crielmodel - Maquette Garden

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crielmodel - Maquette Garden
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N°
39 anno 11° - Dicembre 2007
Notizie
CRIELMODEL
®
Notiziario catalogo non periodico della CRIELMODEL stampato in proprio da Cristiana Cerruti - Tel. E Fax. +39 06 33612651.
EDITORIALE
Gentili lettori,
da più parti della penisola italica ci giungono richieste dei nostri modelli montati e verniciati. Indubbiamente il montaggio dei kit in plastica è molto più semplice,
non occorrono molti lavori di taglio o pulitura, di proprio non c’è nulla da mettere.
Con la resina ci vuole una buona mano ma non vediamo difficoltà insuperabili con
un pochino di pazienza e buona volontà.
Noi non abbiamo dei “montatori” fissi, abbiamo degli amici che realizzano le nostre
“perle” per il gusto di farle senza alcun dovere e le loro opere sono destinate alle nostre vetrine e al catalogo. Anche se fossimo organizzati ad una produzione di serie
sarebbe poi un problema far arrivare i modelli finiti in qualunque parte d’Italia.
Considerato il noto, attento e responsabile servizio postale si avrebbe la certezza che
i modelli, anche imballati con i migliori e più validi accorgimenti, arriverebbero veramente “finiti” il che vale a dire “distrutti” peggio che sotto il fuoco americano o
inglese della seconda guerra.
Se fra voi lettori ci fossero modellisti disposti a realizzare modelli per altri ce lo facciano sapere. Noi passeremo il nominativo agli interessati che si accorderebbero fra
loro, ovviamente senza alcun impegno o responsabilità da parte nostra.
S.Ten. Sergio CERRUTI
Med. D’Arg. al V.M.
Sommario
Pag. 2
BREDA 37
Buon Natale e felice anno
Maurizio Bartoli
Pag. 3
AUTOCARRETTA 35
Pag. 5
AFRIKAKORPS
Simplicius
Pag. 11
La PRUDENZA
M. Richiardi
Pag. 13
AUTOCANNONE 75 ck.
Pag. 15
NONNI in GUERRA.
Pag. 17
I NOSTRI MODELLI.
CRIELMODEL
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Mitragliatrice Breda cal. 8 Mod. 37
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CRIEL
R047
Kit
È stata senz’altro l’arma più diffusa nell’Esercito Italiano. Tra il 1937 e gli anni ’50 con in resina
prestazioni notevoli e di sicuro affidamento negli impieghi più svariati.
scala 1/35.
Precisa, semplice nei meccanismi, fu progettata intorno al 1933, ma fu adottata solo nel
1937 in sostituzione della mitragliatrice Fiat mod. 35. Fu impiegata anche su mezzi speciali
(camionette Sahariane). La stessa arma, con alcune modifiche fu adottata anche per l’installazione sui
mezzi corazzati assumendo la specifica di mod. 38.
La Breda 37. così come familiarmente chiamata, è un’arma automatica a sottrazione di gas dalla canna
e a raffreddamento ad aria. Canna fissa, alimentazione con caricatore (a piastrina), sostegno a treppiede
normale per uso terrestre e con elementi aggiuntivi per uso contraereo. In questo caso il congegno di
puntamento (alzo a ritto con cursore e mirino a sezione di piramide irregolare) viene sostituito con un
mirino a reticolo.
DATI TECNICI
Peso dell’arma
19,400 kg
Peso treppiede
18,800 kg
Lunghezza dell’arma cm 157 montata su treppiede
Calibro
8 mm
Cadenza di tiro
250/450 colpi al minuto
Gittata
5.500/6.500 m
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CRIELMODEL
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Autocarretta Mod. 35
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CRIEL
R055
Kit
in resina
scala 1/35.
Costruita dalla O.M. di Brescia (all’epoca S.A.O.M. - Fabbrica Bresciana Automobili), l’autocarretta da
montagna, soprannominata, a ragione, anche “il mulo”, fu progettata, el 1929, dall’ingegner Carlo Cappa
della Società Ansaldo Automobili di Torino, per soddisfare le esigenze del Regio Esercito connesse con i
trasporti militari in montagna.
Tecnicamente molto semplice ed affidabile, anche se dalla guida non proprio facile, questo autoveicolo, a trazione totale e
ruote indipendenti, dimostrò subito possibilità e capacità di movimento, in luoghi impervi e caratterizzati da forti pendenze,
veramente sorprendenti.
Per le sue peculiarità venne utilizzata con successo nella campagna di Etiopia (oltre 1.500 esemplari), nelle operazioni militari
in Spagna e, durante il 2° conflitto mondiale, sul fronte russo e nei Balcani.
Sebbene diversi furono i modelli realizzati (mod. 32 - 35 - 35 modificato - 36 Divisione Motorizzata - 36 Personale - 36
Materiali e 37), i veicoli, nella forma, erano pressoché identici e le differenze riguardavano:
- la potenza del motore, elevata da 20 a 23 HP
- l’ampiezza della carreggiata, portata da 100 a 110 cm
- le sospensioni
- il tipo di ruote, semipneumatici nei primi tipi e pneumatici nelle versioni successive
- la velocità: 25 km/h nei modelli con semipneumatici, 47 km/h nei modelli con pneumatici tipo
“artiglio”
- il sistema di illuminazione, ad acetilene o a corrente fornita da una dinamo
Complessivamente di questo mezzo, nelle varie versioni, furono costruiti 2751 esemplari, uno dei quali, l’unico ormai, viene
conservato, tuttora funzionante, presso il Museo della Motorizzazione Militare della Cecchignola, in Roma.
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CRIELMODEL
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DATI TECNICI
Lunghezza
Larghezza
Altezza
Peso a vuoto
Carico utile
Passo
Carreggiata
Raggio di sterzata
Velocità massima
Motore
Autonomia
4
377 cm
130 cm
220 cm
1.580 Kg
800 Kg
200 cm
100/110 cm
380 cm
25 Km/h con semipneumatici Cerflex
47 Km/h con pneumatici Artiglio
Benzina, 4 cilindri, di 1616 cc
160 Km
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secondo SIMPLICIUS
L’
Afrikakorps, una leggenda ed
anche altri significati, il
primo la fine della cosiddetta
“guerra parallela” dell’Italia.
“Guerra parallela”, curiosa espressione
che tradiva l’incertezza strategica nella
condotta delle nostre azioni militari.
Valeva a dire, ma solo a dire, che
l’Italia era capace di fare da se e di
perseguire obiettivi propri non
coincidenti necessariamente con quelli
dell’alleato tedesco. Questa ottica ci
spinse a sbilanciarci in situazioni
disastrose. Invece di concentrare tutti
gli sforzi possibili contro gli inglesi, in
quel momento deboli nel Mediterraneo
e in Egitto, dichiarammo guerra anche
alla Francia ormai sconfitta compiendo
un’azione non onorevole sotto il
profilo militare e controproducente
sotto il profilo politico. Il disgusto dei
francesi contro di noi impedì in
prosieguo probabili collaborazioni, il
cui esito avrebbe potuto dare molti
vantaggi, soprattutto logistici.
Altra perla della “guerra parallela” fu
l’attacco alla Grecia, parto delle
ambizioni di Ciano, rampollo di una
certa borghesia tragicamente dannosa
per l’Italia, ieri come oggi.
