AFFRONTARE IL BULLISMO Atteggiamento
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AFFRONTARE IL BULLISMO Atteggiamento
La Cultura della Pentecoste - 4 settembre 2016 - Caravaggio (BG) RnS Lombardia AFFRONTARE IL BULLISMO Atteggiamento cristiano del docente di fronte a prepotenze, insolenze e soprusi in classe. Partiamo dalla Parola di Dio: Isaia 42, 1-7 Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta. Proclamerà il diritto con fermezza; non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra; e per la sua dottrina saranno in attesa le isole. Così dice il Signore Dio che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce, da' il respiro alla gente che la abita e l'alito a quanti camminano su di essa: "Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre. Una Parola che ci dice come il Signore ha stima e fiducia di ognuno di noi, che ci ricorda che siamo stati creati ad immagine e somiglianza di Dio, e che solo da questo deriva la nostra identità e la nostra dignità. Una Parola che descrive un’autorità esercitata, come dovrebbe essere (da augere, che in latino significa far crescere), non con prevaricazione né con strumenti “forti”, ma con attenzione al piccolo, al debole, con misericordia. Un’autorità che è presente, che non rinuncia a far rispettare i diritti, ma che non dimentica che i “cattivi” (dal latino captivus = prigioniero) sono anche essi da liberare da una cecità e da una reclusione che li “incastra” nel loro sterile ruolo. Dobbiamo ricordare che siamo stati chiamati “per la giustizia”, ma che questa deve essere intesa non secondo gli uomini, ma secondo Dio. Per questo abbiamo sempre bisogno di lasciarci guidare dallo Spirito Santo, “poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio” ( Rm. 8, 27b). Ma cos’è il bullismo? Il termine bullismo deriva dalla parola inglese “bullying” (dal verbo to bull) che significa “usare prepotenza, maltrattare, intimorire”, pertanto il bullismo è quella forma di oppressione fisica o psicologica messa in atto da una o più persone ( i bulli appunto) nei confronti di un altro individuo percepito come più debole (la vittima). Le prepotenze, vere e proprie “azioni vessatorie”, tra ragazzi/adolescenti, vanno dalle offese alla derisione, dalle minacce alle aggressioni con spintoni, calci e pugni fino al danneggiamento e alla sottrazione di cose di proprietà. Il fenomeno del bullismo è in evoluzione, così come il modo di comunicare; le nuove tecnologie a disposizione, Internet o telefono cellulare, sono inevitabilmente ulteriori potenziali mezzi attraverso cui compiere e subire prepotenze o soprusi. Il cyber bullismo è un fenomeno che consiste nell'invio di messaggi offensivi, insulti o di foto umilianti tramite sms, e-mail, diffuse in chat o sui social network, per molestare una persona per un periodo più o meno lungo. La dimensione temporale ha un ruolo meno rilevante. Infatti, anche una sola offesa divulgata a molte persone attraverso Internet o telefoni cellulari può arrecare danno alla vittima, potendo raggiungere una molteplicità di persone contemporaneamente ed essere rimbalzata dall’uno all’altro ipoteticamente all’infinito, ampliando notevolmente la gravità e la natura dell’attacco. Tuttavia, come ho detto, prima di parlare di bullismo, dobbiamo distinguere se le forme di atteggiamento aggressivo sono atti di prepotenza generici o sono veri e propri atti di violenza tipici del bullismo. Come fare? Il bullismo ha delle caratteristiche ben precise Se le forme di comportamento aggressivo sono intenzionali (cioè il comportamento viene messo in atto volontariamente e consapevolmente), sono sistematici (cioè il comportamento aggressivo viene messo in atto più volte e si ripete nel tempo) nei confronti di chi non è in grado di difendersi, infine sono asimmetrici nel potere (cioè tra il bullo e la vittima c’è una differenza di potere dovuta alla forza fisica, all’età o alla