Noi qui, ragazze italiane, già da un po` la chiamiamo “questione
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Noi qui, ragazze italiane, già da un po` la chiamiamo “questione
A001486 FONDAZIONE INSIEME, ONLUS Da IODONNA del 15/11/2008, pag 104 <<APOLOGIA DEL MASCHIO>> di Marina Terragni, giornalista. Per la lettura completa del pezzo si rinvia al settimanale citato. Noi qui, ragazze italiane, già da un po’ la chiamiamo “questione maschile”: quel sacco vuoto a responsabilità limitata, che ogni sera si affloscia sul divano. Nessuna iniziativa, zero joie de vivre, desiderio annichilito: e, nel caso, molto meglio il sesso online. Una costruzione millenaria -tu chiamale se vuoi, patriarcatoche collassa su sé stessa, non senza sussulti violenti. In Save the males (“Salvate i Maschi” edizioni Random House) la columnist Kathleen Parker fa il panorama a volo radente della devastazione: un uomo in crisi nera, su cui non si può più contare. Ma la sua prospettiva è terribilmente “scorretta”: la colpa, dice Parker, è quasi tutta delle donne. <<Negli ultimi trentanni o giù di lì, i maschi sono stati assediati da una cultura che li ha accusati di tutti i mali>>. In questo mondo female-friendly gli uomini sono rappresentati come <<stupidi, bulli, bruti, stupratori, predatori sessuali e picchiatori di mogli>> o, nel migliore dei casi, ridicolizzati, esautorati, ridotti a cicisbei metrosexual: <<e invece, in un mondo pericoloso com’è il nostro, sarebbe meglio avere intorno qualche maschio che se ne frega di manicure e colpi di sole>>. Madre di svariati ragazzi e a sua volta tirata su da un padre single (<<siamo stati una famiglia anomala quando essere anormali non era ancora così cool>>). Parker prende a cuore le ragioni degli uomini, <<esseri umani anche loro>>. Dei giovani, soprattutto, quelli che non hanno mai conosciuto il tempo in cui i maschi erano rispettati, e in cambio si comportavano da gentiluomini. È solo salvando gli uomini, dice, che si salvano le donne (e i bambini). Anche se, si potrebbe risponderle, erano pur sempre due uomini a contendersi la presidenza degli Stati Uniti. Quanto alle donne, una era stata fatta fuori, un’altra tirata dentro per ragioni di mercato elettorale: incarnazione della securitiy mom, nuova chimera maschile, si fa perdonare per la sua prolifica femminilità sterminando mandrie di caribou. E ancora si potrebbe ribattere: sono pur sempre uomini quei fatcat –gatti grassi- supermanager delle banche americane che, dopo aver messo in ginocchio l’economia globale con i loro giochetti da ragazzi irresponsabili, oggi si godranno buonuscite multimilionarie. Forse i maschi non stanno troppo bene, però continuano a fare e disfare. Non ce la caveremo così a buon mercato. Vediamo da vicino le sorelle le ragioni di sorella Kathleen: secondo la quale, per cominciare, l’indottrinamento –donne buone, uomini cattivi- inizia già a scuola, sulla spina di una gender equity che forse ha spinto un po’ troppo. Insegnanti quasi tutte le donne, più propense a dire she piuttosto che he, e i maschi tagliati fuori dall’idillio. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nei college i ragazzi sono in minoranza, quattro su sei, e siamo quasi a due laureate contro uno. Anche il cinema e tv fanno la loro. Se non sono belve assetate di sangue, gli uomini sono dei fessacchioni: il classico papà delle sitcom <<stupidotto e incapace –genere Homer Simpson- a fronte di una madre di successo, responsabile e moralmente superiore>>. Il fatto, spiega Parker, è che sono le donne a decidere gli acquisti e a guardare la tv: e il maschio ridicolizzato è eccitante, empowering e fa bene ai consumi. Ma ai bambini che effetto farà? Negli USA sono 24 milioni i ragazzini che vivono in una casa senza padre, ormai ritenuto unnecessary, superfluo. Basta e avanza il virtual dad, quello che il sabato si connette con i figli via webcam. Mamma più bambino: ecco la new american family. Dall’odioso pregiudizio contro i figli nati fuori dal matrimonio, dice Parker, siamo passati alla celebrazione delle madri single che <<non solo sono in gamba, sono glam!