Sulle conseguenze gravissime di
quell’iniziativa, nel contesto del
conflitto mondiale, non mi soffermo
per non divagare troppo, ma non
potevamo commettere errore peggiore.
Hitler nel 1945, poche settimane prima
della fine, ancora la sottolineava come
una delle cause che aveva provocato
effetti a catena, prodromici al
fallimento dell’operazione Barbarossa.
Per converso la campagna di Grecia un
effetto benefico – si fa per dire –
almeno lo ebbe. Sottrasse per ordine di
Churchill risorse inglesi alla Cirenaica
per inviarle in aiuto in quel settore
contro il parere di Wavell, che
altrimenti avrebbe potuto dare il colpo
di grazia agli italiani in Tripolitania
buttandoci in mare anzitempo di due
anni. È in questo contesto che in un
mattino del 6 febbraio del 1941
Rommel atterra con un Henkel 111
sulla pista di Tempelhof a Berlino ed
ha un incontro preliminare con von
Brauchitsch, capo di stato maggiore
dell’OKW. Da lui apprende che sarà
messo a capo di un corpo di spedizione
in Nord Africa, per la prima volta si
citano la 5ª Leichtedivision e la 15ª
Panzerdivision: inizia l’epopea
dell’Afrikakorps.
Verso sera si reca dal Führer per le
definitive istruzioni. Hitler, nella
penombra del suo studio, spiega in
poche parole l’indirizzo strategico: il
teatro africano è secondario, ma non si
può permettere che gli italiani perdano
la Libia. Rommel dovrà fermare gli
inglesi. “Fermare” non “sconfiggere” ,
non “conquistare Suez”. Non è il Reich
che si impegna in Africa, che non ha
alcun peso nella guerra, è solo un
fronte secondario. Va solo evitato che
una delle potenze dell’Asse subisca
una sconfitta che avrebbe gravi
ripercussioni al suo interno in un
prossimo futuro. Hitler conclude:
“Partirete domani”.
Nasce male, così, l’impegno tedesco in
Libia e Hitler non ha valutato appieno
l’importanza di quel fronte. Lo ha
capito invece Rommel, che disubbidirà
agli ordini ricevuti, e farà sul punto di
sconfiggere gli inglesi dopo la caduta
di Tobruk (21 giugno 1942).
Anche Hitler a quel punto sarà
affascinato dalle possibilità che man
mano emergono: una grande manovra a
tenaglia dal Caucaso al Medio Oriente
che metta in ginocchio l’Unione
Sovietica e scardini definitivamente
l’Impero inglese.
Ma non vi destinerà le risorse
necessarie, assorbite come sono dalla
fornace russa, ed il sogno svanirà mesi
dopo con la duplice sconfitta di
Stalingrado ed El Alamein. Eppure in
Nord Africa la partita si sarebbe potuta
vincere. Sarebbe bastato dare in tempo
a Rommel le forze poi inutilmente
avviate in Tunisia e da parte di
Mussolini, evitare l’ARMIR in Russia,
a consumarsi come una candela, e
concentrare le migliori forze del nostro
esercito in truppe, artiglieria e
autocarri, sul fronte egiziano.
Ma la storia è andata diversamente.
Un’altra considerazione tuttavia non
può essere revocata in dubbio:
l’Afrikakorps ancorché battuto ha
evidenziato il declino irreversibile
della potenza militare ed imperiale
britannica. Mi spiego. Il DAK non
supererà mai l’organico di quattro
divisioni, 2 corazzate (15ª e 21ª) una di
fanteria motorizzata (90ª) ed una
brigata di paracadutisti (la Ramcke),
quest’ultima solo ad El Alamein.
Accanto al DAK combatteranno le
unità migliori del Regio Esercito: una
corazzata, l’Ariete, poi la Littorio
(sempre a ranghi ridotti), due divisioni
motorizzate la Trento e la Trieste. Ad
El Alamein, la Folgore. Accanto a
queste truppe, diverse divisioni di
fanteria, con pochi o nessuno mezzo di
trasporto, di scarso peso nelle
operazioni manovrate. (I nostri soldati
interpretavano la sigla A.S. non Africa
Settentrionale ma “appiedati sempre”
…).
In questo complesso di forze sempre
mantenuto e rifornito a stento il DAK
rappresentava la punta di diamante, ma
anche le nostre sia pure dotate di carri
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scadentissimi, come si è avuto modo di
dire, si fecero senz’altro onore
galvanizzate da un grande generale
come Rommel.
Finalmente sapevano di dipendere da
un capo che la guerra la sapeva fare,
che si esponeva in prima persona, e che
consumava il loro stesso rancio, un
miracolo! Appena si rese conto che da
noi esistevano tre tipi di mensa
(ufficiali, sottufficiali e truppa)
Rommel sibilò agli italiani presenti
“non avete alcuna tradizione militare”.
Ben diversa era la situazione dalla
parte inglese. La illustre 8ª Armata
coagulava tutto lo sforzo di cui al
momento poteva essere capace il
Commonwealth. Accanto a truppe
inglesi (le meglio armate ed
equipaggiate) vi erano neozelandesi,
australiani, sudafricani, canadesi,
indiani, ogni sorta di truppe di colore
in più francesi liberi, greci, ebrei,
polacchi e cechi. Il tutto costituiva un
complesso formidabile, rifornito
lautamente di materiale americano,
sempre con surplus di benzina, viveri e
quant’altro occorresse in ogni
momento. Quindi rispetto all’ACIT
(Armata Corazzata Italo Tedesca)
avevano il triplo il quadruplo dei mezzi
e degli equipaggiamenti, ma la qualità
delle truppe dell’Asse era ineguagliata,
come quella del suo comandante.
Questo è il punto!
Pensate, l’intero Impero britannico
fatte le debite sottrazioni per l’Estremo
Oriente, si trovò a fronteggiare tutto
sommato tre divisioni tedesche e tre
italiane, sino al giugno del 1942. Non
solo non riuscirono mai a piegarle ma
alla fine gli inglesi subirono durissime
perdite e sconfitte significative. La più
incisiva, Tobruk. Se non fossero state
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subito rimpolpate dagli americani le
sciancate schiere britanniche avrebbero
continuato il loro percorso all’indietro.
Appena avuta notizia della caduta della
piazzaforte, Roosevelt assegnò
immediatamente ad un contrito
Churchill, 300 carri Sherman distratti
da altri fronti. Ad El Alamein (3ª ed
ultima battaglia) le forze contrapposte
erano così sbilanciate per gli inglesi: il
doppio degli uomini, più del doppio di
artiglierie e carri, quattro volte di più le
autoblindo, tre volte di più gli aerei da
combattimento. Il tutto con un
comparto logistico che poteva rifornirli
da brevissima distanza, rimpiazzando
tutte le perdite. Praticamente nulla per i
nostri . Eppure per prevalere
Montgomery dovette sudare più di
sette camicie.
Segno che la potenza militare inglese
era in declino ed il fronte libicoegiziano lo dimostrava ampliamente.
Gli inglesi poterono aver ragione infine
di poche divisioni tedesche e italiane,
queste ultime pure male attrezzate,
facendo ricorso a quanto reperibile da
ogni angolo dell’Impero, ma non
avrebbero concluso a loro favore la
partita se non fossero stati disponibili i
consistenti rifornimenti americani. La
struttura militare ed industriale
britannica era insufficiente. I loro carri
armati ad esempio erano di scadente
qualità per concezione ed armamento
(si potrà dimostrare questo assunto in
futuro con un articolo a parte).
