Oggettività e ferinità nella produzione letteraria di

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Oggettività e ferinità nella produzione letteraria di
Oggettività e ferinità nella produzione letteraria di
Giovanni Verga
GIOVANNI VERGA
Nato a Catania nel 1840, Giovanni Verga fu uno dei massimi esponenti del verismo. La sua
formazione romantica avvenne a Catania, dove passò dagli studi giuridici a quelli letterali. Si
trasferì a Firenze nel 1865, dove compose i suoi primi romanzi “Una peccatrice” e “Storia di una
Capinera”. Si trasferì successivamente a Milano dove venne a contatto con l’ambiente degli
Scapigliati, movimento nato nel capoluogo lombardo. Durante i suoi anni a Milano rappresentò in
modo fortemente critico il mondo aristocratico-Borghese (soprattutto in Eva, 1873, Tigre Reale,
1873, ed Eros, 1975). La sua svolta decisiva verso il Verismo si avrà dopo la sua “scoperta” del
naturalismo francese. Il suo periodo verista verrà segnato da racconti e romanzi di ambiente
siciliano (Vita di Campi, I Malavoglia, Novelle Rusticane e Mastro Don Gesualdo). Verga credeva
molto nel progresso, ma allo stesso tempo rappresenta i deboli e i vinti con una visione della vita
molto pessimistica, in completa contraddizione rispetto all’ottimismo dei suoi tempi. Nei suoi
racconti ci parla di un mondo di primitivi in lotta con il estino avverso contro il quale cadono
quando si allontanano da religione, famiglia e lavoro. E’ ricordato anche per l’uso innovativo del
linguaggio dialettale nelle sue produzioni.
A differenza di molti altri autori, Verga non espose mai le proprie idee sulla letteratura, ma preferì
immergersi nel suo lavoro. Si basò, da buon verista, sul canone dell’impersonalità, che egli intese
come “evidente e schietta manifestazione dell’osservazione”. Verga indagò nei sentimenti umani
rappresentando i fatti descritti in modo schietto. Per conciliarsi al meglio con l’impersonalità Verga
usò una tecnica di narrazione nella quale l’autore era completamente distaccato dai fatti ed essi
erano narrati senza un’opinione particolare. Inoltre dovette rinunciare al suo linguaggio per venire
più a contatto con i personaggi usando il dialetto e citando spesso dialetti appartenenti alla terra di
origine dei protagonisti.
La visione che Verga ebbe della vita fu molto pessimistica e tragica, infatti sosteneva che ognuno di
noi fosse destinati ad una vita che ci condannerà non solo al dolore e all’infelicità, ma ad uno stato
di immobilismo che ci accompagna tutta la vita. Infatti secondo il poeta anche cercando di uscire
dalla condizione tragica in cui ci pone il destino, non solo non ci si riesce, ma si va incontro a
sofferenze maggiori come succede a ‘Ntoni Malavoglia e Mastro Don Gesualdo. Questa visione
della vita sembra rispolverare la credenza nel fato, ma senza la possibilità di combatterlo, infatti
secondo Verga l’unica possibilità è la rassegnazione eroica al nostro destino.
Tra le varie novelle e opere scritte da verga, abbiamo questa raccolta scritta dal verga maturo che ci parla
della sua terra.
Vita dei Campi (1880): è una raccolta di novelle, in cui, con stile asciutto e colorito, Verga ritrae la vita rude
della sua gente di Sicilia.
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Nei nove racconti, tra cui La lupa, Cavalleria rusticana, Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso Malpelo,
L’amante di Gramigna, il principio dell’impersonalità trova la sua prima espressione compiuta attraverso la
rappresentazione obiettiva, anche se umanamente partecipe, dei meccanismi che regolano la vita, delle
lotte feroci che essa impone.. Tuttavia emerge ancora dalla raccolta la sacralità di certi principi elementari
del mondo contadino della sua terra che Verga vede inviolati: principi che si manifestano in modo ancora
mitico, attraverso una sorta di arcaica liturgia. La Lupa, nella novella omonima, sa che il genero, col quale
ha stretto un legame incestuoso, la ucciderà, ma quando vede lontano la falce dell’uomo brillare al sole, va
consapevole incontro alla morte, che accetta come necessaria conseguenza della sua aberrante passione.
