qui - CoachMag

Transcript

qui - CoachMag
IL COACHING E LA FILOSOFIA ANTICA
di Luca Stanchieri*
Dal Medioevo, la filosofia è diventata un’attività meramente teorica e astratta. La spiritualità
cristiana aveva integrato al suo interno gli esercizi che invece erano parte integrante, strutturale,
costitutiva della filosofia antica. Da allora la filosofia è diventata un speculazione , riservata agli
specialisti e disgiunta dai moti dell’animo degli studenti e degli esseri umani. La filosofia si è
isolata dalla società, fino quasi a scomparire proprio quando ce n’era massimamente bisogno.
Ma nell’antichità, la filosofia rivestiva una funzione e avere caratteristiche del tutto differenti.
Hadot e Foucault, in particolare, eminenti studiosi della disciplina, ci spingono a riconsiderare la
nostra visione della filosofia antica come coach o semplici amanti della materia. Per molti di noi,
che hanno preso contatto con pensatori come Aristotele, Epicuro, Platone, Socrate, sin dagli anni
del liceo, la filosofia ellenistica ci è apparsa come una straordinaria prateria di idee da esplorare e
conoscere, da assaporare per riflettere. Insiemi teoretici spesso distanti dal mondo d’oggi eppure
affascinanti, saggi, profondi, ispiratori di percorsi di sviluppo personali o organizzativi. Spesso nei
miei lavori sul coaching, sono tornato al debito infinito che abbiamo con questi pensatori
straordinari. Penso per esempio alla concezione della felicità di Aristotele (l’eudaimonia), al fascino
inquietante del dialogo socratico (la maieutica), all’ottimismo brillante di Epicuro (la ricerca
dell’autorealizzazione), alla concezione dell’essere umano come parte di una totalità trascendente
umana e cosmica, spirituale e fisica al tempo stesso. Nel fondare e condurre la Scuola Italiana di
Life e Corporate Coaching, ho cercato, spesso invano, di imparare dalla straordinaria esperienza
delle accademie elleniche, dove saggezza e amicizia, sapere e amore, individualità e universalità
passeggiavano insieme nei giardini e dialogavano sotto gli ulivi. La visione che ci offre Hadot, uno
dei più esimi e riconosciuti storici della filosofia antica, ci offre la possibilità di comprendere quanto
il coaching, come allenamento delle potenzialità umane finalizzato a realizzare concretamente se
stessi, non sia affatto una moda passeggera, come molte provenienti dall’America e destinata a
dissolversi in breve tempo. Ma abbia le sue più antiche radici proprio nella filosofia antica, ed in
particolare in quella greca e romana. Al contempo ci fa comprendere quanto oggi il coaching, in un
dialogo socratico ed epicureo con altre discipline, possa valorizzare quel lascito straordinario, che
si elaborava nelle accademie, nelle strade, nelle botteghe, nei giardini di Atene e di Roma.
CONCEZIONE DELLA FILOSOFIA ANTICA
Nell’epoca ellenistica e romana la filosofia si presenta come modo di vivere, come un’arte della
vita, come una maniera di essere. Mentre la filosofia moderna si presenta come la costruzione di
un linguaggio tecnico riservato agli specialisti (e quindi incomprensibile ai più), la filosofia antica è
una forma di esistenza, che trova la propria ragione nel superarsi in comportamenti, azioni,
relazioni concrete.
La filosofia antica è un modo di vita, non solo un discorso. E’ una pratica che riguarda chiunque
voglia vivere una vita pensata e meditata, una vita messa alla prova, una vita che mira
all’esemplarità. La teoria non è mai considerata fine a se stessa, è messa chiaramente al servizio
della pratica. “Epicuro lo dice esplicitamente: lo scopo della scienza della natura è quello di
procurare la serenità dell’anima.” (Hadot, 2005, p. 16) Occorre che la teoria diventi natura e vita.
Ogni opera è legata al progresso spirituale dell’individuo; per i platonici, anche la matematica
serve a esercitare l’anima a elevarsi dal sensibile all’intellegibile. Ciò che accomuna tutte le scuole
è la preoccupazione del destino individuale e del suo progresso spirituale, l’esortazione alla
meditazione (all’esercizio del pensiero intorno ai principi filosofici per esempio), l’affermazione di
un’etica intransigente, il sentimento della grandezza e della serietà dell’esistenza.