Insomma se è vero che l’Inghilterra ha
vinto il 2° conflitto mondiale, di fatto è
indubitabile che lo ha
irrimediabilmente perduto. Anche per
loro si consumò il destino di ogni
nazione imperiale, la fine inevitabile,
accelerata da una miopia politico
strategica che in meno di trenta anni
liquidò uno dei più forti imperi degli
ultimi cinque secoli. Molti storici
datano l’inizio del declino militare
inglese con la battaglia dello Jutland,
nella 1ª Guerra Mondiale. Per la prima
volta la vittoria non fu netta come era
stata in passato, come a Trafalgar o ad
Abukir, come con l’Invencibile
Armada. Per un caso del destino
l’Impero inglese si è liquefatto
combattendo in trenta anni due guerre
disastrose contro una nazione che non
aveva nessuna voglia di scontrarsi con
l’Inghilterra: la Germania. Sono in
molti gli storici che oggi valutano
come la Germania guglielmina aveva
accresciuta la sua potenza non tanto
per misurarsi con quella inglese, ma
solo per far capire che anch’essa aveva
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solo per far capire che anch’essa aveva
diritto ad uno spazio non
necessariamente ostile all’Inghilterra.
Anzi.
Anche Hitler era di questa tesi. Se
Churchill avesse attentamente letto il
“Mein Kampf” se ne sarebbe reso
conto. Chissà se tutto sia dipeso dal
fatto che quel libro era un po’ duro da
digerire, oppure Churchill come alcuni
storici revisionisti cominciano a
sostenere aveva si molta forza d’animo
ma poco comprendonio strategico.
Sostengono inoltre come Churchill sia
stato nella 1ª Guerra mondiale la causa
di uno dei più gravi disastri di quel
conflitto: lo sbarco di Gallipoli; di
come la sua ostinatezza nella seconda,
abbia portato si alla vittoria finale ma
alla perdita dell’Impero. Dicono
costoro (gli storici) che se Churchill
avesse colto meglio i segnali di Hitler,
oltre la lettura del già citato libro, il
mancato annientamento a Dunkerque,
le profferte di pace dopo la caduta della
Francia, il volo – per nulla folle – di
Hess e ne avesse tirato le conseguenze,
forse oggi la potenza inglese in parte
sarebbe ancora in piedi. Di certo a
distanza di 50 anni dalla fine
dell’immane conflitto l’Inghilterra è
solo un’isola di media grandezza, la
Germania è la più grande potenza
economica europea, meno romantica di
ieri ma con imperscrutabili possibilità
per il futuro: Chi ha vinto ha perso e
chi ha perso ha vinto. Scherzi della
storia.
Insomma per concludere Churchill
forse non è poi quel genio che si è
detto a meno di non voler credere alla
vulgata di sempre “… egli fu l’ostinato
ed imperterrito difensore della libertà e
della democrazia …”. Una telenovela.
Egli invece credette di riuscire a
mantenere tutto all’Inghilterra come al
solito: facendo combattere per i suoi
interessi gli altri, che stavolta invece lo
spiazzarono. Alla fine se ne accorse,
nell’aprile del ’45 si lagnava: “…
credo che stiamo ammazzando il porco
sbagliato …”. Fece qualcosa per
arginare i russi ma ormai era tardi ed
anche per lui stava per sopraggiungere
la fine politica.
E con ciò mi vorrete perdonare le
preannunciate “brevi divagazioni” a
cui tenevo molto e che qui si
concludono.
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Seconda Parte
Rommel
L
a leggenda dell’Afrikakorps è
tutta legata alla figura del suo
comandante.
Rommel è di sicuro il generale tedesco
sul quale è stato scritto di più da storici
ed esperti militari. Il suo nome, oggi, è
l’unico che compare in Germania ad
intitolare caserme della Bundesweehr,
una nave della Bundsmarine. È così. Il
suo mito resiste ancora, a differenza di
altri generali tedeschi che non gli furono
inferiori per capacità e valore. Di certo
ebbe anche dei difetti, ma il suo excursus
nel fronte del Nord Africa rimane
singolare: combatté sempre in condizioni
di inferiorità, riuscì ad ottenere risultati
spettacolari e fu sul punto di battere gli
inglesi. Alla fine fu sconfitto, ma non
poté raggiungere l’obiettivo che si era
proposto solo per mancanza di
consequenzialità degli alti comandi
italiani e tedeschi, i quali una volta
accettato il suo proposito di invadere
l’Egitto, non gli fornirono i mezzi
necessari che pure erano disponibili.
Allorquando l’obiettivo non era più
raggiungibile, dopo la battaglia di Halam
el Halfa (2ª battaglia di El Alamein)
l’imposizione di una difesa rigida senza
possibilità di manovra, determinò
l’annientamento dell’armata italotedesca.
Rommel dunque fu un generale nel quale
si sommarono, anzi si fusero, in maniera
peculiare le due qualità dell’ufficiale
tedesco: l’assoluto spirito di disciplina e
la capacità di autonoma decisione
soprattutto in combattimento. Due aspetti
apparentemente antitetici ma che tali non
sono se ben calibrati tra di loro. Lo stesso
complesso di doti, tipico degli ammiragli
inglesi che spiega in parte il grande
valore ed il dominio dei mari di quella
marina per secoli.
In Rommel, forse si può azzardare che la
capacità di autonoma decisione superasse
di qualche misura l’altra qualità, che pure
era elevatissima.
La sua fermezza o se si vuole caparbietà
era arcinota. Raggiungere con lui un
compromesso era praticamente
impossibile. Si scontrò spesso con
Kesselring, comandante supremo di parte
tedesca dell’intero scacchiere del
Mediterraneo, e non tenne mai in conto
Superarsi, vale a dire l’alto comando
italiano in Africa Settentrionale, al quale
Rommel era formalmente sottoposto.
Certo i generali italiani che avrebbero
dovuto fungere da suoi superiori non
erano all’altezza del compito e sarebbe
troppo lungo dire sul perché e sulla
diversa mentalità. Un Gariboldi
preoccupato di ogni mossa di Rommel,
sempre alle sue calcagna nelle prime
avanzate per tentare di fermarlo non
poteva esercitare alcuna funzione di
comando credibile ai suoi occhi. Anche
Bastico che lo sostituì, non riuscì mai ad
imporsi. Formulava continuamente
contro di lui le critiche più feroci che
tramitava per iscritto a Cavallero. Il
motivo di fondo era sempre lo stesso,
non riusciva a farsi ubbidire; spesso, pur
avendolo preventivamente approvato si
dissociava nelle sue note dal piano
comune definendolo con ambigua
prudenza lessicale “piano Rommel”, si
da poter scansare poi le responsabilità di
un eventuale insuccesso. Tipica mentalità
di vertice italiana, mai perduta e tutt’oggi
sovrana nei vari livelli dello “Stato e
nelle Istituzioni”. Le sue critiche gli
valsero il soprannome di “Bombastico”,
ma nessuna presa su Rommel che non
teneva conto di chi non sapeva rischiare
di persona e prendere decisioni.
