La cucina è milanese e il fascino nell`altrove
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La cucina è milanese e il fascino nell`altrove
viaggicibobenesseredesignmodasport DOLCEVITA DOLCEVITA PER DIVENTARE GENTILUOMINI ESSERE GENTILI È UN BUON INIZIO di Valentina Della Seta In un manuale, con tanto di Manifesto in dieci punti, le regole del perfetto Chap: eleganza (solo tweed, per carità), baffi, buone maniere. E ovviamente ironia a qualcosa di ingenuo e divertente il libro fotografico How to be Chap di Gustav Temple (Gestalten, pp. 272, euro 35): a sfogliarlo dopo una qualsiasi gallery di uomini best-dressed su internet sembra un Manuale delle Giovani Marmotte dedicato all’eleganza maschile. Gustav Temple, inglese, è un esperto del dandysmo contemporaneo. Dal 1999 dirige un bimestrale intitolato proprio The Chap, nomignolo che definisce un certo tipo di gentiluomo britannico che, nei confusi e sfilacciati tempi moderni, non rinuncerebbe mai a completi di tweed, scarpe prodotte nel Northamptonshire, cappello, baffi e tabacco da pipa. Il Chap non ha intenzione di fare i conti con i pantaloni corti degli hipster, H 66 . IL VENERDÌ . 26 AGOSTO 2016 le giacche slim-fit, le pellicce di Kanye West, le barbette curatissime dei calciatori, nuove muse coatte degli stilisti. Ma il Chap sembra non voler dare nemmeno troppo credito a Quadrophenia, il film del 1979 di Frank Roddam che celebrava i Mods, giovani del sottoproletariato che ascoltavano musica nera e si vestivano con eleganza ossessiva anche per andare a fare le risse con le bande rivali sul lungomare di Brighton. C’è da dire però che anche il Chap, come IN HOW TO BE CHAP (GESTALTEN, IN ALTO A SINISTRA LA COPERTINA) DI GUSTAV TEMPLE TRUMAN CAPOTE (A DESTRA) È CONSIDERATO MAESTRO DI STILE. (NELLE ALTRE FOTO, ESEMPI DI CHAP DAL LIBRO) i ragazzi che ancora oggi partecipano ai raduni dei Mods a bordo di Vespe e Lambrette d’epoca, in fondo ama vivere mascherato, in una sorta di bolla nostalgica in cui la società ha regole diverse e ben codificate. Non a caso GustavTemple ha stilato un Manifesto in 10 punti in cui prescrive, tra le altre cose, che non si deve indossare altro che tweed, è imperativo fumare, bisogna mostrarsi gentili con tutti, abituarsi a salutare chiunque, anche i passanti, sollevando il cappello («È da qui che inizia la vera rivoluzione» scrive Temple), mai e poi mai allacciare il bottone in basso della giacca, farsi crescere i baffi e non la barba. Il Chap crede di discendere dagli antichi cavalieri ma non è classista come si potrebbe pensare. Considera Lord Brummel, il primo dandy della storia, uno spartiacque tra i tempi in cui l’eleganza si trasmetteva solo per diritto di nascita e quelli in cui, almeno in parte, si poteva iniziare a praticare come scelta borghese: «Nel 1820 Beau Brummel definì le nuove linee guida per lo stile maschile» racconta Temple. «Da allora, con gradi diversi di eccentricità, alcuni individui hanno giocato col concetto di gentiluomo inglese, spogliandolo dei suoi connotati di classe e trasformandolo in un archetipo a cui chiunque può ispirarsi». Tra i modelli più moderni del Chap ci sono scrittori americani come Edgar Allan Poe («ha introdotto il bacillo byroniano nella letteratura americana»), Francis Scott Fitzgerald, Truman Capote, William Burroughs. E poi, tornando in Gran Bretagna, Ian Fleming, il padre dell’elegantissimo James Bond. Tra i contemporanei Temple ama particolarmente gli artisti Gilbert & George: «Eccentrico duo che, perversamente, indossa completi identici in tweed fin dagli anni Sessanta e che da anni cena sempre nello stesso ristorante turco nel quartiere di Stoke Newington a Londra». Quello dei Chap è un mondo tutto sommato tranquillo, educato. Temple raccomanda, a chiunque aspiri a una vita da gentiluomo, di ricordarsi sempre di cedere il posto alle signore sull’autobus. Forse lo dicevano anche Qui, Quo e Qua. MANGIA E BEVI GIANNI E PAOLA MURA La cucina è milanese e il fascino nell’altrove: bontà e umanità fuoriporta mili e appassionati, così dobbiamo essere nel lavoro». Lo dice Emanuela Cipolla, da 25 anni patronne del Garghet. È il verso delle rane, in milanese. Ed è un gradevole locale fuori porta, aperto solo a cena con l’eccezione della domenica. Nei secoli è stato gendarmeria, abitazione del campée (l’uomo che badava alle