Lezione del 27 ottobre 2008

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Lezione del 27 ottobre 2008
Prof. Riccardo Concetti
Letterature Comparate
Perugia, 27/10/2008
Noi e gli altri, ovvero l’imagologia
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Il breve panorama storico sulla letteratura comparata ci ha portato a riconoscere che questa
disciplina, sebbene non possa vantare né un metodo specifico (la comparazione), né un
argomento che le sia proprio (la letteratura mondiale è infatti oggetto della storia della
letteratura in generale), è tuttavia caratterizzata da interessi e atteggiamenti che la
contraddistinguono, cfr. lezione precedente. Uno di questi è sicuramente quello di
approfondire l’incontro con lo straniero, con l’altro (spesso scritto Altro) per conoscere
meglio se stessi.
La letteratura, con vie tutte sue, ci porta infatti a conoscere luoghi e tempi, paesi e genti che
non appartengono alla nostra quotidianità di lettori, dando un suo specifico contributo
all’atto culturale di «immaginare altri paesi, formulare giudizi sui loro abitanti, confrontare
sé e i propri connazionali con gli altri, gli stranieri» (Moll).
La forma di letteratura comparata particolarmente interessata a questo tipo di
approfondimenti viene detta imagologia. Essa ha come compito: “lo studio delle immagini
(fr. images), dei pregiudizi, dei cliché, degli stereotipi e in generale delle opinioni sugli altri
popoli e culture che la letteratura trasmentte, partendo dalla convinzione che queste image
[...] hanno un’importanza che va al di là del puro dato letterario” (Moll).
Se approcci imagologici sono riscontrabili anche nella critica ottocentesca (per altro ancora
fortemente legata all’eredità positivista e alla concezione deterministica che affidava, come
per via di una legge di natura, alle singole culture caratteri nazionali) è solo con gli anni ’50
che, in Francia, l’imagologia viene proposta come un compito della letteratura comparata.
Marius-François Guyard, autore di un’introduzione alla letteratura comparata dal titolo La
littérature comparée (1951), intitola l’ottavo capitolo del suo lavoro “L’étranger tel qu’on le
voit” (“Lo straniero così come lo vediamo).
 Guyard osserva che, se è pur vero che «una nazione non si lascia ridurre all’unità», è un
fatto che «ogni uomo, ogni gruppo, ogni paese si faccia degli altri popoli un’immagine
semplificata, nella quale sussistono solo alcuni tratti, talvolta essenziali all’originali,
talvolta a momenti accidentali.» La letteratura comparata, allora, invece di perdere
tempo dietro a «influenze spesso imponderabili» e «analogie fortuite» dovrebbe
continuare a sviluppare un metodo per «descrivere esattamente l’immagine o le
immagini di un paese in circolayione in un altro, in una data epoca».
 Guyard, da parte sua, faceva leva sull’opera del maestro Jean-Marie Carré, il quale
aveva affermato l’esigenza che l’immaginario di un paese, circolante nella letteratura di
un altro, dovesse essere sottoposto a una critica che mirasse a distinguere fra images
(immagini confacenti ai dati di fatto) e mirages (miraggi, distorsioni). Questa prospettiva
rifletteva la situazione politica di un’Europa che usciva da due guerre e, nel saggio di
Carré Gli scrittori francesi e il miraggio tedesco (1947), veniva applicata in particolar
modo alle relazioni fra Francia e Germania; nella Francia dell’Ottocento si sarebbe
infatti idealizzato la Germania come una sorta di repubblica delle lettere e della libertà
artistica, senza vedere che il paese confinante già si armava per diventare una potenza
militare aggressiva e belligerante.
Collocata nello scrontro, tutto eurocentrico, fra i nazionalismi avversi, la neonata imagologia
di Carré e Guyard fu osteggiata da Wellek, che non le riconosceva alcuna utilità ai fini dello
studio letterario (teoria, storia e critica), tacciandola di essere una sorta di sociologia
letteraria, più ultile a sociologi e antropologi che non a critici letterari:“una specie di
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tematologia, un tipo di ricerca consacrata a finalità sociologiche, politiche ecc.”
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Se la proposta sembrò dapprima soccombere nelle vicende dell’opposizione di una
cosiddetta scuola francese opposta a quella americana, dalla metà degli anni Sessanta in poi
Hugo Dyserinck riprese, seppur in maniera critica, la proposta di Guytard-Carré, fondando
una scuola critica detta “di Aquisgrana” (dal nome dell’università tedesca in cui fu attivo).
