Fra mare e terra

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Fra mare e terra
Mare –Terra: l’umano “semplice” di Giovanni Verga
Introduzione
La cultura letteraria italiana, fino all’avvento del Verismo, è stata la più refrattaria a raccontare
realtà umili, semplici, i problemi della “povera gente”, degli esclusi e degli emarginati. Fino a
Giovanni Verga.
Se leggendo i suoi scritti prendessimo in esame solo l'aspetto formale e
stilistico non potremmo comprendere completamente la bellezza della narrativa che diventa
grande non solo grazie all'uso di una lingua siciliana mai dialettale, ma soprattutto ai suoi
contenuti.
Verga racconta ai suoi lettori, in modo oggettivo. impersonale, storie, ambienti di una classe
sociale mai rappresentata, appunto dalla coeva dalla letteratura ufficiale, e rimasta a lungo
nell`ombra. Storie di uomini e di donne che vivono realtà e situazioni che non possono
modificare, anzi non devono.
L'umanità che lo scrittore siciliano rappresenta non può cambiare il proprio status perché questo
significherebbe stravolgere
immodificabile,
un equilibrio che sembra essere già scritto, determinato,
forse ingiusto ma necessario poiché unico elemento che regola il sistema
generale.
Ogni storia che Verga fotografa con lucida e quasi “spietata” maestria
nasce proprio
dall'alterazione di un elemento interno a questo sistema, provocando in questo uno squilibrio
risolvibile soltanto attraverso l'eliminazione del motivo che lo ha generato e il ritorno
all'equilibrio primordiale. Il tema centrale è quindi il tentativo, inutile e dannoso, da parte dei
personaggi di modificare la loro condizione di vita, ma non possono, non devono e per questa
ragione Verga li condanna e li identifica come coloro che si lasciano andare alle futili ambizioni
e al benessere superfluo ottenendo come unico risultato la disfatta a prescindere dalla posizione
sociale o dalla forza poiché i vincitori di oggi saranno vinti di domani, vinti dalla propria avidità
o bramosia per il benessere della vita; Risparmiando, invece, coloro che si adeguano ad una
legge naturale e deterministica.
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Verga ipotizzando il “Ciclo dei Vinti” ha il mente un “grande progetto” ed esso nasce dal
tentativo di analizzare tutte le dinamiche, tutti i meccanismi che in qualche modo rappresentano
le chiavi di lettura di una realtà, solo apparentemente cartacea ossia creativa. E il motore che
sembra regolare le leggi di questo Mondo è di sicuro l'ignoranza, il pregiudizio fotografato in
modo “nudo e crudo, senza stare a cercarlo tra le linee del libro, attraverso la lente dello
scrittore” e per riuscire nel suo intento Verga si serve di modelli applicati, ovvero personaggi con
caratteristiche analoghe come il forte attaccamento alla materia, un istinto paragonabile solo a
quello animale e ad una particolare concezione della vita e della morte.
“[...] Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai
faraglioni, perché il mare non ha paese […] ed è di tutti quelli che lo stanno ad
ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Acitrezza ha un modo
tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fa tra quegli
scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico.”
Pregiudizio,
L’umanità di Verga è immobile, statica e al tempo stesso ciclico e leggendo e rileggendo ancora
ci accorgiamo che non è solo questo microcosmo ad esempio Acitrezza che ruota su se stesso per
ritornare all’origine che lo ha generato ma anche noi. E questo microcosmo appare come una
“giostra”; una giostra grottesca in cui predominano, come infatti predatori, pregiudizio ,
ignoranza e un insensato attaccamento alla roba.
Questi sono i principali elementi che accompagnano il lettore all’interno di queste opere.
Determinando in esso, e questo Verga di sicuro non l’avrebbe voluto, una sorta di scia emotiva. E
ci si ritrova gettati all’interno di questa “fiumana umana. Alla fine questa fiumana che ci
travolge, porta noi stessi a giudicare, a formulare sentenze secondo “quella interpretazione”
popolare, collettiva e “malpensante”.
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Il morboso attaccamento alla materia farà si che questo pregiudizio sia ancora più influente; il
lettore si troverà a giudicare e a formulare sentenze in modo involontario ed automatico, a
seconda della sua interpretazione del vero. Verga ci impone non solo il ritratto di una società in
pieno stile verista. ma anche il più terribile ed esatto dei ritratti umani.