risaie), fornace, balera per mondine e bellimbusti (finché ci sono state risaie e mondine) e poi tutto abbandonato. Di passione Emanuela al Garghet ne ha messa tanta. Nel risistemare, piantare un giardino con alberi, fiori, un pergolato di glicine, nell’arredare le sale, che qualcuno descrive come provenzali. Ci può stare, noi diciamo che è netta la sensazione di un altrove. Certo, siamo nella periferia sud di Milano, basta un km di strada che si restringe tra i fossi e i campi di granturco ed è campagna, e la cucina è milanese, il menù scritto a mano in dialetto, ma il fascino è nell’altrove, nello stacco. Potremmo essere fuori Parigi, o fuori Madrid. Un pianoforte discreto, un alto numero di coperti (può arrivare a 200) che non influisce negativamente sulla cucina, un servizio giovane e in gamba e l’umiltà (noi diremmo umanità) di Emanuela. Sorride solo quando il cliente è soddisfatto, soffre se qualcosa va storto. Figlia di una brava cuoca (Maria Bontà, che bel cognome) tiene in carta due cotolette alla milanese: una classica, di vitello con l’osso, una enorme di lonza. «Come quella che preparava la mamma la domenica, quando andavamo all’Idroscalo, il mare dei poveri. Poi la tagliava in 4, in 5 a seconda di quanti eravamo».Scusi, come si chiama lo chef? «Lo chef non c’è. In cucina ho una squadra di dieci persone, c’è anche mio figlio Davide, e si decide e lavora tutti insieme. Credo molto nel lavoro di gruppo». Che qui funziona. Segnaliamo: frittura vegetale, salumi con giardiniera, mondeghili, risotti e riso al salto, trippa, rognone trifolato, rostisciada, faraona ripiena. AL GARGHET Disponibili piatti per celiaci via Selvanesco 36, Milano; e vegani. Dolci di casa, tradizionali: mascarpone, zabaglione. Ma anche INFO: tel. 02-534698; CHIUSO lunedì; FERIE: dal 16 al 23 variazioni sul cioccolato, clafoutis agosto e dalla sera di Natale al al melone, cremino di yogurt. 2 gennaio; CARTE DI CREDITO: Ricarichi corretti nella carta dei vini, tutte tranne Dc; COSTO: antipasti 12/16 euro; primi che andrebbe un po’ rimpolpata 12/15; secondi 12/26; dolci 7/8 sulla Lombardia. «U Nico Speranza, veronese, si è avvicinato al mondo del vino da esploratore, con l’assistenza dell’enologo Matteo Lupi. Vittorini è il cognome di nonno Domenico, azienda agricola sulle colline fermane. Siamo a Monsampietro Morico: 2,5 ettari di vigna a 340 metri d’altitudine. Le varietà: Sangiovese, Montepulciano, Pecorino e Incrocio Bruni (Verdicchio più Sauvignon). Tra i vitigni rossi compaiono anche Petit Verdot LA BOTTIGLIA e Marselan (incrocio di Cabernet Sauvignon e Grenache). Non è BIANCO molto diffuso (sud della Francia, CROCIFISSO 2014 California) ma pare stia interessanVittorini do molto ai cinesi. Il Marche rosso Monsampietro è composto all’80% da MontepulMorico (Fermo) ciano, con Petit Verdot e Marselan a saldo. Il Marche bianco non ha una formula fissa, codificata. Dipende dall’andamento stagionale. Nico appartiene alla Fivi (Federazione italiana vignaioli indipendenti), utilizza fonti energetiche alternative, come la geotermia e il solare, in vigna usa solo rame e zolfo e tiene molto alla pulizia e alla sincerità dei suoi vini. Questo 2014 nasce al 50% da Sangiovese vinificato in bianco e al 50% da Pecorino appassito in fruttaio per 20 giorni. Un bravo a Nico per l’approccio insieme rispettoso e fantasioso, con risultati ricchi di personalità. È un bianco da amatori, con un sottile fascino esotico. Al palato, ricco di sfumature, ha succo e sostanza. A Bologna da Eno Futura, a Siena da Wein Vino Wine sui 12 euro. Un bianco alternativo che rispetta l’ambiente IIDULCIS IN FUNDO I STORIA DEL TIRAMISÙ TRA NAVI E BORDELLI In molti Paesi del mondo il tiramisù è chiamato tiramisù. Come per pizza e cappuccino, nessun bisogno di tradurre. Se questo dolce è diventato un classico indiscutibile, si può discutere sulle sue origini, non lontanissime: tra il 1938 e il 1970, stando alle ricerche di Clara e Gigi Padovani, autori di Tiramisù. Sottotitolo: Storia, curiosità, interpretazioni del dolce italiano più amato (Giunti, 159 pagine, 18 euro). Chi l’ha pensato e per primo preparato? Non si sa. Le attribuzioni ballano da una nave in attesa di un Savoia a un bordello di Treviso, da un albergo di Treviso a uno di Tolmezzo. Oltre alle versioni tradizionali, 23 ricette d’autore. 26 AGOSTO 2016 . IL VENERDÌ . 67