AFFRONTARE IL BULLISMO Atteggiamento

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AFFRONTARE IL BULLISMO Atteggiamento
La Cultura della Pentecoste - 4 settembre 2016 - Caravaggio (BG)
RnS Lombardia
AFFRONTARE IL BULLISMO
Atteggiamento cristiano del docente di fronte a
prepotenze, insolenze e soprusi in classe.
Partiamo dalla Parola di Dio: Isaia 42, 1-7
Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.
Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,
non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta.
Proclamerà il diritto con fermezza;
non verrà meno e non si abbatterà,
finché non avrà stabilito il diritto sulla terra;
e per la sua dottrina saranno in attesa le isole.
Così dice il Signore Dio
che crea i cieli e li dispiega,
distende la terra con ciò che vi nasce,
da' il respiro alla gente che la abita
e l'alito a quanti camminano su di essa:
"Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia
e ti ho preso per mano;
ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo
e luce delle nazioni,
perché tu apra gli occhi ai ciechi
e faccia uscire dal carcere i prigionieri,
dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre.
Una Parola che ci dice come il Signore ha stima e fiducia di ognuno di noi, che ci ricorda che siamo
stati creati ad immagine e somiglianza di Dio, e che solo da questo deriva la nostra identità e la
nostra dignità. Una Parola che descrive un’autorità esercitata, come dovrebbe essere (da augere, che
in latino significa far crescere), non con prevaricazione né con strumenti “forti”, ma con attenzione
al piccolo, al debole, con misericordia. Un’autorità che è presente, che non rinuncia a far rispettare i
diritti, ma che non dimentica che i “cattivi” (dal latino captivus = prigioniero) sono anche essi da
liberare da una cecità e da una reclusione che li “incastra” nel loro sterile ruolo.
Dobbiamo ricordare che siamo stati chiamati “per la giustizia”, ma che questa deve essere intesa
non
secondo
gli
uomini,
ma
secondo
Dio.
Per questo abbiamo sempre bisogno di lasciarci guidare dallo Spirito Santo, “poiché egli intercede
per i credenti secondo i disegni di Dio” ( Rm. 8, 27b).
Ma cos’è il bullismo?
Il termine bullismo deriva dalla parola inglese “bullying” (dal verbo to bull) che
significa “usare prepotenza, maltrattare, intimorire”, pertanto il bullismo è quella
forma di oppressione fisica o psicologica messa in atto da una o più persone ( i bulli
appunto) nei confronti di un altro individuo percepito come più debole (la vittima).
Le prepotenze, vere e proprie “azioni vessatorie”, tra ragazzi/adolescenti, vanno
dalle offese alla derisione, dalle minacce alle aggressioni con spintoni, calci e
pugni fino al danneggiamento e alla sottrazione di cose di proprietà.
Il fenomeno del bullismo è in evoluzione, così come il modo di comunicare; le nuove
tecnologie a disposizione, Internet o telefono cellulare, sono inevitabilmente
ulteriori potenziali mezzi attraverso cui compiere e subire prepotenze o soprusi.
Il cyber bullismo è un fenomeno che consiste nell'invio di messaggi offensivi,
insulti o di foto umilianti tramite sms, e-mail, diffuse in chat o sui social
network, per molestare una persona per un periodo più o meno lungo.
La dimensione temporale ha un ruolo meno rilevante. Infatti, anche una sola offesa
divulgata a molte persone attraverso Internet o telefoni cellulari può arrecare danno
alla vittima, potendo raggiungere una molteplicità di persone contemporaneamente
ed essere rimbalzata dall’uno all’altro ipoteticamente all’infinito, ampliando
notevolmente
la
gravità
e
la
natura
dell’attacco.
Tuttavia, come ho detto, prima di parlare di bullismo, dobbiamo distinguere se le
forme di atteggiamento aggressivo sono atti di prepotenza generici o sono veri e
propri atti di violenza tipici del bullismo. Come fare?