Anche in Cavalleria rusticana la legge dell’onore si mescola a quella del sangue, secondo un rituale
antichissimo, residuo di una civiltà primitiva, agli albori della storia. Talvolta la lotta per l’esistenza si
configura come conflitto tra l’individuo, originalmente buono, e la società corrotta e corruttrice, perché
intessuta di un gioco di egoismi che tendono a soverchiarsi. Rosso Malpelo riesce in apparenza ad adeguarsi
alle leggi della giungla (e si chiede perché la madre di Ranocchio morendo si disperi "come se il figlio fosse
di quelli che guadagnano dieci lire la settimana"), ma alla fine si rassegna alla sconfitta, e sparisce nella cava
durante un’esplorazione.
Verga nelle sue opere rappresenta la realtà sociale della Sicilia del suo tempo con occhio obbiettivo, quasi
scientifico, secondo i principi del Verismo.
Protagonisti delle suo opere sono gli umili, gli oppressi, i < vinti > che inutilmente lottano contro un destino
che li sovrasta. Il mondo verghiano è quindi animato dal più cupo pessimismo: la vita è una lotta nella quale
si è destinati inevitabilmente alla sconfitta, nonostante l’ impegno e la forza di volontà che vi si mette.
Ogni ideale è pura illusione: l’ amore, la felicità, la conquista della ricchezza. Questa visione amara della
vita conferisce alle sue opere un tono desolato, a volte drammatico.
Ma la vera grande importanza dell’ opera verghiana consiste nel linguaggio e nello stile. Verga racconta le
vicende di questa povera umanità in modo obbiettivo < impersonale >, senza lasciarsi coinvolgere con
interventi e commenti personali. Lascia per cosi dire che i fatti si raccontino da sé, visti e filtrati dal punto di
vista dei personaggi. E per rendere realisticamente credibili i suoi personaggi adotta una lingua che, pur
non essendo dialetto, mantiene nei termini, nelle frasi, nella struttura sintattica,una forte impronta
dialettale che la rende spontanea e viva.
Tra i più celebri componimenti di Verga ricordiamo in special modo Rosso malpelo, la lupa e libertà, poiché
questi due rappresentano maggiormente il pessimismo verista tipico del poeta siciliano, il quale si attiene
alla descrizione attendibile della società di una Sicilia corrotta da fame, soldi e passione, portata all’eccesso
dalla mano esperta di uno scrittore che parla della sua stessa terra.
ROSSO MALPELO:
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Riassunto :
Rosso Malpelo è un ragazzo avvilito dalla miseria e maltrattato da tutti, persino dalla madre e dalla sorella,
a cui consegna ogni sabato, quando ritorna a casa il suo salario. Egli conserva un ricordo grandissimo del
padre, Mastro Misciu, che mori sotto il crollo di un pilastro nella cava di sabbia dove lavora. Quando ne
trovano il cadavere con i calzoni di fustagno quasi nuovi, e le scarpe ancora troppo grandi per il figlio, a
Rosso Malpelo i calzoni, adottati alla su statura dalla madre, sembrano “ dolci e lisci come le mani del
babbo che solleva accarezzandogli i capelli “. L e scarpe le teneva appesa al chiodo; la domenica le
prendeva in mano le lustrava e se le provava. Il ricordo del padre ucciso da un destino crudele inspira a
Rosso Malpelo un odio verso il mondo degli uomini e degli animali, e si vendica maltrattando a sua volta i
deboli, come il fanciullo Ranocchio, che lavora nella miniera, e muore per malattie e le fatiche, e l’ asino
grigio che egli tempesta di botte. Alla fine muore sperduto in una galleria della miniera dove era stato
mandato giù per una esplorazione pericolosa. La novella è celebre per il modo con cui il Verga rappresenta
il mondo, dei primitivi. Diversamente dai naturalisti francesi che nel primitivo vedono un tipo anormale, un
caso patologico da analizzare con distacco scientifico, il Verga ci scorge l’ uomo nella sua natura genuina e
nei suoi sentimenti elementari che non sono meno intensi e profondi di quelli delle persone più evolute.