FILOSOFIA DEI FILOSOFI
Il filosofo segue nella vita pratica la sua stessa filosofia. Già il Socrate dei dialoghi platonici è
atipico, proprio per il fatto di essere filo-sofo, ossia amante della sapienza. I filosofi per incarnare
e praticare i principi che professavano erano gente “strana”. Gli epicurei conducevano una vita
frugale praticando, nella loro cerchia filosofica, un’uguaglianza totale fra gli uomini e le donne;
strani erano gli stoici romani, che amministravano in maniera disinteressata le province
dell’Impero a loro affidate ed erano gli unici a prendere sul serio le leggi emanate contro il lusso;
erano strani in quanto, senza essere ispirati dalla religione, nella ricerca della saggezza,
rompevano interamente con i costumi e le abitudini dei comuni mortali. Ogni scuola
rappresentava una forma di vita, specificata da un ideale di saggezza, che in qualche modo
cercava di superare le inquietudini dell’esistenza attraverso una ricerca, un pensiero e una pratica
che innovassero culturalmente l’esistenza degli individui per renderli migliori e più felici.
Le opere filosofiche greche e romane sono legate all’oralità. La filosofia antica è anzitutto orale.
Anche quando si viene colpiti da un libro, ci si precipita dal filosofo, per ascoltarlo, interrogarlo,
discutere con lui e con altri, in una comunità che è sempre un luogo di discussione. La scrittura
non è che un espediente per aiutare la memoria. La vera formazione è sempre orale poiché solo la
parola permette il dialogo, ossia la possibilità per il discepolo di scoprire egli stesso la verità nello
scambio delle domande e delle risposte e anche la possibilità di adattare l’insegnamento ai bisogni
del discepolo. Numerosi filosofi non hanno voluto scrivere perché ritenevano che la parola viva
scrivesse nelle anime ed fosse più reale e durevole dei caratteri tracciati sulla pergamena.
IL CONCETTO DI ESERCIZIO SPIRITUALE
“Fare il proprio volo ogni giorno! Almeno un momento che può essere breve, purchè sia intenso.
Ogni giorno un esercizio spirituale, da solo o in compagnia di una persona che vuole parimenti
migliorare.
Uscire dalla durata. Sforzarsi di spogliarsi delle proprie passioni, delle vanità, del desiderio di
rumore intorno al proprio nome. Fuggire la maldicenza. Deporre la pietà e l’odio. Amare tutti gli
uomini liberi. Eternarsi superandosi”. (G. Friedamann (1970), La puissance et la saggesse, Parigi).
Formare gli animi piuttosto che informarli è il fondamento su cui si basa l’idea degli esercizi
spirituali. Gli esercizi sono proprio degli esercizi, cioè una pratica, un’attività, un lavoro su se
stessi, “qualcosa che si potrebbe definire ascesa di sé” (Hadot, 2005, p. XII). Vengono definiti
esercizi “spirituali” perché ogni esercizio include il pensiero, l’immaginazione, la sensibilità e la
volontà, ovvero l’intero spirito umano. Corrispondono a una trasformazione della visione del
mondo e a un auto superamento. “La parola “spirituale” permette, a nostro avviso, di far capire
come tali esercizi siano opera non solo del pensiero, ma di tutto lo psichismo dell’individuo e,
soprattutto rivela le vere dimensioni di questi esercizi: grazie ad essi, l’individuo si eleva alla vita
dello spirito oggettivo, ossia si colloca nella prospettiva del tutto (eternarsi superandosi)” (Hadot,
2005, p. 30)
La pratica degli esercizi spirituali serve a rendere gli esseri umani migliori. E’ una “conversione”
che sconvolge la vita intera. Fa passare l’individuo “da uno stato di vita inautentica, oscurata
dall’incoscienza, rosa dalla cura, dalle preoccupazioni, allo stato di una vita autentica, dove l’uomo
possa raggiungere la coscienza di sé, la visione esatta del mondo, la pace e la libertà
interiori.” (Hadot, 2005, p. 32)
La filosofia antica è esercizio spirituale perché è un modo di vivere, una forma di vita. Gli esercizi
riguardano sempre il nostro modo di essere nel mondo e generano un orientamento che esige una
trasformazione, una metamorfosi del sé. L’esercizio spirituale è una pratica che è destinata a
operare un cambiamento radicale dell’essere. Gli esercizi servono a assicurare il progresso
spirituale verso lo stato ideale di saggezza e sono “analoghi all’allenamento dell’atleta” (Hadot,
2005, p. 15).