>>. Ma senza padri i ragazzi rischiano di venire su aggressivi, antisociali, con poca autostima e a loro volta non-padri, mentre i pericoli per le ragazze sono la periodicità e la promiscuità sessuale. Spesso, è vero, sono gli uomini a tagliare la corda: ma provate voi a resistere alla propaganda antipaterna. Parker dà la colpa di quasi tutto al femminismo antipatriarcale, che tra l’altro non riconosce agli uomini alcun diritto in materia di procreazione: è sempre la donna a decidere, sia per il sì sia per il no, <<eccitando lo spirito guerriero maschile>>. Altro bel campo di battaglia, sessualità e desiderio: come se la cava il povero Ulisse tra Scilla e Cariddi? Tra puritanesimo estremo da un lato, con il suo corredo di legislazione antimolestie, e dall’altro protagonismo orgasmico, orgoglioso, vaginale e porno intraprendenza del femminismo pro-sex? Ecco la marea di maschi con ansia da prestazione il 13% dei giovani americani presenta disfunzioni erettili, il 6% ricorre precocemente a farmaci adiuvanti. E così via. Si potrebbe classificare l’appassionata apologia pro male di Kathleen Parker tra i segnali di quello spirito del tempo - il nuovo tempo, dall’11 settembre in poi –di cui Susan Faludi ha scritto nel suo Il sesso del terrore: una brutale liquidazione del femminismo, futile lusso da tempi di pace e responsabile di quella effeminazione che ha reso l’America vulnerabile e under attack, per restaurare una virilità orgogliosa e guerriera, accompagnata e custodita da una femminilità tradizionale. E all’occorrenza meno guerriera ma contro il nemico giusto, stavolta, contro il proprio “vecchio” New deal incarnato dalla coppia (sconfitta) McCain – Palin. <<Facciamo parte, uomini e donne, della stessa squadra>> dice Parker. E aggiunge: <<Ci deve essere un modo per onorare le donne senza disonorare gli uomini. Di sicuro è possibile restaurare la dignità maschile senza sottomettersi ai ruoli patriarcali. E onorare la famiglia, ammettendo la sua importanza per i bambini e per la società, senza condannare le donne all’inferno domestico>>. Programma che, per perturbante che sia, somiglia molto alla pratica concreta delle nostre vite. Non lottiamo forse in ogni modo, ogni giorno, e fuori da ogni ideologia, destra o sinistra, per tenere in piedi la baracca, per non sfasciare le nostre relazioni e i nostri focolari, per trovare le mediazioni necessarie pur praticando pienamente le nostre libertà? Ci vorrebbe, conclude Parker, un “femminismo sensibile”: lei almeno lo chiama così. Nel suo Paese dove la parità è stata perseguita fino alle estreme conseguenze, la differenza sessuale e il pensiero che l’ha sapientemente pensata sono ancora qualcosa di inaudito. Lì è stata solo e ferocemente uguaglianza, ed emancipazione: modelli oggi in discussione proprio dove sono stati inventati e fideisticamente praticati. Parker dice cose giuste, ma certo esagera. Ci dà dentro. Misconosce i molti torti degli uomini. Abiura e passa da un’altra fede: le americane sono così, si sa, è il loro bello. Ma se oggi la differenza sessuale mostra di avere un notevole potenziale, perfino in politica, non è detto che sia una sventura. Potrebbe essere, anzi, un’opportunità, un’occasione di maggiore felicità e di parità più autentica, a saperla sfruttare. O si tratta solo di ex patriarchi che stanno rialzando la testa?