Commento:
Malpelo può sembrare un malvagio, seppure di una malvagità innocente e selvatica. In realtà la sua
malvagità è il modo istintivo con cui egli si difende dagli uomini ed esprime la sua protesta di accattone, di
sottoproletario condannato ai ferri, trattato a colpi di badile e di cinghia dal soprastante e persino dai
compagni di lavoro. In questa creatura del limbo, costretta a vivere sotterra, ignara di ogni cosa che non
siano la fatica e le battiture, è sorta per istinto una filosofia degna di una logica implacabile. La malizia è
l'unico mezzo che gli è concesso per sfogare il suo oscuro istinto di rivolte, di ribellione inconsapevole. Il
linguaggio, che pare derivato tutto dall'ambiente, non rivela mai l'intervento del letterato; come se il paese
stesso, o meglio un diarista del popolo, raccontasse la vicende del protagonista.
Interessante anche la tecnica del racconto, che non procede ordinato, conforme ad uno schema logico di
vicende, ma per aggiunzioni, riprese, ritorni su motivi tralasciati; quasi si trattasse di una rievocazione
corale ad opera di un gruppo di cavatori, dinnanzi a una fiammata di sterpi.
LIBERTÁ:
Riassunto:
La novella entra subito nel vivo, senza preamboli, con un fazzoletto rosso sventolato dal campanile
del paese, le campane che suonano senza sosta e la gente che grida Viva la libertà!. Scuri che
scintillano al sole, nell’attesa di abbattersi contro questo e quel signore. La folla non ha freni: ormai
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è accecata dal sangue che pare la ubriachi come il vino, e la morte sembra arrivare per ognuno
dei cappelli. Ognuno ha la sua buona ragione per essere ucciso: i signori tengono i contadini a pochi
soldi ed essi muoiono di fame; il prete, che al popolo succhia l’anima ma poi ha l’amante, dunque
predica la salvezza dell’anima ma intanto condanna la sua; i poliziotti applicano le leggi solo sui più
deboli; il guardaboschi non concede ai contadini neppure la legna per scaldarsi d’inverno; il notaio
è un succhiasangue, e deve morire; e suo figlio, travolto dalla folla, prega per non fare la stessa fine
del padre, ma ormai morente, un contadino gli dà il colpo di grazia – Sarebbe stato notaio anche lui!
Succhiasangue lui pure! -; e ancora il figlio d’una signora, lo speziale, il padrone di una vigna…
sedici persone in tutto, così dice la storia, quella vera, a cui è ispirata la novella. Con l’arrivo della
domenica gli animi sembrano placarsi: tuttavia c’è da spartire la terra rimasta senza padroni, e visto
che il notaio è ormai morto i contadini sembrano quasi volersi uccidere tra loro, altro che libertà!
Nel mentre però arriva il generale, Nino Bixio: le donne lo accolgono in festa, ma non sanno che la
giustizia sarà sommaria. Egli infatti fa fucilare alcuni rivoltosi (a caso) al suo arrivo, mentre fa
portare altri in città (a Catania) per essere giudicati in tribunale, con le donne piangenti al seguito.
Così al paese arrivano altri signori e i contadini tornano nella miseria. La rivoluzione di Garibaldi
aveva dato ai miseri contadini la speranza di un miglioramento, eppure alla fine tutto torna come
prima.