numerosità o quando le aggressioni sono di gruppo) allora possiamo parlare di bullismo. Esistono purtroppo diverse forme di bullismo: c’è il bullo i cui comportamenti utilizzati con la forza fisica (botte, spintoni, schiaffi, pugni) danneggiano l’altro direttamente ; c’è il bullo che utilizza la parola per arrecare danno alla vittima (offese, prese in giro insistenti); e c’è poi il bullo che indirettamente danneggia la vittima perché, attraverso la diffusione di dicerie e pettegolezzi, porta la vittima all’isolamento sociale. Infine, in questa epoca tecnologica in cui la tecnologia più che usata viene abusata, c’è il cyberbullismo, ossia bullismo online che indica un tipo di attacco continuo, ripetuto e sistematico attuato mediante la rete, sms o con messaggistica istantanea e, poiché ormai tutti sono detentori di profili su social, il cyberbullismo risulta molto diffuso e difficile da rintracciare. Disgraziatamente è proprio all’interno della scuola, luogo preposto alla formazione, alla trasmissione culturale e all’apprendimento cognitivo, luogo di aggregazione sociale dove i ragazzi sperimentano le prime relazioni sociali fuori dal contesto familiare, che il fenomeno del bullismo risulta molto diffuso. E non solo nelle scuole medie inferiori e superiori, ma addirittura nelle scuole elementari. Sono molti i bambini, infatti, che affermano di essere vittime di bulli e di subire prepotenze durante la loro permanenza a scuola e, purtroppo, il fenomeno è in aumento. La presenza di testimoni che assistono a episodi di prepotenza è un elemento essenziale per comprendere meglio non solo la dimensione del fenomeno ma anche i contesti in cui le condotte aggressive si manifestano. Per la maggioranza dei ragazzi la migliore strategia è rivolgersi ai genitori Un aspetto molto importante per comprendere quali strategie i ragazzi ritengono migliori per difendersi da eventuali attacchi, riguarda l’analisi delle reazioni delle vittime di prepotenze. Si pensa che a scatenarlo siano soprattutto aspetti caratteriali della vittima, ma vengono citati anche l'aspetto fisico, la corporatura, la situazione economica. Di fronte a una situazione di bullismo, la maggioranza, soprattutto le ragazze, ritiene che confidandosi con le persone “più vicine” sia possibile definire meglio la reazione e/o il comportamento da tenere. Infatti, una strategia positiva è rivolgersi ai genitori per chiedere aiuto, oppure rivolgersi agli insegnanti. Elevate anche le quote di chi ritiene utile confidarsi con amici o con fratelli e sorelle. Un numero relativamente importante di ragazzi suggerisce il ricorso all’indifferenza come strumento di difesa: il 43,7% ritiene sia meglio cercare di evitare la situazione, il 29% che occorra lasciar perdere facendo finta di nulla e il 25,3% di provare a riderci sopra. E’ invece relativamente contenuto il numero di quanti pensano che bisogna cavarsela da soli (16,8%). Non mancano, anche se in numero decisamente più contenuto, quanti pensano che sarebbe opportuno reagire con una ritorsione verso il/i prepotente/i (7,1% personalmente, 5% chiedendo aiuto ad amici e 1,3% chiedendo aiuto a fratelli o sorelle). Soprattutto i maschi ritengono che infliggere una “lezione” sia una strategia di contrasto utile (9,2% personalmente, 7% con l’aiuto di amici, 2% con l’aiuto di fratelli o sorelle). Le manifestazioni di bullismo, ossia di prepotenza e prevaricazione reiterata da parte di un soggetto più forte ai danni di qualcuno più debole, tra i ragazzi delle medie e dei licei, ma persino tra bimbi delle elementari esprimono un disagio profondo che la società non è ancora riuscita a colmare. Una piaga sempre esistita, certo, ma che è in costante crescita nel mondo e perdura all’ombra di una mancata coesione sociale. Insomma, di una forma di odiosa omertà. Il bullismo non racchiude solo episodi isolati come atteggiamenti provocatori o derisioni, ma anche vere e proprie