Dall`ignoto a noi
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Dall`ignoto a noi
I COLLOQUI FIORENTINI – NIHIL ALIENUM XII EDIZIONE 28 FEBBRAIO – 2 MARZO 2013 GIOVANNI VERGA: “IL SEMPLICE FATTO UMANO FARA’ PENSARE SEMPRE” SECONDO CLASSIFICATO SEZIONE TESINA BIENNIO DALL'IGNOTO A NOI Studenti: Maria Narciso; Arianna Dell'Elice delle classi I Scientifico e II Linguistico dell’Istituto “Nostra Signora” di Pescara. Docente Referente prof. Vincenzo Narciso Motivazione: Una delle più discrete ma forti sfide Verghiane è quella di provare a "leggere tra le righe"; una provocazione che questo elaborato ha fatto sua, palesando in modo efficace la costante presenza dell’ignoto, del non detto, dell’indicibile mistero nelle opere dello scrittore, e tra le righe stesse della nostra vita oggi. 1. “Quella fatale tendenza verso l’ignoto che c’è nel cuore umano, e si rivela nelle grandi come nelle piccole cose, nella sete di scienza come nella curiosità del bambino, è uno dei principali caratteri dell’amore, direi la principale attrattiva: triste attrattiva, gravida di noie o di lagrime -e di cui la triste scienza inaridisce il cuore anzi tempo”. Con queste parole Giovanni Verga comincia la novella X (nella raccolta Primavera e altri racconti).X cioè incognita. Egli stesso dice che questa fatale tendenza è uno dei caratteri dell’amore, quindi è parte di esso, tanto che ne costituisce un’attrattiva, che secondo la visione razionalista era però triste, perché “inaridisce il cuore anzi tempo”. Verga, però, non dice mai che cosa sia questo ignoto, non spiega mai neanche perché si abbia quest’attrattiva, perché davvero l’uomo sia attratto dall’ignoto. Nella novella X troviamo ancora tratti romantici... o quasi: infatti, sembra che l’autore si stacchi in parte da queste passioni, da questa tendenza, anche se comunque ne parla. L’ignoto è l’argomento di cui Verga tratta di meno, ma forse era addirittura il più importante per lui. Spesso tendiamo ad evitare di parlare degli argomenti che ci stanno più a cuore, a volte perché non sappiamo neanche noi come fare a parlarne, perché non sappiamo neanche trovare le parole per spiegare l’inspiegabile. Ignoto è tutto quello che non conosci, e che quindi ti spaventa, o magari ti attira. Tutti siamo bravi a dire che cosa costituisca l’ignoto: ignoto è l’infinito, come dice Leopardi, tutto ciò che noi non conosciamo e non sappiamo spiegare. Basti pensare al senso dell’attrattiva della novella X o al “misterioso processo per cui le passioni si annodano, si intrecciano, maturano, si svolgono nel loro cammino sotterraneo, nel loro andirivieni che spesso sembrano contraddittori, costituirà per lungo tempo ancora la possente attrattiva di quel fenomeno psicologico che forma l’argomento di un racconto” (dalla prefazione a L’amante di Gramigna). Tutta questa frase così complessa serve per dire semplicemente che la vita dell’uomo sarà ancora argomento di discussione per lungo tempo. Molti studenti pensano che gli scrittori, Verga in particolare, abbiano l’abitudine di fare frasi molto lunghe e scrivere periodi complicatissimi per dire una qualsiasi cosa che si potrebbe esprimere con poche parole. Tutto questo probabilmente distoglie l’attenzione dall’argomento chiave sul quale si cercano risposte, cioè questo famoso ignoto. Magari Verga già conosceva la risposta a questa grande domanda, ma, non esprimendo la sua opinione e lasciando parlare il “narratore regredito”al posto dello scrittore, ci lancia una sfida per farci trovare la risposta che stiamo cercando. 2. E quando si tratta del “misterioso processo”, è lì che Verga avrebbe dovuto essere esplicito, invece non lo è stato. Ma allora questo processo, questo ignoto che cosa sono per lui? Verga non lo spiega mai, lascia tutto al lettore, come ha detto a Farina: “Ti dirò soltanto il punto di partenza e quello d’arrivo; e per te basterà –e un giorno forse basterà per tutti”. In questo modo ci lancia una sfida, sembra dirci: “vuoi sapere che cos’è l’ignoto? Dovrai scoprirlo tra le righe dei miei racconti!”