…E avevano detto che c’era la libertà!… (Citazioni da: Giovanni Verga, Libertà)
Commento:
In questo racconto Verga vuole sottolineare due temi principali: l'amaro destino di chi dalla storia
resta sempre escluso, nonostante vani tentativi di partecipazione attiva, e l'insuperabile
contraddizione che ogni azione umana, pur compiuta nel segno del progresso e magari della
giustizia, porta con sé. Infatti la novella si conclude con un ritorno alla situazione di sempre, come
se la rivolta non fosse mai accaduta: i galantuomini, unici possessori della roba, dettano legge e i
contadini, nullatenenti, devono obbedire.
LA LUPA:
Riassunto:
Nel villaggio dove viveva la chiamavano la Lupa perché ella non era mai sazia delle relazioni che
aveva con gli uomini e le altre donne avevano paura di lei perché ella attirava con la sua bellezza i
loro mariti e i loro figli anche se solo li guardava. Di ciò soffriva la figlia, Maricchia, che sapeva
che non avrebbe trovato un marito.
Una volta la Lupa si era innamorata di un giovane, Nanni, che mieteva il grano con lei, e lo
guardava avidamente e lo seguiva; una sera gli dichiarò il suo amore e lui rispose che voleva in
sposa Maricchia, ella se ne andò via per ripresentarsi ad ottobre per la spremitura delle olive e gli
offrì in sposa Maricchia e Nanni accettò, ma sua figlia non ne voleva sapere ma la costrinse con le
minacce.
Maricchia aveva già dato dei figli a Nanni, e la Lupa aveva deciso di non farsi più vedere, anche
perché lavorava molto durante la giornata. Un pomeriggio caldo svegliò Nanni che dormiva in un
fosso e gli offrì del vino, ma egli la pregò di andarsene via, ma lei tornò altre volte incurante dei
divieti di Nanni.
Maricchia era disperata e accusava al madre di volerle rubare il marito e andò anche dal brigadiere e
Nanni lo supplicò di metterlo in prigione pur non rivedere la Lupa, ma ella non lo lasciava in pace.
Una volta Nanni prese un calcio al petto da un asino e stava sul punto di morire, il prete si rifiutò di
confessarlo se la Lupa fosse stata là, ella se ne andò ma, visto che Nanni sopravvisse ella continuò a
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tormentarlo e lui alla fine la minacciò di ucciderla. La Lupa gli si presentò ancora davanti e Nanni
la uccise, senza che lei opponesse resistenza.
Commento:
Il finale della novella non è molto chiaro, probabilmente l'autore lascia alla nostra immaginazione il
compito di terminare la vicenda. Il tema principale di questa novella è l'amore, quello costituito
però sola dalla passione, diabolico che si può anche trasformare in tragedia. L'autore utilizza
l'intreccio, sono presenti delle elissi, in particolare viene taciuto il matrimonio, la nascita e la
crescita dei figli di Maricchia e la morte della Lupa. Il narratore è interno alla vicenda, Verga infatti
narra dal punto di vista del popolo. L'ambientazione, inoltre, serve a sottolineare il tema: il caldo,
l'arido e l'afoso delle campagne stanno a descrivere attraverso delle metafore l'amore inteso dalla
Lupa. "non era mai senza di nulla", "sola come una cagnaccia randagia e sospettosa","non veniva
mai in chiesa","occhi da satanasso", "si spolpava i figliuoli e i mariti", mentre l'aspetto fisico viene
descritto con la descrizione diretta, la sua personalità viene capita solo analizzando queste citazioni.
