La disciplina della letteratura comparata tra Otto e Novecento

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La disciplina della letteratura comparata tra Otto e Novecento
Prof. Riccardo Concetti
Letterature Comparate
Perugia, 14/03/2008
La disciplina della letteratura comparata tra Otto e Novecento.
Scuola francese vs. scuola americana
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Verso il volgere del XIX secolo, gli studiosi di letteratura ritennero di dover procedere a
conferire alla letteratura comparata lo statuto di una vera e propria disciplina, su imitazione
delle scienze biologiche comparate formatesi nella prima metà del XIX secolo (si citano
l’anatomia compata di George Cuvier, la fisiologia comparata di Blainville, la embriologia
comparata di Coste).
La prima teorizzazione della letteratura comparata si ha dunque in ambito positivista.
 Joseph Texte (1865-1900) che fondò la prima cattedra di letteratura comparata istituita in
Francia, a Lyon nel 1896, afferma infatti che: «la comparazione è il metodo
indispensabile a tutti quelli che pensano, con Taine, che l’opera letteraria sia un prodotto
dell’ambiente, del momento, della razza, così come quelli che cercano di cogliere quello
che c’è, in ogni opera, di personale e, in ogni letteratura, di originale».
 In ossequio a tali principi, agli studi di letteratura comparata, Texte attribuisce i seguenti
campi di studio:
a) dà definizioni solide delle «idee di razza, nazionalità, patria», delle «condizioni
generali di sviluppo delle letterature (clima, istituzioni, lingua ecc.)»;
b) approfondisce «tutti i monumenti, scritti o orali, dell’attività letteraria dei popoli, che
non siano delle vere e proprie opere d’arte: racconti, leggende, narrazioni anonime»;
c) studia i «monumenti propriamente letterari», proponendosi «di ricercare l’influenza
di una data opera su un’altra scritta in una lingua differente» per poter ricostruire, a
partire da tali «studi così rigorosi» più ampie tendenze di evoluzione letteraria;
d) espone «complessivamente lo sviluppo simultaneo di tutte le letterature».
Per capire meglio l’orizzonte di pensiero nel quale la letteratura comparata si muove tra la
fine del XIX e l’inizio del XX secolo, e i metodi (o strumenti) di ricerca impiegati,
dobbiamo concentrarci sul punto c e sul concetto di influenza.
 Per influenza (o influsso) si intendeva una analogia tra fenomeni letterari (temi,
procedimenti formali, movimenti, correnti) di aree linguistiche diverse, motivata da un
contatto documentabile fra i due creatori.
 La ricerca comparativa si concentrava dunque:
a) a reperire le fonti attestabili di un dato fenomeno letterario;
b) a definire che tipo di fortuna un/a certo/a autore/autrice aveva avuto in determinati
periodi e aree linguistiche;
c) a individuare i cosiddetti intermediari, ossia «un terzo solidale» che potesse venir
considerato responsabile del contatto: il traduttore, il critico, il direttore di teatro, la
rivista, ecc.
 Questo atteggiamento risultò in una disciplina dedita all’accumulazione di innumerevoli
dati di ordine biografico, sociologico, bibliografico o aneddotico. La somma di
conoscenze acquisite da questo tipo di ricerche non era considerata come bisognosa di
comprensione o interpretazione perché per il positivismo le circostanze della vita e
dell’opera dei poeti erano dati di fatto la cui comprensibilità non era posta in questione.
Contemporaneamente alla formulazione di questi principi si fanno sentire le prime critiche.
Fondamentale e anticipatrice fu la presa di posizione di Benedetto Croce (1866-1952), il
quale, nel suo famoso intervento La “letteratura comparata” del 1903 (nota il
virgolettato!):
 puntualizza che questa disciplina non può identificarsi con l’applicazione del metodo
comparativo, che non è affatto specifico della letteratura comparata;
 sconfessa la pretesa di studiare le opere letterarie, tracciando la storia dei temi e dei
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motivi che le formano o evidenziando gli influssi provenienti da altri ambiti linguistici,
perché così non si riesce a cogliere «il momento creativo, che è quello che davvero
importa alla storia letteraria e artistica»;
 Profetica fu la chiusa del suo breve testo, in Croce porge la mano agli «studiosi del
Nuovo mondo», affinché facciano uscire gli europei «dai polverosi gabinetti in cui la
letteratura perde la freschezza».
E infatti il ripensamento della disciplina viene proprio dall’America. Nella seconda metà del
Novecento, la storiografia comparatistica entra in una vera e propria crisi. L’occasione è data
dal secondo congresso dell'Associazione Internazionale di letteratura comparata
(AILC/ICLA), tenutosi a Chapell Hill dall’8 al 12 setttembre 1958.
