IMP Barry Goldwater - Casa editrice Le Lettere
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IMP Barry Goldwater - Casa editrice Le Lettere
ANTONIO DONNO BARRY GOLDWATER Valori americani e lotta al comunismo Le Lettere PREMESSA La gran parte dei commentatori del tempo giudicarono le elezioni presidenziali americane del 1964 esclusivamente sotto un duplice aspetto: lo shock provocato dall’assassinio di John F. Kennedy e la schiacciante vittoria del suo erede, Lyndon B. Johnson, con il progetto della Great Society. Pochi valutarono la portata della candidatura del Repubblicano Barry M. Goldwater. Solo molti anni più tardi, con il trionfo di Ronald Reagan, si cominciò a riflettere sulle radici di quella vittoria e si capì che il successo di Reagan veniva da lontano, da quel 1964, in cui un coraggioso senatore dell’Arizona osò sfidare prima l’apparato del Partito Repubblicano e poi il dominio liberal del Partito Democratico, erede della tradizione del New Deal di Franklin D. Roosevelt. Qual era la novità che Goldwater rappresentava? Quale fu il suo lascito, nonostante la pesante sconfitta? Per il Partito Repubblicano la nomination di Goldwater fu una rivoluzione. Il West entrava prepotentemente nei gangli del Grand Old Party, fino ad allora dominato da due correnti principali: l’apparato del Nord-East, rappresentato da Nelson Rockefeller, troppo spesso incline ad accodarsi alle politiche liberal del Partito Democratico per puro opportunismo, ed il Midwest isolazionista, il cui alfiere era Robert A. Taft, personaggio carismatico ma ondeggiante rispetto alle scelte dell’Amministrazione Truman in politica estera. Le istanze delle regioni dell’Ovest e del Sud-Ovest erano ignorate dalla leadership del Partito Repubblicano. Goldwater le fece proprie e le proiettò nella politica nazionale attraverso il GOP. Di conseguenza, sul piano nazionale il Partito Repubblicano acquisì una nuova identità, che si manifestò con la candidatura di Goldwater ma che, anche dopo la sconfitta elettorale, non andò dispersa ma continuò a vivere sottotraccia fino alla vittoria di Ronald Reagan nelle elezioni del 1980. Questa identità è il conservatorismo, i cui connotati sono descritti in questo volume attraverso la ricostruzione della vicenda elettorale di Goldwater e l’analisi del suo pensiero. Ecco perché le elezioni presidenziali del 1964 devono es- 10 BARRY GOLDWATER sere considerate un vero e proprio turning point nella storia del Partito Repubblicano e, considerati gli sviluppi successivi, dell’intera storia degli Stati Uniti, almeno nel secondo dopoguerra. Il volume è diviso in tre capitoli. Nel primo si analizza la tradizione della Old Right americana, antimilitarista, isolazionista, antistatalista, aspramente anti-New Deal, che rappresenta il presupposto politico ed ideologico della vicenda di Goldwater, ma da cui il senatore dell’Arizona si distaccò chiaramente, in particolare sul tema delle relazioni internazionali degli Stati Uniti, che avrebbero dovuto caratterizzarsi per un contrasto attivo e senza compromessi nei confronti del comunismo. Il containment dei liberals era improduttivo, anzi controproducente, e moralmente inaccettabile. Nel secondo capitolo si ricostruisce sinteticamente la carriera politica di Goldwater lungo gli anni delle Amministrazioni di Eisenhower, sino all’evento che segnò la sua ascesa al rango di uomo politico di livello nazionale: la pubblicazione, nel 1960, di The Conscience of a Conservative, libro che ebbe un successo editoriale senza precedenti, perché raccolse e rappresentò i sentimenti conservatori di un’America silente, la “seconda America”. Quattro anni più tardi, questa America silente si raccolse intorno a Goldwater in una sfida impossibile, ma alla lunga vittoriosa: una coalizione eterogenea, prodotto della fusione delle varie anime del fronte anti-newdealista in nome dell’anti-statalismo e perciò dell’anti-comunismo. Nel terzo capitolo si analizza appunto il pensiero di Goldwater espresso in The Conscience e nel successivo Why Not Victory?, pubblicato