Il bullismo ha delle caratteristiche ben precise
Se le forme di comportamento aggressivo sono intenzionali (cioè il comportamento
viene messo in atto volontariamente e consapevolmente), sono sistematici (cioè il
comportamento aggressivo viene messo in atto più volte e si ripete nel tempo) nei
confronti di chi non è in grado di difendersi, infine sono asimmetrici nel potere (cioè
tra il bullo e la vittima c’è una differenza di potere dovuta alla forza fisica, all’età o
alla numerosità o quando le aggressioni sono di gruppo) allora possiamo parlare di
bullismo.
Esistono purtroppo diverse forme di bullismo: c’è il bullo i cui
comportamenti utilizzati con la forza fisica (botte, spintoni, schiaffi, pugni)
danneggiano l’altro direttamente ; c’è il bullo che utilizza la parola per arrecare
danno alla vittima (offese, prese in giro insistenti); e c’è poi il bullo che
indirettamente danneggia la vittima perché, attraverso la diffusione di dicerie e
pettegolezzi, porta la vittima all’isolamento sociale. Infine, in questa epoca
tecnologica in cui la tecnologia più che usata viene abusata, c’è il cyberbullismo,
ossia bullismo online che indica un tipo di attacco continuo, ripetuto e sistematico
attuato mediante la rete, sms o con messaggistica istantanea e, poiché ormai tutti sono
detentori di profili su social, il cyberbullismo risulta molto diffuso e difficile da
rintracciare.
Disgraziatamente è proprio all’interno della scuola, luogo preposto alla formazione,
alla trasmissione culturale e all’apprendimento cognitivo, luogo di aggregazione
sociale dove i ragazzi sperimentano le prime relazioni sociali fuori dal contesto
familiare, che il fenomeno del bullismo risulta molto diffuso. E non solo nelle
scuole medie inferiori e superiori, ma addirittura nelle scuole elementari. Sono molti i
bambini, infatti, che affermano di essere vittime di bulli e di subire prepotenze
durante la loro permanenza a scuola e, purtroppo, il fenomeno è in aumento.
La presenza di testimoni che assistono a episodi di prepotenza è un elemento
essenziale per comprendere meglio non solo la dimensione del fenomeno ma
anche
i contesti in cui le
condotte
aggressive
si manifestano.
Per la maggioranza dei ragazzi la migliore strategia è rivolgersi ai genitori
Un aspetto molto importante per comprendere quali strategie i ragazzi ritengono
migliori per difendersi da eventuali attacchi, riguarda l’analisi delle reazioni delle
vittime
di
prepotenze.
Si pensa che a scatenarlo siano soprattutto aspetti caratteriali della vittima, ma
vengono citati anche l'aspetto fisico, la corporatura, la situazione economica.
Di fronte a una situazione di bullismo, la maggioranza, soprattutto le ragazze,
ritiene che confidandosi con le persone “più vicine” sia possibile definire meglio
la reazione e/o il comportamento da tenere. Infatti, una strategia positiva è
rivolgersi ai genitori per chiedere aiuto, oppure rivolgersi agli insegnanti.
Elevate anche le quote di chi ritiene utile confidarsi con amici o con fratelli e
sorelle.
Un numero relativamente importante di ragazzi suggerisce il ricorso all’indifferenza
come strumento di difesa: il 43,7% ritiene sia meglio cercare di evitare la situazione,
il 29% che occorra lasciar perdere facendo finta di nulla e il 25,3% di provare a
riderci
sopra.
E’ invece relativamente contenuto il numero di quanti pensano che bisogna cavarsela
da soli (16,8%). Non mancano, anche se in numero decisamente più contenuto, quanti
pensano che sarebbe opportuno reagire con una ritorsione verso il/i prepotente/i
(7,1% personalmente, 5% chiedendo aiuto ad amici e 1,3% chiedendo aiuto a fratelli
o sorelle). Soprattutto i maschi ritengono che infliggere una “lezione” sia una
strategia di contrasto utile (9,2% personalmente, 7% con l’aiuto di amici, 2% con
l’aiuto di fratelli o sorelle).