SIMILITUDINI CON GLI ANIMALI:
LA LUPA
La semplicità delle opere di Giovanni Verga nasconde la loro complessità e le loro varie
ramificazioni, una delle più rilevanti è sicuramente quella delle solitudini con gli animali. Verga in
una delle sue novelle più famose, quale la Lupa, riesce a rappresentare un personaggio
caratterizzato da sfumature particolari del proprio carattere che fanno creder alla gente, poiché
l'autore tende a mettere in rilievo nei suoi scritti anche il pensiero delle persone che possono
osservare i comportamento tipici dei suoi personaggi, di non aver a che fare con una persona bensì
con un animale, definito a volte anche come un demonio. L'unica colpa di Gna Pina così chiamata
da un ragazzo di nome Nanni e di essere innamorata proprio di lui, discutendo un giorno con Nanni,
lei gli confessa il suo amore e lui le dice che è innamorato di sua figlia Mara, giudicata una povera
ragazza costretta a vivere male a causa dei pensieri non benevoli della massa, riguardanti sua
madre. La Lupa, ovvero GNa Pina prendendo le parole di Nanni per vere lo fa sposare con Mara,
solamente per averlo più vicino, talmente vicino che riuscirà dopo anni di tentativi guidati dalla
passione ad imprigionarlo, per così dire nella sua morsa. Mara denuncerà la madre, che
riavvicinandosi per l'ultima volta a Nanni Morirà uccisa dal suo amato. In questa novella Di appena
quattro facciate sorge subito dalle descrizioni iniziali Che la gente, Le persone del paese, Vedono
nella signora Pina una sorta di animale, Una lupa appunto, perché non è mai sazia di nulla, Riesce
ad ottenere sempre ciò che vuole, Riesce a conquistare Gli uomini del paese, e a "spolpare"Citando
le parole del testo, Questi ultimi. Leggendo il piccolo testo Sorgono anche altre impressioni E
impronte che il pensiero generale attribuisce l'unica persona, una di queste senza dubbio l'idea Che
la signora Pina sia Paragonata, o quasi associata al demonio stesso, Questo perché ad esempio
quando passa per strada le signore anziane si fanno il segno della croce.
TENTAZIONE
L'Opera successiva nella quale Verga presenta delle similitudini È tentazione. Tentazione
all'esempio e la rappresentazione massima lo spirito animalesco contenuto all'interno dell'uomo,
Della perdita totale del controllo Del proprio corpo e soprattutto della propria, che arriva ad essere
annebbiata da un desiderio Sfrenato che fa appunto cedere alla tentazione. Protagonisti della
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vicenda sono, inizialmente, tre giovani uomini Ambrogio, Carlo ed il Pigna, che dopo una festa per
tornare a casa Si ritrovano pagare per strade che a detta di Carlo erano scorciatoie per arrivare prima
tramvai. Improvvisamente si ritrovano sulla strada Una giovane ragazza, Con la quale inizialmente
scherzano, Ma vista poi la bellezza di essa Non riescono a resistere alla tentazione, Infatti cercano
di non farla urlare, perché il Pigna le aveva chiesto in bacio e si era ritrovato farsi scalciare, Ed
essendo tutte tre a contatto Con quelle carni giovani e belle si ritrovarono stuprare la ragazza,
guidati ed accecati dalla tentazione. I tre dopo l'accaduto si fanno promettere dalla vittima Di non
fare parola di quello che era successo ma quando la ragazza comincia ad urlare i criminali la
prendono Chiudendola in una presa talmente forte che costa la vita alla povera giovane donna.
Passati alcuni giorni tutti e tre vengono arrestati e vedendo la polizia, il Pigna Dice tutto confessa le
sue colpe. L'ultima Scena che si manifesta È la presenza di Ambrogio Carlo e il pigna nella stessa
cella che oltre ad accusarsi a vicenda si domandano come è stato possibile passare da uno scherzo
innocente ad un crimine così brutale. Verga, In questa sua opera poco conosciuta ma molto
significativa e scioccante, Vuole coinvolgere i lettori nel racconto stesso adottando un linguaggio
molto scorrevole e diretto, Crudo anche in alcuni passaggi, Non esitando a presentare i fatti Con una
violenza e velocità Tali Da lasciare frastornati e persi colori Che si sono cimentati nella lettura del
testo. Partendo dal fatto che l'autore ha voluto, scelto di far emergere Anche un'introspezione
dell'anima dei tre uomini si avverte proprio il Senso animalesco e di bramosia Irrefrenabile che ha
spinto, o meglio che ha trasportato alla tentazione i tre protagonisti Che ne ha fatto sorgere un lato
Il quale non dovrebbe trasparire mai, Concludendosi poi con una tragedia, Nella quale sono
coinvolti gli uomini impietriti e disgustati Dal gesto che hanno compiuto.