nel 1962, il secondo manifesto politico del senatore dell’Arizona sui temi delle relazioni internazionali degli Stati Uniti, della Guerra Fredda e della lotta contro il comunismo: due manifesti che, in sostanza, segnarono la nascita di una New Right conservatrice, come nuova identità del Partito Repubblicano e soprattutto come nuovo soggetto politico nella storia degli Stati Uniti. Università del Salento, agosto 2007 A.D. 1. Le origini della Old Right americana In un libro del 1948 la giornalista liberal inglese Barbara Ward, una delle penne più influenti dell’«Economist» e collaboratrice della BBC, scriveva: «Il concetto di “pianificazione” è decisamente impopolare in America, ed ancor più impopolare l’ha reso la condotta della Russia e dei governi dell’Europa Orientale in questi ultimi due anni. Ben pochi, d’altronde, sono i popoli in grado di affrontare il problema di conseguire “un alto e costante livello d’investimenti” senza apportare modificazioni al sistema della libera iniziativa privata. L’intervento dello Stato non va considerato una sorta di maledizione così come lo si considerava dieci anni fa, e qualche provvedimento dovrebbe essere preso, se si delineassero dei perturbamenti»1. La cautela concettuale della Ward non poteva nascondere la sostanza del suo discorso: le economie occidentali avevano bisogno dell’intervento dello Stato e le politiche del New Deal ne erano l’esperimento più convincente. Tuttavia, la Ward non poteva negare, nella prima parte del suo passaggio, che l’interventismo statale fosse ormai sotto accusa: e ciò assai più negli Stati Uniti che nell’Europa Occidentale. Questo è, in sostanza, uno dei punti di partenza della critica revisionistica americana che si sviluppò già durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale e nei primi anni del dopoguerra. Si tratta di un revisionismo che proveniva dalle file dei conservatori americani antinewdealisti che accusavano Roosevelt di aver tradito l’America sia sul piano delle iniziative di politica economica sia su quello della politica estera. Il New Deal, per costoro, era stato un vero e proprio tradimento della “filosofia pubblica” americana (per usare un’espressione di Walter Lippmann), radicata nella tradizione politica liberale del paese, e l’ingresso degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale, per di più a fianco del detestato comunismo sovietico, aveva costituito uno stravolgimento dello stesso ethos nazionale americano. 1 BARBARA WARD, Estrema difesa dell’Occidente, Milano, Garzanti, 1950, p. 181 (I ed. americana, 1948). 14 BARRY GOLDWATER Queste accuse produrranno una polemica durissima, infuocata, che, protraendosi per qualche anno, contribuirà in modo decisivo alla sconfitta dei Democratici nelle elezioni del 1952 ed al ritorno dei Repubblicani al potere dopo più di vent’anni di “dittatura democratica” di Roosevelt. Per comprendere l’origine del revisionismo americano di matrice conservatrice, il primo vero revisionismo degli anni post-bellici, occorre risalire agli anni ’30, il “decennio rosso” – come lo ebbe a definire il giornalista americano Eugene Lyons – che aveva lasciato strascichi importanti nella vita politica e sociale americana agli inizi degli anni ’40: «Tra i liberals, gli scrittori, gli artisti, i professori – il cosiddetto fronte degli intellettuali – l’influenza stalinista è ancora efficace [...]. Il mito della “Russia socialista” e della sua “vita felice” persiste»2. Il “decennio rosso” fu, per gli Stati Uniti, il decennio dello statalismo, cioè di tutta la legislazione del New Deal indirizzata ad assicurare la presenza dello Stato in quel campo della vita pubblica, l’economia, che fino ad allora era stato pertinenza esclusiva dell’iniziativa privata, secondo il modello del laissez-faire capitalism. Lo “Stato pianificatore” come “mente razionale superiore”, per parafrasare il centro del discorso di Frederick von Hayek in The CounterRevolution of Science del 19523, tendeva a porre gli individui al riparo da se stessi, sottraendo loro