Le manifestazioni di bullismo, ossia di prepotenza e prevaricazione reiterata da
parte di un soggetto più forte ai danni di qualcuno più debole, tra i ragazzi delle
medie e dei licei, ma persino tra bimbi delle elementari esprimono un disagio
profondo che la società non è ancora riuscita a colmare. Una piaga sempre
esistita, certo, ma che è in costante crescita nel mondo e perdura all’ombra di una
mancata coesione sociale. Insomma, di una forma di odiosa omertà.
Il bullismo non racchiude solo episodi isolati come atteggiamenti provocatori
o derisioni, ma anche vere e proprie vessazioni: dai maltrattamenti fino ad
aggressioni, intenzionali e continuate, che coinvolgono soprattutto la fascia d’età tra i
7 e i 18 anni. Un atteggiamento che manifesta difficoltà di relazioni sia da parte dei
cosiddetti "bulli", che vogliono legittimare la loro presunta superiorità
attraverso scontri fisici o verbali su ragazzi più deboli, sia da parte delle
"vittime" che per paura spesso sono costrette a subire le persecuzioni,
emarginandosi
dal
gruppo
sempre
di
più.
Il bullismo ha cominciato ad essere analizzato e interpretato come una vera
forma di “devianza” solo in tempi abbastanza recenti,. Un tempo si tendeva ad
inquadrare il problema come inevitabili conflitti infantili o adolescenziali, una
sorta di rito di passaggio correlato alla particolare fase di crescita.
Sebbene più evidenti, gli episodi di bullismo fisico costituiscono per
fortuna un’esigua percentuale dei casi di soprusi; più comunemente il bullismo si
manifesta nella sua variabile verbale che consiste in minacce, provocazioni, offese e
prese in giro ripetute, ma anche in altre forme come l’esclusione, l’isolamento
intenzionale dal gruppo e la diffusione di informazioni riservate o calunniose sul
conto della vittima. Negli ultimi anni, l’accresciuto utilizzo di internet ha inoltre
agevolato
un
nuovo
fenomeno: il
cyberbullismo
.
In questo caso le nuove tecnologie di comunicazione vengono usate come forme
di violenza psicologica (diffusione online di informazioni, foto e video diffamatori o
compromettenti per la vittima) e sono avvantaggiate dalla garanzia
dell’anonimato insieme alla forza mediatica che tale pratica assume, esponendo
questa nuova forma di sopraffazione e prevaricazione a rischi imprevedibili e
incontrollabili(il 54% dei genitori teme che i figli vengano coinvolti in casi di
cyberbullismo).
I genitori non vengono quasi mai a conoscenza direttamente dal proprio figlio
dei maltrattamenti subiti. Ciò per diversi motivi, che variano da carenze
affettive come, all’opposto, da un desiderio di distacco dai genitori che magari
al contrario vorrebbero instaurare un dialogo. Così, gli adulti ed in particolare gli
insegnanti fanno fatica a capire quando ci sono questi problemi.
Le conseguenze che il bullismo può avere sulle vittime e sui bulli sono preoccupanti
e richiedono un intervento immediato e mirato: anche se non esiste una
correlazione stretta tra episodi di bullismo e determinate psicopatologie, possono
insorgere nei ragazzi dei problemi con delle ripercussioni negli anni successivi;
infatti tra i bulli è maggiore il rischio di comportamenti antisociali e devianti in età
adolescenziale e adulta, mentre tra le vittime possono emergere disturbi sia fisici che
psicologici, indici di una sofferenza destrutturante e di una autostima minata nelle sue
radici profonde (svalutazione della propria identità, depressione, abbandono
scolastico, insicurezza, ansia, ritiro, solitudine, comportamenti autodistruttivi e auto
lesivi,
persino
il
suicidio).
Non bisogna dimenticare che anche i bulli hanno un cuore e spesso il loro
comportamento aggressivo è frutto di un disagio. La scuola riveste da sempre un
ruolo essenziale nella crescita dei bambini e dei ragazzi per la sua funzione di
educazione e socializzazione.
Un contrasto efficace deve agire sul gruppo, non focalizzarsi sul bullo e sulla
vittima. Nel "far funzionare" il bullismo infatti è essenziale il ruolo degli
osservatori:ragazzi che fanno da spettatori/gregari dell'atto di prevaricazione.