vessazioni: dai maltrattamenti fino ad aggressioni, intenzionali e continuate, che coinvolgono soprattutto la fascia d’età tra i 7 e i 18 anni. Un atteggiamento che manifesta difficoltà di relazioni sia da parte dei cosiddetti "bulli", che vogliono legittimare la loro presunta superiorità attraverso scontri fisici o verbali su ragazzi più deboli, sia da parte delle "vittime" che per paura spesso sono costrette a subire le persecuzioni, emarginandosi dal gruppo sempre di più. Il bullismo ha cominciato ad essere analizzato e interpretato come una vera forma di “devianza” solo in tempi abbastanza recenti,. Un tempo si tendeva ad inquadrare il problema come inevitabili conflitti infantili o adolescenziali, una sorta di rito di passaggio correlato alla particolare fase di crescita. Sebbene più evidenti, gli episodi di bullismo fisico costituiscono per fortuna un’esigua percentuale dei casi di soprusi; più comunemente il bullismo si manifesta nella sua variabile verbale che consiste in minacce, provocazioni, offese e prese in giro ripetute, ma anche in altre forme come l’esclusione, l’isolamento intenzionale dal gruppo e la diffusione di informazioni riservate o calunniose sul conto della vittima. Negli ultimi anni, l’accresciuto utilizzo di internet ha inoltre agevolato un nuovo fenomeno: il cyberbullismo . In questo caso le nuove tecnologie di comunicazione vengono usate come forme di violenza psicologica (diffusione online di informazioni, foto e video diffamatori o compromettenti per la vittima) e sono avvantaggiate dalla garanzia dell’anonimato insieme alla forza mediatica che tale pratica assume, esponendo questa nuova forma di sopraffazione e prevaricazione a rischi imprevedibili e incontrollabili(il 54% dei genitori teme che i figli vengano coinvolti in casi di cyberbullismo). I genitori non vengono quasi mai a conoscenza direttamente dal proprio figlio dei maltrattamenti subiti. Ciò per diversi motivi, che variano da carenze affettive come, all’opposto, da un desiderio di distacco dai genitori che magari al contrario vorrebbero instaurare un dialogo. Così, gli adulti ed in particolare gli insegnanti fanno fatica a capire quando ci sono questi problemi. Le conseguenze che il bullismo può avere sulle vittime e sui bulli sono preoccupanti e richiedono un intervento immediato e mirato: anche se non esiste una correlazione stretta tra episodi di bullismo e determinate psicopatologie, possono insorgere nei ragazzi dei problemi con delle ripercussioni negli anni successivi; infatti tra i bulli è maggiore il rischio di comportamenti antisociali e devianti in età adolescenziale e adulta, mentre tra le vittime possono emergere disturbi sia fisici che psicologici, indici di una sofferenza destrutturante e di una autostima minata nelle sue radici profonde (svalutazione della propria identità, depressione, abbandono scolastico, insicurezza, ansia, ritiro, solitudine, comportamenti autodistruttivi e auto lesivi, persino il suicidio). Non bisogna dimenticare che anche i bulli hanno un cuore e spesso il loro comportamento aggressivo è frutto di un disagio. La scuola riveste da sempre un ruolo essenziale nella crescita dei bambini e dei ragazzi per la sua funzione di educazione e socializzazione. Un contrasto efficace deve agire sul gruppo, non focalizzarsi sul bullo e sulla vittima. Nel "far funzionare" il bullismo infatti è essenziale il ruolo degli osservatori:ragazzi che fanno da spettatori/gregari dell'atto di prevaricazione. Bisogna agire presto, tra i bambini piccoli, prima che il problema si cristallizzi nei cicli scolastici successivi. Capita infatti di rado che gli spettatori agiscano a difesa della vittima, più spesso manifestano nei confronti del bullo un'indulgenza che sconfina nella giustificazione morale Ma noi insegnanti cosa possiamo fare? Spesso proprio noi abbiamo difficoltà a riconoscere gli atti di bullismo che accadono nelle nostre classi, ma non perché ce ne freghiamo oppure il problema non ci interessa, ma perché il fenomeno avviene “tacitamente” e in maniera talmente subdola che risulta difficile per noi accorgerci di quanto stia accadendo e allora, purtroppo, siamo costretti a sentire sovente la frase: ”Non mi ero accorto di quello che stava succedendo! Era tutto “normale!”