Il contrasto raggiunse in alcuni momenti
punte elevate. Nel corso dell’operazione
Crusader, Rommel lamentò che gli
italiani non collaboravano ed arrivò al
punto di minacciare l’abbandono della
Libia e di fare internare il DAK in
Tunisia.
Alla fine riuscì a fare di testa sua, e i
risultati non si fecero attendere. Per
converso Rommel stimava sinceramente
molti comandanti italiani di alcune
divisioni: l’Ariete, la Littorio, la Trento,
la Trieste, e malgrado alcune critiche
sommarie espresse in momenti
particolari, nei riguardi del soldato
italiano fu largo di elogi. In verità al
nostro soldato, male equipaggiato e
nutrito, non possono che formularsi
elogi. Per di più per un caso della sorte in
Nord Africa non potemmo avere generali
di comando supremo all’altezza della
situazione. Facciamo i casi. Se Balbo
fosse sopravvissuto ai primi mesi di
guerra, le cose sarebbero andate
diversamente. Balbo era senz’altro un
grande comandante, un organizzatore di
prim’ordine, con un carisma altissimo
sulle truppe. Disponeva poi di un grande
peso politico. Se la maledetta cannonata
del San Giorgio non lo avesse abbattuto,
avrebbe esercitato tutta la sua influenza
per ottenere i mezzi necessari,
vanificando la deleteria, micidiale azione
negativa di Badoglio, che Mussolini
avrebbe fatto bene a mettere al muro
dopo i rovesci del 1940-’41 e non solo
dimissionare. Di certo Balbo non sarebbe
stato da meno di Rommel.
Altro validissimo comandante in capo
sarebbe stato Messe come dimostra il suo
comportamento in Tunisia. Graziani, per
concludere, pur essendo un brillante
generale coloniale, non ebbe la forza di
imporsi su Badoglio e soprattutto nel
momento più duro dello scontro perse
orientamento e lucidità. Il suo carattere
era stato minato – si dice – dalla
gravissime ferite riportate nel 1937
nell’attentato di Addis Abeba.
Rommel ebbe poca stima per tutta la
struttura italiana. Come dice il generale
Mancinelli, sul suo “dal fronte
dell’Africa Settentrionale” l’unica
autorità che Rommel riconosceva
effettivamente era quella di Mussolini
per il quale mostrava ed effettivamente
nutriva profonda ammirazione. “Forse
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CRIELMODEL
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riteneva persino, almeno per un certo
periodo, che Mussolini, al quale come
molti altri tedeschi attribuiva un più alto
senso politico, potesse far valere una
benefica influenza su Hitler” (N.d.A.).
Le truppe ed i comandi italiani delle
unità in linea ammiravano Rommel e lo
seguivano con assoluta fiducia.
Non poteva essere diversamente nei
riguardi di un generale così sobrio –
fruiva dello stesso rancio dei suoi soldati
– mai statico durante la battaglia al riparo
nelle retrovie presso il suo stato
maggiore, ma sempre in movimento per
individuare il “centro di gravità”
dell’azione in corso, per cogliere il
“fuggevolissimo istante critico della
battaglia” ed imprimere la spinta per un
successo decisivo. Insomma un
comandante superlativo, che impartiva
gli ordini più giusti, in ogni circostanza
favorevole o sfavorevole, sia in difesa
che in attacco.
Ciò gli valse anche un rispetto estremo
da parte inglese; se è vero che da questo
lato talvolta le sue qualità furono
enfatizzate oltre misura per giustificare le
sconfitte ricevute o esaltare le vittorie
conseguite, nessuno può dubitare che la
stima avversaria fu sincera e
generalizzata sino a rimanerne
affascinati. Sicché nel marzo del 1942, il
comandante inglese in Africa
Settentrionale, Sir Claude Auchinleck si
vide costretto a richiamare l’attenzione di
tutti i comandi con un dispaccio nel quale
sosteneva che “sussiste il concreto
pericolo che il nostro amico Rommel si
trasformi in uno spauracchio per le nostre
truppe, semplicemente per il fatto che se
ne parla tanto. Rommel non è un
superuomo, per quanto energico e capace
sia. E anche se fosse un superuomo non
sarebbe affatto desiderabile che i nostri
soldati gli attribuiscano poteri
soprannaturali …”.
Montgomery, per parte sua, teneva a
bordo del suo veicolo comando un
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CRIELMODEL
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ritratto del comandante del DAK.
Se i suoi nemici erano ammaliati, in
patria il suo mito era condiviso da tutti.
Ciò gli portò vasta ammirazione ma
anche invidia e disappunto. In tal senso i
più seri detrattori vanno individuati
proprio in alcuni generali tedeschi che
accreditavano la tesi secondo la quale
Rommel non fosse uno stratega ma solo
un grande tattico. Sostenevano a riprova
che egli non aveva frequentato la scuola
di Stato Maggiore quindi era
“incompleto” nella preparazione militareAnche un generale inglese come il
maresciallo Alexander ha sostenuto più o
meno la stessa tesi.
Rommel tattico o stratega? Il quesito è
sorto anche dal fatto che egli nel giugno
del 1942 dopo la caduta di Tobruk,
impose il suo punto di vista sulla
necessità di attaccare l’Egitto, senza
prima dare mano alla occupazione di
Malta (esigenza C.3 o operazione
Erkules). Ciò, secondo alcune tesi, anche
italiane, avrebbe cagionato la sconfitta
finale poiché i nostri rifornimenti nel
Canale di Sicilia furono falcidiati per la
mancata neutralizzazione dell’isola.
Viene da rispondere, oltre che tale
giudizio è frutto del senno di poi, di
come una volta accolto il punto di vista
di Rommel, di invadere l’Egitto, Roma e
Berlino non abbiano fornito i mezzi
necessari e non sarebbe bastato molto,
ma poco più di quello che venne poi
inviato nel momento in cui non sarebbe
più servito. Solo le artiglierie e i mezzi
da trasporto che furono inutilmente
assegnati all’ARMIR ed un ripianamento
delle forze corazzate avrebbe ribaltato la
situazione. Alla stretta di El Alamein
arrivarono scheletrici reparti dell’ACIT e
ci volle poco a fermarli da parte di una
difesa agguerrita e ben predisposta. La
successiva battaglia di Halam el Halfa,
confermò che ormai le sorti si erano
invertite. Gli inglesi avevano ricevuto
ingenti riforzi per le forze di terra e per la
RAF e nel Mediterraneo si faceva sentire
terribilmente l’influenza di ULTRA più
che di Malta.
Se il Delta fosse stato scardinato nel
mese di luglio, provvedendo
accortamente a rifondere l’armata italotedesca per tempo, le conseguenze
sarebbero state enormi. Malta sarebbe
caduta da sè, perché ormai inutile
strategicamente e ben altro scenario si
sarebbe instaurato in Medio Oriente. Ciò
non accadde perché il “momento
magico” venne lasciato passare senza
impegnare in termini di truppe e
materiali una posta maggiore, invano
richiesta da Rommel. Cosa accadde poi è
noto. Dibattere quindi su di lui come
tattico o stratega ha poco senso.