Bisogna agire presto, tra i bambini piccoli, prima che il problema si cristallizzi nei
cicli scolastici successivi. Capita infatti di rado che gli spettatori agiscano a difesa
della vittima, più spesso manifestano nei confronti del bullo un'indulgenza che
sconfina nella giustificazione morale
Ma noi insegnanti cosa possiamo fare?
Spesso proprio noi abbiamo difficoltà a riconoscere gli atti di bullismo che accadono
nelle nostre classi, ma non perché ce ne freghiamo oppure il problema non ci
interessa, ma perché il fenomeno avviene “tacitamente” e in maniera talmente
subdola che risulta difficile per noi accorgerci di quanto stia accadendo e allora,
purtroppo, siamo costretti a sentire sovente la frase: ”Non mi ero accorto di quello
che stava succedendo! Era tutto “normale!”.
La cosa che, tuttavia, lascia sgomenti è che sia bulli che spettatori sottovalutino le
azioni spregevoli che sono capaci di compiere. Capita spesso che dopo azioni
reiterate di bullismo, si cerchi di “giustificarsi dell’accaduto” dicendo che era uno
scherzo, che non si credeva di fare del male o addirittura che era solo “per passare un
po’ il tempo”.Era uno scherzo? Ma diciamo sul serio? È uno scherzo portare
all’esasperazione una ragazza e costringerla al suicidio solo perché “voi”
volevate “passare un po’ di tempo?”. È uno scherzo piacevole deridere, picchiare e
sentirsi forti con una persona più debole? In effetti sentirsi “forti e potenti” quando si
ha di fronte una persona che non può difendersi è facile. Sentirsi forti e potenti
quando si è in gruppo contro una sola persona è facile, ma purtroppo non è in questo
modo che si mostra la propria “virilità”, la propria forza o la propria “figaggine”
(lasciatemi passare il termine), non è questo il modo giusto di impiegare il proprio
tempo libero e, se non conoscete altri modi più costruttivi di impiegare il tempo
libero, siete messi male. No, mi spiace, avete scelto il modo sbagliato e soprattutto
sappiate che non è un gioco, né una ragazzata priva di conseguenze. E voi genitori
non giustificate i vostri figli dicendo che si è trattato solo di “bambinate” prive di
importanza, non minimizzate e non rendetevi complici di questo abuso, non è così
che educate i vostri figli ad essere uomini e donne di una società migliore.
Il bullismo non ha nulla a che vedere con la goliardia o l’ironia: è un fenomeno
violento e criminale. Il problema è proprio questo: sottovalutare questo fenomeno,
sottovalutare questi atteggiamenti, scambiare un atto vergognoso con un gioco o un
passatempo. Ecco perché è importante intervenire precocemente quando sentiamo i
primi campanelli d’allarme per trovare le strategie d’intervento adeguati a sostenere,
aiutare e guidare i ragazzi coinvolti, nessuno escluso, sia esso bullo che vittima. Ecco
perché è necessario aumentare la sensibilizzazione sociale rispetto ad un fenomeno
(problema) cosi delicato, fornendo maggiori strumenti agli insegnanti per valutare,
prevenire e dove è necessario intervenire su comportamenti aggressivi sempre più
frequenti tra i bambini e tra i ragazzi, coinvolgendo i genitori come parte attiva di un
progetto educativo più ampio. Occuparsi di bullismo è una priorità per potere
realizzare l’obiettivo di stare bene a scuola e, laddove non venga registrato il
bullismo, può essere un’occasione per potere insegnare l’arte di stare bene con gli
altri e sviluppare competenze relazionali per potere instaurare rapporti basati sul
rispetto di sé e degli altri.
E come dice Massimo Bisotti: “Io a scuola insegnerei educazione alla gentilezza,
un’ora a settimana. Perché magari la maturità scolastica ci insegna a fare benissimo
le equazioni, a scrivere un tema a meraviglia, a tradurre a menadito greco e latino, a
parlare le lingue. Poi manca la maturità emotiva per affrontare al meglio lo stress.
