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Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
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RASSEGNA STAMPA
MARTEDÌ 8 MARZO 2011
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Rassegna Stampa del giorno 8 Marzo 2011
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UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
“
ogni uomo deve scegliere
se AMARE o CONOSCERE
una donna!
”
( Ninon dè Lenclòs)
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Bulgari è francese,
controllo a Louis Vuitton
Per la maison romana 4,3 miliardi da Lvmh. Exploit del titolo in Borsa: +59,42%
PARIGI — Bulgari è il nuovo gioiello sulla corona di Bernard Arnault, patron di Lvmh (Louis Vuitton
Moët Hennessy) e re del lusso mondiale. Dopo mesi di trattative con Arnault stesso e soprattutto con
Toni Belloni (il manager italiano numero due del gruppo), i cugini Paolo e Nicola Bulgari e il loro nipote Francesco Trapani (amministratore delegato) nel fine settimana hanno raggiunto l’accordo, approvato domenica sera dai rispettivi consigli di amministrazione. Lvmh emetterà 16,5 milioni di azioni
in concambio dei 152,5 milioni di azioni Bulgari attualmente detenute dalla famiglia. Lvmh promuoverà poi un'Opa, al prezzo di 12,25 euro per azione sulle quote degli azionisti di minoranza: per il gigante francese, che da circa dieci anni non nascondeva il suo interesse, il prezzo complessivo dell'operazione ammonta a 4,3 miliardi di euro. «Bulgari era uno degli ultimi marchi disponibili sul mercato a
godere di una simile notorietà, era importante che si unisse a noi piuttosto che a un concorrente» , ha
detto ieri Bernard Arnault a Le Monde, confermando implicitamente la battaglia silenziosa in corso
con il gruppo svizzero Richemont che già detiene il marchio Cartier. Per Bulgari si tratta del coronamento della forte risalita del 2010, dopo avere perso 47 milioni nel 2009. L’anno scorso il gioielliere
romano, che presenterà i risultati tra pochi giorni, ha migliorato il suo giro d’affari del 15,4%, superando il miliardo di euro. E associando Bulgari ai marchi Tag Heuer, Chaumet, Zenith, Hublot, Fred,
Vuitton e Dior, Lvmh raddoppia la dimensione del suo impegno nel settore orologeria e gioielleria e
può quindi concorrere da pari a pari con Cartier e Tiffany. «Se riusciremo a raggiungere gli obiettivi di
sviluppo che ci siamo fissati, il prezzo pagato si dimostrerà un ottimo investimento» , dice Arnault. I
francesi assicurano che non fermeranno alcuna linea di produzione di Bulgari, che a sua volta attenuerà
la dipendenza da Swatch per le forniture. Trapani resterà amministratore delegato «nel breve periodo»
, per entrare poi nel comitato esecutivo di Lvmh e assumere, nell’ultima parte del 2011, la direzione di
tutte le attività di orologeria e gioielleria. Toni Belloni, protagonista dell’affare per Lvmh, ha sottolineato che si tratta della più grande operazione in venti anni di acquisizioni. I cugini Bulgari e Trapani
diventeranno il secondo azionista familiare del gruppo Lvmh, dopo Arnault. In Borsa il titolo Bulgari è
volato fino a guadagnare il 59,42%a 12,10 euro. Lvmh domina le cronache dal 23 ottobre scorso,
quando il gruppo annunciò di essere entrato «con intenzioni non ostili» nel capitale di Hermès, fino a
detenerne poi più del 20%. L’operazione Bulgari ha un valore anche nell’ottica della scalata a Hermès.
Arnault vuole dimostrare che è in grado di trattare su basi amichevoli con grandi marchi a struttura
familiare, senza snaturare il prodotto e senza sconvolgere la struttura di comando. Per questo ieri il capo di Lvmh ha voluto sottolineare che «con la famiglia Bulgari ci siamo immediatamente capiti e abbiamo raggiunto molto presto un’intesa sul modo di lavorare insieme» . La speranza è che anche gli
eredi del sellaio Thierry Hermès si lascino, alla fine, convincere.
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Fendi e Bottega Veneta,
passione made in Italy
per Arnault pigliatutto
PARIGI — A Bernard Arnault non dispiacciono i matrimoni con gli italiani: prima di Bulgari ci sono
stati Fendi, Emilio Pucci, StefanoBi, Acqua di Parma, e le nozze della figlia Delphine con Alessandro
Vallarino Gancia, erede della famiglia dello spumante. Era il 2005 e alla cerimonia allo Château
d’Yquem — proprietà di famiglia — parteciparono tra gli altri Nicolas Sarkozy e l’allora première
dame Bernadette Chirac. L’abito da sposa, costato 700 ore di lavoro all’atelier Dior, venne disegnato
da un John Galliano lontano dai deliri antisemiti e dal licenziamento. Fu— tra centinaia di invitati e
una spesa stimata in cinque milioni di euro — la consacrazione di un uomo che stava diventando il più
ricco di Francia e d’Europa (Forbes 2010) e che 15 anni prima si era sposato, lui, davanti a cinque persone. Ma tra il 62enne Arnault e l’Italia non c’è solo complicità: nella storia dell’imprenditore pigliatutto del lusso mondiale resta la macchia per lui insopportabile della sconfitta su Gucci, nel 2000. Dopo lunghi mesi di battaglia finanziaria e legale, il controllo del marchio guidato da Domenico De Sole
andò al bretone François Pinault. Fu l’inizio di una delle più resistenti rivalità dell’economia mondiale,
fatta di continue acquisizioni di marchi, e di commenti acidi su quanto l’altro avesse pagato, ogni volta, un prezzo spropositato. Pinault ha messo a segno un punto importante nella battaglia dell’italofilia
trasferendo la sua collezione di arte contemporanea a Venezia, dopo avere invano cercato di ristrutturare le vecchie officine Renault di Boulogne Billancourt. Arnault sta rispondendo con la Fondation Vuitton affidata alla grande archi-star Frank Gehry: una «nuvola di vetro» in costruzione al Bois de Boulogne ma bloccata dalle proteste dei residenti parigini. Dovessero avere la meglio questi ultimi, anche
Arnault potrebbe percorrere la via italiana per custodire la sua grande collezione di Picasso, Rothko,
Basquiat, Koons, Murakami. Quando Bernard Arnault lasciò la Francia per gli Stati Uniti, dopo
l’ascesa al potere di François Mitterrand nel 1981 e la prima temuta ondata di nazionalizzazioni, gli
americani non troppo fantasiosi lo chiamavano «Tin Tin» : cercava fortuna nel settore immobiliare, ma
non era quella la strada. Tornato in Europa, nel giro di vent’anni il suo soprannome è cambiato in
«L’angelo sterminatore» , secondo la fortunata e leggermente iperbolica definizione del giornalista del
Nouvel Observateur Airy Routier, che gli ha dedicato uno dei rari libri-inchiesta. «La sua ossessione è
colpire per primo— dice Routier — . Cominciò grazie ai quaranta milioni del padre, ma con la determinazione del provinciale di Roubaix che deve farsi valere a Parigi. Ha il terrore di subire le mosse
dell’avversario. Allora attacca, ogni volta che è possibile» . Per tutta la vita Arnault ha cercato di anticipare i colpi del nemico. Da qualche tempo a preoccuparlo sono gli svizzeri di Richemont, che con
Cartier e Montblanc rappresentano il secondo gruppo del lusso al mondo dietro la sua Lvmh. Corre
voce che Richemont provi ad avvicinarsi alla famiglia Hermès? Arnault rastrella le azioni e sale improvvisamente al 20%dell’azienda fondata nel 1837 dal sellaio Thierry. Il patron di Richemont, Johann
Rupert, smentisce ogni interesse? Non importa, Arnault prende il controllo di Bulgari, il maggiore
concorrente di Cartier. E all’orizzonte, da anni ormai, c’è Armani, ennesima preda italiana.