. La cosa che, tuttavia, lascia sgomenti è che sia bulli che spettatori sottovalutino le azioni spregevoli che sono capaci di compiere. Capita spesso che dopo azioni reiterate di bullismo, si cerchi di “giustificarsi dell’accaduto” dicendo che era uno scherzo, che non si credeva di fare del male o addirittura che era solo “per passare un po’ il tempo”.Era uno scherzo? Ma diciamo sul serio? È uno scherzo portare all’esasperazione una ragazza e costringerla al suicidio solo perché “voi” volevate “passare un po’ di tempo?”. È uno scherzo piacevole deridere, picchiare e sentirsi forti con una persona più debole? In effetti sentirsi “forti e potenti” quando si ha di fronte una persona che non può difendersi è facile. Sentirsi forti e potenti quando si è in gruppo contro una sola persona è facile, ma purtroppo non è in questo modo che si mostra la propria “virilità”, la propria forza o la propria “figaggine” (lasciatemi passare il termine), non è questo il modo giusto di impiegare il proprio tempo libero e, se non conoscete altri modi più costruttivi di impiegare il tempo libero, siete messi male. No, mi spiace, avete scelto il modo sbagliato e soprattutto sappiate che non è un gioco, né una ragazzata priva di conseguenze. E voi genitori non giustificate i vostri figli dicendo che si è trattato solo di “bambinate” prive di importanza, non minimizzate e non rendetevi complici di questo abuso, non è così che educate i vostri figli ad essere uomini e donne di una società migliore. Il bullismo non ha nulla a che vedere con la goliardia o l’ironia: è un fenomeno violento e criminale. Il problema è proprio questo: sottovalutare questo fenomeno, sottovalutare questi atteggiamenti, scambiare un atto vergognoso con un gioco o un passatempo. Ecco perché è importante intervenire precocemente quando sentiamo i primi campanelli d’allarme per trovare le strategie d’intervento adeguati a sostenere, aiutare e guidare i ragazzi coinvolti, nessuno escluso, sia esso bullo che vittima. Ecco perché è necessario aumentare la sensibilizzazione sociale rispetto ad un fenomeno (problema) cosi delicato, fornendo maggiori strumenti agli insegnanti per valutare, prevenire e dove è necessario intervenire su comportamenti aggressivi sempre più frequenti tra i bambini e tra i ragazzi, coinvolgendo i genitori come parte attiva di un progetto educativo più ampio. Occuparsi di bullismo è una priorità per potere realizzare l’obiettivo di stare bene a scuola e, laddove non venga registrato il bullismo, può essere un’occasione per potere insegnare l’arte di stare bene con gli altri e sviluppare competenze relazionali per potere instaurare rapporti basati sul rispetto di sé e degli altri. E come dice Massimo Bisotti: “Io a scuola insegnerei educazione alla gentilezza, un’ora a settimana. Perché magari la maturità scolastica ci insegna a fare benissimo le equazioni, a scrivere un tema a meraviglia, a tradurre a menadito greco e latino, a parlare le lingue. Poi manca la maturità emotiva per affrontare al meglio lo stress. Lo stress di chi non si è insegnato il rispetto, l’attesa, l’educazione, la giusta misura nel dire le cose, la differenza fra il lasciar correre e l’aggredire, fra l’avere carattere e la prevaricazione, fra il diritto di critica e il non diritto di offesa. Una persona gentile sa essere sgradevole, se vuole. Sceglie di non esserlo, semplicemente. Poi ci sono le materie che impariamo sul campo, geometria delle anime, geografia degli sguardi e se siamo fortunati diventiamo il libro di storia di qualcuno. Vi auguro di andare controcorrente, non