L’operazione di rivalutazione dell’imagologia richiese una rifondazione teorica. Due sono
dunque i prerequisiti indinspensabili, per Dyserinck, a una nuova imagologia:
 una vera sovranazionalità: descrivere i fenomeni letterari internazionali senza il fine
implicito di far meglio valere la propria cultura di appartenenza
 una necessaria neutralità culturale, che comportava un radicale superamento della
prospettiva di Carré, che distingueva fra images e mirages.
Per la scuola di Aquisgrana non è importante infatti mostrare se le strutture imagotipiche
che costituiscono un testo letterario sono o non sono corrispondenti ai dati di fatto rilevati
dalle scienze storiche. La critica letteraria ne deve invece studiare la genesi a partire non
dalla realtà oggettiva, ma dalla finzione (letteraria), perché le images (che non si distinguono
più dai mirages) non sono create dalla realtà oggettiva, ma sono risultati di una visione del
monto, in ultima analisi, di una ideologia. «L’interesse maggiore che anima queste ricerche
imagoligiche è di risalire al valore ideologico e politico che certi aspetti di un’opera
letteraria possono avere in quanto esse condensano per lo più le idee che l’autore condivide
con l’ambiente sociale e culturale in cui vive.» (Moll)
Lo studio del nesso fra letteratura, cultura e ideologia è stato anche oggetto delle riflessioni
dell’ispanista e comparatista francese Daniel-Henri Pageaux, attivo alla Sorbonne. Nel
capitolo dedicato all’imagologia del suo volume del 1994, La littérature générale et
comparée, Pageaux propone un metodo di ricerca imagologica che può risultare
particolarmente utile, e che si articola in tre momenti o livelli di analisi.
 Primo livello di analisi imagologica: la parola.
■ L’elemento primo, costitutivo dell’image, è da riconoscere in un insieme più o meno
largo di parole che, in una certa epoca e in un’area culturale, permettono la
diffusione più o meno immediata di una image dell’altro.
■ Si tratta di una rete lessicale comune (almeno in parte) allo scrittore e al suo
pubblico.
■ L’analisi imagologica si pone l’obiettivo di identificare queste parole, di ricostruire i
campi semantici, rilevare le parole non tradotte che circolano nei testi, ecc.
■ Pageaux propone dunque una analisi lessicale che deve essere attenta alla ripetizione,
al computo di certe occorrenze lessicali, agli indicatori di tempo, di luogo, alla scelta
dei nomi propri, all’aggettivazione.
■ Si tratta dunque di ricostruire un certo dizionario di immagini a cui corrispondono
concezioni politiche, religiose, scientifiche, ossia la sovrastruttura ideologica.
■ Queste parole-chiave svolgono il ruolo di permettere la differenziazione fra noi e
altri o di suggerire un’assimilazione.
■ Pageaux riconosce che isolare così le parole, le rende leggibili come stereotipi.
 Secondo livello di analisi imagologica: relazione gerarchizzata.
■ L’obiettivo di questo secondo momento è quello di identificare le grandi opposizioni
che strutturano il testo imagotipico.
■ In primo luogo ci si riferirà al quadro spaziale. Lo spazio letterario non è mai
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continuo, ma solcato da fessure e fratture. Le domande da porsi sono: come viene
organizzato lo spazio straniero, p. es. rispetto alle localizzazioni polari: nord vs. sud,
città vs. campagna, lontano vs. vicino)? Qual è il rapporto fra personaggi e spazio?
Qual è il rapporto fra spazio geografico e spazio psichico?
■ La stessa indagine va rivolta alle strutture temporali. Il tempo è lineare o ciclico,
mitico o storico?
■ In terzo luogo bisogna guardare a se i meccanismi di attribuzione di alterità e identità
sono riconoscibili attraverso il sistema dei personaggi.
Terzo livello di analisi imagologica:l’image come scénario:
■ Bisogna confrontare i risultati dell’analisi lessicale e strutturale con le informazioni
forniteci dalla storia. Si tratta di recuperare la dimensione ermeneutica.
■ Così, si osserverà come le parole e le strutture riescano a costruire uno scenario.
■ La presenza di uno scenario culturale dell’alterità in un dato sistema serve per
l’autodefinizione, per la discussione sulla propria identità. Allo stesso modo, è a
livello degli scenari che si può avere dialogo fra le culture.
■ Questo scambio può avvenire secondo le modalità della mania (la realtà straniera è
considerata superiore; la propria è invece disprezzata); la fobia (la realtà straniera è
considerata inferiore); la filia (ambedue gli ambiti sono visti in maniera positiva: è
solo su questo piano che si può verificare uno scambio reale).
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