux... »
Ripeto il suo nome e lo faccio risuonare nella sala d’attesa
del reparto di cardiologia, per capire cosa mi suggerisce, per
sentirne la vibrazione...
« Leroux... Leroux... Non sarà mica l’erede della cicoria? »
Henriette ridacchia facendomi dei cenni con la testa che
non so interpretare.
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« Lei è Anne-Charlotte Pascal, detta Charlotte Valandrey? »
Mi volto, sorpresa. Un uomo si presenta.
« Buongiorno, sono il dottor Leroux, piacere di conoscerla. Lei oggi è fortunata. Il suo appuntamento è stato anticipato. »
Sorride, tendendomi la mano.
« Buongiorno, dottore, mi deve proprio scusare, non l’avevo vista. »
« Vuole seguirmi? »
« Ma certo. Sa, l’ospedale è l’unico posto dove mi chiamano Anne-Charlotte. Perché non mi chiama solo Charlotte anche lei, è più corto. »
Mi volto verso Henriette che mi rivolge una strizzatina
d’occhio ammiccante.
Il dottor Leroux è alto, giovane, fra i trenta e i quarant’anni, con qualche ruga di espressione su un volto da bambino e occhi castani, brillanti, quasi lucidi, penetranti, maliziosi. Ha mani molto belle, forti, lunghe. La fede! Presto,
controlliamo la fede! Faccio dei contorsionismi per scrutare
la sua mano sinistra che si muove dal lato opposto rispetto a
me. Niente fede! Ha ragione, il dottor Leroux, forse oggi è
un giorno fortunato.
« A Parigi con amore, vero? »
« Parlami d’amore? Mi scusi, non ho sentito, pensavo ad
altro... »
« A Parigi con amore, il suo primo film, con Lambert Wilson. Bellissimo, io ero un ragazzo quando l’ho visto, me lo
ricordo, ero innamorato di lei. »
Si apre in un bel sorriso che tenta di nascondere chinando leggermente il capo.
« E ora basta? Non è più innamorato di me, adesso? »
Il dottor Leroux sorride di nuovo. Non è davvero bello,
eppure...
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« Adesso ci occuperemo del suo cuore. »
« Benissimo... Si occupi del mio cuore » approvo mormorando.
Il dottore mi fa sedere in un piccolo studio quadrato,
spoglio, tutto grigio. Una scenografia un po’ triste per un
amore nascente.
« Dopo la biopsia faremo un’ecografia di controllo. Prima però vorrei fare il punto con lei: la sua cartella clinica è
incompleta e io non la conosco. Mi permetta di rivolgerle
qualche domanda. Da quanto tempo è sieropositiva? »
« Da un sacco di tempo. Non potremmo parlare d’altro? »
« Un’altra volta, in un altro posto, ne sarò lietissimo, ma
ora no. Da quanto tempo è sottoposta a triterapia? »
« Ho preso le prime compresse di Azt nel 1995, credo,
non ho una gran memoria per le date... »
« Quindi quando l’Azt era appena agli inizi... »
« Sı̀, avevo supplicato il professor Rozenbaum di farmi fare la cavia, ero pronta a provare qualsiasi cosa, come tutti i
sieropositivi dell’epoca... »
Non mi piace evocare questi ricordi, ma l’aria dolce e attenta del dottor Leroux mi spinge a tornare su quei tempi
dimenticati...
Per la prima volta la mia carica virale era aumentata, dieci
anni dopo il contagio. Dieci anni di sieropositività senza alcuna cura, e senza che si manifestassero infezioni opportunistiche. Era un po’ come se il mio virus, prima di svegliarsi,
mi avesse usato la delicata cortesia di aspettare che fosse disponibile la prima cura efficace. Un simpatico Hiv. Che però allora mieteva migliaia di vittime, alcuni morivano in pochi mesi, li vedevo dimagrire in modo impressionante, diventare ciechi o coprirsi di placche scure, di croste mortali,
mentre io riuscivo sempre a sgusciare via illesa. Passavo dal
reparto infettivi, dove tutto il personale indossava la ma-
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scherina per proteggersi dai lebbrosi, ai set cinematografici,
o alla sala trucco, con la più totale spensieratezza, con assoluta leggerezza. In fondo cambiava solo l’arredamento. A
volte mi chiedevo se era tutto vero. Sono arrivata a immaginare che il laboratorio di analisi si fosse sbagliato. Non era
possibile che morissi di Aids. Era questo il messaggio che inviavo al mio corpo. Aids, impossibile. Ho sempre creduto
all’influenza della mente sul corpo... E tutto ha funzionato
benissimo fino alla miracolosa scoperta dell’Azt. Era fantastico, ho visto dei malati riprendere un aspetto umano in
poche settimane, come quelle mimose annerite dall’inverno
che sembrano secche e morte ma poi, qualche giorno dopo,
esplodono in una fioritura gialla incredibile...