sempre, solo quando serve a restare voi stessi e assolutamente mai controcuore.” “Il bullismo è una forma di prepotenza ricorrente e continuativa: la vittima prova sentimenti dolorosi e angoscianti perché perseguitata da parte di uno o più compagni Oltre a vivere un drammatico senso di impotenza, poiché non sa come potersi difendere, il ragazzo subisce emarginazione da parte del gruppo dei coetanei”. Emerge come la forma più comune di bullismo che gli studenti denunciano è l’uso di espressioni offensive e di prese in giro, il 58,3 per cento, che avvengono soprattutto in rete. Non è però da sottovalutare la percentuale di violenza fisica che raggiunge il 23,6 per cento. Nel 48 per cento dei casi le vittime appaiono irrimediabilmente sole e dichiarano di non avere un buon rapporto con i compagni di classe e dunque di non trovare facilmente aiuto da parte loro. Quasi il 50 per cento degli adolescenti testimoni di questi episodi, a scuola come online, dichiara di non essere intervenuto a favore della vittima, per paura delle conseguenze o per impotenza sul come poter essere d’aiuto”. Data questa tendenza al silenzio da parte dei ragazzi che sono vittime di bullismo, è importante che i genitori prestino attenzione ad alcuni campanelli di allarme. Se, per esempio, il ragazzo ha spesso vestiti stracciati o sgualciti, se ha lividi, ferite, tagli e graffi per i quali non riesce a fornire una spiegazione, se non invita a casa i compagni di classe o i coetanei e raramente trascorre del tempo con loro, se ha paura di andare a scuola, se la mattina ha spesso mal di stomaco o mal di testa e ha frequenti sbalzi di umore, irritazione o scatti di ira. La strategia migliore per combattere il bullismo, nelle scuole e online, è la prevenzione, alla base della quale c’è la promozione di un clima emotivo, sociale e culturale in grado di scoraggiare sul nascere i comportamenti di prevaricazione, prepotenza e denuncia. Contro il bullismo si dovrebbero attivare sia la scuola che la famiglia: è importante che genitori e insegnanti comunichino tra loro, e si metta in atto un intervento condiviso e coerente. Se un genitore ha il sospetto che il proprio figlio sia vittima o autore di episodi di bullismo a scuola, la prima cosa da fare è parlare e confrontarsi con gli insegnanti. Viceversa, se è un insegnante ad accorgersi di atti di bullismo, dovrebbe individuare insieme ai genitori una strategia condivisa per porre fine alle prevaricazioni. Una volta che persecutori e vittime si sono insediati nel loro ruolo, non è facile uscirne. È molto frequente invece che continuino a recitare la stessa parte all’infinito, pena la perdita della propria identità. Bullo e vittima sono posti in una forte asimmetria di potere. La vittima apparentemente non fa nulla per provocare l’aggressore che invece la ricerca attivamente. Il comportamento si ripete nel tempo. Per le vittime il rischio è quello di manifestare il disagio innanzitutto attraverso sintomi fisici o psicologici, associati ad una riluttanza nel frequentare i luoghi in cui questi episodi si verificano. In caso di prevaricazioni protratte nel tempo, le vittime mostrano una svalutazione di sé e delle proprie capacità, insicurezza, difficoltà relazionali, fino a manifestare, in alcuni casi, veri e propri disturbi psicologici, tra cui quelli d’ansia o depressivi. I bulli possono presentare un calo nel rendimento scolastico, difficoltà relazionali, disturbi della condotta. L’incapacità di rispettare le regole può portare, nel lungo periodo, a veri e propri comportamenti antisociali e devianti o ad agire comportamenti aggressivi e violenti in famiglia e sul lavoro”. Sono convinta che occorre recuperare all’interno dell’organizzazione scolastica, il valore ed il senso dell’amore inteso come l’essere per gli altri, come servizio per la promozione umana. E’ vero che anche la stessa scuola può essere fonte di disagio quando soprattutto crea