. Allora non ci resta che raccogliere questa sfida... Capitolo I “Misterioso processo”? “Misterioso processo”? Come fanno a stare insieme due parole che si riferiscono a due ambiti completamente diversi? E queste non sono le uniche: c’è anche il “legame oscuro” o la “scienza del cuore”! Verga inizia così L’amante di Gramigna. Eppure la sua bella e intricata prefazione, se usata bene, può diventare la chiave per scoprire il “legame oscuro” tra Verga e l’ignoto. Il tratto caratterizzante di Verga è che sembra non sia lui a raccontare le sue novelle, ma che i suoi racconti siano narrati da una persona che aveva la stessa mentalità massificata che regnava in quel tempo (che per noi si chiama“narratore regredito”): Verga preferisce quindi dire le cose fingendo di non essere lui a dirle, facendole scrivere da qualcun altro. Per questo molti non lo capiscono. Per poter “parlare” con Verga, quindi, bisogna prima capire il narratore regredito, cioè colui che prende la parola. Se non si fa questo, non si capisce niente. Si deve scandagliare ogni racconto alla ricerca del tocco di Verga, perché c’è, anche se nascosto. Con Verga “l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé”: ma non è (del tutto) così! Allora cominciamo il viaggio attraverso i suoi racconti... Per prima cosa, i finali delle novelle e dei romanzi di Verga non sono mai scontati, mai come il lettore si aspetta che siano. Di solito raccontano come muore il protagonista o come la sua vicenda finisca tragicamente. Perciò, siccome i protagonisti sono sempre diversi, allora anche i finali sono sempre diversi. Di solito, quando uno legge un libro, dopo circa la metà della lettura capisce quale sarà più o meno il finale, ma in Verga questo non succede, perché ci sono tante cose che sono tenute nascoste al lettore e che si rivelano poco a poco, senza dire apertamente cosa sia successo. Un’altra cosa di cui Verga scrive spesso, senza nominarla esplicitamente, è la mancanza di comunicazione tra i suoi personaggi. Loro non riescono proprio a parlarsi, e se si parlano, spettegolano, si aggrediscono, condividono segreti... E, soprattutto di fronte alla morte, non sanno proprio che cosa dire: sono persi e inconsolabili. Ma cos’è che spaventava Verga? Per saperlo, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, nella Sicilia della fine del 1800... Villaggi, campi coltivati, carri trainati da asini, antiche casate nobiliari, pescatori indaffarati a procurarsi da mangiare... Probabilmente quello che spaventa Verga è racchiuso tutto nei suoi racconti: spesso, infatti, scrivere a proposito di ciò che ti spaventa lo fa sembrare un po’meno spaventoso, o magari scrivere di qualcosa che non conosci la fa sembrare un po’meno misteriosa. In ogni caso, Verga ha fatto proprio un buon lavoro nel mascherare le sue paure e le sue insicurezze, perché parla secondo un pensiero massificato, uguale per tutti, senza sfumature personali... almeno all’apparenza. Infatti a un certo punto sembra che Verga voglia essere il più oggettivo possibile:non riesce a spiegarsi il destino dei suoi personaggi (perché coinvolti tutti in una inevitabile “catastrofe”), perciò cerca di renderlo nel modo più oggettivo possibile, rimanendo apparentemente in superficie, senza andarne a fondo. Basti pensare a Malpelo o a ‘Ntoni, per esempio: se li guardiamo al di fuori del loro contesto, questi personaggi hanno tutti un aspetto in comune, cioè l’ignoto. Il padre di Malpelo muore schiacciato da un crollo mentre lavora alla cava assieme al figlio ancora piccolo, che, appena accaduta la disgrazia, comincia a scavare con le unghie nel tentativo di ritrovare il corpo del padre. Continuerà a cercarlo a tutti i costi, ma quando viene finalmente recuperata una scarpa di Mastro Misciu,si ferma e smette di scavare, per paura di quello che potrebbe trovare di lì a qualche colpo di vanga. Qualcosa di simile succede a ‘Ntoni: vorrebbe a tutti i costi andarsene, poi finalmente se ne va... ma è costretto a tornare con la coda fra le gambe! Allo stesso modo non sa che cosa potrebbe fare una volta guadagnato il denaro che occorreva per riscattare la casa del nespolo e per recuperare la “Provvidenza”. Dopo la galera è infine costretto ad andarsene in un altro posto. Infatti, una volta recuperata la casa del nespolo, questa sembra a lui e ai fratelli del tutto vuota e priva di vita,a causa di quella serie di eventi che hanno sconvolto le loro esistenze di “ostriche”. Il fatto di chiedersi il senso di tutto quello che ha fatto nella sua vita accade persino a Gesualdo: egli guadagna, guadagna e guadagna, accumula, accumula e accumula;tutto per una figlia che non è la sua, una moglie con cui non riesce a comunicare e una miriade di parenti che non lo considerano uno di loro