ARGOMENTO: II lavoro e lo sfruttamento degli umili nelle novelle e

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ARGOMENTO: II lavoro e lo sfruttamento degli umili nelle novelle e
ARGOMENTO: II lavoro e lo sfruttamento degli umili nelle novelle e nei romanzi di Verga.
L'indomani, prima di giorno, quand'ella si affacciò all'uscio per partire, trovò Janu, col suo fagotto infilato al
bastone.
- O dove vai? - gli domandò
- Vengo anch'io a Bongiardo, a cercar lavoro I passerotti, che si erano svegliati alle voci mattutine, cominciarono a pigolare dietro il nido. Janu infilò al
suo bastone anche il fagotto di Nedda, e s'avviarono alacremente, mentre il cielo si tingeva all'orizzonte delle
prime fiamme del giorno, e il venticello diveniva frizzante.
A Bongiardo c'era proprio del lavoro per chi ne voleva. Il prezzo del vino era salito, e un ricco proprietario
faceva dissodare un gran tratto di chiuse da mettere a vigneti. Le chiuse rendevano 1200 lire all'anno in
lupini ed olio; messe a vigneto avrebbero dato, fra cinque anni, 12 o 13 mila lire, impiegandovene solo 10 o
12 mila; il taglio degli ulivi avrebbe coperto metà della spesa. Era un'eccellente speculazione, come si vede,
e il proprietario pagava, di buon grado, una gran giornata ai contadini che lavoravano al dissodamento, 30
soldi agli uomini, e 20 alle donne, senza minestra; è vero che il lavoro era un po' faticoso, e che ci si
rimettevano anche quei pochi cenci che formavano il vestito dei giorni di lavoro; ma Nedda non era abituata
a guadagnar 20 soldi tutti i giorni.
Il soprastante s'accorse che Janu, riempiendo i corbelli di sassi, lasciava sempre il più leggiero per Nedda, e
minacciò di cacciarlo via. Il povero diavolo, tanto per non perdere il pane, dovette accontentarsi di
discendere dai 30 ai 20 soldi.
da G. Verga, Nedda
Però infine tornò alla cava dopo qualche giorno, quando sua madre piagnucolando ve lo condusse per mano;
giacché, alle volte, il pane che si mangia non si può andare a cercarlo di qua e di là. Lui non volle pi?
allontanarsi da quella galleria, e sterrava con accanimento, quasi ogni corbello di rena lo levasse di sul petto
a suo padre. Spesso, mentre scavava, si fermava bruscamente, colla zappa in aria, il viso torvo e gli occhi
stralunati, e sembrava che stesse ad ascoltare qualche cosa che il suo diavolo gli sussurrasse nelle orecchie,
dall'altra parte della montagna di rena caduta. In quei giorni era più tristo e cattivo del solito, talmente che
non mangiava quasi, e il pane lo buttava al cane, quasi non fosse grazia di Dio. Il cane gli voleva bene,
perché i cani non guardano altro che la mano che gli dà il pane, e le botte, magari. Ma l'asino, povera bestia,
sbilenco e macilento, sopportava tutto lo sfogo della cattiveria di Malpelo; ei lo picchiava senza pietà, col
manico della zappa, e borbottava:
- Così creperai più presto! Dopo la morte del babbo pareva che gli fosse entrato il diavolo in corpo, e lavorava al pari di quei bufali
feroci che si tengono coll'anello di ferro al naso. Sapendo che era malpelo, ei si acconciava ad esserlo il
peggio che fosse possibile, e se accadeva una disgrazia, o che un operaio smarriva i ferri, o che un asino si
rompeva una gamba, o che crollava un tratto di galleria, si sapeva sempre che era stato lui; e infatti ei si
pigliava le busse senza protestare, proprio come se le pigliano gli asini che curvano la schiena, ma seguitano
a fare a modo loro. Cogli altri ragazzi poi era addirittura crudele, e sembrava che si volesse vendicare sui
deboli di tutto il male che s'immaginava gli avessero fatto gli altri, a lui e al suo babbo. Certo ei provava uno
strano diletto a rammentare ad uno ad uno tutti i maltrattamenti ed i soprusi che avevano fatto subire a suo
padre, e del modo in cui l'avevano lasciato crepare. E quando era solo borbottava: - Anche con me fanno
così! e a mio padre gli dicevano Bestia, perché egli non faceva così! - E una volta che passava il padrone,
accompagnandolo con un'occhiata torva: - E' stato lui! per trentacinque tarì! - E un'altra volta, dietro allo
Sciancato: - E anche lui! e si metteva a ridere! Io l'ho udito, quella sera! –
da G. Verga, Rosso Malpelo, in Vita del campi
Il fattore se ne andò insieme ad Alfio, cogli altri puledri che non si voltavano nemmeno a vedere dove
rimanesse lo stellato1, e andavano strappando l'erba dal ciglione. E lo stellato rimase solo nel burrone,
aspettando che venissero a scuoiarlo, cogli occhi ancora spalancati, e le quattro zampe distese, beato lui, che
non penava più infine. Jeli, ora che aveva visto con qual ceffo il fattore aveva preso di mira il puledro e
tirato il colpo, mentre la povera bestia volgeva la testa penosamente, quasi avesse il giudizio, smise di
piangere, e se ne stette a guardare lo stellato, duro duro, seduto sul sasso, fin quando arrivarono gli uomini
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Nome del cavallo precipitato nel burrone e finito dal padrone con un colpo di fucile
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che dovevano prendersi la pelle. Adesso poteva andarsene a spasso, a godersi la festa, o starsene in piazza
tutto il giorno, a vedere i galantuomini nel casino, come meglio gli piaceva, ché non aveva più né pane, né
tetto, e bisognava cercarsi un padrone, se pure qualcuno lo voleva, dopo la disgrazia dello stellato. Le cose
del mondo vanno così: mentre Jeli andava cercando un padrone, colla sacca ad armacollo e il bastone in
mano, la banda suonava in piazza allegramente, coi pennacchi sul cappello, in mezzo a una folla di berrette
bianche fitte come le mosche, e i galantuomini stavano a godersela seduti nel casino.