Proponiamo qui ad esempio alcuni degli esercizi che erano fondamentali per le scuole filosofiche
antiche.
1.
L’AMORE E IL GOVERNO DI SE’
“Se non vedi ancora la tua propria bellezza, fai come lo scultore di una statua che deve diventare
bella: toglie questo, raschia quello, rende liscio un certo posto, ne pulisce un altro, fino a fare
apparire il bel volto della statua. Allo stesso modo anche tu togli ciò che è superfluo, raddrizza ciò
che è obliquo, purificando tutto ciò che è tenebroso per renderlo brillante e non cessare di scolpire
la tua propria statua finchè non brilli in te la chiarezza divina della virtù… Se sei diventato questo,
senza avere più qualcosa di estraneo che sia mescolato a te, … se ti vedi divenuto tale… guarda
tenendo il tuo sguardo. Poiché solo un occhio siffatto può contemplare la Bellezza.” (Plotino,
Enneadi). Per gli antichi la scultura è un’arte che leva e toglie, contrariamente alla pittura che
aggiunge. La statua preesiste al blocco di marmo e basta togliere il superfluo per farla apparire.
Il governo di sé parte dalla ricerca della propria bellezza e diventa governo della propria
attenzione a se stessi: vigilanza tesa nello stoicismo, rinuncia ai desideri superflui
nell’epicureismo; implica uno sforzo di volontà, una fede nella libertà morale, nella possibilità di
migliorare, una coscienza morale acuta, una capacità di controllare la collera, la curiosità, le
proprie parole, il proprio amore della ricchezza. Ma il governo di sé implica anche la scelta dei
principi, dei valori, delle virtù che lo governano e che lo trascendono. Principi, valori, virtù che
rappresentano il Bene. Per amore della virtù, del bene e della verità, si può arrivare anche a
rinunciare all’essere. Il principio del bene trascende l’essere e Socrate preferisce morire piuttosto
che rinunciare alle esigenze della sua coscienza, alla sua concezione del bene. Preferisce la
coscienza e il pensiero alla vita del suo stesso corpo. La volontà di vivere del corpo è subordinata
alle esigenze superiori del pensiero. Non è benessere, perché il bene può trascendere persino
l’essere.
Il governo di sé è la coltivazione del proprio pensiero (siamo lontanissimi dalla centralità e dalla
spettacolarizzazione delle emozioni dei nostri reality show). Per Platone, il governo di sé si attua
anche attraverso l’esercizio della contemplazione della morte. Per l’epicureo il pensiero della morte
è coscienza della finitezza dell’esistenza; è la finitezza dell’esistenza che rende ogni istante di vita
estremamente prezioso. Il pensiero della morte è affrontato tramite la vita. Così il momento
presente viene vissuto come se fosse il primo e l’ultimo. Questo ha delle conseguenze. Per Platone
il governo di sé, esercitato dal pensiero della morte e della vita, comporta che bisogna abituare
l’anima a raddrizzare ciò che è caduto, a guarire ciò che è malato, e a eliminare i piagnistei con
l’applicazione del rimedio. Il pensiero così può elevarsi a comprendere il tutto, l’universalità del
divino e dell’umano. Per gli uomini siffatti, che trovano piacere nella virtù, tutta la vita è una festa.
Questi elementi sono il punto di partenza di ogni percorso di coaching, il cui presupposto è proprio
l’esercizio del governo di sé da parte del cliente. Non ci si focalizza più sui lamenti, sulle critiche
nei confronti degli altri, sulla natura e le cause dei problemi, ma si riprende in mano la possibilità
dell’autogoverno e della propria autonomia: quali scelte posso fare che siano armoniche con la
parte più autentica e migliore di me stesso? Sciogliere questo nodo è l’essenza stessa di un
percorso di auto-determinazione personale.
2.
LA MEDITAZIONE
La meditazione è soprattutto esercizio della ragione, del pensiero. Diversamente dalle meditazioni
di tipo buddistico, la meditazione greco-romana è un esercizio del pensiero, dell’immaginazione e
dell’intuizione. Le sue forme sono estremamente varie.