Nel suo intervento dal titolo The Crisis of Comparative Literature René Wellek (uno dei
tanti studiosi europei accolti dalle facoltà americane):
 critica «i vecchi punti fermi degli studiosi del XIX secolo, la loro ingenua fede nelle
accumulazioni di fatti», ossia il loro factualism
 riprendendo gli argomenti di Croce, ma anche fortemente influenzato dallo
strutturalismo della Scuola di Praga, affermò che allo studio letterario vero e proprio non
interessano i fatti, bensì i valori e le qualità.
 finisce con il dichiarare lo dissolvimento della letteratura comparata come disciplina a sé
stante, la quale viene ricondotta alla teoria generale della letteratura:
“La critica […] non può essere separata dalla storia, poiché non esistono in
letteratura fatti neutrali. […] Le opere di letteratura sono monumenti e non
documenti. Esse sono immediatamente accessibili a noi oggi; ci sfidano a ricercare
una comprensione nella quale possono figurare la conoscenza dell’ambiente storico o
del posto occupato in una tradizione letteraria, ma non in modo esclusivo o
esauriente. Le tre branche principali dello studio letterario – storia, teoria e critica –
sono legate reciprocamente […]. La letteratura comparata può fiorire solo se si
scrollerà di dosso i limiti artificiali per divenire semplicemente studio della
letteratura.”
Di fronte a questa dichiarazione di “morte della disciplina” (Spivak) – che avrebbe portato i
comparatisti a polarizzarsi in due campi, scuola francese, storica, e americana, critica – si
sono levate voci che, pur concedendo a Wellek il merito di aver individuato correttamente
sottolineano:
 il reale bisogno di un approccio trasversale e «relazionale» alla letteratura, dunque
comparato, affinché essa venga studiata al di là dei confini nazionali e nei suoi rapporti
con le altre aree della conoscenza e della cultura in generale.
Tre paradigmi comparativi novecenteschi
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Non potendo esporre tutte le posizioni teoriche che si sono prodotte dopo Wellek, ci
concentriamo su tre modalità novecentesche che costituiscono un ripensamento del concetto
ottocentesco di influsso: quella di somiglianza tipologica (o analogia), di ricezione e di
intertestualità.
Il concetto di somiglianza tipologica o analogia è stato elaborato principalmente ad opera
della comparatistica esteuropea, in particolar modo da Viktor Žirmunskij (1891-1971)
principale comparatista sovietico, e dallo slovacco Dionýs Ďurišin (1929-1997). In
opposizione alla pratica della comparatistica di “scuola” francese e adottando la prospettiva
marxista, questi due studiosi affermano che per analizzare e capire le somiglianze tra due o
più opere (o correnti, periodi letterari ecc.) bisogna chiarire quali fossero le situazioni socioeconomiche e culturali vigenti nelle epoche e nei paesi in cui i fenomeni studiati si sono
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presentati. In questo senso si parla di somiglianze tipologiche (opposte alle genetiche).
La estetica della ricezione elaborata da Wolfgang Iser e, in particolar modo, da Hans Robert
Jauß della cosiddetta scuola di Costanza pone in primo piano la prospettiva del lettore come
fattore decisivo nel processo di interpretazione di un testo letterario. Jauß mostra che le
norme estetiche che caratterizzano l’orizzonte di attesa del pubblico cambiano nel tempo.
L’orizzonte di attesa è composto da:
1) fattori letterari come le esperienze del lettore con un certo autore o un genere
letterario;
2) fattori extraletterari come le esperienze di un lettore con l’ideologia, la religione ecc.
Questa prospettiva implica che la letteratura comparata implica, nell’esaminare il significato
della ripresa (ricezione) di un certo motivo, tema o forma letteraria (p.es. del Medioevo) ad
opera di uno o più autori in un periodo storico successivo (p. es. di inizio Novecento), si
renda conto del mutamento dell’orizzonte d’attesa compreso nello scarto temporale che
divide l’opera recepita da quella più recente.
La nascita del termine intertestualità è da ricondurre al movimento della nouvelle critique
(fine anni ’60), in particolare alla particolare tendenza dello strutturalismo che è passato
sotto il nome di semiotica. Fondamentali sono state le teorie sul dialogismo del linguista
russo Michail M. Bachtin (1895-1975). Il dialogismo consiste nella convinzione che, in un
medesimo discorso letterario (per esempio in complesso narrativo come quello del
romanzo), coesistano diverse voci, opinioni o ideologiche, organizzati in modo che un testo
non si configuri come un monologo del suo autore, ma come un dialogo implicito tra diversi
punti di vista. Tale dialogismo è una proprietà riscontrabile già nel linguaggio comune,
prima ancora che in quello letterario: non ci sono enunciati isolati dagli altri enunciati e
quale che sia l’oggetto della parole, tale oggetto è sempre già stato detto; e non si può
evitare l’incontro con i discorsi tenuti precedentemente su tale oggetto.
Partendo da Bachtin la psicanalista e critica francese Julia Kristeva conia il termine
intertestualità, che si riferisce alla convinzione che in ogni testo letterario sia riscontrabile la
memoria degli altri testi della tradizione in cui un termine, un procedimento formale, un
tema ecc. ha già trovato impiegato. Questa presenza, nel testo, della letteratura della
tradizione è intesa come una proprietà della parole, non dunque come una conseguenza di
contatti o di somiglianze tipologiche o di circostanze della ricezione. Ne consegue che, in
virtù della molteplicità del segno letterario, così motivata, l’opera si trasforma in un labirinto
di senso, generato dalla intersezione degli elementi costitutivi del testo con una serie
illimitata di codici culturali, linguistici e letterari. Al critico spetta di proporre un dei tanti
possibili percorsi di attraversamento di questo labirinto.