Letteratura: Giovanni Verga e "Rosso Malpelo"

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Letteratura: Giovanni Verga e "Rosso Malpelo"
Giovanni Verga e Rosso Malpelo
Le idee e la poetica
La “fiumana del progresso” e il “Ciclo dei vinti”
Giovanni Verga (1840-1922), tra le figure più rilevanti del panorama romanzesco dell’Ottocento, è
il principale autore del Verismo italiano, quella corrente che - sull’eredità del Naturalismo francese
e nel clima positivista degli anni Settanta ed Ottanta del secolo XIX - si propone la missione di
descrivere oggettivamente e realisticamente la “fiumana del progresso” che sta sconvolgendo il
mondo antico e rurale dell’Italia di quegli anni.
Verga approda al Verismo tra il 1877 e il 1878, dopo essersi formato nei valori romanticorisorgimentali.
Secondo Verga il progresso è, appunto, una “fiumana” inarrestabile, spinta in avanti dall’egoismo
e da una spietata lotta per la sopravvivenza, che accomunano gli uomini agli altri animali: come
sosteneva Darwin, l’individuo si impone o soccombe attraverso una durissima “selezione naturale”.
Visto da lontano, il progresso appare “grandioso”, ma visto da vicino esso mostra tutte le
contraddizioni, gli orrori e i soprusi che stanno alla base della lotta per la vita. E proprio alle vittime
del progresso, ai vinti, Verga si interessa, riservandosi, in quanto artista, di guardare da vicino: anche
lo scrittore, del resto, è travolto dalla “fiumana” ed è anche lui un vinto.
Verga rappresenterà dunque la lotta per la sopravvivenza a ogni gradino della scala sociale,
procedendo dal semplice al complesso: bisognerà partire dalle classi più basse, dove si osservano
più facilmente i meccanismi di causa-effetto, per risalire a quelle più elevate, più difficili da studiare
perché la civiltà insegna all’uomo a nascondere i sentimenti. Di qui il progetto di un ciclo di romanzi,
“I Vinti”, che rappresenti successivamente la vita dei pescatori e dei contadini (I Malavoglia), la
borghesia di provincia (Mastro-don Gesualdo), la nobiltà cittadina (La duchessa di Leyra), il mondo
parlamentare romano (L’onorevole Scipioni) e infine il mondo più complicato di ogni altro, quello
degli artisti (L’uomo di lusso). Solo i primi due romanzi saranno portati a termine dall’autore.
Impersonalità ed eclissi dell’autore
Nell’opera non si devono vedere né i sentimenti né le idee dell’autore, il quale deve comportarsi
come uno scienziato e limitarsi a documentare la realtà. Lo scrittore-scienziato deve solo mostrare
i rapporti di causa-effetto che legano l’uomo all’ambiente.
Verga sostiene, così, la necessità dell’eclissi dell’autore, il quale deve sparire nella propria opera
senza lasciare tracce della sua personalità. Al narratore non è più concesso di intervenire con
commenti e giudizi, non vengono più presentati i personaggi, né indagata la loro psicologia: il lettore
deve imparare a conoscerli man mano, vedendoli agire e parlare. La rottura con la tradizione
manzoniana del narratore onnisciente è totale.
La forma inerente al soggetto
Se l’autore non deve mostrare il proprio punto di vista, anche la forma e il linguaggio devono
adeguarsi alla realtà raccontata. Ciò non comporta il ricorso al dialetto nella rappresentazione delle
classi povere, sia perché Verga è fautore dell’unità d’Italia e timoroso di tutto ciò che possa
indebolirla, sia perché vuole che la sua opera sia letta in tutto il paese. Tuttavia, nelle novelle e nei
romanzi di ambientazione popolare egli si sforza di rendere il ritmo della sintassi siciliana e di usare
un lessico semplice e immediato.
Inoltre ricorre alle seguenti tecniche:
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Artificio della regressione. L’autore, persona colta, “regredisce nel punto di vista di una voce
popolare. Così, p. es., in Rosso Malpelo non è l’autore a sostenere che il protagonista è
cattivo “perché aveva i capelli rossi”: questa, infatti, non può essere l’opinione di Giovanni
Verga. Si apre in tal modo un divario tra il punto di vista esplicito del narratore (popolare) e
il punto di vista implicito dell’autore (Verga).
Artificio dello straniamento. Sul divario tra punto di vista dell’autore e del narratore si basa
lo straniamento, che mostra come strano un fenomeno normale. Così, p. es., in Rosso
Malpelo il punto di vista del narratore popolare interpreta come strano ogni gesto del
personaggio: sono strani i sentimenti, in un mondo in cui domina l’interesse economico e la
violenza del più forte sul più debole.