A seconda delle varie scuole di pensiero, abbiamo distinti esercizi di meditazione:
-
per tutte le scuole, la meditazione è in primo luogo studio, memorizzazione ed
elaborazione delle regole di vita e della teoria (spesso sintetizzate in alcune massime
fondamentali utili allo scopo); oggi diremo che è la meditazione, la riflessione, il pensiero
intorno ai nostri valori personali, ai nostri principi guida e a come concretizzarli; per un
coach, è lo studio sistematico del metodo di coaching, il suo approfondimento continua, la
sua assunzione personalizzata e armonica con il proprio essere nel mondo; per un’impresa
è la contemplazione dell’opera che genera, della visione futura, della missione, dell’etica
che la ispira e che irradia nella società, dell’utilità, eccellenza e qualità di prodotti che
generano felicità in chi li usa o li contempla; è la meditazione in solitudine del leader che
pensa al suo gruppo e alla navigazione che dovrà condurre per raggiungere la meta
desiderata;
-
La meditazione produce una visione del mondo e di sé nel mondo; quindi,
fondamentale è la meditazione sul mondo fisico ispira l’immaginazione sulla genesi del
mondo o sugli avvenimenti cosmici; è analoga all’apprezzamento della bellezza e della
complessità della natura che un artista trasforma in opera d’arte; ma è anche la
meditazione su sé come parte della Comunità Umana, del Tutto, è un universalizzarsi per
rendersi ancora più unici; è la riflessione intorno ai propri contesti, alla cultura che li
caratterizza, al proprio essere parte, evitando ogni adattamento conformistico;
-
è anche una meditazione sulla morte per avere un’attenzione concentrata sul
momento presente per goderne e viverlo in piena coscienza; una meditazione che non
tralascia mai lo scorrere del giorno come l’acqua di una doccia sul corpo; che ne vuole
vivire e cogliere l’essenza vita, unico antidoto contro la paura della fine;
-
per Filone di Alessandria è fondamentale meditare sulle difficoltà della vita: la
povertà, la sofferenza e la morte, che spesso non dipendono da noi; come esercizio
preparatorio, come allenamento ad affrontarle;
-
per molti meditare è esaminare al mattino ciò che si deve fare nel corso della
giornata e fissare in anticipo i principi che dirigeranno e ispireranno le azioni (“Al mattino,
quando sei restio a svegliarti, abbi sottomano questo pensiero: è per operare come uomo
che mi sveglio”). Alla sera si esaminerà nuovamente ciò che è successo durante il giorno,
per rendersi conto delle colpe e dei progressi compiuti.
-
per gli epicurei la meditazione è esercizio di distensione dell’anima ( a differenza
degli stoici che invece chiamano a una permanente vigilanza); anziché rappresentarci i mali
in anticipo (come per Filone di Alessandria), dobbiamo staccare la nostra mente dalle
visioni dolorose e rivivere il ricordo dei piaceri passati (“chi è dimentico dei piaceri passati,
è già vecchio oggi”) e godere dei piaceri del presente, riconoscendo quanto siano grandi e
piacevoli; è una scelta deliberata e sempre rinnovata della ricerca ella serenità, della
distensione,, da cui scaturisce una gratitudine profonda verso la natura e la vita. E’ dunque
la ricerca incessante delle proprie potenzialità personali, le uniche che generano quella
gratificazione profonda tanta cara agli amici epicurei.
3. LEGGERE
Leggere, studiare e riflettere intorno ai testi è un esercizio spirituale fondamentale. Per i filosofi
dell’antichità, che pure avevano nell’oralità il contesto più prezioso per imparare, la lettura va
esercitata tutti i giorni, perlomeno un’ora al giorno. E nel farlo, dobbiamo raffinare l’arte del
leggere. Leggere è un fondamentale esercizio di meditazione. Per essere efficace, occorre
soffermarsi sui testi, sottolineare, prendere appunti, e ritornare su noi stessi, liberandoci delle
nostre preoccupazioni contingenti, lasciando che i testi ci parlino. E’ un’attività di formazione e di
trasformazione di sé stessi. Non è solo allenamento delle emozioni (benessere, malessere, gioia,
piacere, felicità, nostalgia, malinconia), ma è soprattutto allenamento del pensiero focalizzato
intorno a un tema; un pensiero emozionato, caldo, a cui partecipa l’insieme delle persona, un
pensiero fatto di idee, emozioni, fantasia, immaginazione; un pensiero spirituale. Scrisse Goethe:
“La gente non sa quanto tempo e quanto sforzo costi imparare a leggere. Mi ci sono occorsi
ottant’anni e non sono neanche in grado di dire se ci sono riuscito”. E’ un esercizio soprattutto per
i coach: storia, arte e soprattutto letteratura, filosofia aprono al coach mondi del pensiero
emozionato che non potrebbero mai toccare in vita. E’ una straordinaria preparazione all’apertura
mentale, alla conoscenza dell’inedito, dell’unico, del sorprendete, dell’inquietante.