Infine una ultima considerazione; la
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guerra in Nord Africa fu esente da
atrocità e fu combattuta con grande
spirito cavalleresco, non riscontrabile in
nessun altro fronte della 2ª Guerra
Mondiale. Ciò soprattutto per il carattere
e gli ordini di Rommel che fu sempre
rispettoso delle regole. I prigionieri
vennero trattati con grande umanità e non
si registrarono particolari eccessi. Se mai
vi furono delle violazioni, alcune sono
imputabili più alla parte inglese, che
aveva un mosaico di truppe poco
omogenee sotto tale profilo. È nota la
ferocia degli australiani, superbi
combattenti, talvolta lanciati all’attacco
completamente ubriachi e quindi facili ad
uscire dalle righe. Spesso le truppe di
colore non andavano tanto per il sottile.
Ma al di là di inevitabili atti che possono
scaturire nel momento critico per
qualunque combattente, la contesa fu
reciprocamente rispettosa del comune
senso di umanità, proprio di combattenti
valorosi.
Rommel non si abbandonò mai, come
alcuni generali inglesi, Montgomery
incluso, a facili incitamenti “e non
risparmiare il nemico ed uccidere quanti
più tedeschi possibile”. Una volta cadde
nelle sue mani un messaggio del
comando britannico che suggeriva di
ritardare la somministrazione dell’acqua
ai prigionieri, nell’immediatezza della
cattura, per sollecitare le dichiarazioni
nel corso dei successivi interrogatori.
Rommel fece sapere in chiaro che
avrebbe risposto con analoghe misure e
gli inglesi dal canto loro ritirarono
l’ordine già diramato, altrettanto in
chiaro. Gli italiani per parte loro furono
sempre alieni da eccessi o ferocia.
Il conflitto in questo scacchiere non
generò odio, ma reciproco rispetto tra
combattenti di élite delle varie parti:
paracadutisti della Folgore, Mussolini
Boys, carristi dell’Ariete, della 15ª e 21ª
panzer e tommyes, topi del deserto,
carristi della 7ªArmoured Division, e tra
quanti di questi che sopravvissero su
questo particolarissimo fronte.
Bibliografia:
Gen. Mancinelli – “Dal fronte dell’Africa
Settentrionale” Ed. Rizzoli
David Irving – “La pista della Volpe”
Ed. Mondadori
Massignan / Greene – “Rommel in Africa
Settentrionale” Ed. Mursia
Erwan Bergott – “Afrika Korps”
Ed. Ciarrapico
Cri.El.Model
Cri.El.Model
Cri.El.Model
Cri.El.Model
Cri.El.Model
Terza Parte
Equ ipagg ia mento e Arma men to
Vale la pena di trattare questo
argomento, perché
oltre alcune
curiosità sia pure note sulle uniformi,
vorrei dire che l’armamento di cui
furono dotate le divisioni corazzate del
DAK in fondo rispecchiava l’idea di
Hitler, che valutò il Nord Africa un
fronte secondario.
Non che le dotazioni fossero scadenti
per qualità, tuttavia non venne fornito
il meglio a disposizione. Ciò vale per
l’artiglieria semovente e soprattutto per
i cannoni d’assalto (gli StuG.) che
furono addirittura assenti in quel teatro
di operazioni.
UNIFORMI TROPICALI – Come al
solito nell’esercito tedesco, l’uniforme
venne studiata al meglio, per stile e
praticità. La que stio ne venne
demandata all’Istituto Tropicale
dell’università di Amburgo, che fece le
cose per bene.
La Tropenanzug era confezionata con
una tela leggera di canapa per la
truppa, e cotone per gli ufficiali. I
colori erano verde salvia o tané
(marrone rossiccio), in prosieguo kaky
chiaro. La giacca (feldbluse) aveva il
collo aperto, i pantaloni erano di tre
tipi, alla cavallerizza, lunghi, corti
sopra il ginocchio. Particolarmente
indovinati per limitare la calura, gli
stivali e gli scarponcini, in tela di
canapa e cuoio, con allacciatura a
stringhe per tutta la lunghezza dei
gambali. L’unica cosa non indovinata
fu il casco coloniale, fatto di sughero e
ricoperto da una tela dello stesso colore
della feldbluse. Malgrado fosse stato
largamente distribuito, non ebbe il
gradimento della truppa per la scarsa
protezione che poteva dare e
l’ingombro elevato; venne quindi a
mano a mano dismesso e sostituito con
l’elmetto d’acciaio, dipinto in color
kaky giallognolo.
Ma l’elemento distintivo del DAK
divenne la bustina, il Feldmutze, dotato
di un’ampia visiera, in tela di canapa o
cotone in colori verde salvia o tané.
Questo copricapo si stingeva presto a
causa dei raggi solari e degli altri
agenti atmosferici, assumendo una
tonalità sempre più chiara. Questo
copricapo divenne popolarissimo e più
era scolorito – sino ad apparire
giallognolo o bianco –, e più attestava
il prestigio del veterano.
Il suo stile si era ispirato al Bergmutze
delle truppe da montagna e dopo il
successo stilistico e simbolico nel
DAK, venne adottato in una versione
simile, l’Einheitsfeldmutze, dal giugno
del 1943 da tutto l’esercito tedesco.
Soprattutto per i modellisti si deve
specificare che la Waffenfarbe, il
gallone a V rovesciata che incorniciava
la coccarda nazionale aveva i seguenti
colori, a seconda dei casi:
Rosso
- Feldmarescialli
- Generali
- Artiglierie
Bianco
- Fanteria
Rosa
- Carristi
Verde erba
- Panzergranadiere
Vermiglio chiaro
- Feldgendarmerie
Giallo limone
- Trasmissioni
Nero
- Genio pionieri
Blu scuro
- Sanità
Cremisi
- Ufficiali di
Stato Maggiore
Verde scuro
- Ufficiali
amministrativi
Attualmente, per i patiti di militaria
(come chi scrive), raccomando la
massima attenzione nel tentativo di
acquistare uno di questi copricapi in
originale. Ne esistono tuttavia ottime
riproduzioni, basta sapere che siano
tali.
Ritornando al tema dell’uniforme,
malgrado nell’esercito tedesco vi fosse
una propensione elevata all’ordine ed
all’eleganza (basta osservare le
fotografie scattate su tutti i fronti di
guerra ed in ogni condizione), in Nord
Africa le cose andarono un po’
diversamente. A parte il fatto che i
colori scadevano per le stesse ragioni
che abbiamo detto per il feldmutze,
l’approvvigionamento non era continuo
e i combattenti adoperavano quello che
avevano a portata di mano. I magazzini
di vestiario inglese catturati spesso
intatti, venivano incamerati e
distribuiti, con sovrapposizioni per
necessità di cose, sull’uniforme di
ordinanza. Quindi si videro cappotti di
colore marrone rossiccio in tempo
invernale, pantaloncini e camicie
inglesi sotto la
feldbluse; intervenne a
mitigare
questo
bailamme,
la
tradizionale disciplina
estetica dei soldati
tedeschi, che cercarono
di accoppiare i capi nel
modo
migliore,
accostando solo giubbe e
pantaloncini dello stesso
colore.
ARMAMENTI
– Nulla da dire sull’armamento della
fanteria che fu quello tradizionale,
tuttavia la dotazione di mitragliatrici,
pur non avendo dati certi e rifacendosi
alla copiosa documentazione
fotografica esistente, fa pensare ad una
assoluta prevalenza di dotazione di MG
34 anche dopo il debutto della più
potente MG 42, appunto nell’anno
della sigla.