perché se lo ricordano quando ancora lavorava come un asino. Leggendo la sua vicenda, ci si può chiedere che senso abbia tutto quello che fa e che ha fatto in passato: quel senso resta ignoto. Persino i personaggi minori, come la baronessa Rubiera o Alfio Mosca,implicitamente sembrano chiederselo: che senso ha aver accumulato tutti questi beni per vederli scialacquati da mio figlio? Che senso ha aver conquistato il mulo con tutto il carro al posto dell’asino, se poi non posso sposare Mena? E così via, per tutti i personaggi. A volte sembra che Verga si ponga sul serio queste domande, eppure i suoi personaggi non lo fanno mai apertamente. Verga aveva secondo noi una domanda fissa nella testa e l’ha trasmessa anche ai suoi personaggi, a partire dal protagonista fino ad arrivare a quello che compare solo un paio di volte durante la narrazione:che senso ha la vita? Che senso ha fare tutto quello che faccio ogni giorno se poi devo morire? Verga, inoltre, è il primo romanziere dei suoi tempi che tratta di argomenti “ordinari”. Malpelo è un tizio qualunque che lavora in una cava qualunque, eppure in qualche modo Verga ce lo rende importante, in qualche modo ce lo rende unico. Perché? Perché Malpelo non è come gli altri. Perché Malpelo vuole conoscere, ma ha paura di conoscere, perché questo per Malpelo è l’ignoto. E Mazzarò? Era soltanto un tipo solitario e senza figli né moglie e lo scrittore ci racconta tutto a partire da una persona qualunque, che sta passando per i campi di Mazzarò. Egli voleva “solamente”proteggere la sua roba da mani altrui, voleva “solo”essere il migliore, ma senza riuscirci mai pienamente. Anche lui sarà costretto a chiedersi che senso abbia aver raccolto tutta quella roba,per poi doverla perdere perché sta per morire... e questo per Mazzarò è l’ignoto. Di fronte all’ignoto, Mazzarò sa solo distruggere, cioè di fronte alla morte, che per lui è l’ignoto, sente il bisogno di distruggere tutto ciò che ha guadagnato, perché non vuole che qualcun altro si impadronisca della sua roba. Verga, infine, riesce a far porre al lettore le stesse domande che si pone tra sé e sé il protagonista, quindi lo fa immedesimare nel racconto riuscendo a fargli provare le emozioni dei personaggi delle sue opere, come fa nella novella X. Capitolo II “X” = incognita Nella novella X, Verga aveva parlato dell’ignoto. Questo argomento è toccato dall’autore in tutta la novella, ma il lettore capisce di che cosa si tratta solo nel corso della lettura. In questa novella, l’autore rappresenta l’ignoto con una fanciulla mascherata, semplice ma affascinante. Il suo fascino, probabilmente è dovuto proprio al mistero, il quale attrae l’uomo, che si innamora di ciò che non conosce, per poi disinteressarsene una volta che lo ha raggiunto. In questa novella Verga parla dell’ignoto che in X è il fascino del non conoscere, il fascino di qualcosa di nuovo che rimane impresso nell’anima, il fascino di qualcosa che non si conosce e di cui a volte si ha anche paura, ma del quale ci si ricorderà per sempre come una cosa fantastica. L’ignoto è quasi illusione perché, vivendo nell’ignoranza, il ricordo rimarrà sempre bello e niente lo potrà rovinare. La personificazione dell’ignoto in una ragazza che attira l’attenzione sia del lettore sia del protagonista, fa capire a chi legge quanto sia potente il fascino del mistero, il quale, però, svanisce del tutto una volta conosciuta la cosa da cui si è attratti, la cosa “ignota”. Ci fa pensare a un bambino davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli: la vista di un gioco nuovo attrae l’attenzione del piccolo, facendogli desiderar e ardentemente un oggetto di cui conosce solo l’aspetto. Il desiderio è talmente forte che niente lo potrà distogliere dal suo obiettivo, cioè ricevere quel giocattolo. Se il bambino riesce nel suo scopo, la sua felicità durerà pochi minuti, perché una volta ottenuto l’oggetto del suo desiderio, la curiosità e la voglia svaniscono e il gioco viene riposto in un baule e lì dimenticato. In X non succede questo fenomeno, poiché l’uomo, proprio perché non conosce mai davvero ciò che lo attrae, rimarrà nell’ignoranza e allo stesso tempo ne sarà turbato per sempre. Verga descrive dettagliatamente i lineamenti e i colori della fanciulla misteriosa per far immedesimare il lettore nel protagonista,facendogli capire quanto sia potente l’attrattiva verso l’ignoto. X è una