4.
CIO’ CHE DIPENDE DA NOI
Epitteto, stoico, classifica gli esercizi dal punto di vista di tre topiche che si riferiscono alle tre
facoltà dell’anima:
1.
la facoltà di pensare;
2.
la facoltà di desiderare;
3.
la facoltà di agire.
Sulla facoltà di desiderare, l’esercizio adatto è quello conforme allo scopo che ci proponiamo. Lo
scopo è tener conto di ciò che desideriamo per ottenerlo e di ciò che avversiamo per evitarlo.
L’esercizio è separare gli oggetti del desiderio che non dipendono da noi, da quelli che dipendono
da noi e concentrarsi sempre sui secondi. Sulla facoltà di agire, Epitteto consiglia di cominciare
con le piccole cose: come sforzarsi di agire sempre nel luogo e nel tempo voluti (non sembra il
piano di azione di un coach?). Sulla facoltà del pensiero, si invita sempre a controllare il valore
delle proprie rappresentazioni. Si riscontra in Epitteto, l’elaborazione della funzione omega del
coaching, ovvero quello stato desiderato, quell’impegno verso l’obiettivo, quell’elaborazione di una
meta di possibile e concreta per l’autorealizzazione.
Per Epicuro l’infelicità degli esseri umani deriva dal fatto che temono cose che non devono essere
temute e desiderano cose che non è necessario desiderare. Sono dunque privati di quello che è
l’unico piacere autentico, il piacere di essere. Bisogna pensare ai propri desideri e distinguere:
desideri naturali e necessari; desideri naturali e non necessari; desideri nè naturali né necessari.
La rinuncia agli ultimi e forse anche ai secondo, la piena attenzione sui primi sarà sufficiente ad
assicurare l’assenza di turbamento e affermare la soddisfazione di esistere.
La felicità consiste nell’indipendenza, nella libertà, nell’autonomia, vale a dire nel ritorno a ciò che
è veramente noi stessi e a ciò che dipende da noi. L’Io così liberato non è più la nostra
individualità egoista e passionale, è la nostra persona morale, aperta all’università e
all’oggettività, partecipe della natura o del pensiero universali. E’ la strada che per il coaching
significa allenarsi all’autogoverno della propria vita, essere proattivi e protagonisti della propria
esistenza, separare ciò che è un’opportunità perché dipende da noi, da ciò che è una possibilità
perché dipende anche dalla reazione del contesto. E’ la base del nostro goal setting,
dell’autoefficacia, dell’autorealizzazione.
5.
L’ATTENZIONE
Filone di Alessandria (Filone di Alessandria (1981), L’erede delle cose divine, Rusconi) dice che
l’allenamento dell’attenzione è l’atteggiamento fondamentale del filosofo stoico. La sua presenza
di spirito è continua, la sua coscienza di sé è sempre desta, sa e vuole pienamente ciò che fa in
ogni istante. Grazie a questa presenza di spirito la distinzione fra ciò che dipende da noi
(opportunità) e ciò che non dipende da noi (possibilità) è sempre sottomano. Il filosofo è libero
dalle passioni del passato. L’immaginazione e l’affettività devono essere associate all’esercizio del
pensiero.
L’attenzione a ciò che dipende da noi accumuna lo stoico all’epicureo. Ma per l’epicureo, è
fondamentale che l’attenzione sia liberata dalla preoccupazione del futuro, quando questa ci
lacera, e ci nasconde il valore incomparabile del semplice fatto di esistere.
Filosofare è un atto continuo, un atto permanente, che si identifica con la vita, un atto che occorre
rinnovare ad ogni istante. Nell’epicureismo, l’attenzione è orientata verso il piacere, che infine è il
piacere di essere.
Il coaching è l’allenamento dell’attenzione per eccellenza. Quella focalizzazione sull’obiettivo
prescelto come sfidante che mobilità le nostre migliori risorse, senza distrazioni auto-osservanti,
intrise di narcisismo negativo.