quell’ingombrante fardello di libertà che il liberalismo americano delle origini aveva loro affidato. Risolto il problema dell’individualismo, secondo i contestatori del New Deal, gli Stati Uniti si erano posti sulla scia dell’esempio dell’Unione Sovietica, instaurando una sorta di totalitarismo collettivista strisciante e per via democratica, dominato dallo Stalin americano, Franklin Delano Roosevelt. Gli anni ’30, il “decennio rosso” americano, avevano rappresentato l’inizio della fine delle libertà americane; e l’ingresso degli Stati Uniti al fianco dell’Unione Sovietica nella Seconda Guerra Mondiale il suggello di un’affinità di progetto sociale e politico che preannunciava la collettivizzazione del mondo e perciò la fine della cultura occidentale fondata sull’individualismo. Queste era2 EUGENE LYONS, The Red Decade, New Rochelle, N.Y., Arlington House, 1970 (1941), p. 397. 3 Cfr. FRIEDRICH A. VON HAYEK, The Counter-Revolution of Science: Studies on the Abuse of Reason, New York, The Free Press, 1952, in particolare il capitolo “The Collectivism of the Scientistic Approach”. LA OLD RIGHT AMERICANA E L’OPPOSIZIONE AL NEW DEAL 15 no le valutazioni di base su cui si svilupparono le argomentazioni dei primi revisionisti americani già durante gli anni del secondo conflitto e poi, ancor più, durante gli ultimi anni ’40 e gli anni ’50. Albert J. Nock, il grande libertarian americano ed esponente di punta della Old Right, nel suo celebre libro del 1935, Our Enemy, the State, sintetizzava brillantemente, anche se amaramente, il nocciolo della questione. Egli definiva il New Deal e la sua classe dirigente nel modo seguente: «[Il governo] è nominalmente repubblicano, ma in realtà monocratico. [...] Il governo personale non è esercitato da noi come in Italia, Russia o Germania. [...] Ma un governo personale è pur sempre un governo personale. [...] La pressione della centralizzazione ha teso con forza a ridurre ogni dipendente ed ogni più piccolo aspirante politico in un agente venale e compiacente della burocrazia federale. [...] Un terzo indicatore consiste nel trasformare la povertà e l’indigenza in un dato politico permanente»4. In sostanza, per Nock, il segno più evidente della deriva americana dal mainstream della sua tradizione politica liberale delle origini era costituito dalla crescente, pervasiva politicizzazione della vita pubblica e, conseguentemente, dalla perdita di autonomia dell’individuo e dal suo dipendere dalle decisioni politiche centralizzate. Come ha opportunamente affermato Sheldon Richman, «il loro comune spauracchio [degli old rightists] era il potere. La concentrazione del potere annullava l’individuo autonomo, la burocrazia fuori controllo era una piovra assassina, che strangolava nelle sue spire ciò che aveva reso vitale l’America»5. Uno dei più importanti discepoli del pensiero nockiano, Frank Chodorov, così commentò il significato del New Deal per la vita di milioni di americani spogliati della loro individualità: «L’idea del Welfare State si radica profondamente nel comune desiderio di avere la manna dal cielo»6. Il New Deal fu contestato radicalmente da settori del mondo politico ed intellettuale americano che si richiamavano ai valori originari del liberalismo ameri- 4 ALBERT J. NOCK, Our Enemy, the State, San Francisco, CA, Fox & Wilkes, 1994 (1935), pp. 6-7. 5 SHELDON RICHMAN, The New Deal Nemesis: The “Old Right” Jeffersonians, in «The Independent Review», I, 2, Fall 1996, p. 204. 6 FRANK CHODOROV, Warfare versus Welfare, in «Human Events», January 10, 1951, ora in ID., Fugitive Essays: Selected Writings of Frank Chodorov, a cura di Charles H. Hamilton, Indianapolis, IN, Liberty Press, 1980, p. 367. 