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Maria Silvia SSaacccchhii
«Volevamo un polo italiano
ma nessuno ci ha risposto»
Trapani: «Un patto per restare fino al 2013»
MILANO — «Ho provato in tutti i modi: eravamo quotati e tra le aziende più grandi, e ho proposto alla stragrande maggioranza dei bei nomi italiani della moda e del lusso di studiare delle alleanze. Ho
anche proposto di non avere noi il controllo e la gestione. Ma la risposta è sempre stata negativa. Tutti
hanno preferito tenere il controllo anche a costo, magari, di avere dei problemi» . È il giorno
dell’annuncio della cessione di Bulgari al gruppo francese Lvmh di Bernard Arnault. Un’altra azienda
italiana che se ne va in quello che ha tutta l’aria di essere uno scontro tra capitali europei e capitali nel
medio e dell’estremo Oriente (a differenza di quanto avvenne nel periodo delle acquisizioni a cavallo
del 2000) su un settore, il lusso, in cui l’Italia ha creato marchi mondiali. Ma Francesco Trapani, azionista e amministratore delegato di Bulgari, dà una lettura diversa, soprattutto quando gli si ricordano le
numerose affermazioni su «Bulgari non è in vendita» . «Noi non abbiamo venduto, non abbiamo preso
un euro. Anzi proprio oggi (ieri, nda) abbiamo acquistato una montagna di titoli, investendo circa 14
milioni di euro in azioni Bulgari da conferire a Lvmh — ribatte Trapani— . Abbiamo fatto una
partnership. Penso che il lusso darà tante soddisfazioni nel futuro, ma le grandi opportunità verranno
da Paesi come la Russia, la Cina, il Brasile, il Medio Oriente... Saranno business molto grandi ma geograficamente molto dispersi, dominati da grandi gruppi che hanno grande dimensione e, di conseguenza, grande finanza e organizzazione. Ho cercato a lungo soluzioni italiane, ma senza risultato — ripete
— . E neanche le istituzioni si sono occupate di forzare i migliori imprenditori a mettersi insieme per
rivaleggiare con gli altri. Per questo non c’era altra strada» . L’«altra strada» è stata, appunto, cedere il
controllo di Bulgari al gigante francese Lvmh in cambio del 3,5%del suo capitale. «È vero, l’azienda
non è più nelle mani della mia famiglia. Ma preferisco partecipare a progetti più grandi e globali che
creeranno valore» . Certo, quel premio del 60%riconosciuto da Arnault sul valore dei titoli Bulgari ha
portato alla decisione finale; anche nei confronti di altri competitor di cui a lungo si è parlato, la Ppr di
François-Henri Pinault, la Richemont della famiglia Rupert, la Swatch della famiglia Hayek. Si dice
che fossero diverse le offerte sul tavolo. «Sono 27 anni che faccio l’amministratore delegato e conosco
tutti, mi sono confrontato con tutti» , si limita a rispondere Trapani. Prezzo cui non si può dire di no,
ragioni di mercato, ma anche motivi di famiglia. I Bulgari hanno un accordo per non cedere completamente le azioni prima dell’inizio del 2013 (l’eventuale cessione dovrà avvenire per gradi a partire da
una certa data). «Non escludo di poter crescere» , dice Trapani. Ma diversa potrebbe essere la situazione degli zii e maggiori azionisti della società romana, Paolo e Nicola. La famiglia è composita e vede
insieme la quarta generazione di Paolo e Nicola, rispettivamente 73 e 70 anni, e la quinta di Francesco
Trapani, 53 anni (grafico in pagina). Negli ultimi anni sono state ricorrenti le voci di una vendita proprio per questioni legate alla famiglia. «La nostra — dice l’amministratore delegato— è una famiglia
unita ma composta da persone con età molto diverse e che, dopo me e i miei zii, non hanno il desiderio
di fare gli imprenditori. Tutte condizioni che ci hanno spinto a cambiare il profilo dell’attività imprenditoriale» .
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Gli affari dei professionisti
Il network che serve alla carriera
Da Linkedin a Viadeo, come cambia la rete per avvocati e ingegneri
A i professionisti italiani piacciono da matti i social network. Ed è un fiorire di iniziative. Solo per rifarci a un episodio recente Bni, un network presente in 50 Paesi, ha stupito gli industriali milanesi
riempiendo la sala grande della sede Assolombarda (circa 300 persone) per il suo evento annuale. Linkedin intanto macina contatti e iscritti, Viadeo e Xing inseguono e non si contano i network specializzati per professione (chiamati «verticali» ). Oltre a Legal. it per gli avvocati, Ingforum per gli ingegneri, Inarcommunity per architetti e ingegneri assieme, l’internazionale Architizer, Sermo per i medici e
via di questo passo. Ma cosa spinge tutti a cercare contatti via Internet e a intessere rapporti online con
i propri colleghi? Si sta affermando un nuovo modo di interpretare le gloriose professioni liberali? I
sociologi più attenti, come Ivana Pais dell’università di Brescia, li stanno studiando. Sostengono di
trovarsi davanti a qualcosa di nuovo. Non si tratta di un movimento vecchio stile perché la dimensione
collettiva appare lontana e non è rivolto contro un «nemico» , c’è sicuramente voglia di fare comunità
anche se in maniera sui generis (e non legata al territorio), non trova campo l’idea di rappresentanza
almeno per come l’abbiamo intesa finora. Ordini e associazioni rimangono molto sullo sfondo, in
qualche caso trapela nei loro confronti una polemica esplicita ma senza pathos. I professionisti di Linkedin, Viadeo, Xing preferiscono muoversi lungo altri binari. E le stazioni si chiamano Mercato, Mobilità, Aggiornamento e Socializzazione. Perché esplode proprio adesso la voglia di networking? Per
un insieme di cause, viene da rispondere. Si parte da una condizione di invisibilità sociale che pesa, si
incrocia un disagio generazionale che vede contrapposte le nuove leve ai senior e che denuncia le rendite di posizione che travolgono la meritocrazia. Ci sono poi problemi di mercato stagnante perché la
Grande Crisi e la debolezza del terziario italiano hanno determinato una selezione dura tra i professionisti e minacciano di non aver ancora terminato il «lavoro sporco» . I patiti del networking sono poi
più internazionalizzati dei loro precedessori e sentono l’esigenza dell’aggiornamento continuo, di essere sempre professionalmente up to date, informati su tutto. C’è infine tra le motivazioni che stanno facendo la fortuna dei social network anche una spinta alla socializzazione, perché lavorando in molti
con la formula dello studio individuale sentono di più la necessità di avere contatti, di incontrarsi, di
«stare nel giro» . Del resto i primi scienziati sociali che cominciarono a studiare le reti— l’antesignano
è l’americano Mark Granovetter — sostenevano che servivano a conferire «forza ai legami deboli» .
Non è un caso, dunque, che molti network diano vita, in una fase successiva a quella di lancio, a manifestazioni o aggregazioni offline. Tipica l’esperienza dei ClubIn nati da Linkedin in diverse città italiane (vedi Corriere del 9 novembre 2010). Se ragioniamo sulle dinamiche di mercato il caso da studiare
è sicuramente quello di Bni, un acronimo che sta per Business International network, presente in tutto
il mondo con 135 mila iscritti. In Italia ne conta 600 con l’obiettivo esplicito di scambiarsi referenze.
Per entrare s i paga un’iscrizione di poco superiore ai mille euro annuali, si viene strutturati per gruppi
(in gergo capitoli) e gli incontri iniziano alle 7.30 del mattino e durano massimo fino alle 9. Fanno colazione, ognuno parla per soli 60 secondi durante i quali deve raccontare ciò che sta facendo e che tipo
di clienti cerca, poi si analizza un caso particolare e infine ci si scambiano le referenze. «La nostra è
una corsia complementare per allargare il portafoglio clienti — dice Paolo Mariola, torinese — . Una
campagna pubblicitaria costerebbe molto di più mentre il porta a porta richiede tempo illimitato. Così
si dà vita a un passaparola basato sulla reputazione e la fiducia» . Siccome in ogni singolo capitolo i
partecipanti fanno tutti lavori differenti tra loro, si impegnano quando incappano in potenziali clienti
ad allungare (anche) il biglietto da visita dei sodali. Ma non accade qualcosa del genere anche nei
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Lions o nei Rotary? «E’differente — risponde Mariola — , quei club vengono frequentati per socializzare e poi in via subordinata si fanno affari. Da noi invece non ci sono ipocrisie» . Gli altri social
network più che al business nudo e crudo sono attenti a un altro segmento del mercato, quello della
mobilità professionale. In fondo molti frequentano Linkedin (90 milioni di iscritti nel mondo e più di
uno in Italia) proprio per mettersi in vetrina, farsi conoscere, sondare le opportunità, acquistare referenze per un obiettivo che è far carriera, muoversi da un posto a un altro, possibilmente verso l’alto. La
dimostrazione che sia questa l’applicazione chiave di Linkedin sta nel rendiconto che il network ha iniziato a inviare a un campione di iscritti: comunica a ciascuno quante delle persone linkate con lui
hanno cambiato lavoro o posizione nell’ultimo periodo. Un «autospot» , un modo per dimostrare che il
network funziona perché alimenta la mobilità. Linkedin è frequentato in maggioranza da professionisti
alle dipendenze di aziende del terziario o di multinazionali, dove è maggiore il rischio (percepito) di
restare anonimi. «Attraverso il network un professionista può esporre il proprio curriculum senza dichiarare di essere esplicitamente alla ricerca del lavoro — spiega Ivana Pais — . Salva la faccia, si tiene
aperte più possibilità e valuta in funzione delle proposte che riceve» . Se Linkedin per la matrice anglosassone ha un profilo global, la concorrente Viadeo (35 milioni di iscritti di cui uno da noi) viene
dalla Francia e ha scelto un approccio glocal, è più attenta ai mercati locali, alle province e ai distretti.
«Spingiamo i nostri iscritti non tanto a cambiare lavoro ma a costruirsi una propria rete di relazioni già
dall’università tramite colleghi e docenti — racconta Sabrina Mossenta, partnership manager di Viadeo Italia — . E’un meccanismo di personal branding che mette in condizione il singolo professionista
di affacciarsi sul mercato con una propria identità» . Un’applicazione importante di Viadeo è l’area esperti. Gli utenti si scambiano domande e risposte di tipo professionale e attraverso questo meccanismo si creano relazioni privilegiate, ci si sceglie in base alle competenze mostrate «sul campo» . Un
po’per farsi concorrenza un po’per rispondere alle attese degli iscritti, tutti i social network studiano
nuovi servizi. E gli annunci si susseguono. Ma avendo chiaro che i professionisti chiedono anche socializzazione, Viadeo, ad esempio, sta sviluppando attività offline (noi diremmo: sul territorio) con
gruppi e business club esistenti. Molto focalizzato sull’aggiornamento è Legal. it, un gruppo italiano di
discussione giuridica che conta 360 membri. La maggioranza (il 63%) ha uno studio a conduzione individuale e molti di loro dividono gli spazi fisici con altri, più dell’80%si occupa di diritto civile, per
il 55%non è iscritto ad alcuna associazione professionale e per il 46%ha un reddito che si aggira tra i
30 e i 59 mila euro l’anno, rastrellati per lo più tra privati e piccole imprese. Il motivo principale della
frequentazione di Legal. it è lo scambio di conoscenze e di opinioni. Per non finire nell’anonimato professionale gli studi monocratici devono specializzarsi in questo o quel ramo del diritto e così, quando
capita un cliente che richiede altre competenze, la prima cosa da fare è consultare online un collega più
versato in quella specializzazione. Se volete è una cooperazione di mutuo soccorso che funziona e dà
corso a uno scambio impressionante di email. I membri di Legal. it non si sono mai incontrati fisicamente ma quando nasce un figlio si scambiano le foto e si comportano a tutti gli effetti come una comunità «calda» . Un peso importante nello scambio di consigli lo rivestono le questioni deontologiche,
sapere come un collega si è regolato in analoghe (e delicate) circostanze vale oro. Le informazioni ad
alto valore aggiunto che si possono avere partecipando ai social network sono molte, una decisamente
trendy riguarda gli eventi. E’sempre più importante per un professionista che deve ottimizzare il suo
tempo capire se vale la pena partecipare a un determinato convegno. Sapere in anticipo se può essere
una buona occasione di socializzazione, se si possono incontrare le persone giuste (definite così non in
base a criteri di mondanità ma di ottimizzazione delle relazioni). I veri esperti dei social network definiscono questa una modalità tipica di Facebook che poi ha contagiato anche Linkedin a dimostrazione
di come il mondo dei social network viva in continuo movimento e ibridazione. «Il filo rosso che lega
tutte le novità è la nuova centralità del capitale sociale— commenta la sociologa Pais— Finora era stato coltivato tramite organizzazioni come partiti, Chiesa, associazioni di volontariato e sportive. Nate
per altri scopi ma che sono state utilizzate anche a fini professionali» . Ora invece si affermano i social
network che negli studi a loro dedicati sono definite «organizzazioni intenzionali» , perché esplicitamente dirette a costruire e coltivare relazioni.
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Accordo per conciliare lavoro e famiglia
In ufficio con orario part-time dopo la maternità e telelavoro. Firma anche la Cgil
ROMA — Un primo passo verso l’individuazione di regole per meglio conciliare il lavoro e la famiglia da inserire nella contrattazione collettiva. È questo il significato della intesa firmata ieri dal ministero del Lavoro e dalle parti sociali, Cgil compresa, che si è riservata una valutazione successiva. Per
il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, «è un passo in avanti nelle nostre relazioni industriali: con
l’intesa si punta a conciliare i tempi di lavoro e quelli di famiglia attraverso la modulazione
dell’orario» . Più nello specifico le parti sociali si sono date 90 giorni per valutare insieme una griglia
di misure, assunte dalle migliori pratiche quotidiane che già oggi vengono episodicamente adottate in
alcune aziende. Ciascuna di queste misure dovrà essere tradotta in un sistema di regole da introdurre
nella contrattazione collettiva e, in particolare, in quella di secondo livello, in modo da diventare pratica generale. Tra queste, appare innovativa la possibilità di usufruire del congedo parentale in modalità
part time, allungandone la durata da 6 a 12 mesi. Ma c’è anche l’incentivazione del telelavoro, la creazione di banche ore, la possibilità di ottenere una modalità di lavoro più flessibile in caso di cura per
grave infermità del coniuge o di un parente entro il secondo grado. Oppure l’impegno del datore di lavoro di restituire alla lavoratrice, tornata al lavoro dopo la maternità, le stesse mansioni o equivalenti.
Che corrisponde a quel ripristino della legge 188/2007 che vieta le dimissioni in bianco, auspicata dal
leader della Cgil, Susanna Camusso. Se fra tre mesi le parti avranno trovato un’intesa, sarà firmato un
avviso comune cui le stesse faranno riferimento nell’ambito della contrattazione. Da parte propria le
istituzioni hanno assunto l’impegno di rifinanziare alcune leggi che servono a sostenere il lavoro femminile, introducendone anche di nuove, come l’incentivazione di part time lunghi. Inoltre si è convenuto che la modulazione degli orari e dei tempi di lavoro possono beneficiare della detassazione del
10%del salario di produttività qualora sia previsto in accordi territoriali o aziendali. Infine governo,
Regioni ed enti locali sono impegnati a rafforzare le infrastrutture e i servizi pubblici utili alla conciliazione dei tempi, rifinanziando, ad esempio, il piano dei nidi per il 2011. La Cgil, rappresentata dal
segretario confederale Serena Sorrentino, rileva che «ci siamo trovati di fronte a un documento radicalmente diverso da quello presentato la settimana scorsa e questo è merito del fatto che tutte le parti si
sono esercitate nella riscrittura dei principi che devono far parte di un accordo sulla conciliazione» .
Secondo Giorgio Santini, segretario generale aggiunto della Cisl, l’intesa «è un passo in avanti importante rispetto al percorso delineato la scorsa settimana: quelle che venivano individuate come generiche linee guida diventeranno per le parti un concreto impegno contrattuale» .
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La febbre dell’Opa agita Fonsai
Dopo il verdetto Consob i titoli volano, più 8,6%. L’ispezione Isvap
MILANO— Aprono in caduta libera ma cambiano presto rotta i titoli della scuderia Ligresti, tornati in
quotazione dopo la sospensione di venerdì in attesa del parere Consob che ha stabilito l’Opa obbligatoria di Groupama su Premafin e Fonsai. Al termine della giornata, la holding ha chiuso con un leggero
rialzo dello 0,68%, mentre le azioni della compagnia presieduta da Jonella Ligresti «volano» a 7,25 euro con un rialzo dell’8,61%. Il boom di Fonsai sembra accreditare ipotesi di Opa di Groupama. Oppure di operazioni di ricapitalizzazione diluitive per Premafin e dunque con l’esito di rendere più «scalabile» la compagnia controllata. Senza dubbio si tratta comunque di movimenti speculativi, dettati soltanto da ipotesi, visto che nulla per il momento attenua l’incertezza seguita al parere della commissione. Groupama ha già detto che si riserva di valutare le opzioni aperte, e ieri fonti vicine al dossier hanno confermato che il gruppo francese non ha ancora deciso di ritirarsi dalla partita. Per il momento non
sono comunque stati convocati consigli o comitati quindi gli uomini di Jean Azéma stanno ancora esaminando le motivazioni della Consob e riflettendo sulle strade percorribili (uscita di scena, riformulazione dell’accordo con i Ligresti, Opa). Premafin ieri ha emesso una nota per dire che la holding di
Salvatore Ligresti «valuterà attentamente le possibili opzioni dirette al rafforzamento patrimoniale del
gruppo e terrà conseguentemente informato il mercato» . La preoccupazione principale è in effetti rivolta agli aumenti di capitale di Premafin (fino a 250 milioni) e Fonsai (fino a 460), deliberati dalle assemblee con l’assegnazione delle relative deleghe ai consigli che dovranno decidere quando e come
esercitarle. L’eventuale ritirata di Groupama renderebbe tutto più complicato. I francesi si erano impegnati a investire in Premafin 150 milioni fra sottoscrizione di nuove azioni e acquisto dei diritti, risorse
che poi sarebbero state trasferite per un centinaio di milioni nell’aumento di Fonsai. Pur restando invariata la rete di garanzia di Credit Suisse, che con un pool di banche si è impegnato a rilevare
l’eventuale inoptato, il mancato intervento transalpino potrebbe portare a una revisione dei termini
dell’operazione. Magari limitandola a Fonsai, con una possibile diluizione della Premafin oppure con
un intervento delle banche, Unicredit in testa, a fianco dei Ligresti. In questo secondo caso potrebbe
essere confermata anche la ricapitalizzazione della holding. Nella nota che Mediobanca securities ha
emesso ieri come ogni mattina, si legge riguardo al gruppo Premafin che a questo punto «tutte le opzioni restano aperte» . Gli analisti di Piazzetta Cuccia mettono poi in rilievo che, senza le risorse di
Groupama, le ricapitalizzazioni potrebbero essere fortemente diluitive e rendere entrambe le società,
oppure la sola Fonsai, scalabili. Per il gruppo Ligresti il rafforzamento patrimoniale è una priorità che
richiede soluzioni a breve termine. Il 23 marzo il consiglio di Fonsai esaminerà il bilancio e
l’attenzione è rivolta in particolare al margine di solvibilità, il rapporto fra riserve più mezzi propri e
gli impegni verso gli assicurati. Il «minino» è 100%e a fine settembre Fonsai era scesa al 109%.
L’Isvap, che da settembre ha in corso un’ispezione «nata» sulla governance e che da gennaio ha acceso
un faro anche sul tema della solidità patrimoniale, in caso di ulteriore calo al 100%dovrebbe intervenire con un richiamo formale. I tempi sono dunque stretti.
Rassegna Stampa del giorno 8 Marzo 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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Generali, niente torre a Parigi
Fermo il piano alla Defense
MILANO— Tarak Ben Ammar difende il presidente delle Generali Cesare Geronzi: «Le accuse di
Diego Della Valle sono infondate» . Il consigliere di Mediobanca vicino al socio francese Vincent Bolloré (che è anche vicepresidente del Leone) è intervenuto ieri dopo l’ultimo affondo dell’imprenditore
Della Valle, che domenica in un’intervista a Lucia Annunziata è tornato sui temi Generali e Rcs, accusando il presidente della compagnia triestina di «fare in Rcs un uso improprio del suo piccolo potere» .
Ben Ammar dice che «Geronzi non ha utilizzato questo suo potere in Generali per comandare su Rcs, è
uno fra tanti» . Ma aggiunge anche che Della Valle su un punto «ha ragione: credo sia stato sbagliato
mettere tutto sulla pubblica piazza mediatica. Sarebbe stato meglio parlarne in consiglio» E facendo
riferimento a uno dei temi che negli ultimi tempi ha percorso la «piazza mediatica» , ieri un portavoce
delle Generali è intervenuto sulla «Torre Generali» in Francia, oggetto di varie ipotesi e indiscrezioni
di stampa che lo hanno messo in relazione anche alle recenti dimissioni di Leonardo Del Vecchio. Da
Trieste si precisa che nell’area della Defense a Parigi «Generali non ha fatto alcun investimento e possiede attualmente solo un immobile di 8 piani per 11 mila metri quadrati, entrato a far parte delle proprietà del gruppo nel 2004» . Il portavoce smentisce poi che nell’area siano stati realizzati investimenti
per 500 milioni: «Dal 2006 è stato sviluppato un progetto per la valorizzazione di tale attivo che prevedeva la demolizione dell'edificio esistente e la costruzione di una torre di 46 piani. Progetto che però, in seguito alla crisi dei mercati del 2008, non è stato realizzato» . E mentre si avvicina per il Leone
il consiglio sul bilancio in calendario il 16 marzo, appuntamento che vedrà di nuovo faccia a faccia
Della Valle e Geronzi, sulla «piazza mediatica» circolano i più svariati rumor. Un’agenzia ieri riportava fra l’altro che alcuni soci privati sarebbero intenzionati a chiedere un audit interno a Geronzi. Voce
che gli azionisti privati in consiglio smentiscono senza riserve dicendo di non averne mai sentito parlare. Qualcuno per sovrappiù ricorda l’esistenza e il lavoro compiuto dal comitato di controllo interno
presieduto da Alessandro Pedersoli.
S. Bo.
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L’economia
Benzina, prezzo record per la crisi e la
Ue “congela”anche i Fondi sovrani
Nel mirino banca centrale e Lia, azioniste di società italiane
Quotazione dell´oro ai massimi, mentre Trichet rilancia l´allarme sull´inflazione
ROMA - La crisi libica apre un nuovo fronte nel nostro Paese. La Ue è pronta ad estendere il congelamento dei beni del regime Gheddafi a cinque fondi di investimento.
Secondo Radiocor, sarebbero la Banca centrale (con partecipazioni in Unicredit), la Libyan
investment authority (presente in Unicredit, Finmeccanica e Juventus), il Libyan african investment
portfolio, la Lybian foreign bank e il Lybian housing infrastructure board. L´Italia ieri ha annunciato che
non si opporrà a queste decisioni, anche se nei giorni scorsi il governo sembrava non volesse imboccare questa strada, paventando possibili ritorsioni - il ritiro degli investimenti - da parte dei fondi sovrani. Per il finanziere franco-tunisino Tarak Ben Ammar, «bisogna essere pragmatici e attendere il
dopo Gheddafi per decidere sulle quote presenti nelle società italiane. I fondi libici - spiega - sono gestiti da funzionari che rappresentano il popolo: senza Gheddafi i fondi sovrani rimangono».
Le turbolenze in Nord Africa continuano a colpire di rimbalzo anche i bilanci delle famiglie italiane costrette a fare i conti col nuovo record del petrolio a 118 dollari al barile e quindi della benzina, arrivata
a sfiorare, secondo i dati di Quotidianoenergia.it, 1,6 euro al litro. In alcune aree della Campania, un
litro di verde costa più del tetto storico nominale raggiunto nel 2008 e se le turbolenze sui mercati del
greggio dovessero proseguire, nelle prossime settimane potrebbe cadere anche il prezzo massimo
mai raggiunto nel nostro Paese: quello di 1.400 lire al litro (1,7 euro, il valore attualizzato) che rappresenta il picco assoluto toccato nel 1985 dalla super.
Per l´Unione petrolifera, i rincari sono dovuti agli effetti di un cambio euro-dollaro più sfavorevole per
la moneta unica, rispetto a tre anni fa. Ma le associazioni dei consumatori rilanciano e parlano di
«speculazione» e di un aggravio per i bilanci delle famiglie pari a 1.200 euro l´anno al netto di nuove
turbolenze sui mercati. Nel frattempo l´oro vola verso il nuovo record a 1.445,70 dollari l´oncia; corre
anche l´argento, salito ai massimi da 31 anni (36,5375 dollari l´oncia).
In questo scenario il rischio di una ripresa dell´inflazione, trainata dal greggio, comincia a preoccupare
seriamente l´Ue. Il presidente della Bce Jean-Claude Trichet, che la settimana scorsa aveva aperto
ad una possibile stretta sui tassi per mettere un freno al rialzo dei prezzi di Eurolandia, assicura che
tutti i banchieri centrali delle grandi potenze mondiali «sono uniti nel frenare le aspettative di inflazione» che si affacciano sulle economie.
In Europa alcuni Paesi iniziano a prendere così in seria considerazione dei provvedimenti straordinari
per ridurre i consumi energetici. La Francia, per la prima volta nella sua storia, deve far fronte ad un
prezzo della benzina a 95 ottani che ha ormai scavalcato quota 1,5 euro al litro.
Mentre la Spagna riduce il limite di velocità sulle autostrade, l´Italia resta alla finestra. Qualche giorno
fa il ministro dei Trasporti Altero Matteoli aveva guardato con favore all´esempio iberico. Ma non risultano dei passi in avanti in questa direzione e tantomeno nel progetto di congelamento settimanale
degli aumenti dei prezzi dei carburanti. Un immobilismo evidenziato dal leader del Pd Pier Luigi Bersani: «È inaccettabile che il governo non intervenga sugli aumenti dei carburanti. Tremonti riduca le
accise applicando la norma del governo Prodi».
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I gioielli Bulgari passano ai francesi
Il simbolo del lusso italiano a Lvmh che lancia Opa con un premio del 60%: boom del titolo
La famiglia romana avrà il 3% del colosso guidato da Arnault: "Così garantito il futuro"
MILANO - Au revoir Italie. Anche Bulgari lascia il Belpaese per varcare le Alpi: ufficialmente si tratta di
un equity swap. Uno scambio azionario tra la famiglia Bulgari e il colosso Lvmh guidato dal gruppo
Arnault che ne detiene oltre il 47%: ai francesi la maggioranza della maison fiorentina, agli italiani il
3% circa del colosso transalpino. Un´operazione da 4,3 miliardi di euro (1,9 in azioni, 2,4 in contanti),
45 volte gli utili di Bulgari: «Un´offerta a cui non si poteva dire no» dicono gli analisti di Centrobanca.
Un´opinione condivisa da tutte le banche d´affari: «Quella del prezzo è stata una leva irrinunciabile»
per un´operazione improvvisa. Le speculazioni su Bulgari, negli ultimi mesi si erano sprecate. A dicembre Ppr aveva messo gli occhi sui gioiellieri toscani, ma l´ad del gruppo, Francesco Trapani, aveva sempre smentito la volontà a di cedere l´azienda. Domenica notte la svolta, con un cda straordinario a Parigi dove le parti hanno limato gli accordi. Trovata l´intesa sul prezzo a 12,25 euro per azione
(con un premio del 60% sulla chiusura di venerdì scorso), la famiglia Bulgari ha ottenuto il 3% di
Lvmh, due posti in consiglio d´amministrazione e per Francesco Trapani la guida dell´intera divisione
gioielleria e orologi che passa da uno a oltre due miliardi di fatturato.
Con Bulgari lascia l´Italia un altro dei brand storici del made in Italy, a dimostrazione di quanto manchi
un sistema Paese. La capacità di riunire le eccellenze industriali sotto la guida di manager capaci con
l´aiuto di banche e istituzioni, mettendo da parte le gelosie tra imprenditori. Una strategia che in Francia ha portato alla luce giganti come Ppr, Lvmh, ma anche Peugeot-Citroen oltreché Carrefour e Auchan nella grande distribuzione: gruppi capaci di consolidarsi sul territorio per poi crescere all´estero.
«Ci abbiamo provato tante volte –ha spiegato Trapani - ma è sempre mancata la volontà di creare il
grande polo del lusso». E chi ci ha provato, da Hdp a It Holding non ha certo raccolto soddisfazioni,
«ma non è andata bene neppure a Prada quando ha provato la strategia del multimarca» spiega un
analista. «Il problema –incalza Trapani –sono le gelosie tra imprenditori. Nessuno è disposto a rinunciare al controllo del proprio gruppo, neppure per un grande progetto». Bulgari ci prova, per crescere all´estero, per raggiungere quelle sinergie sul fronte dei costi che ancora oggi penalizzano la
marginalità: «Non avevamo alternative per fare il grande passo e il gruppo di Arnault è la migliore opzione, a cominciare dalla visione industriale». E mentre i francesi puntano al delisting del titolo, prima
di lavorare sul nuovo assetto societario, gli addetti ai lavori pensano già alla prossima preda, che potrebbe essere Armani. Lvmh genera ogni anno 3 miliardi di cassa, ha un ebit di oltre 4 miliardi e un
indebitamento pari al margine operativo: «L´acquisto di Bulgari –aggiunge un analista –quasi non
impatta sul debito, con questa generazione di cassa sarà azzerato in un paio d´anni, ma già oggi il
gruppo, con 20 miliardi di fatturato può indebitarsi molto senza soffrire. Se volessero, Armani sarebbe
la preda perfetta».
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Il capitalismo italiano perde i pezzi
“Pesa la sfida della concorrenza”
Da Gucci a Valentino, ora l’impero della moda parla straniero
Anche società polacche e giapponesi hanno acquistato nostre imprese
ROMA - Brand italiani, proprietà straniera. È la nuova metamorfosi di un pezzo di capitalismo italiano.
Che si arrende di fronte alla competizione spietata nei mercati globali. Con i passaggio del marchio
Bulgari dalla famiglia romana al colosso transalpino Lvmh è come se si chiudesse la lunga fase di ascesa del tipico "made in Italy", quello della moda e del lusso che negli anni Ottanta ha alimentato
l´immaginario collettivo, quello della "Milano da bere" o del rampantismo sociale. Ma anche della Fifth
Avenue a New York. Perché prima di Bulgari sono diventati stranieri Ferrè, Valentino, Gucci. Mentre
resistono Giorgio Armani e Dolce & Gabbana. Certo, anche Prada è ancora italiana ma per la sua
quotazione ha scelto la piazza di Hong Kong non la Borsa di Milano periferia del mondo finanziario,
peraltro finita in mano agli inglesi della London Stock Exchange.
Abbiamo perso l´industria chimica e quella dell´informatica. Non ci siamo in quella dell´elettronica da
consumo. Vacilla l´"italianità" della Parmalat risanata da Enrico Bondi e sotto il tiro di tre fondi stranieri. L´Alitalia è destinata ad essere assorbita da Air France. E sempre i francesi avevano messo gli occhi sul malandato impero assicurativo di Salvatore Ligresti, fermati dalla Consob che gli ha imposto
l´Opa. Il futuro controllo di Edison non è affatto scontato. E non sappiamo più se la Fiat, simbolo del
capitalismo tricolore, sarà ancora italiana o sposterà la sua sede legale e forse anche di più a Detroit
negli Stati Uniti. Tra gli ultimi accordi firmati al ministero dello Sviluppo economico, e che riguardano
tante aziende poco famose, ci sono quello che prevede la cessione della Maslow (azienda che produce tubi di gomma) a un industriale polacco con il passaggio al nuovo proprietario di 1942 lavoratori
su 2000, e quello della vendita della Cabla elettra (settore automotive) alla giapponese Yazachi. Ci
comprano tutti. Siamo prede. E, soprattutto, non abbiamo, salvo qualche eccezione, gruppi industriali
manifatturieri capaci di andare a fare shopping fuori dai confini nazionali con il sostegno di quello che
si chiama il "sistema paese". Le nostre imprese sono troppo piccole (oltre il 90 % non supera i dieci
addetti). Non possono fare massa critica. Gli incentivi per le fusioni per aumentare le dimensioni delle
aziende, più volte celebrati dal ministro dell´Economia, Giulio Tremonti, non interessano.
«Noi ormai siamo diventati un mercato da colonizzare», dice Giuseppe Berta, storico dell´industria
all´Università Bocconi di Milano. Che colloca l´inizio del «ripiegamento» nel decennio successivo. «Il
problema del disinvestimento nell´industria prende avvio dall´inizio degli anni Novanta quando le
grandi imprese italiane rinunciano ai loro progetti di espansione internazionale e cominciano il ripiegamento all´interno del paese. Si affievolisce la loro progettualità, mentre vengono meno le istituzioni
e lo scenario di economia mista che aveva retto fino a quel momento lo sviluppo italiano».
Vendere è anche una scelta dettata dall´invecchiamento di una parte del nostro ceto imprenditoriale.
Vendono perché non hanno più la forza di reggere le sfide della concorrenza e perché le nuove generazioni non sempre sono all´altezza.
Di fronte a questo scenario ragiona con pragmatismo Valeria Fedeli, vice segretario della Filctem-Cgil
e presidente del sindacato tessile europeo: «La nazionalità della proprietà di un´impresa non è un
problema di per sé. Quello che mi interessa, nel caso di Bulgari o di altri gruppi, è che gli acquirenti
investano e mantengano in Italia la filiera produttiva, dalla creazione alla produzione. Solo chi si limita
di fatto all´acquisto di un marchio, come nel caso de La Perla e della Fila, depotenzia il nostro apparato produttivo. Certo se comprassero gli italiani non ci sarebbe alcun rischio di delocalizzazioni». Un
rischio che invece si allarga.
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Scommessa Opa
sulla galassia Ligresti
Scambi boom dopo la decisione Consob su Groupama: Fonsai +8,6%, Milano +5,2%
Ma i francesi non sembrano inclini all´affondo e studiano patti più leggeri
MILANO - Comprare la galassia Ligresti, come ci fosse un´offerta in arrivo, o forse più d´una. Al rientro dei titoli della galassia Ligresti, dopo che la Consob ha imposto a Groupama la doppia Opa su
Premafin e Fondiaria-Sai se vuole ricapitalizzare nella holding, gli investitori sommergono di acquisti
le controllate. Dopo un breve calo nell´avvio, Fonsai sale dell´8,61% a 7,255 euro, con quasi il 6% del
capitale girato. La Milano guadagna il 5,26% a 1,22 euro con volumi quadrupli, trascurata Premafin
(+0,68% a 0,745 euro).
L´impressione dei più saggi è che ci sia il rischio di scottarsi, perché un happy end tipo quello riservato agli azionisti Bulgari da Lvmh non si vede neanche da lontano. La differenza la fanno i miliardi, di
cui dispone monsieur Arnault, mentre Groupama non ha né la disponibilità, né l´intenzione di scucire
quel miliardo di euro necessario a comprare la catena Ligresti in Borsa. «Al momento non è prevista
nessuna riunione del cda», ha detto una portavoce di Groupama, che ieri ha subito da Fitch il ribasso
di prospettive da "stabili" a "negative", per «il deterioramento della redditività del gruppo e dei requisiti
patrimoniali, così come il difficile contesto». Groupama, che non intende ritirarsi dall´avventura, sta
ragionando coi propri legali su come rifilare il testo del patto di ottobre con i Ligresti, per poi sottoporre
un nuovo quesito sull´eventuale Opa in Consob. Un patto più "leggero", magari senza il divieto di
vendita biennale della famiglia siciliana azionista; o all´opposto un rafforzamento dell´altro patto, quello tra i Ligresti (è solo di consultazione e scade a giugno). Se i Ligresti per esempio votassero in comune, sarebbe più difficile ai francesi spostare gli equilibri futuri nel gruppo.
Le morning note degli analisti avevano scritto di tutto, lasciando spazio a ogni scenario: ritirata dei
francesi, loro rilancio in forze, "piano B" delle banche creditrici, vendita di parti del gruppo Fonsai per
avere i 150 milioni che Groupama ha promesso di mettere in Premafin. Di certo, sia Premafin sia
Fonsai devono ricapitalizzare, per rispettare i ratio patrimoniali chiesti dall´Isvap, che ha in corso da
settembre un´ispezione; ma i Ligresti non hanno i fondi per seguire gli aumenti, già votati dalle assemblee previa delega ai due cda (in agenda, per i bilanci, il 23 e 24 marzo). Formalmente la palla è
in campo francese; ma c´è da scommettere che la famiglia siciliana sia in cerca di opzioni alternative,
perché l´ipotesi che Groupama si sfili e i Ligresti debbano diluirsi e perdere il controllo assoluto senza
riceverne un premio sarebbe la peggiore per la famiglia siciliana. Le alternative più possibili sono due.
Una è vendere la Milano Assicurazioni, che vale sui 700 milioni ed è scritta nel bilancio Fonsai a
1.300. Una perdita sanguinosa per il conto economico, ma un beneficio patrimoniale che farebbe
guadagnare un po´ di tempo. Su uno scenario del genere –che spiega l´oscuro volo del titolo ieri,
senza che la Consob avesse compreso Milano nelle offerte a cascata –si starebbe esercitando Banca Leonardo, con Gerardo Braggiotti da tempo molto attivo per ottenere un mandato dall´ex socio Ligresti. L´altra alternativa è tornare dai grandi creditori della galassia Ligresti. Unicredit e Mediobanca
in primis, anche se non hanno voluto fin qui avere alcun ruolo (la prima più per ragioni "politiche",
l´altra perché in conflitto). E sperare che le banche italiane comprino le azioni inoptate, per poi decidere il destino dei Ligresti. Un´operazione tipo quella vista sul gruppo Zunino.
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Si scalda la corsa per il rinnovo del cda in vista delle riunioni di giovedì
Nuovo vertice Telecom
Bernabè in pole position
ma spunta Sentinelli
Fossati ha proposto un presidente con deleghe e tre dg Tra i soci però non c´è ancora accordo
MILANO - Si scalda l´atmosfera intorno al rinnovo dei vertici e dell´intero consiglio di amministrazione
della Telecom. A tre giorni dalle riunioni chiave del comitato nomine di Mediobanca e del successivo
cda di Telco da cui dovrà uscire la lista del socio di maggioranza, cominciano a trapelare i primi nomi
e organigrammi.
L´attuale ad Franco Bernabè sarebbe riconfermato nella funzione di capo azienda ma alcuni soci vorrebbero dare un segnale di discontinuità rispetto al passato. Ecco allora che allo scoperto esce Marco
Fossati, azionista con il 5% di Telecom che avrà diritto a due posti in consiglio, e che ieri ha buttato lì
l´idea di Bernabè presidente esecutivo con tre direttori generali per le aree geografiche di competenza: Italia, Brasile e Argentina. A fare le spese di questa nuova organizzazione sarebbe l´attuale presidente non operativo Gabriele Galateri che verrebbe estromesso, per far posto a uomini che stanno
già all´interno del gruppo. Ma anche Bernabè non gradirebbe questa soluzione anche perché i
manager che si vorrebbero far crescere non sono di suo gradimento. Mario Sentinelli, per esempio,
uno dei papabili, era stato proposto nel cda Telecom quando uscì il rappresentante del gruppo Benetton, anche se non ha un curriculum all´altezza del ruolo. Sentinelli si era costruito una reputazione
come propulsore dello sviluppo di Tim dei primi anni 2000 ma poi sono rimaste ombre sulla sua uscita
tumultuosa dal gruppo nel 2005, in seguito a una brusca rottura con l´allora presidente Marco Tronchetti Provera. Si è solo saputo che a carico del manager era stata commissionata un´indagine della
security interna, allora guidata da Giuliano Tavaroli, dal nome in codice "Garitta", i cui contenuti non
sono mai venuti alla luce. Negli ambienti finanziari si ipotizzava che la dipartita di Sentinelli fosse legata alla storia di un´altra società di tlc, tuttora quotata in Borsa, di nome Acotel e partecipata anche
da Intesa Sanpaolo.
Sentinelli al momento del suo ingresso nel cda Telecom era presidente di Onda Communications, società fornitrice di chiavette il cui amministratore delegato è Michelangelo Agrusti, fratello del più noto
Raffaele, l´attuale direttore generale del Leone di Trieste. Generali però al momento non sembra disposta ad avallare un ruolo operativo di Sentinelli nel gruppo Telecom. La Onda ha ricevuto molte
commesse dalla società di tlc sia quando il capo delle attività italiane nel mobile era Luca Luciani, sia
quando quest´ultimo fu trasferito alla guida di Tim Brasil. Luciani è anche al centro dell´inchiesta portata avanti dalla procura di Milano sui milioni di sim card false che erano state prodotte da Tim nel periodo in cui era a capo della divisione incriminata. Tra i soci forti di Telecom, comunque, non c´è ancora accordo su nomi e cariche da portare all´assemblea del 9 aprile e a questo punto non si esclude
che il cda Telco venga fatto slittare di qualche giorno per dar tempo ai rappresentanti di Generali,
Mediobanca e Intesa di trovare la quadra.
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Moody’s taglia ancora il rating
e Atene si infuria
“Grecia a livello della Bolivia, rischia il default”. Il governo: “Mossa ingiustificata”
ROMA - Ancora una volta l´agenzia Moody´s declassa la Grecia: tre gradini in meno per il suo rating da Ba1 a B1- con prospettive negative sul debito. Questi esperti ritengono che siano aumentate le
possibilità di un default del paese, il cui merito di credito, adesso, è uguale a quello attribuito a Bilorussia e Bolivia. Immediata e furiosa la reazione del governo greco: decisione «completamente ingiustificata».
Atene in effetti è alle prese con un duro piano di austerità, seguito passo passo dal Fondo monetario
internazionale. Non a caso il numero uno del Dipartimento europeo del Fmi, l´economista Antonio
Borges, si dice convinto che il programma di risanamento avrà «successo» e non prevede di supervisionare i nuovi stress test della Ue per le banche. Lo stesso ministero delle Finanze greco parla di un
giudizio che non riflette una «obiettiva e bilanciata» valutazione delle condizioni a cui il paese sta facendo fronte. In una nota, diffusa anche a Bruxelles, vi sono anche critiche sul «tempismo e le modalità» del declassamento: «Sollevano molti dubbi».
La decisione di Moody´s giunge al termine di un´analisi che l´agenzia ha avviato fin dallo scorso dicembre. Si basa su tre motivazioni: le misure di consolidamento fiscale e le riforme strutturali di cui
Atene ha bisogno vengono giudicate ambiziose e soggette a significativi rischi; vi sono considerevoli
difficoltà nella riscossione delle entrate; c´è il pericolo che la Grecia non soddisfi i criteri si solvibilità (e
quindi avrebbe bisogno di continuo sostegno) anche dopo il 2013. Il commissario Ue Olli Rehn, in una
intervista, suggerisce di abbassare i tassi sui prestiti concessi a Grecia e Irlanda: «La questione, ora e
domani, è la sostenibilità del debito».
Il comunicato del ministero critica Moody´s e le altre agenzie di rating che, dopo aver mancato di predire la crisi del 2008, «fanno a gara fra loro per essere le prime a individuare i rischi che porteranno
alla prossima crisi». Questo atteggiamento rafforza gli argomenti a favore di «una maggiore regolamentazione» di tali entità: limiti e paletti già da tempo sono allo studio del Financial Stability Board,
l´organismo anti-crisi voluto dal G20 e guidato dal governatore italiano, Mario Draghi.
(e.p.)
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La Fiba-Cisl
augura a tutte le donne
una giornata serena!!
Arrivederci a
domani 9 Marzo
per una nuova
rassegna stampa!
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