novella particolare: Verga narra in prima persona, cosa che non accade altrove. Da questo fatto possiamo capire che probabilmente anche lui è attratto da questa fanciulla, quindi dal mistero, e perciò persino lui si immedesima nel protagonista. Basta uno sguardo verso qualcosa di misterioso per scatenare confusione nel cuore del protagonista e quindi per mettere in dubbio qualcosa che fino a quel momento era certo(la donna con cui è andato alla festa), ma per il quale ora non si prova più la stessa attrattiva: eppure un tempo il protagonista l’aveva amata come un pazzo… Questo processo accade anche nella vita quotidiana: prendiamo ancora come esempio un bambino con il suo giocattolo. Questa volta, però, il bambino, pur conoscendo il gioco, ne è ancora attratto e affezionato, al punto che pensa di non poterne fare a meno. Poi, nel tempo, il bambino diventa un ragazzo e si disinteressa del gioco,perché punta la sua attenzione su altre cose(amici, studio, sport.) Non è colpa sua, è colpa del tempo. È il tempo che ha fatto perdere al giocattolo la sua attrattiva verso il bambino, che ora è un ragazzo. Anche il protagonista perde interesse per quella ragazza che aveva amato come un pazzo e a cui dava il braccio, ma i motivi sono diversi da quelli del ragazzino: al protagonista è bastato uno sguardo di “quell’incognita” per togliergli interesse per quella donna amata in passato. In più, il protagonista sogna di avere quella nuova donna per sé, ma guardando in faccia la realtà, capisce che non succederà e quindi si rattrista, anche se non perde mai la speranza di un sogno irrealizzabile. Il protagonista, quando si trova faccia a faccia con la fanciulla misteriosa, si sente invaso da forti emozioni e ha l’impressione di conoscere da sempre questa donna ignota, perché descrive di lei ogni particolare, ogni dettaglio della sua figura. Non riesce a staccare gli occhi da lei. Il narratore, nonché protagonista, trasporta se stesso e la fanciulla in un contesto diverso: due viaggiatori che si incontrano, ma che sono partiti per opposte direzioni. L’attrattiva verso la fanciulla misteriosa è definita da Verga come “triste”, “gravida di noie e di lagrime” e per cui spesso si finisce per soffrire o per finire in prigione, in ospedale o addirittura al cimitero. Questa attrattiva è principalmente dettata dalla curiosità, perciò non si può saziare col matrimonio, nel caso dell’amore. Una volta che l’uomo ha conquistato la donna e quindi l’ha tutta per sé, allora comincia a cercare il congegno nascosto, tutto quello che è parte di lei e che è riuscito a farlo innamorare. Stessa cosa succede al bambino, nel nostro esempio: dopo essersi guadagnato il giocattolo, egli perde l’interesse per quest’ultimo. L’unica cosa che possa fare è cominciare a cercare di capire che cosa davvero l’abbia colpito “dentro” quel giocattolo. Spesso, per fare ciò, sia l’uomo sia il bambino distruggono ciò che hanno per la bramosia di scoprirlo. La sazietà che ti dà ciò che hai ottenuto comporta quindi il dissolversi della tua passione. Tutto quello che una persona riesce a possedere, alla fine perde la sua attrattiva. Frequentemente, se ti abitui alle attenzioni di un’altra persona, queste perdono il loro valore, ma quando, un giorno, questa persona non ci sarà più, tu finalmente, e tragicamente,capirai di nuovo l’importanza di quei piccoli gesti. In X il tema principale è l’ignoto. Nelle opere di Verga, a volte, si riesce a trovare questo argomento anche se in un contenuto diverso... Capitolo III Malpelo è capace di voler bene Questa è una affermazione convinta. Malpelo appare ai nostri occhi come la vittima di una società basata sul pregiudizio, ma non è così. Malpelo non conosce e non si domanda nulla apertamente, come fanno i romantici, eppure in un certo senso anche lui si pone implicitamente le stesse domande. Malpelo è nato e cresciuto nella cava e quindi sa fare solo il lavoro del padre, non è colpa sua. Tutti lo vedono come una “bestia”. Eppure Malpelo non è solo quello. Il ragazzo, infatti, si pone anche delle questioni, ma mai esplicitamente. Per prima cosa, egli non è capace di dire “Ti voglio bene”.Persino a Ranocchio, cui è molto affezionato, non sa dirlo. Non ci riesce proprio. L’unica frase che riesce a uscirgli dalla bocca è: “Non ti voglio male”.Doppia negazione. Nessuno gli ha insegnato a dire “Ti voglio bene”, neanche il padre. Anzi, sembra che