Parlo osservando fissamente dalla finestra un’aiuola di
fiori dai colori vivaci su cui cade la pioggia. È l’ultima volta
che faccio rivivere questi ricordi. Devo ricordare. Poi mi interrompo, guardo il medico che sta zitto con aria un po’ sognante, lo sguardo immobile puntato nei miei occhi. Lascio
che il silenzio prenda spazio. Immagino il dottor Leroux che
mi visualizza in piena fioritura gialla. Si vede che è turbato,
poi si riscuote:
« Lei parla con facilità di cose molto gravi... Mi spiace doverle porre queste domande, ma dato che ha iniziato la cura
in un altro ospedale la cartella di cui dispongo è incompleta.
Il trapianto è stato fatto qui, invece ». La sua voce d’un tratto si fa più bassa. « Come il prelievo, d’altronde. »
« Scusi? »
« Niente. »
« Ma sı̀, lei ha detto ’prelievo’. Il prelievo del mio nuovo
cuore è avvenuto qui? »
« Non dispongo di queste informazioni. Ho detto una
stupidaggine. Mi scusi, deve essere la stanchezza. In ogni caso, il luogo del prelievo non ha importanza. Ciò che conta è
che il nuovo organo si comporti bene. Ora darò un’occhiata
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alla sua ultima angiografia... È un po’ come un cortometraggio » dice il dottor Leroux, cercando di distrarmi.
« Non è certo il mio miglior film, né il mio miglior profilo. »
L’angiografia, grazie al mezzo di contrasto iniettato, permette di vedere tutto il percorso delle arterie del mio cuore.
Il dottor Leroux mette un cd nel computer e chiede:
« Vuole vedere? »
« No, non mi piaccio sullo schermo. »
« Davvero? »
« Non mi piacciono quelle immagini. Mi sembra che la
vita, osservata cosı̀ da vicino, perda tutta la magia. Preferisco
pensare che il mio cuore sia un luogo misterioso, non una
pompa rappezzata. Una volta ho visto una scintigrafia, o
un’angiografia, non ricordo più, insomma delle immagini
del mio povero piccolo cuore, e non ci ho capito niente. Bisogna essere degli esperti, come lei. A cosa serve vedersi
qualche sequenza? Ciò che conta è il risultato. Allora, dottore, come va il mio cuore? »
« Bene... molto bene. Ecco, quelle sono le coronarie che
irrorano il cuore, lo fanno vivere. »
« Le coronarie sono del donatore? »
« Sı̀, al contrario delle vene polmonari, che invece sono le
sue, per cosı̀ dire. »
« È complicato. »
« No, l’operazione è semplice. E anche la meccanica del
cuore è di una semplicità disarmante e affascinante... un’incredibile pompa che fa scorrere nel nostro corpo sino a ottomila litri di sangue al giorno... Chiuda la mano a pugno. »
Obbedisco sempre al medico, ma se sapesse che la vista
del sangue mi fa star male, interromperebbe certamente il
suo corso di anatomia splatter. Resisto alla vertigine e piego
le dita sul palmo della mano destra, che alzo in segno di vittoria pronunciando un sonoro « Yes! » che lo diverte.
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« Ecco, bene, il suo cuore è appena più grosso del pugno e
sospinge quotidianamente otto metri cubi di sangue per tutto il suo corpo. Una magia, non trova? »
« Magari il mio è un po’ più piccolo. Bisognerebbe conoscere la misura del pugno del donatore... »
Il dottor Leroux rimane in silenzio per qualche momento, evitando il mio sguardo. Sembra di nuovo turbato. Anch’io lo sono. Tutte queste precisazioni fisiologiche mi fanno girare la testa, immagino fiotti di sangue, rossi frangenti
dentro di me, il pugno chiuso dello sconosciuto donatore...
Sento il mio cuore che batte più in fretta. Inspiro profondamente per recuperare la calma. Perché mai questo cardiologo vuole spiegarmi tutte queste cose?
« Nei trapianti la misura degli organi deve essere molto
simile. Quindi il suo donatore doveva avere mani più o meno come le sue... Sto per spegnere lo schermo, e lei non ha
neppure guardato! »
Mentre ascolto il dottor Leroux mi osservo le mani. Le
chiudo, le riapro, ripeto il movimento. Lui, o lei, aveva le
stesse mani, le dita ripiegate sul palmo dovevano avere questo stesso volume. Dei piccoli pugni. Era di sicuro una donna. D’un tratto ne sono sicura. Doveva essere giovane. L’immagino bruna, con i capelli di media lunghezza e un grande
sorriso. Di certo amava la vita. Forse anche lei era madre.
Sento battere il suo cuore, il mio cuore. Il dottor Leroux interrompe le mie fantasticherie con una voce dolce:
« Charlotte, vuole che le spieghi o preferisce che spenga? »
Non avevo mai immaginato prima il donatore. Ci avevo
pensato, certo, ma di sfuggita, senza dargli forma né corpo,
senza pensare alla sua morte. Ma si è davvero morti quando
una parte cosı̀ vitale di sé sopravvive? Decido di evitare questi pensieri improvvisi e mi avvicino allo schermo. Intrigata
da ciò che vedo finisco per interrogare il dottor Leroux.
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« Sono i miei stent quelle strane forme? Sembrano delle
grucce di fil di ferro. »
Il dottore scoppia a ridere.