Per Verga il pregiudizio, l’essere appunto malpensante, riveste un ruolo determinante nella
caratterizzazione dei suoi personaggi ed è l’elemento che ne determina l’emarginazione,
l’esclusione, l’essere “vinti”. Il giudizio del popolo è assunto come assoluto poiché accettato
collettivamente, al di là della sua veridicità. Ne stabilisce la condanna senza possibilità di
appello.
Ne è un esempio in “Rosso Malpelo” il cui protagonista a causa della sua diversità è
completamente emarginato; in questo caso il pregiudizio collettivo assume così tanta
determinazione da riuscire a condizionare anche le opinioni delle persone a lui più vicine. Citare
la parte iniziale della novella. Così come ne “l’asino di san Giuseppe” in cui basta una cattiva
annata per far cambiare completamente l’opinione sulla bestia che viene marcato come “
maledetta “ seppure fino ad allora fosse riconosciuta nel suo valore. Nonostante il misero
raccolto dipendesse dal caso e non dalle capacità fisiche dell’animale, predomina nei contadini
una credenza popolare, che diventa giudizio condiviso. La società reagisce con il pregiudizio di
fronte alla diversità e all’intimidazione, sostanzialmente a causa di un’ignoranza di fondo che
non lascia spazio alla ragione. O la povera Nedda, respinta dalla gente del villaggio e dal curato
stesso perché andò a lavorare subito il giorno dopo la morte della sua vecchia, e perché non
aveva messo il bruno; e il signor curato la sgridò forte”.
Del resto Gesualdo Motta farà muovere le voci del popolo mostrando alla perfezione lo stampo
di una società talmente tradizionalista da far tramutare questo in ignoranza. Nel corso delle sue
vicende, Gesualdo sarà schernito, schivato e giudicato dalla maggior parte della nobiltà. Il fulcro
del concetto è racchiuso nel suo appellativo, dove Mastro costituisce qualcosa di scomodo,
evidenziando le sue "mani mangiate di calcina" piuttosto che i suoi costosi abiti. Don è in
contrasto con tutto questo e non solo; Se Motta attraverso il lavoro riuscirà ad accedere ad un
alto ceto sociale, e persino a maritarsi con una nobile non verrà mai riconosciuto esternamente
come l’ abile uomo che realmente ha dimostrato di essere e quindi come Don. La società
rappresentata dallo scrittore siciliano si sente minacciata dalle ascese sociali; il sangue blu
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conferisce potere: le ricchezze possono essere sperperate mentre il sangue è una proprietà
inconfiscabile. Perciò è comodo rafforzare tali credenze alimentando il pregiudizio nei confronti
del nuovo Don, simbolo di come si possa cambiare una situazione di partenza in antitesi alla
famiglia Trao, simbolo anch’esso di un altro mutamento ma in questo caso di decadenza. Nessun
scampo per Gesualdo, fino alla morte: escluso dai “Don” ma anche dai “mastro”. (inserire la
parte finale della morte di Gesualdo). Tutto il mondo verghiano è condizionato da pregiudizio il
quale vanifica relazioni, sentimenti, valori.
-Attaccamento alla ROBA: Strettamente collegato al pregiudizio é la bramosia nei confronti di
ciò che è materiale, terreno quello che Verga emblematicamente definisce “roba”. Le polemiche
nascono in seguito ad un arricchimento personale. La premura nei confronti dei beni, come per le
terre comunali fa accrescere la fame del popolo, avvolto nello scrupolo di proteggere la propria
condizione. Ad esempio in Mastro don Gesualdo affollate descrizioni riempiono i capitoli: anche
nella desolazione di casa Trao si percepisce la ricchezza ormai perduta. Pareti lussuose, gioielli al
collo delle donne, abiti e sfarzosi banchetti nuziali costituiscono il tratto comune di una società
tradizionalista. Il primitivo verghiano non mangia solo quando ha fame ma considera tutta la
realtà degli oggetti come una possibilità o una promessa di cibo. Le creature verghiane, quasi
riprendendo Piaget, vedono il mondo come una realtà da possedere e da mangiare. quale sia il
loro livello orami raggiunto da quello economicamente più basso Janu, Jeli, oppure Mazzarò o
Gesualdo tutti sono rimasti al loro primordiale stadio iniziale. Troviamo infatti spesso verbi come
poppare, pappare, gustare i quali si riferiscono a situazioni in cui il personaggio indugia
sull’oggetto delle sue fantasie mangerecce.