il padre, per voler bene al figlio, sia morto. Verga dà quest’idea solo perché probabilmente tutto quello che succedeva gli pareva una cosa ovvia, destinata alla “catastrofe” dal destino che, inesorabile, si abbatte sui personaggi delle sue novelle e dei suoi romanzi. Malpelo, quindi, non è più una vittima della società, ma qualcuno che ci aiuta a capire come doveva sentirsi uno come lui. Non è più “bestia”, ma “umano”. Gli altri lavoratori della cava facevano semplicemente il loro lavoro, Malpelo invece si preoccupava di Ranocchio e di scavare nel punto dove era morto il padre. Poi,però, per paura di quello che poteva trovare là sotto, smette di scavare laggiù... quello è l’ignoto per lui. Malpelo non sa cosa troverà, perciò lascia perdere. Ed è ciò che succede quando noi abbandoniamo i nostri sogni per paura di quello che potremmo trovare al di là di una determinata soglia di confine. “Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo”. Il narratore ci presenta una situazione del tutto ovvia per lui. È così e basta. Al narratore pare una cosa del tutto ovvia che Malpelo si chiami così. Il ragazzo è un lavoratore come tanti altri,che fa il suo lavoro per un misero salario e che ogni volta che torna a casa viene picchiato dalla madre, che non ha occhi che per la sorella di lui, che sta per sposarsi. Malpelo era molto affezionato al padre, che però è morto schiacciato dal crollo di una delle colonne di sostegno mentre faceva del lavoro aggiuntivo per guadagnare qualche soldo in più. Appena Malpelo si accorge dell’accaduto, comincia a scavare nella speranza di ritrovare il corpo del padre, tanto che poi gli altri minatori devono staccarlo a forza. Qui l’autore ci offre un’immagine molto dura e cruda, descrivendo le mani di Malpelo, che hanno tutte le unghie rotte e sono sporche di terra. Alla fine il corpo del padre viene ritrovato e il narratore si sofferma sul particolare delle scarpe e dei calzoni del morto, che la madre di Malpelo riciclerà subito per il figliolo. Malpelo, inoltre,tornerà a contemplare per lungo tempo le scarpe appartenute al padre. Intanto è arrivato alla cava Ranocchio, un ragazzino che prima faceva il manovale,ma che ora si è fatto male e quindi non è più adatto per il mestiere precedente. Malpelo si affeziona a modo suo a Ranocchio, e comincia a picchiarlo, ma solo per insegnargli a difendersi dalle percosse degli altri minatori. Malpelo, in effetti, ha uno strano modo di dimostrare il suo affetto per qualcuno: di solito lo fa picchiandolo. Ovviamente non lo fa per cattiveria, il problema è che cerca di insegnare al qualcuno in particolare, in quel caso Ranocchio, come difendersi dalle percosse dei colleghi. Un altro modo che Malpelo usa per dimostrargli che gli vuole bene è il fatto di andarlo a trovare quando è malato e di spendere la propria paga per comprargli un piatto di minestra. Malpelo,quindi,ha un grande cuore, nonostante tutti lo maltrattino, narratore compreso. Verga ci dà la possibilità di riuscire nel nostro obiettivo: trovare l’ignoto. Una parte di tale ignoto è il fatto che Malpelo abbia paura di quello che può scoprire oltre la soglia di quanto ha già scavato nel luogo in cui è sepolto il padre, ma tutto il resto bisogna cercarlo tra le righe perché non è scritto da nessuna parte. Un altro elemento dell’ignoto è il fatto che Malpelo tiene a Ranocchio, ma non sa come dirglielo, perciò lo dimostra a modo suo. Di nuovo il problema della comunicazione, il fatto che nessuno dei personaggi di Verga riesca a dire le cose importanti... perciò lo deve dimostrare in altri modi. Malpelo lo dimostra attraverso tutto quello che fa: spesso addirittura giustifica queste azioni, perché ha bisogno di qualcuno che gli voglia bene, dopo la morte del padre. Allora, a quel punto,subentra Ranocchio. Lui e Malpelo diventeranno grandi amici, tuttavia il narratore non ce li presenta come tali, ma piuttosto come un adulto che cerca di insegnare a un ragazzo come si vive davvero nella cava di rena rossa. Dopo la morte di Ranocchio, si avvicina inesorabilmente anche quella di Malpelo. Infatti, quando i minatori trovano un cunicolo che non era ancora stato esplorato, ci mandano Malpelo ed egli da lì non farà più ritorno. Un altro “personaggio” fondamentale della novella è l’asino, il Grigio. C’è un paragone che a noi viene in mente,cioè quello tra Malpelo e il Grigio. Malpelo viene trattato dagli altri