un ambiente speciale in cui fondamentale è il programma disciplinare, e chiede prestazioni non corrispondenti ai tempi e alle capacità di ognuno e crea essa stessa situazioni per “far fallire” . Il chiudersi della scuola all’interno dei propri programmi e all’ombra delle discipline e delle loro pretese e del medium del voto, della bocciatura come strumento di selezione e anche di punizione, è stato e sarà un errore se non vi porremo riparo. La scuola del resto non è una isola felice e non può essere un ambiente artificiale che tiene fuori la società e i suoi problemi. Tenere fuori i fattori che caratterizzano l’ambiente, che non sono degni di influenzare le abitudini mentali, è separare la scuola dalla vita sociale e dalle sue negatività, ma è creare qualcosa di artificiale che non contribuisce alla promozione culturale e umana della persona. Occorre invece tenere ben presenti le insufficienze della società, i suoi aspetti negativi e problematici, che vanno comunque considerati una risorsa educativa , nell’ambito delle più ampie finalità educative. Tale esigenza si pone appunto con forza soprattutto quando la scuola, e capita sempre più spesso come abbiamo affermato, deve affrontare il diffondersi del fenomeno del “bullismo”. E’ un fenomeno che si evidenzia in modo preoccupante durante la preadolescenza ma che ha segnali inequivocabili durante la prima infanzia e la fanciullezza. Dobbiamo sottolineare che quegli alunni che si rendono protagonisti di episodi di ”bullismo” più o meno gravi non sono dei mostri, ma sono persone che vivono situazioni problematiche e difficili e quindi non possono comunque essere abbandonati. E nello stesso tempo gli altri, la maggioranza positiva, vanno protetti, difesi, incoraggiati e sostenuti. Da questa presa d’atto nasce l’esigenza di un atteggiamento diverso da parte degli insegnanti, un atteggiamento fondato nella dedizione all’altro, nel mettersi in gioco ogni giorno con un linguaggio mansueto che incoraggia, sostiene, consola, riprende senza lasciarsi scoraggiare dagli atteggiamenti negativi. La scuola comunque da sola non può farcela. Occorre cercare il sostegno in primo luogo della famiglia, la principale responsabile dell’educazione dei propri figli. Non va sottaciuto che in alcuni casi, i più difficili, quando la famiglia è assente o esplica un’azione negativa, essenziale può diventare il ruolo della procura e del tribunale per i minorenni, istituzioni che vanno intese nel loro carattere di servizio e di prevenzione, e non solo nel loro compito di repressione dei reati. Compito invece di ogni insegnante è saper creare situazioni di confronto e di dialogo all’interno della classe facendosi carico di ogni situazione problematica. Occorre cioè saper creare una comunità educante sul modello di quanto accadeva in passato, per cui tutti i membri di una collettività si sentivano impegnati nella formazione dei giovani,facendosi esempi significativi, esortando, ammonendo, consolando, sostenendo i giovani in difficoltà. La migliore prevenzione è l’educazione. Disponibilità umana all’ascolto e al dialogo, esempi di stili di vita positivi, testimonianza privata e pubblica di valori, condivisione empatica di esperienze, problemi e scelte, significatività del proprio ruolo di adulti e di insegnanti, conoscenze e competenze professionali diventano le occasioni che consentono alla scuola di leggere i bisogni e i disagi dei preadolescenti e di intervenire prima che si trasformino in malesseri conclamati, disadattamenti, abbandoni. Il suo primo punto di forza in questa strategia è rappresentato dal coinvolgimento delle famiglie. All’interno delle scuole l’esperienza ci ha insegnato che l’uso di sanzioni immediate ai responsabili di atti di violenza e l’atteggiamento di non tolleranza nei confronti di alunni prepotenti e litigiosi sono utili strumenti per proteggere l’ambiente scolastico nell’immediata contingenza, ma non