6.
LA CURA DELL’AMICIZIA
L’amicizia, soprattutto per gli epicurei, ha anch’essa i suoi esercizi spirituali che si compiono in
un’atmosfera lieta e distesa: la confessione pubblica delle proprie colpe, la correzione fraterna,
legate all’esame di coscienza, ma soprattutto l’impegno di ognuno a creare un’atmosfera di
amicizia, dove l’affetto reciproco, la fiducia, la condivisione contribuivano più di ogni altra cosa
alla felicità individuale e collettiva.
Oggi la cura dell’amicizia, come forma di amore e di dialogo, di condivisione e di relazione, non
solo diventa parte integrante di un percorso di coaching teso alla realizzazione della persona nella
relazionalità affettiva, ma un principio ispiratore dentro qualunque organizzazione che voglia
essere di successo. L’amicizia come collaborazione, condivisione, tensione all’affetto, all’ascolto,
allo scambio, alla solidarietà comune, è un principio di benessere ed efficienza, dalle
organizzazioni alla società, dalla creatività alla convivenza civile.
7.
IL DIALOGO E LA SCRITTURA
Tutte le forme di meditazione e gli esercizi successivi si fondano sul dialogo con se stessi e con gli
altri. Il principale esponente della forza riflessiva che può avere il dialogo è Socrate. Il dialogo
socratico è un esercizio spirituale praticato in comune che invita all’esercizio spirituale interiore ,
ossia all’esame di coscienza, all’attenzione a sé, al famoso “conosci te stesso”. Esiste in Socrate
un’intima connessione fra il dialogo con gli altri e il dialogo con sé. Solo colui che è capace di un
vero incontro con gli altri è capace di un autentico incontro con se stesso, e l’inverso è
ugualmente vero. Il dialogo non è davvero dialogo se non in presenza di altri e di sé. Un dialogo è
un itinerario del pensiero la cui via è tracciata dall’accordo, costantemente mantenuto fra una
persona che domanda e una persona che risponde. E’ come una lotta, amichevole ma reale. Far
cambiare a se stessi il punto di vista, l’atteggiamento, la convinzione, arricchirle, evolverle,
superarle, significa dialogare con se stessi in modo autentico. Ma questo dialogo è anche una lotta
contro se stessi. “Ogni elevazione è conquistata” (Hadot, 2005, 47). Il dialogo è una salita verso la
virtù, il bene e la verità. Il dialogo parte sempre assumendo altri punti di partenza e sullo stesso
tema può giungere a risposte molto differenti a seconda del punto di partenza adottato. E’
l’esercizio dialettico.
Il rapporto di sé con sé costituisce il fondamento di ogni esercizio spirituale, perché il rapporto con
se stessi è sempre trascendente. “Non ricondurre il tuo pensiero a te stesso, ma lascia che la tua
mente prenda il volo nell’aria, come uno scarabeo che un filo trattiene per una
zampa” (Aristofane). Conoscere sé stesso significa
-
conoscersi come un non sapiente che cerca la saggezza,
-
conoscersi nel proprio essere essenziale, ossia separare ciò che non è noi, da ciò che
è noi stessi;
-
conoscersi nel proprio stato morale autentico, vale a dire esaminare la propria
coscienza.
Una variante del dialogo è la scrittura. Ma anche nella scrittura entra in qualche modo l’altro con
cui dialogare. Le annotazioni sulle azioni, i moti dell’anima, i pensieri, vanno elaborate come se li
dovesse fare conoscere agli altri. La scrittura deve essere l’occhio altrui che ci guarda dentro. Chi
scrive si sente osservato, non è più solo, ma è parte della comunità umana silenziosamente
presente.
Il coaching trova nel dialogo la sua vera essenza, poiché incentra le meraviglie del proprio metodo
nella relazione umana.
8.