come il Grigio, ma poi è addirittura lui che maltratta il Grigio e poi viene maltrattato a sua volta. Tutto quello che fa Malpelo nella cava, lo fa tal quale un asino. Tutto il resto, invece, no. La sua vita, quindi, non è solo una vita da asino. Eppure nessuno sembra accorgersi di quello che il ragazzo fa fuori dalla cava. Queste cose, il narratore regredito te le butta là come “una secchiata d’acqua gelida”: viene ritrovato il corpo di suo padre, arriva Ranocchio, Malpelo va a trovare il Grigio, va a trovare Ranocchio malato a casa di quest’ultimo, eccetera eccetera eccetera... poi lo mandano a esplorare un tunnel e da lì non torna più. Fine. Una secchiata d’acqua, apparentemente. Tutti fatti messi in fila senza un nesso logico... sempre apparentemente. Invece il narratore vuole solamente dirci come sono andate davvero le cose. Durante la novella, quindi, si alternano momenti in cui i fatti vengono presentati come “secchiate d’acqua” e momenti in cui i fatti vengono ben descritti. Il mistero attorno al nostro narratore si infittisce, perciò probabilmente per “trovare Verga”anche fuori dalle novelle dobbiamo rivolgerci un esperto... Capitolo IV Che cosa c’entra Verga con Leopardi? Uno degli esperti che abbiamo scelto è Giacomo Leopardi. Questo poeta tratta, in quasi tutte sue poesie, un tema in comune con Verga: l’ignoto. Quella in cui il nostro tema è trattato quasi esclusivamente è L’infinito. Leopardi, pur parlando dell’ignoto, non esprime un concetto uguale a quello di Verga. “Io nel pensier mi fingo”, dimostra che per lui l’ignoto è qualcosa differente da quello di Verga, perché per Leopardil’ignoto è tutto ciò che la natura nasconde ed è l’imprevedibilità della vita dell’uomo e delle sue sventure(nel caso de L’infinito si tratta del paesaggio che è nascosto dal colle), mentre per Verga l’ignoto è qualcosa che si nasconde nelle emozioni e nei sentimenti umani, come racconta nell’introduzione alla novella X:“Quella fatale tendenza verso l’ignoto che c’ènel cuore umano, e si rivela nelle grandi come nelle piccole cose, nella sete di scienza come nella curiosità del bambino, è uno dei principali caratteri dell’amore”. Questi, quando parla del mistero, dell’incognita, si sofferma molto sulle emozioni umane, invece Leopardi trova misterioso il mondo, la natura, ciò che il paesaggio nasconde, ma sembra quasi che non voglia sapere ciò che non conosce, ma voglia immaginare e naufragare nel mare dell’immaginazione (“così tra questa / immensità s’annega il pensier mio:/e il naufragar m’è dolce in questo mare”). Leopardi e Verga, inoltre,trattano di temi relativi a qualcosa di oscuro, che non conoscono. Nel caso di Verga lo si può vedere ne I Malavoglia, in Mastro-don Gesualdo e in molte novelle come Rosso Malpelo, dove il protagonista è discriminato solo per i suoi capelli rossi, e nessuno sembra tenere a lui, nemmeno sua madre. Leopardi, invece,afferma quanto sia importante per l’uomo cercare di raggiungere il piacere che, però, non si può ottenere e scrive di quanto sia inevitabile vivere imbattendosi in sofferenze.“La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia” conferma ne Lo Zibaldone. Leopardi si chiede anche cosa succederebbe se l’uomo riuscisse a raggiungere il piacere: qualsiasi persona che avrà successo in questo,non riuscirà a godersi ciò che ha ottenuto, perché la natura, più forte del volere e del desiderio umano, le procurerà sventure come malattie, invecchiamento e morte, annullandola proprio come l’ha creata e dando vita a un altro essere umano che sarà costretto a ripercorrere la stessa strada cercando di raggiungere il piacere. Leopardi getta il destino nelle mani di madre natura e le addossa la colpa delle sventure dell’uomo, invece Verga sostiene che è l’uomo che si rovina l’esistenza a causa di quel “misterioso processo” insaziabile che riguarda le emozioni umane e che costringe a innamorarsi, a lottare con tutte le forze per ottenere qualcosa che, dopo averlo conquistato, ci porta a disinteressarcene dimenticando sforzo e sacrificio fatti e affascinando sia un altro qualcosa che è più ignoto e misterioso. Lo si capisce ancora da X: “lo sguardo di quell’incognita mi aveva messo il cuore in sussulto mentre davo il braccio ad un’altra donna che un tempo aveva amato come un pazzo, e che in quel momento istesso si esponeva al più grave pericolo per me. Io maledivo l’ostinazione di cotesto