16 BARRY GOLDWATER cano; tale contestazione si fece ancor più forte nel momento in cui i new dealers – ritenendosi i veri interpreti della filosofia liberale americana, arricchita e nobilitata da un nuovo ruolo dello Stato in favore delle fasce più deboli della popolazione ed al fine di smussare gli aspetti più ingrati del rugged capitalism del laissez-faire – si auto-definirono liberals, sottraendo ai sostenitori del liberalismo classico – grazie alla loro progressiva egemonia, non priva di aspetti di spiccia liquidazione degli avversari, soprattutto nei media americani – un appellativo che spettava di diritto a questi ultimi. È opportuno capire, ora, che cos’era la Old Right americana, perché ciò è indispensabile ai fini di una corretta individuazione delle origini del movimento anti-statalista che si oppose al New Deal, condannandone la deriva anti-americana e ponendo le basi di ciò che sarà, negli anni successivi, il conservatorismo americano anti-liberal, che produsse una critica revisionistica della politica interna ed estera di Roosevelt e poi di Truman. Il libertarianism, per usare il termine preferito da Rothbard per connotare la Old Right, rappresentò l’anima della politica di Jefferson e di Jackson e fu dominante negli Stati Uniti fino agli inizi del Novecento, quando il movimento progressista cominciò a gettare le basi del Welfare, cioè di una visione statalistica che rappresentava una novità per il liberalismo americano delle origini. Ma fu con i primi anni ’30 che si verificò «il catastrofico Grande Balzo in Avanti verso il collettivismo acclamato come New Deal»7, al quale si oppose una coalizione che, sulla scorta della lezione di H.L. Mencken e soprattutto di Albert J. Nock, tentò di rivitalizzare il pensiero libertarian ed individualista che traeva origine dallo “spirito del ’76”. Politicamente, i sostenitori del New Deal si identificarono con il Partito Democratico, che da quel momento cambiò completamente pelle ergendosi a paladino del Welfare, mentre i libertarians si raccolsero, anche se senza grande entusiasmo, intorno al Partito Repubblicano. I libertarians si opposero strenuamente all’entrata in guerra degli Stati Uniti, condannarono senza mezzi termini lo statalismo liberal e più tardi, come si è detto, l’impegno americano nella Guerra Fredda, la coscrizione obbligatoria, gli 7 MURRAY N. ROTHBARD, The Life and Death of the Old Right, in “The RothbardRockwell Report”, September 1990, http://www.lewrockwell.com/rothbard/rothbard25.html. LA OLD RIGHT AMERICANA E L’OPPOSIZIONE AL NEW DEAL 17 aiuti all’estero, ribadendo i principi del libero mercato, del gold standard, della proprietà privata contro ogni ingerenza dello Stato. Come ha affermato Rothbard, «la Old Right era socialmente conservatrice, rappresentava la classe media, apprezzava la gente che lavorava per migliorare la propria condizione e che pagava gli stipendi ai propri dipendenti, cioè il sale della terra»8, amava la pace, la libertà individuale e la libera competizione economica. Prima di essere definito conservatore, comunque, questo movimento poteva essere indifferentemente definito individualista, vero liberale o di destra. 2. La Old Right e il problema della guerra Con la Guerra Fredda, come si vedrà meglio in seguito, la Old Right entrò in crisi. Mentre gli isolazionisti (Flynn, Chodorov, Rothbard) continuavano ad opporsi ad ogni intervento americano all’estero e consideravano l’espansionismo sovietico come scarsamente influente sul benessere e sulle libertà americane, una parte sempre più cospicua del conservatorismo anti-liberal cominciò a propugnare una politica anti-comunista a tutto campo, condannando i cedimenti, i “tradimenti” liberal nei confronti del totalitarismo comunista perpetrati dalla leadership rooseveltiana e trumaniana. E, mentre il revisionismo della Old Right isolazionista condivideva con gli interventisti la condanna senza appello della “resa” liberal a Mosca, questi ultimi, al contrario, si servivano delle armi del revisionismo critico per invocare un impegno massiccio degli Stati Uniti nell’arena internazionale per contrastare e ricacciare indietro l’espansionismo comunista. Queste posizioni produssero un’ampia pubblicistica conservatrice che dette filo da torcere ai liberals, contribuendo a determinarne la sconfitta nelle elezioni presidenziali del 1952. Ma, secondo Rothbard, la Guerra Fredda e la