da G. Verga, Jeli il Pastore, in Vita del campi
Infatti, colla testa come un brillante, aveva accumulato tutta quella roba, dove prima veniva da mattina a sera
a zappare, a potare, a mietere; col sole, coll'acqua, col vento; senza scarpe ai piedi, e senza uno straccio di
cappotto; che tutti si rammentavano di avergli dato dei calci nel di dietro, quelli che ora gli davano
dell'eccellenza, e gli parlavano col berretto in mano. Né per questo egli era montato in superbia, adesso che
tutte le eccellenze del paese erano suoi debitori; e diceva che eccellenza vuol dire povero diavolo e cattivo
pagatore; ma egli portava ancora il berretto, soltanto lo portava di seta nera, era la sua sola grandezza, e da
ultimo era anche arrivato a mettere il cappello di feltro, perché costava meno del berretto di seta. Della roba
ne possedeva fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista lunga - dappertutto, a destra e a sinistra, davanti
e di dietro, nel monte e nella pianura. Pi? di cinquemila bocche, senza contare gli uccelli del cielo e gli
animali della terra, che mangiavano sulla sua terra, e senza contare la sua bocca la quale mangiava meno di
tutte, e si contentava di due soldi di pane e un pezzo di formaggio, ingozzato in fretta e in furia, all'impiedi,
in un cantuccio del magazzino grande come una chiesa, in mezzo alla polvere del grano, che non ci si
vedeva, mentre i contadini scaricavano i sacchi, o a ridosso di un pagliaio, quando il vento spazzava la
campagna gelata, al tempo del seminare, o colla testa dentro un corbello, nelle calde giornate della messe.
Egli non beveva vino, non fumava, non usava tabacco, e sì che del tabacco ne producevano i suoi orti lungo
il fiume, colle foglie larghe ed alte come un fanciullo, di quelle che si vendevano a 95 lire. Non aveva il vizio
del giuoco, né quello delle donne. Di donne non aveva mai avuto sulle spalle che sua madre, la quale gli era
costata anche 12 tarì, quando aveva dovuto farla portare al camposanto.
da G. Verga, La roba, in Novelle Rusticane
- Ad ogni uccello, suo nido è bello -. Vedi quelle passere? le vedi? Hanno fatto il nido sempre colà, e
torneranno a farcelo, e non vogliono andarsene.
- Io non sono una passera. Io non sono una bestia come loro! rispondeva 'Ntoni. Io non voglio vivere come
un cane alla catena, come l'asino di compare Alfio, o come un mulo da bindolo, sempre a girar la ruota; io
non voglio morir di fame in un cantuccio, o finire in bocca ai pescicani.
- Ringrazia Dio piuttosto, che t'ha fatto nascer qui; e guardati dall'andare a morire lontano dai sassi che ti
conoscono. «Chi cambia la vecchia per la nuova, peggio trova». Tu hai paura del lavoro, hai paura della
povertà; ed io che non ho più né le tue braccia né la tua salute non ho paura, vedi! «Il buon pilota si prova
alle burrasche». Tu hai paura di dover guadagnare il pane che mangi; ecco cos'hai! Quando la buon'anima di
tuo nonno mi lasciò la Provvidenza e cinque bocche da sfamare, io era più giovane di te, e non aveva paura;
ed ho fatto il mio dovere senza brontolare; e lo faccio ancora; e prego Iddio di aiutarmi a farlo sempre sinché
ci avrò gli occhi aperti, come l'ha fatto tuo padre, e tuo fratello Luca, benedetto! che non ha avuto paura di
andare a fare il suo dovere.
da G. Verga, I Malavoglia, cap. XI
Badava a ogni cosa, girando di qua e di lá, rovistando nei mucchi di tegole e di mattoni, saggiando i
materiali, alzando il capo ad osservare il lavoro fatto, colla mano sugli occhi, nel gran sole che s'era messo
allora. - Santo! Santo! portami qua la mula... Fagli almeno questo lavoro, a tuo fratello! - Agostino voleva
trattenerlo a mangiare un boccone, poiché era quasi mezzogiorno, un sole che scottava, da prendere un
malanno chi andava per la campagna a quell'ora. - No, no, devo passare dal Camemi... ci vogliono due ore...