Discorso indiretto libero. Il discorso indiretto libero è un discorso indiretto introdotto senza
i verbi dichiarativi che lo reggono (del tipo "disse che", "pensò che", ecc.). Attraverso questa
tecnica il narratore, prova a calarsi, senza darne segni espliciti, all’interno della visione del
mondo del suo personaggio. Così, p. es., in Rosso Malpelo si dice: “Del resto, ella [la madre
di Malpelo] lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi
della settimana; e siccome era malpelo c'era anche a temere che ne sottraesse un paio di
quei soldi...”(qui il discorso indiretto libero esprime il pensiero della madre del protagonista,
senza che il narratore dica “pensava che”).
Il pessimismo
Con la conquista dell’impersonalità la formazione romantica di Verga entra definitivamente in crisi:
mentre Manzoni interviene di continuo nella vicenda perché crede di poter modificare la storia e
la società, l’autore dei Malavoglia ormai ha perso questa fiducia. Lo scrittore può solo registrare
la realtà così come essa è. Dietro l’impersonalità, c’è anche la coscienza di quanto sia cambiato il
ruolo dell’intellettuale dal Romanticismo, ormai ai margini della società.
Rosso Malpelo
L’esclusione del «diverso»
Malpelo è l’emblema dell’esclusione. A causa di un pregiudizio diffuso negli ambienti popolari, tutti
lo emarginano ritenendolo un cattivo soggetto per il colore dei capelli (“Malpelo si chiamava così
perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo”).
Perfino la madre e la sorella lo maltrattano. Soltanto il padre, morto nella miniera in cui lavora il
ragazzo, gli ha mostrato affetto (“Il padre che gli voleva bene, poveretto, andava dicendogli: «Tirati
indietro!» oppure «Sta’ attento! Sta’ attento se cascano dall’alto dei sassolini o della rena grossa.»;
... le mani del babbo che solevano accarezzargli i capelli”); anch’egli era, come il figlio, ultimo fra gli
ultimi: l’unico ad accettare, per una paga modesta, un lavoro rischioso che lo aveva portato alla
morte. Malpelo, espressione di una realtà sociale degradata in cui tutto viene subordinato
all’interesse economico, anche i sentimenti e i rapporti familiari, da vittima diventa oppressore:
maltratta l’asino e Ranocchio, cui pure è amico. Crede di poter vivere senza affetto e si sente
superiore agli altri: cattiveria è sinonimo di forza, bontà di debolezza. La leggenda popolare
trasformerà Malpelo, scomparso nei cunicoli della miniera, in una creatura che vaga nel buio della
cava.
Malpelo e il pessimismo dell’autore
Malpelo è l’interprete della concezione esistenziale e politica dell’autore: si rassegna alle leggi della
società, secondo le quali gli umili sono schiacciati e sfruttati da coloro che si trovano più in alto nella
scala sociale. Posto sull’ultimo gradino, Malpelo è destinato al lavoro nella cava (“Ma quello era
stato il mestiere di suo padre, e in quel mestiere era nato lui”) e non prova a modificare la sua
condizione (vorrebbe fare il manovale o il contadino), ma si vendica sui deboli. Cresciuto tra i
maltrattamenti, esprime i propri sentimenti, anche quelli di affetto, con la violenza. Quando picchia
Ranocchio vuole dargli una lezione di vita («Se non ti senti l’animo di difenderti da me che non ti
voglio male, vuol dire che ti lascerai pestare il viso da questo e da quello!»), perché la società esclude
ed elimina chi non si adegua alle sue leggi di sopraffazione (“L’asino va picchiato perché non può
picchiar lui…”).
Lo stile
Il linguaggio fa tutt’uno con la vicenda e con l’ambiente popolare da cui provengono i personaggi.
Verga riprende le forme del parlato siciliano, i modi di dire e le idee delle plebi siciliane. Senza
sovrapporre le proprie opinioni a quelle dei personaggi. Per esempio, le prime righe ci presentano
Malpelo come farebbe uno dei minatori: ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e
cattivo; non è certo l’autore a credere che chi ha i capelli rossi sia malvagio, ma così pensano i
lavoratori della miniera. In questo modo, l’autore rimane estraneo al racconto, «scompare»
dall’opera letteraria. Certo, i popolani di fine Ottocento parlavano in dialetto e non in italiano, per
cui non si può prescindere dalla mediazione linguistica dell’autore, ma Verga non avrebbe potuto
ricorrere al dialetto siciliano, poiché in tal caso sarebbe stato compreso soltanto in una limitata area
geografica.