Ottima la consistenza dell’artiglieria da
traino e non è il caso di sottolineare il
mitico 88, conosciuto da tutti
(specialmente dai carristi inglesi).
Un po’ diverso il discorso sui mezzi
corazzati. Le divisioni Panzer del DAK
ebbero quasi sempre dotazioni di carri
con il cannone corto. Saltando i
Pz.Kfw. I e II muniti solo di armi
automatiche, se esaminiamo i Pz.Kfw.
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Cri.El.Model
Cri.El.Model
III e IV, mi pare di poter dire che la
presenza in Libia fu quasi esclusiva dei
modelli muniti di pezzo corto. Per il
Pz.Kfw. III si ebbe la presenza del
mod. J con il cannone da 5 cm L/60,
ma il loro numero fu minimo, analogo
discorso per il Pz.Kfw. IV di cui si
registrò la presenza del mod. F2
(cannone da 75/43 bulbo globulare).
Ad El Alamein, Rommel, su 238 carri
del DAK poteva disporre solo di 85
Pz.Kfw. III mod. J con il cannone da
50/60 e di 30 (trenta) Pz.Kfw. IV col
cannone da 75/43. Il tutto contro 285
Sherman e 246 Grant entrambi con
pezzi da 75 e di 78 Crusader III col
57/45.
E meno male che Montgomery, il
“visconte di Alamein”, era anche un
bravo generale; beh! Solo in Tunisia si
videro Pz.Kfw. III mod. L e N,
Pz.Kfw. IV mod. G e Tigre 1, ma
ormai era fatta!
Singolare invece il discorso
sull’artiglieria semovente e cannoni
d’assalto. Nel primo caso possiamo
registrare solo mezzi che comunemente
vanno sotto il nome di
“ i mp r o v v i s a z i o n i ” . M e n t r e l a
Wehrmacht era all’avanguardia nel
campo del semovente d’assalto, poco o
nulla era stato fatto per l’artiglieria
semovente che aveva messo in campo
solo il Sig. 33 Auf. Geschutzwagen.
Derivato dal Pz.Kfw. mod. I, portava
su un monumentale cassone un obice
da 15 cm. Dopo le campagne di
Polonia e Francia l’ufficio degli
armamenti corse ai ripari, ma prima di
produrre mezzi di questo tipo
pianificati e per così dire “formali”,
dovette ricorrere a delle
improvvisazioni attingendo alle ricche
scorte di materiale catturato nelle due
campagne. Videro così la luce
l’Sd.Kfz. 135/1 con un obice campale
da 150 mm su scafo francese “Loraine
10
Cri.El.Model
Cri.El.Model
Schlepper”, il Bussing-Nag Sd.Kfz. 6,
trattore di artiglieria, con un pezzo da
76,2 mm russo immerso in un grosso
cassone di protezione, il Pz.Jag. 1B con
un pezzo Skoda da 47 mm, l’Sd.Kfz.
121 derivato dal Pz.Kfw. II allungato
con un obice da 150 mm, il Pz.Jag. 38,
con un cannone sempre russo da 76,2
mm. Tutto questo materiale
improvvisato operò al seguito del
DAK, ma non in gran numero. Pare,
secondo una fonte inglese, che il
Pz.Jag. 38 fosse presente in un
centinaio di esemplari, ma la cifra
sembra del tutto esagerata. Solo in
Tunisia comparvero i Marder III
Sd.Kfz. 138, e qualche StuG. III con il
75 lungo (c’è in proposito una foto
ricorrente di questo mezzo, in Tunisia,
con a bordo alcuni Panzergranadiere).
Ora se per l’artiglieria semovente
diciamo cosi fu fatto il possibile, anche
se il Wespe e lo Hummel mezzi
“formali” entrarono in campo dal 1942
ma furono tutti assorbiti dal fronte
orientale, analogo discorso non si può
fare per i cannoni d’assalto StuG. III e
IV.
Di questi, largamente disponibili dal
1940, in Nord Africa, oltre a quello
della foto che ho menzionato poc’anzi
non se ne videro altri. Sempre secondo
fonti inglesi, pare che uno StuG. III,
mod. D, con cannone da 75 corto sia
stato visto aggirarsi nei dintorni di Bir
Hacheim e Acroma ed aggiungono di
averlo anche catturato intatto. Non ho
mai visto documentazione fotografica
in proposito.
È certo quindi che in Nord Africa non
vennero mai destinate aliquote di
questo interessantissimo mezzo. Il
perché è incomprensibile. Se era adatto
a combattere nelle vastità della steppa
russa, perché non avrebbe potuto nel
deserto, che era ancora più vasto? La
omissione non può essere valutata
Cri.El.Model
appieno se non
riportandoci alla
considerazione iniziale: il fronte nord
africano era valutato di secondo piano
e quindi si poteva mandare quanto
possibile, ma questi mezzi no.
Servivano egregiamente nell’appoggio
alla fanteria, nell’azione controcarro
mobile e nel combattimento negli
abitati. La fornace russa non permise
quindi, probabilmente, che tali mezzi
fossero distratti su altri fronti.
Un’ultima considerazione sulla
Int en de nz a. E ra q ue l la t ip ica
dell’esercito tedesco, cioè il contrario
della nostra. Vale a dire che mentre i
nostri fantaccini, carristi ecc. si
vedevano recapitare quanto necessario
(sic!) nel caso che l’Intendenza fosse
stata “tempestiva-mente” preavvisata,
le divisioni del DAK si portavano
dietro quanto necessitava, e quando le
dotazioni cominciavano a scemare,
apposite sezioni delle divisioni, con i
combattimenti in atto, andavano
indietro a rilevarle direttamente dalla
loro Intendenza che aveva spostato in
avanti i magazzini per facilitare le
proprie truppe, che vi attingevano
come in un supermercato, anche se con
le merci razionate.
I nostri, al contrario, rimanevano
spesso a secco a causa del meccanismo
inverso. La parolina “tempestivamente” salvava poi sulla carta capra e
cavoli. Si tratta di un rancido vezzo del
burocratese italico tuttora in auge.
L a p a r ol i n a è t r i va l e n t e : a l
condizionale per garantirsi, al positivo
per autoelogiarsi, al negativo - il più
ricorrente - per scaricare su altri la
colpa del mancato esito di un
comportamento dovuto.
Perdonatemi la disgressione.
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LA PRUDENZA - Titolo italiano: “C’era una volta un piccolo naviglio”.
Film commedia, USA, 1958; con Jerry Lewis.
Trama: terminata la guerra, un giovane guardiamarina (Lewis) deve riportare alla base il
cacciatorpediniere sul quale è imbarcato. Mesi dopo il Pentagono addebita al malcapitato il
costo dell’intera nave che nessuno sa più dove sia finita. Seguono le divertenti peripezie del
protagonista per fare chiarezza, sino al felice epilogo.Questo avviene, naturalmente, nella
finzione cinematografica….
Ottobre 1940. A Tripoli sbarca la 117a compagnia cannoni anticarro da 47, al comando
di un 24enne tenente di complemento. Subito avviato al fronte, il reparto viene travolto dalla generale ritirata delle forze italiane. Privi di automezzi, per qualche giorno i soldati ripiegano a piedi spingendo i pezzi; alla fine sono costretti a farli saltare, riuscendo così a rientrare fortunosamente nelle proprie linee.