Lo stress di chi non si è insegnato il rispetto, l’attesa, l’educazione, la giusta misura
nel dire le cose, la differenza fra il lasciar correre e l’aggredire, fra l’avere carattere
e la prevaricazione, fra il diritto di critica e il non diritto di offesa. Una persona
gentile sa essere sgradevole, se vuole. Sceglie di non esserlo, semplicemente. Poi ci
sono le materie che impariamo sul campo, geometria delle anime, geografia degli
sguardi e se siamo fortunati diventiamo il libro di storia di qualcuno. Vi auguro di
andare controcorrente, non sempre, solo quando serve a restare voi stessi e
assolutamente mai controcuore.”
“Il bullismo è una forma di prepotenza ricorrente e continuativa: la vittima prova
sentimenti dolorosi e angoscianti perché perseguitata da parte di uno o più compagni
Oltre a vivere un drammatico senso di impotenza, poiché non sa come potersi
difendere, il ragazzo subisce emarginazione da parte del gruppo dei coetanei”.
Emerge come la forma più comune di bullismo che gli studenti denunciano è l’uso di
espressioni offensive e di prese in giro, il 58,3 per cento, che avvengono soprattutto
in rete. Non è però da sottovalutare la percentuale di violenza fisica che raggiunge il
23,6 per cento. Nel 48 per cento dei casi le vittime appaiono irrimediabilmente sole e
dichiarano di non avere un buon rapporto con i compagni di classe e dunque di non
trovare facilmente aiuto da parte loro. Quasi il 50 per cento degli adolescenti
testimoni di questi episodi, a scuola come online, dichiara di non essere intervenuto a
favore della vittima, per paura delle conseguenze o per impotenza sul come poter
essere d’aiuto”. Data questa tendenza al silenzio da parte dei ragazzi che sono vittime
di bullismo, è importante che i genitori prestino attenzione ad alcuni campanelli di
allarme. Se, per esempio, il ragazzo ha spesso vestiti stracciati o sgualciti, se ha lividi,
ferite, tagli e graffi per i quali non riesce a fornire una spiegazione, se non invita a
casa i compagni di classe o i coetanei e raramente trascorre del tempo con loro, se ha
paura di andare a scuola, se la mattina ha spesso mal di stomaco o mal di testa e ha
frequenti sbalzi di umore, irritazione o scatti di ira.
La strategia migliore per combattere il bullismo, nelle scuole e online, è la
prevenzione, alla base della quale c’è la promozione di un clima emotivo, sociale e
culturale in grado di scoraggiare sul nascere i comportamenti di prevaricazione,
prepotenza
e
denuncia.
Contro il bullismo si dovrebbero attivare sia la scuola che la famiglia: è importante
che genitori e insegnanti comunichino tra loro, e si metta in atto un intervento
condiviso
e
coerente.
Se un genitore ha il sospetto che il proprio figlio sia vittima o autore di episodi di
bullismo a scuola, la prima cosa da fare è parlare e confrontarsi con gli insegnanti.
Viceversa, se è un insegnante ad accorgersi di atti di bullismo, dovrebbe individuare
insieme ai genitori una strategia condivisa per porre fine alle prevaricazioni.
Una volta che persecutori e vittime si sono insediati nel loro ruolo, non è facile
uscirne. È molto frequente invece che continuino a recitare la stessa parte all’infinito,
pena la perdita della propria identità. Bullo e vittima sono posti in una forte
asimmetria di potere. La vittima apparentemente non fa nulla per provocare
l’aggressore che invece la ricerca attivamente. Il comportamento si ripete nel tempo.
Per le vittime il rischio è quello di manifestare il disagio innanzitutto attraverso
sintomi fisici o psicologici, associati ad una riluttanza nel frequentare i luoghi in cui
questi episodi si verificano. In caso di prevaricazioni protratte nel tempo, le vittime
mostrano una svalutazione di sé e delle proprie capacità, insicurezza, difficoltà
relazionali, fino a manifestare, in alcuni casi, veri e propri disturbi psicologici, tra cui
quelli d’ansia o depressivi. I bulli possono presentare un calo nel rendimento
scolastico, difficoltà relazionali, disturbi della condotta. L’incapacità di rispettare le
regole può portare, nel lungo periodo, a veri e propri comportamenti antisociali e
devianti o ad agire comportamenti aggressivi e violenti in famiglia e sul lavoro”.