ANATOMIA VERGHIANA
" Ho in mente un lavoro che mi sembra bello e grande, una specie di fantasmagoria della lotta
per la vita”
Nella lettera inviata a Salvatore Paolo Verdura, Verga parla di una “lotta per la vita” che
caratterizza tutte le sue opere veriste poiché i suoi personaggi sembrano assumere atteggiamenti
animali più che umani.
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Si parla quindi di Darwinismo sociale ovvero l'applicazione delle leggi della natura nella società
(lotta per la vita e per la morte) bellum omnia contra omnes o ancora mors tua vita mea .
Il primo aspetto che emerge dalla lettura Verghiana è la lotta per la sopravvivenza. In una società
che non guarda in faccia nessuno, i personaggi si ritrovano a lottare strenuamente per
sopravvivere
e
non
essere
schiacciati
dalla
miseria
e
dai
padroni.
Nella novella “L'asino di San Giuseppe” questo aspetto è messo perfettamente in evidenza nel
momento in cui uno dei tanti padroni del povero asino ne parla affermando
“Col cuoio suo devo rifare il mio”
oppure in “Rosso Malpelo” poiché il povero ragazzo
“ […] era addirittura crudele, e sembrava che si volesse vendicare sui deboli di tutto il male che
si immaginava gli avessero fatto”
dimostrando che questi personaggi non si preoccupano di nessuno perché il loro unico obiettivo
è quello di arrivare e di sopravvivere, non esistono solidarietà o compassione, i rapporti umani
vengono completamente accantonati. È proprio questa perdita di affetti a mostrarci come
l’animalizzazione colpisca in particolar modo gli individui collocati ai margini della società.
Questi vivendo senza alcun legame o rapporto sociale perdono del tutto l’umanità che questi
elementi dovrebbero fornirgli. Prendendo in considerazione "Rosso Malpelo" notiamo come la
madre del protagonista perda qualsiasi tipo di affezione nei suoi confronti, identificandolo
solamente come una fonte di sostentamento
"Certo era che nemmeno sua madre aveva avuta mai una carezza da lui, e quindi non gliene
faceva mai".
Ne riemerge la somiglianza con l’asino di san Giuseppe la cui madre trascura il figlio per una
mera questione fisica e perde l’esigenza di doverlo allattare, comportamento omologo a quello
della Madre di Malpelo, dal momento in cui questi perde di utilità finanziaria.Il ragazzo viene
portato dall'ambiente in cui vive ad una vera e propria restrizione mentale dove le esigenze che
vigono sono puramente essenziali e rintracciabili nella condotta degli stessi animali, Malpelo non
riesce a capacitarsi di come vi siano altri aspetti al di fuori della concretezza trasmessagli dalla
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sua famiglia e non concepisce come una madre possa piangere un figlio che mangia più di
quanto guadagna, quindi l'affetto che va oltre l'interesse dato dalla sopravvivenza.
Tutto ruota intorno al lavoro che rappresentando il mezzo per la sopravvivenza occupa un ruolo
centrale all'interno della società infatti Nedda non fa altro che preoccuparsi del brutto tempo che
non le permette di lavorare, Jeli passa le sue giornate nei campi e Malpelo nella cava, l’idea che
ne emerge è quella di una realtà ancora più cruda perché di fronte al bisogno di denaro per
sopravvivere nessuno viene risparmiato e ci ritroviamo a leggere di bambini che fin dall'infanzia
sono costretti a lavorare, sfruttati dai loro genitori.
Questi personaggi allontanati dalla comunità per esigenze economiche adottano uno stile di vita
semplice e concreto dove le preoccupazioni sono strettamente legate agli aspetti primari come il
cibo o un letto dove dormire, Vivendo come animali emergono poi le loro difficili condizioni di
vita; spesso si trovano a dormire tra pecore e puledri, su un sasso nei campi oppure
improvvisando giacigli sul pavimento. Come animali seguono solo i loro istinti, non riuscendo
ad avere una visione ampia che implichi le conseguenze delle loro azioni, non si rassegnano ma
non per speranza, dato che ne sono sempre cresciuti facendone a meno, si lasciano
semplicemente passare tutto sopra in modo passivo ed inerme, seguendo solo ciò che gli
suggerisce il corpo non provando emozioni ma solo scossoni carnali.
La riflessione gli viene indotta solo quando la loro disfatta risulta essere conclamata ed evidente.