Mesi più tardi al giovane tenente perviene dal Ministero della Guerra la comunicazione di
addebito del costo dei 4 cannoni, relativi apparati di puntamento, attrezzi e munizioni. In
quanto comandante del reparto grava su di lui l’obbligo di risarcire il materiale ricevuto e
non riconsegnato. Al perplesso ufficiale viene in aiuto un collega più anziano, che accerta
che il tenente non ha compilato il “verbale di distruzione pezzi”, documento ove vengono
giustificate le ragioni belliche della perdita del materiale in dotazione. Redatto e spedito il
verbale, dopo altrettanto tempo il Ministero comunica lo storno del precedente addebito,
con sollievo del malcapitato ufficiale che comunque fa’ tesoro dell’esperienza acquisita.
Luglio 1942, fronte di El Alamein. Nelle convulse settimane di luglio Rommel tenta di
sfondare e raggiungere Alessandria; l’8a Armata britannica a sua volta contrattacca rabbiosamente per costringere le forze nemiche a retrocedere.
Nella notte tra il 15 ed il 16 luglio parte dell’86° regg. fanteria della div. ”Sabratha” viene
inviato frettolosamente ad occupare il varco apertosi a “Quota 23”(altura di Tell El Eisa),
subito a sud del trincerone della ferrovia. Tra gli altri, il nostro tenente, ora aiutante maggiore in 1a del reggimento.
I reparti italiani hanno da poco occupato la posizione quando vengono fatti segno di un forte
fuoco di artiglieria; il mattino del 16 vengono attaccati da forze corazzate e sopraffatti. Prima della fine il tenente provvede alla distruzione dell'apparato radio, dei codici e degli altri
documenti. Poi i superstiti vengono presi prigionieri.
Solo il giorno successivo l’ufficiale si avvede di avere con se i fondi della cassa reggimentale, quasi 15.000 lire. E’ necessario distruggere la valuta perché non cada in mano nemica.
L’operazione è facile da eseguire ma ecco che riaffiora il ricordo dell’addebito dei cannoni.
E così, con molta maggior difficoltà, eludendo l’attenzione delle sentinelle inglesi, il tenente
raduna altri ufficiali ed in loro presenza brucia ad una ad una le banconote spargendone le
ceneri al vento; poi redige un improvvisato verbale che fa controfirmare ai colleghi in qualità di testimoni. E’ il documento fotoriprodotto, che l’ufficiale avrà cura di conservare per
tutto il periodo della prigionia e riportare in Italia al suo rientro nell’ottobre 1946.
Per la verità l’autorità militare italiana del dopoguerra non si cura del denaro distrutto. Il
“verbale distruzione banconote” rimarrà così al reduce, quale ricordo della sua cattura e della sua prudenza che, come recita il proverbio, “non è mai troppa”. (riproduzione riservata)
Marcello Richiardi
Allegato segue: copia verbale
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AUTOCANNONE 75ck. CONTRAEREO
su AUTOCARRO CEIRANO 50 CMA.
CRIEL
R072
Kit
in resina
scala 1/35.
Già durante la prima Guerra Mondiale l’Italia aveva allestito diversi autocannoni per differenti impieghi ( vedasi Criel R076 autocannone 102/35 su SPA 9000), tra questi un pezzo da 75CK antiaereo su autocarro ITALA X opportunamente modificato. Alla fine del conflitto si decise di mantenere solo questo tipo di autocannone su di un telaio
più moderno, così nel 1927 si allestirono le prime 14 batterie sul nuovo autocarro pesante CEIRANO 50CM.
A quell’epoca ormai il cannone da 75 CK era inadeguato alle esigenze, inoltre per aprire il fuoco erano necessarie delle operazioni di messa in batteria che, seppure abbastanza rapide, impedivano l’uso del complesso per la difesa di colonne in movimento.
Nonostante ciò questi mezzi vennero impiegati nel 35/36 in Africa Orientale e 5 batterie parteciparono alla Guerra di Spagna.
Nel 1939 erano ancora in servizio 166 autocannoni alcuni dei quali nei primi anni 40 vennero adibiti alla difesa di obbiettivi sensibili nel territorio metropolitano.
Dotati di un migliore sistema di puntamento presero parte alla Seconda Guerra Mondiale operando su tutti i fronti tranne quello
russo. Almeno un esemplare fu impiegato dai tedeschi in Africa settentrionale.
75CK gun on a CEIRANO 50 CM truck.
During WWI the Italian Army already had in service several gun-trucks (for instance the Criel R076, a 102/35 gun on a SPA
9000 truck). One of these was a 75CK gun installed on a modified Itala X chassis. At that time the 75 CK gun was outdated and,
on top of that, the set up operations did not allow the effective use of this weapon for moving convoy protection. Anyway these
gun-trucks were used during 1935/36 in East Africa and 5 batteries took part to the Spanish civil war.
In 1939 were still in service 166 gun-trucks and some of these where placed at defense of sensitive targets in the metropolitan
areas. Equipped with an improved sighting system these vehicles were also used during WW II on all the operation theatres but
the Russian one. At least one Ceirano with 75CK gun was used in North Africa by the Germans.
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NONNI IN GUERRA
Mi permetto di inviare, in allegato, alcuni documenti, per la serie "nonni in guerra" relativi ad un cugino di mia madre, Medaglia
d' Argento caduto durante la II Guerra Mondiale, con l' ultima lettera da lui scritta ai familiari, pubblicata poi su una rivista di
Vicenza, che a mio parere merita considerazione se non altro per testimoniare il senso del dovere - privo di idealismo politico di molti giovani di allora. Enrico Carioli.
In ricordo del S. Ten. di Vascello Paolo Ghirotti
Non parleremo delle virtù e dell’eroismo del S. Tenente di Vascello Paolo Ghiotti per non togliere ad ognuno di noi una personale e silenziosa riflessione a cui ci portano la sua ultima lettera, la motivazione della
Medaglia d’Argento al Valor Militare ed il dolore dei famigliari così ben espresso in una breve poesia della
sorella Nerina.
Alghero, 6-2-43
Carissimi,
spero non vi siate impressionati per
questo mio silenzio. Sto ancora bene e
sono molto sereno. Quanto alla licenza
sono io, ora, che non la voglio, almeno
finché non avrò assoluto bisogno di ripo-sarmi. Sento parlare i miei compagni che
tornano nauseati dalla licenza e non vo-glio anch 'io come loro insozzarmi nel fan-go
della vita borghese di questi tempi.
Sono entrato in Accademia, sono sem-pre vissuto in un ambiente sano, giovane,
entusiasta (qualcuno ci chiamerà fanati-ci).
Qui siamo tutti pronti ancora a dare
tutti noi stessi con gioia, perché ci piace
avere un ideale per cui lottare, perché ci
piace il rischio e la lotta di per se stessi.
Sono cose, queste, che tutti i giovani di
cuore sano dovrebbero sentire.
Io non so e non voglio sapere di intrighi e
di porcherie che succedono e che fan-no
sembrare inutili i nostri sacrifìci.
Penso alle migliaia di miei compagni i
quali affrontando giornalmente il perico-lo
sono partiti e non sono più ritornati. Li ho
visto partire e non avevano sul volto il
terrore della morte ma il sorriso sereno
dei coraggiosi e dei forti.
Non vi ho mai fatto di questi discorsi.