sono risolutivi del problema. Occorre infatti un intervento preventivo di più ampio respiro, come abbiamo già detto, fondato sulla persona, sui rapporti umani , sulla disponibilità ad essere per gli altri di chi opera all’interno della scuola. E’ ormai consolidato il concetto che occorra una visione integrale della persona / alunno; per noi cristiani immagine e somiglianza di Dio, essere unico e irripetibile, del quale, come fratelli, siamo anche custodi. L’apprendimento non è una solo una risposta ai bisogni che emergono durante la crescita, ma è una reale operazione culturale: il sapere, il saper fare e il saper essere sono una conquista spesso faticosa: è lavoro quotidiano , è impegno costante. Ed essendo lavoro, esso deve essere organizzato ed affrontato con responsabilità e nel rispetto delle regole. A nessuno è concesso di fare a meno delle regole . Al minimo questo comporterebbe l’insuccesso. L’esempio comunque resta il fattore determinante: come chiedere all’alunno di rispettare le regole che il lavoro culturale impone se l’ambiente circostante dimostra spesso di tener in scarso conto le stesse regole? Se un alunno che ha infranto la norma non viene chiamato alle proprie responsabilità ed è continuamente giustificato, il risultato non può essere che il suo permanere nell’errore e nel comportamento negativo. Tuttavia la condanna non è l’unico modo di opporsi all’errore. A questa degenerazione dell’aspirazione alla libertà va invece contrapposta una autorità che stimoli la persona a diventare soggetto della propria formazione, valorizzando ogni pur piccola positività, una autorità che riconosca le responsabilità di ciascuno, promuova il processo di acquisizione dei compiti, che non possono essere di altri, ma propri. E’ un lavoro difficile che presuppone un cambiamento di mentalità, una ridefinizione di ruoli, che non significa certamente il mettere in discussione l’autorità, ma significa prendere atto che essa non può essere prerogativa che divide, ma deve essere servizio per la comunità: autorità per, e non autorità contro. L’autorità attraverso l’educazione tende, infatti, a valorizzare la persona , suo scopo è stimolare a vivere responsabilmente. E comunque non si può educare alla responsabilità personale attraverso l’indiscussa esecuzione degli ordini e attraverso la sola repressione dell’errore. L’autorità deve farsi carico di eliminare ogni situazione di ingiustizia, ma non può costringere a non sbagliare. Sarebbe infatti un errore pretendere di controllare la libertà della personaalunno con il pretesto di costringerla a non sbagliare. Il provvedimento repressivo dell’autorità finisce spesso per ottenere l’effetto contrario alle motivazioni per cui è messo in atto. Per questo i conflitti non vanno né temuti né evitati, ma vanno affrontati con coraggio e determinazione, cercando in essi stessi ciò che può portare a risolverli. Certamente sarebbe estremamente facile limitarsi a correggere l’errore, piuttosto che cercare di far capire dove si sta sbagliando. Correggere semplicemente l’errore, l’esperienza ce lo ha insegnato, è improduttivo; occorre invece saper indicare ,attraverso il dialogo continuo,in modo convincente e credibile quale è la strada giusta e come percorrerla. L’autorità non è infatti imposizione , non è norma fine a sé stessa, ma è competenza, responsabilità che richiede a chi ne è investito (insegnante, dirigente …) di essere sempre al servizio della “comunità”, per evitare il prevalere in essa di comportamenti negativi che possono indebolirla e per favorire condizioni che possono invece promuoverla e farla crescere. Tale atteggiamento non si inventa, ma si costruisce giorno per giorno assumendo il rischio e la responsabilità conseguente, ma anche cercando la condivisione. In definitiva si tratta di costruire l’ autorità come un “valore” condiviso e non come “potere” da temere e al quale si è involontariamente soggetti.