« Ma no, uno stent è minuscolo, una piccolissima molla
che aprendosi sblocca l’arteria. Lei ne ha due, uno è qui e
l’altro lı̀. »
Mi mostra con sicurezza due punti sullo schermo, ma per
quanto osservi da vicino vedo solo le sue dita lunghe e le unghie rosa e ben curate; sul monitor non scorgo nulla d’interessante.
« Non vedo... Ma allora tutti questi appendiabiti cosa sono? Un guardaroba completo... »
« Sono i ganci usati per richiudere il torace. »
« L’avevo detto che non volevo guardare... Sembra che
l’estremità di ogni gancio sia piegato a mano. »
« Infatti. »
« Insomma, un lavoro artigianale; posso essere sicura che
non si disfi tutto? »
Volto nuovamente la testa. Torno a sedermi e il dottore
mi prende subito la mano per rassicurarmi. Sobbalzo per
l’effetto di una scossa elettrostatica e, con un gesto lento, ritiriamo entrambi le mani, guardandoci fissamente.
« È tutto ben agganciato, non si preoccupi. Ora vada a
fare la biopsia e la rivedrò subito dopo per l’ecografia. Leggo
nella cartella che non tollera più le punture sul collo, vero?
Passeremo dall’inguine. Venga con me. »
« La seguo. »
Poco dopo, nello studio del dottor Leroux
« È andato tutto bene? »
« Sı̀. Il mio cuore è stato raschiato senza alcun dolore. »
« Ora le farò l’ecografia. »
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Il dottore è molto delicato. Esegue con precisione ogni
movimento, fa scorrere lentamente la sonda umida sul torace e sui seni, con gesti regolari che mi calmano. Mentre è
concentrato sul monitor di controllo, io osservo il suo profilo, il naso piccolo e le labbra che si mordicchia.
« Abbiamo quasi finito, va tutto bene. Il suo cuore si
comporta bene, Charlotte, lei ha un cuore da ragazza... »
È un orribile lunedı̀ d’estate, piove forte, fuori il giorno è
scuro come la notte e, quando chiudo gli occhi per sottrarmi
alla luce cruda del neon, sulle mie palpebre batte il sorriso
commovente del medico di cuori. Le sue parole risuonano
come un’eco infinita e diventano musica: « Il suo cuore si
comporta bene, Charlotte, lei ha un cuore da ragazza... »
« Lei prende il Neoral dal 2003. Le hanno spiegato la difficoltà nel prescrivere questo farmaco ai pazienti sottoposti a
triterapia? »
Resto zitta, sdraiata, una mano posata sulla medicazione,
gli occhi chiusi. Il mio cuore batte bene. Ha un ritmo regolare, forse un po’ affrettato. Almeno ottomila litri di sangue
al giorno... attraverso il trapianto... chiuso in un torace ricucito alla meglio... un cuore da ragazza... quanti anni aveva?
« Charlotte, c’è qualcosa che non va? »
Ho le vertigini. Forse se continuassi a non rispondere, se
mi lasciassi trasportare da queste visioni cruente e dalla voce
ipnotica del dottore, forse lui cercherebbe di rianimarmi...
« Charlotte? »
Di nuovo mi preme leggermente la mano. Niente scosse
questa volta, ma una corrente diversa, una sorta di irraggiamento. Riapro gli occhi. Come inizio può bastare.
« Scusi, mi ero addormentata, è stata la sua voce, ho sentito appena cosa mi stava dicendo. Sı̀, il Neoral... Mi avevano avvertita dei possibili effetti collaterali, peli da scimmia e
tremori continui... Per fortuna a me non è successo. Non ho
più peli... sono liscia come un ranocchio. I capelli, invece,
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sono più folti e lucidi di prima, potrei fare la pubblicità di
uno shampoo. »
« Il Neoral è un farmaco antirigetto indispensabile. Senza
questo tipo di trattamento la maggior parte dei trapianti
non avrebbe speranze di riuscita. Ogni trapianto è un corpo
estraneo che il sistema immunitario vuole naturalmente eliminare. La funzione del Neoral è di ridurre la capacità del
vostro sistema di difesa nel rigettare l’intruso. Si tratta quindi di un immunosoppressore, mentre la triterapia, al contrario, cerca di rinforzare il sistema immunitario per paralizzare il potenziale di danno dell’Hiv... Capisce perché è cosı̀
difficile regolare i dosaggi? »
« Capisco. E mi fido di lei. Per ora va tutto bene, sembra
che tutto si possa conciliare. Il dosaggio è stato calibrato alla
perfezione... A quando il prossimo appuntamento? »
« Dipende dai risultati, ma in linea di massima direi fra
sei mesi... »
« Ma è troppo, in sei mesi può succedere di tutto! »
« Le lascio il mio numero di cellulare nel caso dovesse servirle. Tenga, ecco il mio biglietto da visita. »
Lo prendo veloce e me lo metto in borsa. Agente Charlotte alla ricerca dell’amore, missione compiuta. Mi è spiaciuto lasciare il dottor Leroux. E a lui?