IL BENE COMUNE
La filosofia antica presuppone uno sforzo comune, una comunità di ricerca, di aiuto reciproco, di
sostegno spirituale. Ma soprattutto i filosofi, e persino gli epicurei, non hanno mai rinunciato ad
agire sulle città, a trasformare le società, a rendere servizio ai loro concittadini, che spesso hanno
tributato loro elogi. Le concezioni politiche potevano essere diverse a seconda delle scuole, ma la
preoccupazione di esercitare un’influenza nella città o nello Stato, sul re o sull’imperatore, è
sempre rimasta costante. Soprattutto nello stoicismo, figura al primo posto l’esercitarsi sempre al
servizio della comunità umana e all’agire secondo principi di giustizia. La vita filosofica comporta
un impegno comunitario che è esercitato mantenendosi sempre sul piano della ragione e del
pensiero senza lasciarsi accecare da ire, rancori e pregiudizi. C’è un equilibrio quasi irrealizzabile
fra la pace interiore che procura la saggezza da un lato e dall’altro le emozioni che suscitano la
vista delle ingiustizie, delle sofferenze e delle miserie di cui sono capaci gli uomini. Ma la saggezza
consiste proprio nel raggiungere un equilibrio che permetta di agire con efficacia per il
perseguimento del bene comune. Lo stoico, non trova la propria gioia nel suo “io”, ma nella parte
migliore di sé, nel coltivare una coscienza rivolta verso il bene. Per un filosofo è fondamentale il
suo senso di appartenenza alla Totalità della comunità umana. Anche l’epicureo non ha paura di
ammettere di aver bisogno di altro, oltre a se stesso, che va dai piaceri dell’amore ad una teoria
dell’universo.
CONCLUSIONI: ESSERE COACH
Tutti gli esercizi spirituali hanno lo stesso fine, indipendentemente dalla scuola filosofica che li
elabora: la realizzazione di sé tramite il proprio miglioramento. Tutte le scuole concordano sul
fatto che l’uomo può liberarsi della sua inquietudine e formarsi per raggiungere uno stato di
perfezione. Tutte le scuole credono nella libertà della volontà, grazie a cui l’uomo ha la possibilità
di migliorare se stesso, di modificarsi e di realizzarsi. “Alla base di questo c’è un parallelismo tra
esercizio fisico ed esercizio spirituale: come, con esercizi fisici ripetuti, l’atleta dà al suo corpo una
forma e una forza nuove, così, con gli esercizi spirituali, il filosofo sviluppa la sua forza d’animo,
trasforma la sua atmosfera interiore, cambia la sua visione del mondo e infine l’intero suo essere.
L’analogia poteva parere tanto più evidente in quanto proprio nel gimnasion, ossia nel luogo dove
si praticavano gli esercizi fisici, si tenevano anche le lezioni di filosofia, ossia si praticava
l’allenamento alla ginnastica spirituale.” (Hadot, 2005, p. 60)
Allenandosi ed esercitandosi, ogni scuola filosofica impegnava i discepoli a condurre un nuovo tipo
di vita. La pratica degli esercizi spirituali implicava un rovesciamento totale dei valori riconosciuti
come tradizionali; si rinunciava ai falsi valori per rivolgersi verso i veri valori: la virtù, il pensiero,
la vita semplice, la felicità di esistere. La vera filosofia è esercizio spirituale e il maestro forma i
discepoli e si sforza di portarli a trasformare e realizzare se stessi. E’ un metodo inteso a formare
una nuova maniera di vivere e di vedere il mondo, una trasformazione di sé stessi, concreta,
reale, praticata. Gli esercizi non hanno solo un valore morale, non sono un codice di buona
condotta, ma impegnando tutto lo spirito umano, generano una maniera di essere e agire. Socrate
dice di avere lo stesso mestiere di sua madre. Era levatrice e assisteva alle nascite dei corpi.
Socrate è l’ostetrico degli spiriti: li assiste alla loro nascita. Egli non genera nulla, poiché non sa
nulla, aiuta gli altri a generare se stessi. Questa maieutica rovescia i rapporti fra maestro e
discepolo. E questo per riprendere Kirkegaard, è ciò che fa un coach.