ROSSO MALPELO
L’opera, il testo più famoso e quello che ha reso Verga il massimo esponente del verismo è
sicuramente rosso malpelo. Storia pubblicata per la prima volta nel 1878, parla di un giovane
ragazzo, Rosso Malpelo, appunto, che passa le sue giornate in una cava di rena rossa in Sicilia.
Malpelo è visto dagli altri come un cattivo ragazzo, sempre scorbutico e corrucciato, e attribuiscono
a queste caratteristiche il colore dei suoi capelli, rossi, che secondo le dicerie locali erano segno del
male. L’unico che prova affetto per Malpelo è suo padre Mastro Misciu, soprannominato nella cava
Bestia, che cerca sempre di proteggerlo. Un giorno però Mastro Misciu, accetta un lavoro, rifiutato
da tutti a causa dei suoi enormi rischi,e sfortunatamente muore. Malpelo decide di rimanere nella
cava a lavorare, per aiutare sua madre e sua sorella, le quali trattano il ragazzo rozzamente, quasi
come se non lo volessero avere come parente. Grazie al suo carattere molto forte, riesce a farsi
rispettare, tuttavia non ha alcun tipo di legame con gli altri, finché nella cava non arriva un ragazzo
soprannominato ranocchio per il suo modo di camminare. Subito Malpelo tiene d’occhio Ranocchio
e diventa per lui come un maestro di vita, talvolta lo aiuta dandogli una parte del suo pranzo, e altre
volte spiegandogli che piangersi non serve a nulla e che bisogna reagire alle difficoltà della vita.
Ranocchio successivamente morirà di Tisi e Malpelo ritrovatosi nuovamente solo deciderà di
intraprendere come il padre, un lavoro che determinerà la fine del racconto, egli dovrà esplorare una
galleria, nella quale però, presi cibo ed acqua, si instaurerà permanentemente, incutendo così nei
colleghi un senso di paura e terrore nel vederselo spuntare davanti in qualsiasi momento. Come si è
detto in precedenza, nella novella “la Lupa”, le caratteristiche principali della protagonista vengono
presentate attraverso il giudizio che la gente ha della persona presa in questione, questo avviene
anche in Rosso Malpelo, considerato da tutti, i suoi colleghi, sua madre e sua sorella, una persona
poco affidabile, che si pone sempre male con le persone vicine a lui. La caratterizzazione, tuttavia,
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di Malpelo avviene anche e soprattutto con l’utilizzo di paragoni, che le persone vicino a lui fanno,
con animali, allo stato brado, senza regole, per esempio come Rosso mangia, simile a quelle delle
bestie definite come sue pari. Quando il padre, detto Bestia, l’asino della cava, muore, Rosso
Malpelo comincia a scavare con le unghie il terreno, come fosse il demonio, nella speranza di
rivedere anche per solo un’ultima volta il suo amato padre, l’unica persona che lo amava e lo
accettava per come era veramente, senza i pregiudizi sui suoi capelli rossi, rossi come il diavolo.
Emergono anche altre comparazioni, come il rannicchiarsi come un cane malato, avere la “pellaccia
dura come quella di un gatto”, e nonostante questo Rosso si sente umano, si sente amato quando
strofina e si prova gli stivali del padre, sempre troppo grandi, appesi al chiodo, che rappresentano
per lui l’amore. Un amore che possiamo comparare all’amore che una mamma ha per il proprio
cucciolo, qualsiasi sia l’animale a cui vogliamo fare riferimento.
Acconcia Marica
Classe 3 A Indirizzo linguistico
Romagnoli Francesco
Classe 3 A Indirizzo linguistico
Tarquini Damiano
Classe 3 A Indirizzo linguistico
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