Gran parte delle loro sensazioni o atteggiamenti sono rappresentati dal punto di vista letterario
con frequenti riferimenti e similitudini al mondo animale "tutti lo schivavano come un cane
rognoso" "mordeva come un cane arrabbiato" o "andava a rincantucciarsi come fan le bestie sue
pari" e con l'uso di aggettivi riconducibili alla sfera animalesca
"egli era davvero un brutto ceffo, torvo, ringhioso, selvatico".
In particolare ne “I Malavoglia” i personaggi portano addirittura cognomi inerenti il mondo
animale come Alfio Mosca e la Vespa perciò quando se ne parla usando solo il cognome sembra
di riferirsi all'animale ad esempio nel V capitolo si dice:
“La Vespa allora si appuntellò le mani sui fianchi, e sfoderò la lingua come un pungiglione”.
Il mondo verghiano attraverso i modelli applicati
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Per "modelli applicati" si intende la presenza di elementi ricorrenti trattati in modo puramente
oggettivo all'interno dell'opera di Verga. Vediamo come l'autore faccia uso di modelli ben definiti
che non mutano in base alle situazioni nelle quali sono calati, ne sono un esempio le
caratterizzazioni dei personaggi, molto spesso analoghe seppur presenti in circostanze diverse.
Verga ne fa un grande utilizzo per farci comprendere al meglio il mondo che lo circonda regolato
dalle leggi naturali e da un destino crudele.
Se ci cimentassimo un viaggio attraverso i suoi personaggi noteremmo subito quali sono i
caratteri che l'autore mette in evidenza a partire da Nedda, passando per Malpelo, Jeli, Mazzarò,
Zio Crocifisso, fino ad arrivare a Mastro-Don Gesualdo.
La giovane donna protagonista della novella che segna il passaggio dell'autore al verismo ci
introduce immediatamente al ruolo della morte che la perseguita per tutta la vita poiché assisterà
alla scomparsa della madre, del marito e infine della figlia assumendo un atteggiamento freddo,
distaccato e quasi grato di fronte ad un evento così doloroso che finisce per rappresentare l'unica
via d'uscita da una sofferenza ancora più grande. Importante è inoltre il ruolo del pregiudizio che
per via di una figlia illegittima porterà Nedda a vedersi voltare le spalle da tutti e a vivere nella
miseria.
Vittima dei preconcetti è anche Malpelo tant'è che il suo soprannome passa ad essere nome vero
e proprio a causa dei suoi capelli rossi, segno, secondo la credenza popolare del tempo, di una
natura malvagia; per questa ragione persino la sua famiglia non lo riterrà mai degno di affetto e
di rispetto ma lo sfrutterà e lo tratterà sempre al pari di un animale. Il povero ragazzo quindi
cresce solo, senza casa e famiglia, sentendosi accusare e adattandosi a dormire all'aperto poiché
“Era avvezzo a tutto lui, […] alle pedate, […] a vedersi ingiuriato e beffato da tutti, a dormire sui
sassi […]; anche a digiunare era avvezzo allorché il padrone lo puniva levandogli il pane o la
minestra.”
Esattamente come Malpelo, anche Jeli il pastore vive e si comporta come un animale passando
le giornate nei campi e dormendo insieme alle sue pecore. Jeli però è innamorato di una ragazza
più ricca e colta di nome Mara, e questo amore, insieme ad una forte ambizione, saranno la sua
rovina perché il tradimento di Mara lo porta ad uccidere il suo rivale.
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L'ambizione nella visione fatalistica e pessimista di Verga porta il protagonista incontro a
sofferenze peggiori oppure lo lascia deluso e amareggiato. È il caso di Mastro-Don Gesualdo che
tenta di sfuggire alla sua condizione sociale accumulando ricchezze e sposando un'aristocratica
decaduta, Bianca Trao, questo però non eviterà le maldicenze e l'ostilità degli aristocratici che
non lo vedranno mai come uno di loro e lo lasceranno solo dopo la morte della moglie.