percezione del pericolo del comunismo a livello globale segnarono la fine della Old Right. Rothbard sosteneva che invocare un impegno massiccio degli Stati Uniti nella Guerra Fredda non avrebbe fatto altro che rafforzare ciò che più di ogni altra cosa i conservatori detestavano, lo statalismo, poiché il globalismo anti-comunista americano avreb- 8 Ibid. 18 BARRY GOLDWATER be per forza di cose amplificato i poteri dello Stato. Tuttavia, il pericolo comunista alla fine della guerra non poteva essere sottovalutato; i conservatori si divisero sul problema della politica estera americana, non senza qualche screzio. Un esempio del mutamento di valutazione in seno al mondo conservatore fu rappresentato dalla rivista «Human Events». Nata nel 1944 come voce della Old Right americana isolazionista ed anti-militarista, ad opera di Felix Morley, Frank Hanighen e William Henry Chamberlin, la rivista esordì con un editoriale in cui si affermava che sarebbe stato pericoloso «[...] se la resa incondizionata dei nostri nemici d’oggi [avesse trovato] gli Stati Uniti implicati in impegni militari in ogni parte del mondo non autorizzati, imprevedibili ed illimitati»9. La rivista si batté anche contro l’ingresso degli Stati Uniti nell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ma, con l’inizio della Guerra Fredda e con la constatazione del pericolo rappresentato dall’espansionismo sovietico, soprattutto Chamberlin impresse un nuovo corso alla rivista, sottolineando la sottovalutazione operata in precedenza del pericolo globale del comunismo e la necessità di rivedere le tradizionali posizioni isolazioniste alla luce degli eventi10. In tutta questa revisione all’interno della Old Right americana ebbe un’influenza decisiva la pubblicazione, nel 1944, di The Road to Serfdom di Friedrich von Hayek, in cui l’autore analizzava, tra l’altro, la capacità espansiva dell’ideologia statalista in tutte le sue varie forme. In definitiva, come ben ha scritto Selig Adler, «l’ovvio desiderio sovietico di cacciare l’America fuori dall’Europa e dall’Asia pose gli isolazionisti sulla difensiva. Benché essi fossero vigorosamente anti-russi, si trovarono involontariamente ad opporsi alle misure volte a contrastare la diffusione del comunismo»11; neppure la loro dichiarata volontà di combattere il comunismo all’interno contribuì a toglierli dall’imbarazzante posizione assunta di fronte all’opinione pubblica. 9 FELIX MORLEY, WILLIAM H. CHAMBERLIN, FRANK C. HANIGHEN, Human Events: A Statement of Policy, in «Human Events», March 1, 1944, poi in FRANK C. HANIGHEN and FELIX MORLEY, eds., A Year of Human Events: A Weekly Analysis for the American Citizen, vol. I, Washington, D.C., Human Events, 1945, p. XI. 10 Cfr. WILLIAM H. CHAMBERLIN, The Course of Soviet Expansion, in «Human Events», February 6, 1946 e Shifting American Alignments, in «Human Events», May 22, 1946. 11 SELIG ADLER, The Isolationist Impulse: Its Twentieth Century Reaction, New York, Collier Books, 1957, p. 353. LA OLD RIGHT AMERICANA E L’OPPOSIZIONE AL NEW DEAL 19 Tornando al discorso di partenza, il conservatorismo americano rappresentò almeno tre anime dello schieramento anti-newdealista: il conservatorismo tradizionalista, il liberalismo classico ed un settore che si è definito libertarian e che incarnò i valori della Old Right americana, cioè il liberalismo, l’isolazionismo e l’anti-militarismo. Il termine “conservatore” fu dai primi accettato ben volentieri, perché erano effettivamente conservatori, mentre fu subìto dalle altre due sezioni, se è vero, come è vero, che Chodorov vi si ribellò con queste parole: «Chiunque mi chiami conservatore prenderà un pugno sul naso».12 Ma, alla fine, il termine “conservatorismo” finì per connotare quella parte politica. Il collante fu l’anti-statalismo senza compromessi e perciò un’opposizione intransigente alle politiche del New Deal, considerato radicalmente un-American. Da quest’area della vita politica ed intellettuale americana provenne, tra gli anni ’30 e gli anni ’50, un revisionismo a tutto campo