Ho tant'altro da fare! Se il sole è caldo tanto meglio! Arriverò asciutto al Camemi... Spicciamoci, ragazzi!
Badate che vi sto sempre addosso come la presenza di Dio! Mi vedrete comparire quando meno ve lo
aspettate! Sono del mestiere anch'io, e conosco poi se si è lavorato o no!...
da G. Verga, Mastro don Gesualdo, parte I, cap. 4
Verga mirava a contribuire alla rigenerazione morale e civile del pubblico borghese, proponendogli a
modello umano i contadini, i pescatori siciliani in quanto fedeli strenuamente a un valore primario, senza il
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quale ogni collettività è condannata alla decadenza: la fede nel lavoro. La vera scoperta del Verga non è tanto
quella del popolo, quanto piuttosto delle condizioni esistenziali dei lavoratori subalterni. La dignità dei
personaggi narrativi è tutta affidata al loro impegno nel contrastare il destino con una laboriosità senza
stanchezza, pur nell'ambito dei duri rapporti economici che li condizionano. Il lavoro assume dunque un
significato di valore primario nella vita di tutti. Le conseguenze the il romanziere trae da questo
riconoscimento si svolgono pure su una linea non di adesione attiva alla spinta verso il futuro incarnata dalle
masse lavoratrici, ma di uno scetticismo universale sempre più desolato. E’ vero infatti che attraverso la sua
laboriosità l’uomo edifica il progresso: ma gli sforzi del singolo individuo intanto saranno fruttuosi per lui in
quanto risponderanno a un criterio di utilità personale, che lo porti a emergere sui suoi simili. II cammino
della civiltà si realizza quindi attraverso lo sfruttamento dei deboli da parte dei più forti e la subordinazione
degli affetti disinteressati ai calcoli della ragione utilitaria. L’homo oeconomicus accresce via via il suo
potere a scapito dell'autentico patrimonio umano che ognuno reca in sé. E nella misura in cui il desiderio di
possesso, di dominio, di "roba" porta a rinnegare (oggi diremmo alienare) la propria potenzialità
sentimentale, il lavoro stesso diviene una passione cieca, senza scopo.
da V. Spinazzola, Giovanni Verga in Letteratura e popolo borghese, Unicopli, Milano, 2000
Jean-François Millet, Le spigolatrici, 1848
Gustave Courbet, Gli spaccapietre, 1849
SVILUPPARE IL SEGUENTE SAGGIO BREVE SEGUENDO LE INDICAZIONI OPERATIVE:
Dopo aver lotto attentamente i documenti proposti, analizzare in che modo emerge, in ciascuno di essi, il tema del
lavoro e dello sfruttamento e confrontare i testi in modo da rilevare analogie e/o differenze.
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La novella Nedda, che segna una svolta nella produzione letteraria di Verga, propone con particolare evidenza
il tema dello sfruttamento degli umili. Affrontare il problema della lotta per it pane nelle opere verghiane,
partendo dalla peculiare vicenda di Janu e Nedda.
Prendendo spunto dal passo della novella Jeli ii pastore, descrivere it cambiamento di vita del protagonista da
guardiano di cavalli a pastore dipendente da un padrone, doe dalla liberta at lavoro servile.
Analizzare i rapporti di forza e le leggi che dominano it mondo del lavoro in miniera all'interno della novella
Rosso Malpelo.
Chiarire in che cosa consista l'ossessione di Mazzarò (nella novella La roba) e spiegare perche it lavoro, lungi
dal nobilitarlo, renda questo personaggio gretto e meschino.
Illustrare l'etica del lavoro di Padron 'Ntoni e confrontare Ia filosofia di vita di tale personaggio con le idee di
suo nipote 'Ntoni che si rifiuta di vivere come l'asino di compare Alfio
Analizzare l'attaccamento al lavoro di Mastro don Gesualdo, spiegando quale cambiamento di status sociale ne
derivi.
Quale è il duplice significato che, secondo il critico Vittorio Spinazzola, Verga attribuisce at lavoro?
Richiamare alla memoria le proprie conoscenze di studio cosi da leggere i documenti proposti alla luce del contesto
storico-culturale at quale appartengono.
• A quale corrente letteraria appartengono le opere prose in esame?
• Perché il tema della lotta per la vita può essere considerato centrale nella produzione verghiana?
• Si possono ricordare altre opere di Verga in cui it tema del lavoro emerge in modo particolarmente
significativo?
• Confrontare I'immagine degli sfruttati presente nelle opere verghiane con quelle dei pittori realisti Millet e
Courbet.
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