Altro elemento importante sono i beni materiali e le ricchezze come per Mastro-Don Gesualdo
così per Zio Crocifisso e per Mazzarò; i due personaggi infatti sono molto diversi, ma legati da
un forte attaccamento alla materia. Mentre Zio Crocifisso è molto ricco, di certo non grazie alle
sue fatiche, Mazzarò per avere la sua terra ha lavorato in modo estenuante per tutta la vita ed
entrambi farebbero qualsiasi cosa per preservare e custodire i loro averi, anche se non ci
riusciranno perché Zio Crocifisso sarà sopraffatto da una donna: la Vespa sposata solo per
convenienza, quindi dalla sua stessa avidità, mentre Mazzarò perderà le sue ricchezze con la
morte e la sua ossessione viene confermata nel finale della novella “La roba” dove l'autore
descrive la sua folle reazione :
“ […] uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le
sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: - Roba mia, vientene con me!”
Le caratteristiche che ricorrono tra i personaggi verghiani quindi sono: una concezione della
morte fredda e distaccata, una vita di miseria, istinti animaleschi, l'ambizione e il forte
attaccamento alla materia.
La morte salvezza dei vinti
Tutti gli autori si sono confrontati con il tema della morte, Verga lo fa in un modo particolare
annullandone tutte le conseguenze emotive e concentrandosi esclusivamente sull'aspetto
descrittivo.
Il vero protagonista è il genere umano con tutti i suoi problemi e la morte rappresenta è in una
lettura salvifica, l' agognato riposo dalle miserie dell'animo umano. È questo il caso di Nedda,
sopravvissuta alle sue sofferenze e sollevata dalla morte di sua figlia, strappata prematuramente
ad una vita misera e piena di dolore infatti quella che è la prima novella di Verga si conclude
proprio con le parole della protagonista:
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"Oh benedetta voi, Vergine Santa! che mi avete tolto la mia creatura per non farla soffrire come
me!"
L'affermazione "il semplice fatto umano farà pensare sempre" lascia intuire i significati reconditi
di cui si veste la morte in Verga; nella gran parte dei casi avviene rapidamente, meditata e
invocata per pagine intere, ma risolta e raccontata in poche righe. Nel romanzo "I Malavoglia",
lo scrittore racconta la morte di Bastianazzo, figlio di Padron'Ntoni e padre di famiglia,
riassumendola impersonalmente in questo modo " [...] e questa fu l'ultima sua parola che si udì
[...]". La distanza fra l’autore e la sua opera offre al lettore un'ampia visione della realtà e della
miseria umana, di una realtà condizionata da un’unica ed incontrovertibile “mors tua vita mea”.
Il Semplice fatto Umano, fra Mare e Terra.
Verga in tutta la sua narrativa, in modo particolare quella di stampo verista ha offerto ai lettori
aspetti della vita come veri e propri "documenti umano", dove il respiro dello scrittore è
assolutamente assente. Non esistono nelle sue opere esempi di grandi gesta, o di grandi fatti
umani bensì “semplici”, un insieme di comportamenti solo apparentemente insignificanti,
comuni.
“Il semplice fatto umano” appunto; quel semplice fatto umano che parte da un
microcosmo che può essere Acitrezza ma che poi investe ogni singolo individuo. Poiché quelle
caratteristiche sono la chiave di lettura, la formula per comprendere, secondo il pensiero
verghiano, tutti i meccanismi che regolano il genere umano. Che nella nostra analisi abbiamo
voluto poi identificare in due elementi naturali: il mare e la terra. "Mare e Terra" rappresentano la
dualità della condizione umana alla quale l'individuo è imprescindibilmente legato e ne è
obbligato poi al suo adattamento.. E' il Mare che dà da mangiare ai Malavoglia, ma è sempre il
Mare che affonda la barca Provvidenza dei Malavoglia. Quindi il mare dà ma il mare toglie. E' la
Terra che fa guadagnare Mazzarò, ed è la Terra che lui rimpiange prima di morire quindi causa
ed effetto della sua disperazione.
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La realtà di Verga è radicata alla Sicilia, alla miseria della Sicilia di fine 800, quella raccontata
attraverso l’inchiesta Franchetti-Sonnino.
La visione che dà Verga della società è quella di una fiumana umana in continuo movimento i
cui componenti vivono ciecamente le proprie vite regolate da una parte dal Mare e dall'altra dalla
Terra. Dove ogni loro gesto, ogni loro movimento, è un “semplice fatto umano che farà pensare
sempre”.
Gloria Abbondati
Classe IV G Indirizzo linguistico
Giuseppe De Cusatis
Classe IV G Indirizzo linguistico
Sara Iannuzzi
Classe IV G Indirizzo linguistico
Giada Tullio
Classe IV G Indirizzo linguistico
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