Ma ora, in questi momenti gravi, sento il
dovere di farveli perché sappiate che
anch'io sono uno di quelli che affronta il
rischio sorridendo e voglio che l'indiffe-renza non prenda anche voi, ma che, di
fronte a tutti, siate fìeri di me
vostro Paolo
PASQUA DI PIANTO
Fiolo, no so, se ti te pòi tornar o te dormi
per senpre in fondo al mar... Ma mi el to
leto lo go parecià, qua ch'el te speta,
bianco e profuma. E go messo l'ulivo
benedeto su la soasa in cima del to leto...
Se ancor te vivi ascolta la me voce e
segnate co' l segno de la Croce... Prego
per ti la pace del Signore in questa santa
Pasqua de dolore. Ma, se no te sì più de
questa tera, fala ti. per noialtri, una preghiera. E questo mio dolor portalo a Dio, o
creatura santa, o fiolo mio!
Sottotenente di Vascello Osservatore CHIROTTI PAOLO di Giulio Francesco
Nato il 25/05/1919. Disperso il 16/03/1943.
Medaglia d’Argento al Valor Militare.
Osservatore di elevate virtù militari e professionali, combattente entusiasta e generoso, già distintosi su
altro fronte di guerra, effettuava in breve spazio di tempo intensa attività bellica. In numerosissime ricognizioni alturiere, portate a termine superando condizioni atmosferiche avverse e l’insidia dei caccia avversari riconfermava belle doti di soldato ed alta concezione del dovere. Partito per una ricognizione alturiera non ne faceva ritorno.
Cielo del Mediterraneo Occidentale 10/12/1942 e 16/03/1943
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CRIELMODEL
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CRIELMODEL
CANNONE da 75 ck.CONTRAEREO
SCALA 1/35.
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R109
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WWW.CRIELMODEL.IT
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LIS TINO PREZZI SETTEMBRE 2007
SCATOLE DI MONTAGGIO IN RESINA scala 1/35
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R016
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R020
R021
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R028
R029
R030
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R033
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134,00
46,00
55,00
A. Fiat M43 105/25 “Bassotto” - StuG M43 10,5/25 853 (i)
Sem. A. Fiat L6 - StuG L6/47 770 (i)
Cannone R.E. da 90/53 - 9 cm. Flak 309 9,0/53 (i)
Carro armato Ansaldo Fiat P40 - Pz.Kpw. P40 737 (i)
7,5 cm Pak 40/1 Ausf (GW) Lorraine Schlepper (Sd.Kfz. 135)
Sem. Comando Cp.A. Fiat L6 - Kdo Wg.L6 - 770 (i)
Autob. A. Lancia “Lince” - Panzerspahwagen “Lince”202 (i)
Obice Skoda da 149/13 –14,9 cm. S FH 401 (i)
Cannone da 149/40 mod.35 –15 cm. S FK 14,9/40 (i)
Obice Skoda da 75/13 - 7,5 cm Gebirgeschutz FH 241 (i)
Sem. controcarri Fiat A. Spa da 90/53 - Gep.Sf. M41 801 (i)
Panzerjäger 38 - 7,5 Pak 40/3 M (Sd.Kfz. 138)
CV. A. Fiat L.33 (2ª versione), (Armam. Fiat o Solothurm)
Obice 100/17mod. 14. - 10 cm Feldhaubitze 315 (i)
CV 38 - armamento Breda - Pz.Kpw. L35 731 (i)
Autocannone da 90/53 su autocarro Lancia 3/RO
Cannone da 105/28 Ruote Electron K3 30 (ì) 10,5 cm
Cannone da 75/27 mod. 06
Mitragliatrice Schwarzlose m. 1907
Mitragliatrice Breda 37
Cannone da 149/35
Carro Ansaldo Fiat L6/40 - Pz.Kw L.6/40 733 (i)
Mitragliatrice Fiat Revelli: Mod.35
Autocarro Pesante Lancia 3/RO
Solothurm 20 mm
Breda 20 - 2 cm. Flugabwehrkanone Breda 35 (i)
Autocarretta OM 35
Trattore TL37 Ruote Celerflex
Trattore TL37 Pneumatici Artiglio
Trattore TL37 Pneumatici Africa
Mortaio da 210/8 D.S.
Cannone da 65/17 - 6,5 cm Geb.K.216 (i)
Autoprotetto S37 - Gep. Manntransportwagen S37 250 (i)
150 mm FH 13/1 Lorraine-S (f) Africa-Europa (2 ver)
Munizioni Mod. 32 - Obice 75/13
Autocarro Fiat 18 BL
Carrello trasporto carri
Fiat 3000 mod. 30
Cannone da 47/32 mod. 35
Trattrice pesante Breda 32
Trattore Fiat O.C.I. 708 C.M.
Ceirano 50 C.M.
Ceirano 50 CMA - 75 ck contraereo
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Rimorchio Viberti -Trasporto carri M.
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Obice da 305/17 mod. 16. - BASE RETTANGOLARE
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Autob. - Polizei SdW Daimler 1921
Autocarro Leggero SPA 38
Autocarro 3 Ro trasporto quadrupedi
Trattore pesante campale 30-A 1944
Autob. Lancia 1 ZM, Fiat 14 St. Etienne.
Trattore semicingolato Breda 61
Autocarro leggero FIAT 15 BIS
Autob. Lancia 1 ZM “Spagna”
Autob. Lancia 1 ZM “SS Bozen”
Autob. Lancia 1 ZM “Abissinia”
Bombarda da 240C.
Carro Pesante FIAT 2000
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R034 € 46,50 VCC - 1 “Camillino”
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71,79 Autob. Ansaldo AB.43 - POLIZIA.
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€ 29,00 1° Caporale d’onore della M.V.S.N. 1939.
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S060 Autiere seduto.
S021 Mitraglieri Regio Esercito (2 pezzi)
S061 FANTE 1ª G.M. all’assalto
S022 Serg. Brig. Ramke (Africa ‘42)
S023 Parà Brig. Ramke (Africa ‘42)
S062 FANTE 1ª G.M. all’assalto
S024 Artigliere tedesco (Russia ‘43)
S064 Carrista in torretta.
S063 Uff. 1ª G.M. all’assalto
S025 Uff. Artigliere tedesco (Russia ‘43)
S026 Carrista semovente 90/53
S027 Bersagliere (Africa)
S028 Paracadutista
S029 Ufficiale pilota
S030 Pilota con paracadute
S031 Ufficiale meharista italiano
S032 Sottufficiale meharista italiano
S033 Scihumbasci meharista
S034 Ascaro (1933-35)
S035 Mountaz - Arabo somali
S036 Fanteria libica 1940
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In 11 fascicoli (per ora) di 18 pagine
ciascuno a colori con foto sia dei modelli che
dei mezzi operativi all’epoca ed esistenti oggi
nei musei, disegni, notizie, e quant’altro di
interesse storico-modellistico in lingua
italiana ed inglese.
Cad. €. 7,00
Hanno collaborato a questo numero
(in ordine sparso):
Fabio d’Inzeo, Marcello Richiardi,
Maurizio Bartoli, Massimo Bartoli,
Cristiana Cerruti
“I quaderni di Crielmodel ”
Monografie in italiano ed inglese. La storia,
i disegni originali di fabbrica, le foto a colori dei
particolari veri e dei modelli realizzati.
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