Sono convinta che occorre recuperare all’interno dell’organizzazione
scolastica, il valore ed il senso dell’amore inteso come l’essere per gli altri, come
servizio per la promozione umana. E’ vero che anche la stessa scuola può essere fonte
di disagio quando soprattutto crea un ambiente speciale in cui fondamentale è il
programma disciplinare, e chiede prestazioni non corrispondenti ai tempi e alle
capacità di ognuno e crea essa stessa situazioni per “far fallire” .
Il chiudersi della scuola all’interno dei propri programmi e all’ombra delle
discipline e delle loro pretese e del medium del voto, della bocciatura come
strumento di selezione e anche di punizione, è stato e sarà un errore se non vi
porremo riparo. La scuola del resto non è una isola felice e non può essere un
ambiente artificiale che tiene fuori la società e i suoi problemi. Tenere fuori i fattori
che caratterizzano l’ambiente, che non sono degni di influenzare le abitudini mentali,
è separare la scuola dalla vita sociale e dalle sue negatività, ma è creare qualcosa di
artificiale che non contribuisce alla promozione culturale e umana della persona.
Occorre invece tenere ben presenti le insufficienze della società, i suoi aspetti
negativi e problematici, che vanno comunque considerati una risorsa educativa ,
nell’ambito delle più ampie finalità educative. Tale esigenza si pone appunto con
forza soprattutto quando la scuola, e capita sempre più spesso come abbiamo
affermato, deve affrontare il diffondersi del fenomeno del “bullismo”. E’ un
fenomeno che si evidenzia in modo preoccupante durante la preadolescenza ma che
ha segnali inequivocabili durante la prima infanzia e la fanciullezza.
Dobbiamo sottolineare che quegli alunni che si rendono protagonisti di episodi di
”bullismo” più o meno gravi non sono dei mostri, ma sono persone che vivono
situazioni problematiche e difficili e quindi non possono comunque essere
abbandonati. E nello stesso tempo gli altri, la maggioranza positiva, vanno protetti,
difesi, incoraggiati e sostenuti. Da questa presa d’atto nasce l’esigenza di un
atteggiamento diverso da parte degli insegnanti, un atteggiamento fondato nella
dedizione all’altro, nel mettersi in gioco ogni giorno con un linguaggio mansueto che
incoraggia, sostiene, consola, riprende senza lasciarsi scoraggiare dagli atteggiamenti
negativi.
La scuola comunque da sola non può farcela. Occorre cercare il sostegno in primo
luogo della famiglia, la principale responsabile dell’educazione dei propri figli.
Non va sottaciuto che in alcuni casi, i più difficili, quando la famiglia è assente o
esplica un’azione negativa, essenziale può diventare il ruolo della procura e del
tribunale per i minorenni, istituzioni che vanno intese nel loro carattere di servizio e
di prevenzione, e non solo nel loro compito di repressione dei reati.
Compito invece di ogni insegnante è saper creare situazioni di confronto e di dialogo
all’interno della classe facendosi carico di ogni situazione problematica. Occorre cioè
saper creare una comunità educante sul modello di quanto accadeva in passato, per
cui tutti i membri di una collettività si sentivano impegnati nella formazione dei
giovani,facendosi esempi significativi, esortando, ammonendo, consolando,
sostenendo i giovani in difficoltà. La migliore prevenzione è l’educazione.
Disponibilità umana all’ascolto e al dialogo, esempi di stili di vita positivi,
testimonianza privata e pubblica di valori, condivisione empatica di esperienze,
problemi e scelte, significatività del proprio ruolo di adulti e di insegnanti,
conoscenze e competenze professionali diventano le occasioni che consentono alla
scuola di leggere i bisogni e i disagi dei preadolescenti e di intervenire prima che si
trasformino in malesseri conclamati, disadattamenti, abbandoni. Il suo primo punto di
forza in questa strategia è rappresentato dal coinvolgimento delle famiglie.