che si accentuò negli anni di Eisenhower, quando l’esperienza rooseveltiana, la Seconda Guerra Mondiale e l’alleanza con l’Unione Sovietica erano in qualche modo alle spalle, ma oggetto ora di una messa a fuoco spietata da parte del revisionismo conservatore; per di più, la gestione della Guerra Fredda da parte dei liberals di Truman era considerata un cedimento continuo alla prepotenza sovietica e un tradimento dei valori della libertà rappresentati dagli Stati Uniti: era il risultato indecente del relativismo morale ed intellettuale liberal che aveva infettato l’America fin dal “decennio rosso” di Roosevelt e del suo brain trust compromesso con l’idea perversa del collettivismo para-sovietico. Così, il primo revisionismo americano del secondo dopoguerra prese le mosse proprio dalla critica, profonda e assoluta, per quanto minoritaria in ragione dell’egemonia rooseveltiana, che si sviluppò già dai primi passi del New Deal. Fu lo stesso Herbert Hoover, il perdente nelle elezioni del 1932, a proporre in The Challenge to Liberty, del 1934, un’interpretazione della politica statalista di Roosevelt come un pericolo per le tradizionali libertà americane, per i valori fondanti la nazione americana espressi nella Dichiarazione d’Indipendenza e nel Bill of Rights della Costituzione. L’individualismo americano, fondamento della “filosofia pubblica” del paese, era minacciato da una con- 12 Cit. in MURRAY N. ROTHBARD, Frank Chodorov: RIP, in «Left and Right», III, 1, Winter 1967, http://www.libertarianstudies.org/journals/lar/pdfs/3_1/3_1_1.pdf. 20 BARRY GOLDWATER tro-cultura collettivista, illiberale e perciò intrinsecamente un-American13. Concetti che Hoover aveva anticipato in un discorso durante la campagna presidenziale del 1932: «[Le proposte di Roosevelt] rappresentano, nel loro spirito, un radicale distacco dai fondamenti di 150 anni, che hanno reso la nostra nazione la più grande del mondo»14. Era il campanello d’allarme per il mondo conservatore americano, quel mondo che si poneva come argine contro il collettivismo, primo passo verso il totalitarismo, come conservazione delle libertà americane, del capitalismo e della “sovranità dell’individuo”, cioè i valori americani originari. Nel 1935, come si è detto, appariva Our Enemy, the State, di Albert J. Nock, un classico della Old Right americana, liberale, libertarian, individualista. Il libro di Nock rappresenterà, nei decenni successivi, la stella polare del movimento conservatore, con la sua denuncia dello Stato come nemico mortale del cittadino e della politica come longa manus dello Stato e della sua onnivora burocrazia. Tuttavia, sarebbe inesatto parlare di una vera e propria storiografia revisionistica di stampo conservatore. Si trattò, come sarà evidente, di una vasta pubblicistica politica diretta a contestare radicalmente la “filosofia” del New Deal (lo statalismo) ed insieme le iniziative di politica estera di Roosevelt: il suo riconoscimento ufficiale dell’Unione Sovietica, la successiva alleanza con il totalitarismo comunista per sconfiggere il nazismo, fino al momento del più palese “tradimento” dei valori americani: la cedevolezza liberal nei confronti delle pressanti e ricattatorie richieste dello “Zio Joe” (Stalin), verso il quale Roosevelt aveva, secondo i conservatori, una grande ammirazione, sfruttata abilmente da Stalin. Così, i primi anni della Guerra Fredda avevano visto la resa liberal di fronte alla sovietizzazione dell’Europa orientale ed alla dolorosissima “perdita della Cina”. La pubblicistica revisionista conservatrice, che si sviluppò in un ampio arco di tempo (dagli anni ’30 sino alla fine degli anni ’50), pre- 13 Cfr. HERBERT HOOVER, The Challenge to Liberty, New York, Charles Scribner’s Sons, 1934. 