affetto che mi impediva di correre dietro alla sconosciuta con tutto l’egoismo che c’è in un altro amore”. Il senso dell’attrattiva dell’amore esiste solo quando l’ignoto richiama l’attenzione dell’uomo, ma quando nell’amore subentra una forzatura,l’attrattiva cessa. Esattamente come accade a Gesualdo. Simili ma diversi: Gesualdo e ‘Ntoni Mastro-don Gesualdo è il protagonista dell’omonimo romanzo, un’opera celebre quanto I Malavoglia,romanzo a esso precedente, il quale ha come protagonista ‘Ntoni. Questi è il nipote maggiore del capostipite dei Malavoglia, famiglia di piccoli pescatori sempre assillati dalla miseria, mentre Gesualdo è un uomo che ha conquistato il denaro con le sue sole forze a partire dal più piccolo appezzamento di terra, tanto che ricorda passo per passo come ha acquistato tutte le sue terre. I due personaggi hanno molto in comune, come il fatto di chiedersi implicitamente il senso della propria esistenza, magari mentre stanno lavorando o dando una mano a chi lavora. ‘Ntoni è un ragazzo anche irresponsabile, che vuole a tutti i costi lasciare la famiglia, Gesualdo, invece, vuole arrivare tra i notabili del suo paese. ‘Ntoni e Gesualdo, inoltre, non sono accettati dalla società,perché nessuno è capace di cambiare opinione su di loro.‘Ntoni, però, ha fatto qualcosa di sbagliato, mentre Gesualdo sta solo cercando di essere considerato anche lui “nobile” dagli altri. Entrambi hanno la preoccupazione di essere accolti nella società e fanno in modo di riuscire nel loro obiettivo, ‘Ntoni facendo una serie di bravate per poi doversene andare, Gesualdo sposando una Trao. Entrambi hanno quindi lo stesso problema: l’ignoto. Gesualdo ha scalato la piramide della società, mentre ‘Ntoni ha cercato di scalare la montagna della fortuna. Entrambi, però, si chiedono (implicitamente) che senso abbia quello che hanno fatto se poi devono andarsene, o se non sono accettati ugualmente. Tuttavia, tra loro c’è una piccola differenza: mentre ‘Ntoni vive tra i pescatori e ci vivrà sempre, Gesualdo invece è vissuto tra loro solo durante la sua infanzia, perché in seguito comincerà a guadagnare per poi avere quasi tutte le terre attorno al paese. Tutti da loro si aspettano chissà cosa, ma, nel caso di ‘Ntoni, non verrà fuori altro che male (soprattutto nell’ultima parte della storia), mentre nel caso di Gesualdo, l’unica cosa che gli altri pretendono da lui è un lavoro o una certa somma di denaro. Tutti pretendono qualcosa, ma nessuno dà niente in cambio, in tutti e due i casi. Così entrambi i personaggi sembrano vittima della società di quel tempo, benché a livelli così diversi tra loro. Tuttavia secondo noi essi non sono davvero vittime, ma solo persone che non hanno trovato ancora il loro posto. ‘Ntoni, perciò, decide di partire, invece Gesualdo fa di tutto per comportarsi da nobile: manda la figlia in collegio, non bada a spese per la malattia della moglie, ospita tutti nelle sue terre durante l’epidemia di colera... ‘Ntoni scappa, Gesualdo affronta il problema:così potrebbe giudicarli un lettore distratto, ma se ci si riflette un po’più a lungo,si capisce che entrambi affrontano il problema diversamente, entrambi si rendono conto di non essere “né carne né pesce” e provano a cambiare, ad andarsene per un po’, per dimostrare di essere “o carne o pesce”. Inoltre i due protagonisti sembrano ritornare sempre sulla stessa domanda: ma io per chi ho fatto tutte queste cose? Perché ho faticato tanto se poi tanto devo essere ugualmente escluso? Tanto vale rinunciare e andarmene... Questa frase non mi è nuova... Tante volte anche noi ce lo chiediamo,vero? Capitolo VI Anche noi ci poniamo le stesse domande? Verga nelle sue opere parla di personaggi differenti tra loro, i quali hannoperò caratteristiche comuni. Spesso queste sono riscontrate anche in alcuni aspetti dell’uomo moderno. Noi, infatti, riusciamo ad immedesimarci nei suoi personaggi, perché i temi trattati da Verga sono anche temi attuali che riscontriamo ogni giorno: la curiosità verso l’ignoto, come quando si è attratti da una donna affascinante della quale però non si conosce neanche il nome; il problema del non sentirsi pienamente all’altezza di qualcosa(cosa che succede anche a Gesualdo), come quando si attraversa l’età dell’adolescenza e non ci si sente né piccoli né grandi; la domanda riguardo cosa faremo una volta realizzato il nostro obiettivo, come succedeva a ‘Ntoni; un imprevisto spiacevole che diventa un’occasione per crescere,cosa che succede a Malpelo, come quando ci capita qualcosa di sgradito che spesso ci aiuta a capire l’importanza delle persone che abbiamo al nostro fianco. Sembra quasi che Verga non abbia inventato i personaggi delle sue novelle, ma che invece abbia studiato le caratteristiche delle persone che lo circondavano e che le abbia quindi tolte dal loro contesto inserendole nei suoi racconti, nei quali evidenzia i “semplici fatti umani”. L’uomo moderno ha molte virtù, ma anche molte imperfezioni, che si possono ritrovare nei personaggi verghiani. Spesso sono proprio questi difetti a caratterizzare le storie e a lasciare un messaggio al lettore. Un esempio è La roba, nella quale si evidenzia l’ingordigia e l’avarizia dell’uomo, la prepotenza di possedere tutto e l’egoismo di non lasciarlo mai. Questa novella parla di un uomo di nome Mazzarò, il quale, ritrovandosi da un momento all’altro da povero a ricco, decide di non rinunciare a tutto quello che non ha mai avuto in passato: la roba. Egli si lega tantissimo alle sue cose materiali,al punto che queste condizionano la sua vita; è attento a non perdere niente e così facendo non riesce mai a godere della sua stessa ricchezza. A volte anche noi ci comportiamo come Mazzarò: per l’egoismo e la troppa ingordigia non riusciamo sempre a gioire di ciò che possediamo. Può succedere anche che questi due difetti non siano la causa di questo fenomeno: spesso chi non ha mai vissuto da “povero” non riesce a capire quanto sia importante quello che ha e non riesce a godere delle cose che possiede perché non se le è mai sudate col proprio lavoro e quindi non riesce ad apprezzarle. Accade che nelle vicende verghiane uno dei difetti più volte presenti sia quello di non riuscire ad esprimersi. Questo fenomeno lo notiamo soprattutto in Rosso Malpelo dove il protagonista non riesce a comunicare esplicitamente le sue emozioni, ma le dimostra solamente, spesso anche nel modo sbagliato e anche quando vuole comunicare a voce ciò che prova, usa dei giri di parole: “non ti voglio male”. Anche nel mondo moderno, noi usiamo un modo d’esprimerci che si potrebbe fraintendere facilmente. Questo succede specialmente alle persone con un carattere chiuso o una vita turbata e difficile come quella di Malpelo. Da tutto questo riusciamo a capire che l’uomo moderno non è poi così diverso dall’uomo di duecento anni fa, ovvero dalle persone alle quali Verga si è ispirato per scrivere le sue opere. Per questo sappiamo chele domande che ci facciamo oggi se le porrà anche l’uomo del futuro, come ha fatto l’uomo del passato. Conclusione Confrontando l’uomo moderno con l’uomo del passato, abbiamo dedotto che le domande che ci poniamo noi ancora oggi se le poneva anche l’uomo di duecento anni fa. Inoltre lo stile di scrittura di Verga è molto particolare ed è diverso da quello di altri autori. Si tratta di uno stile molto interessante,perché lui si nasconde tra le righe lasciando intuire al lettore i suoi pensieri e i caratteri dei personaggi descritti nelle opere. Nelle sue novelle e nei suoi romanzi Verga racconta di personaggi diversi, che però si pongono sempre domande comuni, riguardanti le emozioni umane, il senso della loro esistenza e dell’attrattiva che provano verso l’ignoto. Quindi, il tema del mistero è presente in tutte le opere di Verga, anche se a volte in modo implicito. Siamo inoltre riusciti a capire il carattere e le emozioni di questo grande autore, il quale sosteneva di poter chiarire le emozioni umane come se avessero una spiegazione scientifica, come chiarisce nella prefazione a I Malavoglia: “Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosia dell’ignoto, l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio”. “Si arriverà mai a tal perfezionamento nello studio delle passioni, che diventerà inutile il proseguire in cotesto studio dell’uomo interiore? La scienza del cuore umano, che sarà il frutto della nuova arte, svilupperà talmente e così generalmente tutte le virtù dell’immaginazione, che nell’avvenire i soli romanzi che si scriveranno saranno i fatti diversi?” (dalla prefazione a L’amante di Gramigna). Siamo in grado di rispondere alla domande di Verga? Siamo in grado di studiare, come fa lui, le passioni umane tramite un percorso scientifico? Oppure preferiamo spiegarle approfondendo i caratteri emotivi dell’uomo?