All’interno delle scuole l’esperienza ci ha insegnato che l’uso di sanzioni immediate
ai responsabili di atti di violenza e l’atteggiamento di non tolleranza nei confronti di
alunni prepotenti e litigiosi sono utili strumenti per proteggere l’ambiente scolastico
nell’immediata contingenza, ma non sono risolutivi del problema.
Occorre infatti un intervento preventivo di più ampio respiro, come abbiamo
già detto, fondato sulla persona, sui rapporti umani , sulla disponibilità ad essere per
gli altri di chi opera all’interno della scuola. E’ ormai consolidato il concetto che
occorra una visione integrale della persona / alunno; per noi cristiani immagine e
somiglianza di Dio, essere unico e irripetibile, del quale, come fratelli, siamo anche
custodi.
L’apprendimento non è una solo una risposta ai bisogni che emergono durante la
crescita, ma è una reale operazione culturale: il sapere, il saper fare e il saper essere
sono una conquista spesso faticosa: è lavoro quotidiano , è impegno costante. Ed
essendo lavoro, esso deve essere organizzato ed affrontato con responsabilità e nel
rispetto delle regole. A nessuno è concesso di fare a meno delle regole . Al minimo
questo comporterebbe l’insuccesso. L’esempio comunque resta il fattore
determinante: come chiedere all’alunno di rispettare le regole che il lavoro culturale
impone se l’ambiente circostante dimostra spesso di tener in scarso conto le stesse
regole? Se un alunno che ha infranto la norma non viene chiamato alle proprie
responsabilità ed è continuamente giustificato, il risultato non può essere che il suo
permanere nell’errore e nel comportamento negativo. Tuttavia la condanna non è
l’unico modo di opporsi all’errore. A questa degenerazione dell’aspirazione alla
libertà va invece contrapposta una autorità che stimoli la persona a diventare soggetto
della propria formazione, valorizzando ogni pur piccola positività, una autorità che
riconosca le responsabilità di ciascuno, promuova il processo di acquisizione dei
compiti, che non possono essere di altri, ma propri. E’ un lavoro difficile che
presuppone un cambiamento di mentalità, una ridefinizione di ruoli, che non significa
certamente il mettere in discussione l’autorità, ma significa prendere atto che essa
non può essere prerogativa che divide, ma deve essere servizio per la comunità:
autorità per, e non autorità contro. L’autorità attraverso l’educazione tende, infatti, a
valorizzare la persona , suo scopo è stimolare a vivere responsabilmente.
E comunque non si può educare alla responsabilità personale attraverso l’indiscussa
esecuzione degli ordini e attraverso la sola repressione dell’errore. L’autorità deve
farsi carico di eliminare ogni situazione di ingiustizia, ma non può costringere a non
sbagliare. Sarebbe infatti un errore pretendere di controllare la libertà della personaalunno con il pretesto di costringerla a non sbagliare. Il provvedimento repressivo
dell’autorità finisce spesso per ottenere l’effetto contrario alle motivazioni per cui è
messo in atto. Per questo i conflitti non vanno né temuti né evitati, ma vanno
affrontati con coraggio e determinazione, cercando in essi stessi ciò che può portare a
risolverli. Certamente sarebbe estremamente facile limitarsi a correggere l’errore,
piuttosto che cercare di far capire dove si sta sbagliando. Correggere semplicemente
l’errore, l’esperienza ce lo ha insegnato, è improduttivo; occorre invece saper indicare
,attraverso il dialogo continuo,in modo convincente e credibile quale è la strada
giusta e come percorrerla. L’autorità non è infatti imposizione , non è norma fine a sé
stessa, ma è competenza, responsabilità che richiede a chi ne è investito (insegnante,
dirigente …) di essere sempre al servizio della “comunità”, per evitare il prevalere in
essa di comportamenti negativi che possono indebolirla e per favorire condizioni che
possono invece promuoverla e farla crescere. Tale atteggiamento non si inventa, ma
si costruisce giorno per giorno assumendo il rischio e la responsabilità conseguente,
ma anche cercando la condivisione. In definitiva si tratta di costruire l’ autorità come
un “valore” condiviso e non come “potere” da temere e al quale si è
involontariamente soggetti.