14 Discorso tenuto da Hoover al Madison Square Garden di New York, October 31, 1932, ora In JOSEPH BOSKIN, ed., Opposition Politics: The Anti-New Deal Tradition, Beverly Hills, CA, The Glencoe Press, 1968, p. 43. Concetti che, molti anni dopo, furono replicati da Taft in un discorso radiofonico dell’8 gennaio 1948, a contestazione della politica di Truman, giudicata in continuità con quella di Roosevelt. Cfr. BOSKIN, Opposition Politics, cit., pp. 61-66. LA OLD RIGHT AMERICANA E L’OPPOSIZIONE AL NEW DEAL 21 se le mosse, perciò, non dalla valutazione della politica estera rooseveltiana in sé e per sé, ma dai fondamenti “filosofici” che avevano ispirato tutta la politica di Roosevelt, cioè dallo statalismo, considerato del tutto estraneo alla tradizione politica americana ed anzi fondamentalmente un-American, statalismo che, a causa delle inevitabili conseguenze culturali ad esso connesse, aveva quindi portato a quella sostanziale affinità di vedute con il ben più aggressivo statalismo sovietico, verso il quale molti collaboratori di Roosevelt avevano mostrato, per tutti gli anni ’30, una considerazione particolare. Ma all’interno del conservatorismo anti-rooseveltiano non tutti la pensavano allo stesso modo a proposito della guerra. Se tutti erano d’accordo nel condannare le politiche di Roosevelt, un vasto settore della Old Right si distingueva per il suo rifiuto assoluto della guerra. La guerra rappresentava un passo ulteriore verso il dominio dello Stato sulla società, distruggeva il pacifico rapporto economico tra gli individui della stessa nazione e tra le nazioni, poneva le basi di un controllo autoritario dall’alto sulla libera competizione economica, finiva per controllare il mercato e quindi le libertà individuali: «La guerra, pensavano, in qualunque caso scaturisce dal controllo operato dallo Stato: dell’economia, della libertà personale, della stampa, cioè le cose che non devono essere toccate se si vuole che la dignità e la libertà dell’individuo sia preservata»15. Inoltre, l’alleanza degli Stati Uniti con il comunismo sovietico (l’antitesi assoluta delle libertà americane) era così ripugnante per i conservatori americani della Old Right che il loro disprezzo per Roosevelt e i suoi arroganti consiglieri divenne totale. A ciò si aggiungeva il particolare trattamento che i liberals riservavano agli oppositori della guerra, definiti “fascisti”, “reazionari”, “anti-semiti”, “seguaci di Goebbels”. Di conseguenza, com’era ovvio, «prima e durante la guerra, i comunisti [americani] erano arcicontenti di trovarsi nel loro nuovo ruolo di superpatrioti americani e proclamavano che “il comunismo [era] l’americanismo del XX secolo”»16. L’isolazionismo, dunque, rinasceva e si consolidava sulla base di due eventi traumatici per gli Stati Uniti: lo statalismo newdealista, che appariva essere proclive ad accettare le fi- 15 RICHMAN, New Deal Nemesis, cit., p. 205. 16 MURRAY N. ROTHBARD, The Foreign Policy of the Old Right, in «Journal of Libertarian Studies», II, 1, 1978, p. 86. INDICE GENERALE Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. I. LA OLD RIGHT AMERICANA E L’OPPOSIZIONE AL NEW DEAL 1. Le origini della Old Right americana . . . . . . . . 2. La Old Right e il problema della guerra . . . . . . . 3. L’isolazionismo della Old Right . . . . . . . . . . . . . 4. Frank Chodorov e la questione anti-comunista . . 5. L’attacco a Roosevelt: Garet Garrett . . . . . . . . . . 6. L’attacco a Roosevelt: John T. Flynn . . . . . . . . . . 7. La resa di Roosevelt a Stalin . . . . . . . . . . . . . . . . 8. La Old Right si spacca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 » » » » » » » » 13 17 23 29 33 40 44 47 II. BARRY M. GOLDWATER: IL CONSERVATORIMO AMERICANO DIVENTA MOVIMENTO POLITICO . . . . . . . . » 57 III. LE IDEE DI BARRY M. GOLDWATER 1. The Conscience of a Conservative: la rinascita del conservatorismo americano . . . . . . . . . . . . . . 2. La controversia Goldwater-Fulbright . . . . . . . . . 3. Il manifesto politico di Goldwater . . . . . . . . . . . 4. Il ruolo degli Stati Uniti nelle relazioni internazionali: Goldwater si contrappone alla Old Right di Taft . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » » 77 85 94 » 103 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 111 Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 123