Essere un coach non significa dire “è così”. Non significa neanche impartire lezioni. Essere un
coach significa essere un discepolo in primo luogo. E come un discepolo, il coach deve allenare se
stesso, tutti i giorni. A partire dalla cura delle sue autentiche potenzialità e vocazioni, il coach deve
trattare la sua mente come un tempio, frequentando ogni aspetto della cultura umana, ricercando
saggezza e umanità. Studiare, leggere, scrivere tutti i giorni intorno ai grandi temi che riguardano
il suo campo di intervento (adolescenza, imprese, mondo, società, politica, leadership) è una
tipica attività di allenamento del pensiero creativo e costruttivo, lo stesso che metterà a
disposizione delle persone con cui lavora. Un bravo coach ha un progetto e un piano di studio, di
ricerca e di riflessione; evita di essere ammaliato da modelli che diventano di eccellenza solo
perché hanno potere e successo (anche Hitler ha avuto i suoi anni di gloria e Walt Disney era una
specie di dittatore nella sua impresa), sa frequentare e individuare il lato oscuro della natura
umana, non gira lo sguardo per non vedere la barbarie di cui l’essere umano è capace, ma sa
anche ricerca nella società, nella cultura, nella scienza e nella storia, modelli di eccellenza umana
in termini di virtù (connotandoli secondo parametri di saggezza, coraggio, temperanza, umanità,
trascendenza e giustizia e non secondo metri di successo e potere) come i filosofi che in queste
pagine abbiamo incontrato. Ha presente i propri valori, non come se fossero una lista della spesa,
ma dei principi e al tempo stesso delle grandi incognite che approfondisce e verifica, arricchisce e
aggiorna continuamente e che sono armonici con i tratti della sua personalità. Coltiva l’amicizia in
tutte le sue forme, senza strumentalismi, trattando gli amici come fini e non come mezzi. La
tensione all’amicizia lo ispira con i colleghi, con i clienti, con le persone con cui lavora, perché per
un coach lavorare altro non è che un’autentica e appassionata espressione della propria opera
umana. Un coach si sente parte di una comunità potenziale che lo supera e lo trascende e che è
l’umanità e coltiva il suo essere cittadino del mondo. Ma soprattutto un coach si allena ad
analizzare ogni evento, contesto, persona, situazione, con il pensiero emozionato e con le
emozioni pensate. Da un lato ne valuta le caratteristiche oggettive e soggettive costitutive, le
parti culturali e materiali che lo compongono, il suo stato e la sua dinamica (analizza i principali
paradigmi culturali con cui vivono le persone, la cultura che denota la singola impresa, le regole
implicite e esplicite con cui si costruiscono le relazioni); a tal fine si avvale del suo pensiero critico,
della sua lungimiranza, della sua curiosità, del suo amore per l’apprendimento, mettendoli al
servizio della comprensione razionale delle proprie emozioni, ma dall’altra ricerca sempre le leve
di sviluppo, di miglioramento, di superamento che possano permettere ai soggetti di migliorare la
propria esistenza in termini di autorealizzazione e di felicità possibile. Come formatore di altri
coach ricerca coerenza: un bravo formatore di coach deve essere e incarnare il massimo della
competenza nell’assunzione del metodo, essere in grado di trasferirlo agli altri, ma soprattutto
essere un ottimo costruttore e architetto della propria professionalità. Un coach può formare altri
coach solo se ha dimostrato di realizzarsi nella costruzione concreta della propria professionalità,
avendo un patrimonio di clienti in continua crescita.
Il coach in breve, come il filosofo antico, cerca un’armonia fra la sua persona, il suo essere e la
sua opera. E anche il coach a volte è strano. Essendo un professionista della frequentazione
dell’umano, e seguendo la massima secondo la quale “niente di umano mi è estraneo”, vive nella
gioia e nell’inquietudine; nella soddisfazione della sua opera e nell’impotenza rabbiosa di non
poter fare di più per migliorare il mondo; nella gratificazione profonda delle sue relazioni e nella
sofferenza degli errori che commette anche con i suoi cari; nella forza della sua teoria e delle sue
convinzioni e nella fragilità del suo essere semplicemente umano; nella gratificazione profonda di
essere al servizio della felicità altrui e nel dolore insito nella condizione umana; nella passione con
cui spende le sue energie e nella stanchezza epica che a volte lo sovrasta. In questo instabile ma
dinamico equilibrio, il coach cerca di migliorarsi, di superarsi, di contribuire, come può, allo
sviluppo di comunità umane in cui la convivenza, l’amicizia, la collaborazione prevalgano sugli
egoismi, le truffe, le violenze. A volte lo fa con successo, a volte fracassa in evidenti fallimenti, ma
sempre cerca di imparare dagli uni come dagli altri, come un bravo discepolo imparava dagli
straordinari maestri greci e romani.
Luca Stanchieri
Presidente Associazione Italiana Coach Professionisti
Responsabile Didattico della Scuola Italiana Corporate e Life Coaching
Bibliografia essenziale
Faucoult M. (1988), Tecnologie del sé, Bollati Borghieri.
Hadot P. (2005), Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi.