GRILLINI E MOVIMENTISTI Il Movimento 5 Stelle a Genova

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GRILLINI E MOVIMENTISTI Il Movimento 5 Stelle a Genova
GRILLINI E MOVIMENTISTI
Il Movimento 5 Stelle a Genova
LUCA SABATINI
Università di Genova
1. Introduzione
“Uno nuovo. Sarà dei nostri?” (G.C.)
“Noi siamo decisamente meglio di loro”. (P.B.)
Loro, una semplice parola ripetuta in modo quasi automatico. “Perché loro…”,
“nonostante la loro…”, “anche se loro…”. Questi alcuni brevi stralci di frasi recuperate
dalle interviste agli attivisti del Movimento 5 Stelle.
Loro. Riportando solo la parola, senza contesto, questa potrebbe essere rivolta a
chiunque: al Partito Democratico, a Forza Italia o, molto più banalmente, a tutta la classe
politica. Non a caso era proprio Beppe Grillo, a ridosso delle elezioni europee, a dire: “Il
voto del 25 maggio è un voto politico: o noi o loro. Da resettare, bisogna mandarli a casa
tutti ma solo dopo aver verificato prima se hanno rubato”.
Loro, quindi, diventano gli altri, quelli che “non hanno la nostra stessa provenienza”,
quelli che “non hanno le nostre stesse caratteristiche” o quelli che “non hanno i nostri
stessi obiettivi”. Loro, da usare come etichetta indifferenziata, che vale per tutti e per
nessuno, dotata di una valenza variabile e un significato volatile. All’interno di
un’assemblea pubblica, sul palcoscenico di un rito collettivo, serve a cementare l’identità
del gruppo, a costruire il concetto di comunità in alternativa a quella degli altri ma nel
retroscena, “loro” diventa contrapposizione, e non occorre fare tanta strada per
comprendere chi siano gli attori. Loro, che si contrappone a noi, rimane dentro al recinto
pentastellato e ne diventa l’alter ego, il reciproco. E così, per dirla con Goffman (1974) nel
frame principale del Movimento 5 Stelle contro tutti, se ne incastrano altri, dove
l’univocità diventa distonia e dove emergono tensioni e contraddizioni che avremo modo
di osservare nelle prossime pagine. Nell’ipotesi iniziale della ricerca, peraltro, di questa
“seconda ondata” non vi era traccia. Se, infatti, da una parte era ben definita la divisione
tra il MoVimento e gli altri, l’altra, ovvero quella emersa in questa sede, non era stata
ancora esplorata in modo approfondito.
A questo proposito, partendo dall’analisi delle conversazioni raccolte, il costante ricorso
ad argomenti oppositivi, toni sprezzanti, valutazioni negative nei confronti dell’altra metà
del partito, si è passati da semplice curiosità a profondo interesse raccogliendo, intorno
ad esse, l’asse centrale di questo lavoro. Per farle emergere, però, è stato necessario un
prolungato lavoro di preparazione all’interno del gruppo, al fine di far venir fuori i conflitti
interni, difficili da rilevare se non a seguito di una certa consuetudine (da acquisire in loco)
con i presenti, dei loro discorsi e dei loro modi di fare. Così facendo si sono aperte due
linee di analisi. Con la prima (cap.5) si è approfondita la percezione che gli attivisti del
MoVimento hanno della loro assemblea, di quello che rappresenta per loro e di come
essi ne parlano e vi si riferiscono. Con la seconda (cap.6) si è ragionato, invece, sul
conflitto nel conflitto, sui deboli (ma persistenti) segnali di una divisione interna, che
separa grillini e movimentisti, due facce della stessa moneta che insieme convivono
sincreticamente, a tratti in maniera difficoltosa e conflittuale.
2. Come studiare il Movimento 5 Stelle?
“Il Movimento 5 Stelle era qualcosa di assolutamente nuovo nel panorama politico
nazionale. Nessuno usava la rete. C’eravamo solo noi. Ora ci provano a copiare tutti”.
(P.R.)
“E’ vero, c’è il web, ma io sono una della vecchia scuola. Leggo i giornali, vado per
strada. Insomma, per me la vera politica si fa sempre allo stesso modo ” (P.P.)
Come studiare il Movimento 5 Stelle? Alcuni lo hanno fatto effettuando approfondite
analisi sui risultati elettorali (Diamanti 2013), studiando caratteri e caratteristiche
dell’elettorato (Corbetta e Gualmini 2013), prendendo in considerazione un ventaglio più
ampio di fattori, dalle idee alle strategie (Biorcio e Natale 2013) o soffermandosi solo sul
loro rapporto con i social network (Bentivegna 2013). E’ senz’altro vero, infatti, che per il
Movimento 5 Stelle, internet abbia rappresentato il principale canale di inclusione degli
attivisti all’interno della sfera pubblica, configurandosi non solo come infrastruttura di
comunicazione e strumento di mobilitazione, ma diventando il “luogo” in cui si è
realizzata una nuova forma di democrazia (Bordignon e Ceccarini 2013). Il blog di Grillo, i
Meetup e le votazioni online (dalla selezione dei candidati a quella delle proposte da
portare avanti) sono, infatti, diventati “i riferimenti simbolici, comunicativi e di tipo
organizzativo per una concezione innovativa di democrazia e del fare politica” (ibidem,
p.2). Ma nel costante tentativo di spiegare le “novità” del Movimento, spesso si è
tralasciata la parte più “tradizionale”. La rete, infatti, finora si è mostrata poco efficace
come strumento di partecipazione di massa o come via verso una democrazia diretta
(Corbetta 2013). Sulla base di queste considerazioni si è deciso di enfatizzare la
descrizione delle interazioni e del contesto (reale) nel quale gli attivisti si incontrano e si
scontrano. In questa maniera, il punto di partenza di questo viaggio nel Movimento 5
Stelle è rappresentato da un testo del 1922, scritto da Bronislaw Malinowski il cui titolo è
“Argonauti del Pacifico occidentale”. Per studiare un fenomeno, scriveva l’antropologo
polacco, non è necessario spiegarlo quanto, invece, cercare di comprenderlo dal “punto
di vista del selvaggio” e poi cercare di restituirlo nel miglior modo possibile. In questo
modo, la realizzazione di un racconto “dal di dentro”, segue un processo dinamico e
adattativo, basato sulle informazioni che via via il ricercatore riesce ad immagazzinare.
Quando, ad esempio, ci si avvicina ad una comunità, è necessario comprenderne i codici
verbali e gestuali, le ritualità, entrando (anche solo per un istante) in quel mondo,
facendolo proprio senza subirne un irrefrenabile fascino, evitando i pregiudizi verso
persone e mondi, necessariamente diversi, da quelli che occasionalmente o assiduamente
si tende a frequentare. Gli etnografi, infatti “non osservano solo con gli occhi, ma anche
attraverso l’udito (in base ai linguaggi che ascoltano), l’olfatto (grazie agli odori che
sentono), il tatto (per via dei materiali di cui si compone l’organizzazione) e anche il gusto
(è sufficiente entrare in una mensa aziendale per capire che le organizzazioni non hanno
tutte lo stesso “sapore”)” (Bruni 2003, p.79).
Si tratta di un approccio non standard, continuamente modificato dalle interazioni e dalle
interpretazioni dei membri che li compongono, orientato da quel “certo sguardo” (Dal
Lago e De Biasi 2002), che consente di non limitare lo studio ad una semplice
riproposizione fredda, autonoma e preesistente della realtà (anche attraverso un’accurata
e neutrale raccolta e interpretazione del materiale a disposizione) ma orientandolo,
invece, sui processi con cui viene costruita o riportata. In questo senso, le assemblee sul
territorio, fatte di interazioni e di rituali, divengono forse più rilevanti e più dense di
informazioni rispetto a ciò che emerge dall’analisi del materiale presente su internet o
dalle forme con cui, in rete, vengono prese certe decisioni.
3. I primi passi
“Ci spiego al giornalista perché ho votou u Grillu. Bersani, Berlusconi, Bossi e Vendola
non lo sanno dire. E invece Beppe parla come me, dice belin come lo dico io, duecento
volte al giorno, forse duemila. E se uno parla come me, quando c'è da decidere, deciderà
come me, no?” (E.S.)
“Voi giornalisti vi fissate sempre su Grillo, sull' agenzia Casaleggio che cura il suo blog,
sui meccanismi decisionali che non volete capire. Invece è tutto infinitamente più
semplice: Beppe riesce a capire il malcontento, gli dà voce e strumenti e poi, quando si
va a votare, arrivano i grandi numeri” (D.G.)
Ecco alcune delle prime frasi che mi vengono rivolte dai partecipanti. Evidenziano,
peraltro, un problema che si era posto anche nella fase di preparazione della ricerca. Per
diversi anni, con cadenza settimanale, ho scritto sulle pagine locali di Repubblica e da una
anno a questa parte scrivo sul principale quotidiano locale, Il Secolo XIX. Non potevo
entrare in un contesto politicamente connotato in punta di piedi, non potevo entrare
senza modificarlo, senza catalizzare l’attenzione (per non dire le critiche) dei più accesi
partecipanti.
D’altronde, come ribadiscono anche Dal Lago e Quadrelli (2003), nello svolgimento di
una ricerca non esiste una combinazione ottimale di metodi. Goffman, ad esempio,
raramente ha effettuato interviste privilegiando, invece, l’osservazione e il ricorso a
documenti scritti. In maniera del tutto opposta, Bourdieu ne ha fatto un largo impiego
riducendo al minimo la parte etnografica. Proprio per questo la scelta è stata quella di
lasciare che la ricerca costruisse sé stessa, attraverso un “viaggio tra appartenenza ed
estraneità, soggettività ed oggettività” (Dal Lago e Quadrelli 2003, p.22) che permettesse
di entrare sul campo in maniera graduale e che alla fine, comunque, consentisse di
ottenere quella thick description che secondo Geertz (1973) sta alla base della ricerca
etnografica. Allo stesso modo, al fine di ottenere il miglior risultato, è stato fondamentale
il ricorso ai cosiddetti gatekeeper, ovvero quegli “attori sociali che controllano, grazie al
loro ruolo, l’accesso alle realtà sociali o mondi meno visibili” (Dal Lago e Quadrelli 2003,
p.25) al fine di farmi accettare dalla comunità (o meglio per non farmi percepire come
elemento potenzialmente “pericoloso”). Insieme a loro, infatti, mi sono presentato per
ben tre volte all’incontro pubblico che, con cadenza quindicinale, il Movimento 5 Stelle
organizza alla sala “chiamata del porto”, un edificio situata in una zona semi-periferica di
Genova, nel quartiere di Sampierdarena, facilmente raggiungibile con mezzi propri o
pubblici sebbene mostri sensibili difficoltà di parcheggio nelle ore serali. Il luogo dove si
tiene l’assemblea non è facilmente riconoscibile. Non esistono insegne, locandine o
cartelli che indichino la sua presenza (e lo stesso accade per l’incontro periodico) ma una
volta raggiunta la meta l’accesso è univoco, non ci si può perdere né sbagliare.
Attraversando una porta a vetri (che nei mesi più caldi rimane sempre aperta) si
raggiunge un vano intermedio, una sorta di “spazio di preparazione” rispetto al rito più
solenne che si terrà nella sala successiva. Émile Durkheim (1912), ad esempio,
sottolineava come i riti si svolgessero in momenti ricorrenti e spesso periodici. Essi infatti,
pur presentandosi come qualcosa di episodico, di “staccato” dalla vita ordinaria e
quotidiana, la rendono possibile grazie all’impegno delle degli attori coinvolti che, in tali
rituali, “riscoprono” linguaggi e significati dello stare insieme.
Per gli attivisti del M5S, tutto ciò prende forma in una sala capace di contenere un
centinaio di persone a sedere. Al suo interno, un tavolo (normalmente dedicato agli
oratori e ora occupato dagli organizzatori degli incontri) si contrappone a diverse file di
sedie occupate dai partecipanti. L’accesso alla stessa è libero e non vi è traccia di formali
azioni di controllo da parte dei presenti, sebbene le loro buone maniere (Goffman 1959)
nascondano, in realtà, una distaccata sorveglianza nei confronti di ogni “nuovo arrivato”.
Per quanto riguarda la mia presenza, stante la dilatazione su più incontri, la ricerca
inizialmente si è basata sull’osservazione per poi passare alle più svariate forme di
interazione (dalla somministrazione di interviste semi-strutturate a vere e proprie
conversazioni informali). Tutto ciò con l’obiettivo di cogliere le sfumature più interessanti,
sia mediante l’utilizzo di un registratore digitale, sia trascrivendo i più significativi stralci
della conversazione o annotando le parole che mi colpivano nei commenti dei
partecipanti.
4. Un passo avanti nella ricerca: l’utilizzo della grounded theory
Si è detto, in precedenza, che il presente lavoro si è orientato lungo una direttrice
principale, una ricerca etnografica effettuata durante l’assemblea cittadina del
MoVimento che riunisce, ogni due settimane, attivisti e simpatizzanti alla “sala chiamata”
del porto. L’impianto iniziale, sostenuto anche dai primi risultati della ricerca sul campo,
guardava al M5S come un soggetto coeso, cementato dalla fiducia nel suo leader e dalla
volontà di “mandarli tutti a casa”. E, infatti, sono stati rilevati tutti gli elementi per
validare tale ipotesi. Una nuova formazione all’interno di un panorama politico oramai
logoro, l’utilizzo di toni forti e accattivanti, la forza trascinante di un condottiero senza
paura e la presenza di un nemico ideale, la politica (e a cascata i suoi rappresentanti).
Tutto filava liscio, non c’era nessuna distonia nella galassia pentastellata, nessun elemento
che ci portasse oltre la narrazione tradizionale.
Eppure non tutto tornava. C’era qualcosa di meno evidente che si poteva rilevare, parole,
frammenti di conversazioni che, pur non mettendo in dubbio la tesi dominante, ne
arricchivano i contorni con nuovi particolari e nuove caratteristiche. Con il successivo
utilizzo della grounded theory1 (Glaser e Strauss 1967; Strauss e Corbin 1990) si è voluto
dare maggiore enfasi ad una metodologia capace di poter operare all’interno di un
percorso ricorsivo, nel quale la fase di rilevazione, l’analisi e la costruzione della teoria
stavano in relazione circolare, come se i dati fossero i pezzi di un puzzle da costruire
strada facendo (Trinidad et al. 2006). In questo senso, il procedimento seguito ha visto
una prima raccolta dei dati, cui ha fatto seguito un processo di sistemazione e la
costruzione di una prima teoria interpretativa. Da questa, poi, sono nate due nuove
esigenze (riportate nei cap. 5, 6 e 7) che hanno portato, con un successivo passaggio, a
una versione definitiva della teoria stessa.
5. Perché il MoVImento è il MoVimento
“Mi ha colpito fin da subito l’atmosfera che si respirava. L’accoglienza, il
cameratismo…quelli che conoscevo sul web, li ho visti qui di persona ma era come se ci
conoscessimo da una vita” (F.B.)
“Quello che succede qui, nel nostro gruppo, ha qualcosa di magico. Affrontiamo temi
che, normalmente, nessuno si mette a seguire” (F.S.)
“Ogni tanto penso che qui stiamo facendo la storia” (E.V.)
Uno dei topic più ricorrenti nelle diverse conversazioni con gli attivisti, aveva come
oggetto il significato dell’assemblea e il suo essere “oltre”.
1
La grounded theory si basa sul costante ricorso a note scritte denominate “memo”. Esse possono essere
prodotto dell’osservazione diretta del ricercatore, interpretazioni della realtà osservata o estratte da
interviste realizzate. La codifica delle informazioni e la continua comparazione tra le categorie fino alla
saturazione delle informazioni fanno parte del successivo passaggio. Una volta raggiunta la saturazione delle
categorie non ci dovrebbero più essere nuove informazioni da codificare per cui si determina la categoria
centrale della ricerca, quella che fornisce la direzione che intraprenderà la successiva fase. A questo punto,
infatti, si può procedere a generare la teoria sostantiva capace di spiegare le relazioni tra le diverse categorie
create e, attraverso questa, arrivare alla creazione di una vera e propria teoria formale.
Spesso, infatti, la rappresentazione che questi ne davano era decisamente superiore a ciò
che in realtà accadeva. Da qui l’idea di provare ad approfondire tale distonia in chiave
foucoultiana, immaginando che, per gli attivisti (o per buona parte di essi), l’assemblea
rappresentasse uno di quei luoghi “assolutamente differenti: luoghi che si oppongono a
tutti gli altri, che sono destinati in qualche modo a cancellarli, a neutralizzarli o a
purificarli” (Foucault 2009, p.24). In questo senso, le frasi riportate all’inizio del capitolo
renderebbero l’idea di come, per i partecipanti, l’assemblea rappresenti realmente
qualcosa di ben più profondo di quello che, a un “non iniziato”, appare. Allo stesso
modo, emerge anche la convinzione che il luogo in cui essa viene svolta, sia intriso del
potere che viene emanato, di caratteristiche particolari, quasi “magiche”. Uno spazio
costituito attraverso una continua differenziazione rispetto al territorio circostante, uno
spazio al cui interno, come in uno specchio, la realtà viene capovolta e se ne produce
un’altra opposta, contraria. E da tutto ciò nasce l’eterotopia, “una specie di contestazione
al contempo mitica e reale dello spazio” (ibidem, p.13). Ma non è tutto. L’assemblea non
è solo una riunione (periodica) di persone. Essa diviene, anche, un insieme di racconti in
circolazione che svolgono la funzione di cartografia narrativa (Pollner e Stein 1996), un
racconto che “socializza”, preparando a ciò che avrà luogo durante l’incontro, favorendo
lo sviluppo di esperienze comuni ed imponendosi ai partecipanti come una forma di
egemonia narrativa interna. Rileggendo con attenzione interviste ed appunti, infatti, nei
discorsi dei partecipanti si tende spesso a marcare l’opposizione tra “qui” e “là”,
attraverso continue comparazioni tra la “genuinità” e la “trasparenza” dei propositi che
emergono in quella sede rispetto a tutto quello che accade negli altri luoghi. E’
frequente, infatti, osservare l’esistenza di topoi enunciativi (Amiotte-Suchet e Grandjean
2013) giustificazioni codificate, la cui frequenza tende ad aumentare in modo significativo
in funzione dell’anzianità di partecipazione mostrando, in questo modo, come linguaggio
e termini utilizzati vengano “appresi” in quel particolare luogo, metabolizzati e quindi
utilizzati automaticamente come se fossero propri. In questo modo, ogni volta
l’assemblea ricrea se stessa, attraverso ciò che si sperimenta e ciò che si dice si dovrebbe
sperimentare, in un continuo circolo virtuoso.
6. Non siamo tutti uguali agli occhi del signore
“Certo è che se si fossero impegnati un po’ di più per il Movimento invece che pensare
solo a quel belin di treno…” (A.P.)
“Pensano solo a litigare e a punire. Tutto sul web ovviamente, mai che si siano sporcati le
mani a dare qualche volantino” (L.V.)
Stralci di interviste, note raccolte, tutto evidenzia come nel Movimento 5 Stelle, si possa
osservare una contrapposizione sottotraccia, difficile da cogliere dal di fuori ma che vista
dall’interno, assume proporzioni non indifferenti. Due sono le posizioni dominanti
(sebbene esistano anche degli ibridi). Da una parte i fedelissimi del leader, assidui
frequentatori del blog e di tutto quello che è online, dall’altra quelli che provengono da
altre esperienze politiche all’interno di movimenti, comitati o, talvolta, partiti (a Genova
sono soprattutto transfughi dell’IDV). Nelle due successive tabelle, infatti potremo
osservare come, le due ali del M5S vedono e interagiscono con la politica (tab.1) o, nel
secondo caso, che tipo di rapporto, reale o mediato, hanno con il leader (tab.2).
Tab.1 – I diversi modi di vedere la politica
Gruppo 1
Gruppo 2
Mandarli tutti a casa
Difendere
Farla finita
Tutelare
Vincere
Mandarli tutti a casa
Radere al suolo
Coinvolgere
Mandarli a casa, Farla finita, Vincere, Radere al suolo. Questi i termini più usati da coloro
che, a posteriori, sono stati classificati come appartenenti al primo gruppo (più avanti
daremo loro anche un nome). Intransigenti, poco disponibili al dialogo e smaniosi di fare
piazza pulita dell’attuale classe politica.
Concetti forti, come forti sono state le parole con le quali hanno dato colore alle loro
affermazioni. A fare da contraltare a questo primo gruppo se ne può rilevare un secondo,
molto più “politico” negli atteggiamenti e nelle parole. Difendere, tutelare e coinvolgere
sono, infatti, tre delle quattro parole d’ordine citate con più frequenza mentre mandarli
tutti a casa risulta essere trasversale ad entrambi ed utilizzabile (come nella realtà) come
uno dei cavalli di battaglia del MoVimento stesso.
Tab.2 – I diversi modi di rivolgersi al leader
Gruppo 1
Gruppo 2
Beppe
Grillo
Il nostro leader
Il capo
Il capo
Grillo e Casaleggio
Di pari interesse è, anche, la contrapposizione tra i modi con i quali i due gruppi si
riferiscono al leader. Tra i primi (puri e duri) la relazione con Grillo risulta essere intensa e
ad elevata prossimità mentre ciò non accade per i secondi, la cui distanza sembra essere
decisamente maggiore. Il costante ricorso al nome di battesimo (Beppe) da parte del
primo gruppo e al cognome (Grillo) da parte del secondo ci permettono di osservare,
infatti, quali tipo di dinamiche si sono venute a creare all’interno del M5S. Sentirsi più
vicini al capo significa sentirsi parte del cerchio magico, della parte più pura del
MoVimento e questo si potrà osservare con maggiore dettaglio nel successivo capitolo.
7. Grillini e movimentisti
“Quelli dei comitati sono nati vecchi. Li senti parlare e sembra di sentire uno di
ottant’anni. Anni fa avevamo fatto questo, avevamo organizzato quell’altro. Noi siamo
molto più avanti…” (E.V.)
“I grillini sembra che siano nati sotto un fungo. Gli parli di Alta Velocità, di Gronda e
quelli che ti guardano come se fossi un alieno” (R.P.)
Come si definiscono, tra loro, i due gruppi? C’è un modo con cui chiamano i propri
“antagonisti”? Grillini e movimentisti. In questo maniera i gruppi definiscono gli “altri”,
quelli che non hanno le loro stesse caratteristiche. Tra i essi, in principio, esiste una sorta
di patto di non belligeranza. Durante l’assemblea non hai mai avuto luogo uno scontro
politico (o para-politico) aperto. Sono emerse, invece, parole e atteggiamenti che hanno
contribuito a far emergere le dissonanze, i tratti meno lineari e conflittuali. In tabella 3, ad
esempio, sono riportati i “giudizi” più ricorrenti2 che un gruppo ha dato dell’altro. Non è
difficile notare, fin da subito, come i termini usati abbiano, spesso, valenza negativa (-).
Tra le prime quattro etichette utilizzate dai movimentisti per definire i grillini, la prima di
esse raccoglie frasi che sono state ascritte all’ambito dell’integralismo (“non scendono a
compromessi”, “per loro tutto è una guerra santa”) mentre la la seconda, sintetizzata
tramite la label “disadattati”, riassume frasi come “sono fuori di testa”, “pensano solo al
blog e non al mondo reale”. La terza, caratterizzata dal termine “onesti” è l’unica tra le
quattro ad avere valenza positiva e si riferisce al rapporto che i grillini hanno con la
politica mentre “estremisti”, che è l’ultima etichetta con il quale è stato connotato questo
gruppo, ritrova al suo interno frasi come “non hanno in testa nessuna mediazione”, “per
loro è tutto bianco o nero”, “se qualcuno sgarra, lo vogliono subito far fuori”, “sono il
braccio armato di Grillo”.
2
L’analisi è stata effettuata mediante il software nVivo L’altra faccia della medaglia, invece, è rappresentata dalla opinioni che i grillini hanno dei
movimentisti. Anche in questo caso
prevalgono le componenti di segno negativo
sebbene si connotino in ambiti diversi dai precedenti. Innanzitutto emerge una
connotazione di tipo quasi religioso. Se i primi si reputano immacolati o peccati da
redimere, gli altri, di converso, risultano essere impuri poiché macchiati, in passato, da
esperienze politiche o di partito. In questo caso si potevano rilevare frasi come “Quello di
certo non è alla prima esperienza”, “Quelli sono saltati di palo in frasca”. Interessante
notare, inoltre, come il secondo gruppo di frasi citate sia collegabile al primo ed orientato
alla connotazione politica dominante tra i movimentisti: “Girotondini, comunisti, abbiamo
proprio di tutto qui”, “ah, se vuoi, lì ci sono gli amici di Stalin”. Al terzo posto possiamo
osservare un discreto numero di frasi legate alla natura dei movimenti locali ma declinate
negativamente: “Si incatenano ai pali della luce”, “Non sanno fare altro che protestare
contro qualcosa”, “Sono come Don Chisciotte, vanno contro i mulini a vento”. A seguito
di tutto ciò, però, gli viene concesso di essere volenterosi (quarta categoria rilevata)
poiché “si impegnano a fondo per il bene del MoVimento” e questo, in qualche modo,
ne mitiga la percezione negativa e, in parte, la distanza percepita.
Tab.3 – Comparazione tra i due gruppi
I Grillini
I Movimentisti
con gli occhi dei Movimentisti
con gli occhi dei Grillini
Integralisti (-)
Impuri (-)
Disadattati (-)
Comunisti (-)
Onesti (+)
Paladini delle cause perse (-)
Estremisti (-)
Volenterosi (+)
8. Conclusioni
“Secondo me abbiamo preso moltissimi voti dagli elettori del PD. Certo, magari non tutti
ti vengono a dire che hanno votato per il Movimento 5 Stelle. Insomma il PD è l’erede del
PCI ma non lo votano. Votano noi, hai capito?” (R.B.)
“Dove abito io non sono solo i giovani ad aver votato per il MoVimento. Anche gli anziani
lo fanno fatto. Se fai un giro nel bar te ne puoi rendere conto da solo. Ci votano perché il
nostro programma rispecchia i loro ideali”. (F.S.)
Il Movimento 5 Stelle ha (e continua ad avere) grande successo perché capace di
raccogliere le istanze più diverse, un partito “personalizzabile” a seconda dei propri gusti
e delle proprie inclinazioni, legato ad una particolare issue o a più ampie istanze di
protesta, tutto all’interno di un unico grande contenitore. Questa sua indubbia forza
attrattiva, in maniera meno evidente, si rileva anche un suo limite. La convivenza tra
istanze non sempre conciliabili, a fronte di una comunicazione monolitica gestita in
remoto dai due leader del MoVimento, crea una sorta di distonia politica tra i diversi
gruppi di militanti. Nel corso della ricerca sul campo, l’accento è stato posto sulle
differenze che, all’interno dell’assemblea, sono emerse tra “grillini e “movimentisti”, due
poli ben delineati (e delineabili) del contenitore pentastellato la cui coesione, pur non
venendo meno, mostra alcune crepe. E questo accade non solo in ambito verticale
(ovvero nei confronti della leadership) ma anche a livello orizzontale lungo una direttrice
che contrappone due diversi modi di intendere la politica e, soprattutto, di intendere il
MoVimento. Una seconda linea di analisi all’interno della ricerca è arrivata ad ipotizzare,
attraverso il concetto di eterotopia, come l’idea di un’esperienza condivisa che va “oltre”
i confini fisici e temporali della riunione stessa, sopravviva (anche) grazie a dispositivi che
favoriscono lo sviluppo di un “corredo” esperienziale. Una sorta di “manuale di cosa si
deve provare durante l’assemblea” che viene via via assimilato da ogni nuovo arrivato. In
questo senso, ha senso supporre che i diversi topoi enunciativi contribuiscano, in loco, a
far emergere o a rafforzare le caratteristiche dei nuovi grillini o dei nuovi movimentisti?
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