L`agonia delle cave di granito
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L`agonia delle cave di granito
SPECIALE sabato 4 ottobre 2008 L’UNIONE SARDA 47 I posti di lavoro erano migliaia, sono diventati 500. Il mercato europeo invaso da Cina, Vietnam, Corea Focus Sardegna Continua inesorabile la crisi del settore estrattivo del granito. Chiudono le cave, restano 500 lavoratori. L’agonia delle cave di granito Trent’anni fa il boom.Adesso è tempo di crisi cubi del 1998 a 70 mila, migliaia di posti di lavoro ridotti ad appena 500. «Non credo che i cinesi siano la sola ragione del crollo - spiega Piero Tamponi, presidente del Consorzio Graniti e Marmi sardi - cer- to la globalizzazione ha influito molto. La Sardegna produce il miglior granito al mondo ma soffre dell’aumento dei costi dell’attività estrattiva e nei grandi appalti, dove serve il prezzo, spesso rimane fuori. Sono con- vinto, e lo dico da un pezzo, che nel settore si avverte la mancanza di affermazione del made in Italy e, nel nostro caso, del made in Sardegna». Non è casuale, quindi, che alla Fiera di Verona (Mostra internazionale di marmo, pietra, design e tecnologia) la Regione non sia presente con un suo stand. Eppure, grattacieli di Tokyo, New York e di altre grandi città del mondo, per non parlare dei pavimenti di moltissime piazze in ogni angolo del pianeta, sono stati realizzati con il granito della nostra Isola. «I tempi son cambiati e bisogna adeguarsi - prosegue Tamponi - a partire da normative doverse. Il Piano pae- di VITO FIORI Non era il Klondike, e solo perché non c’era l’oro, ma la Gallura, allora, era qualcosa di molto simile. La corsa all’apertura di cave di granito, dagli anni Settanta alla fine dei Novanta del secolo scorso (sembra passato davvero molto tempo), era stata talmente frenetica da cogliere tutti di sorpresa. La fila interminabile dei rimorchi al porto di Olbia, tanti padroncini coi camion che andavano e tornavano dalla penisola a ritmi pazzeschi, davano l’idea di un settore la cui espansione sembrava non dovesse mai fermarsi. Centinaia di cave in attività, migliaia di addetti e fatturati di assoluto rilievo da motivare la creazione di un distretto del granito in Gallura. Erano gli anni delle vacche grasse. Alla Regione, che all’epoca mostrava di credere nell’estrazione dei lapidei, qualcuno pensò che bisognava anche lavorare il prodotto in loco e non limitarsi a estrarre i blocchi ed esportarli in Toscana dove, specie a Massa e a Carrara, c’erano le segherie in grado di trasformarli in lastre. Nacque così, a inizio anni Settanta, l’Isgra (a Tempio) e, successivamente, la Granitsarda (a Olbia), partecipate da Emsa e Sfirs, con qualche centinaio di operai addestrati con corsi specifici. Tanto per cambiare, trattandosi di aziende pubbliche, i risultati furono catastrofici grazie a un management strapagato e altrettanto improvvisato. Iniezioni di denaro, cassa integrazione e altri additivi non servirono a impedire l’inevitabile fallimento dopo un’agonia durata sino a una decina di anni fa. Invece, i privati sembravano inarrestabili. Ma la loro corsa era destinata a fermarsi. I segnali del cedimento hanno cominciato a manifestarsi sul finire degli anni Novanta. La Cina in primis - ora anche il Vietnam, la Corea, il Brasile e l’Argentina - ha iniziato a invadere il mercato europeo e quello statunitense (un tempo appannaggio di sardi, spagnoli e portoghesi) con dei prezzi incredibilmente bassi. Concorrenza imprevista e devastante che ha determinato una crisi drammatica. Oggi sono appena 120 le cave in attività e il volume complessivo dell’estrazione è passato dai 400 mila metri Cosa resta di ettari ed ettari coperti da sfridi e dai derivati dell’estrazione. Si spera nel G8 Una terra danneggiata, senza colpevoli Del boom del settore estrattivo rimangono le decine di cave di granito abbandonate nelle campagne galluresi e in quelle di Buddusò e Alà dei Sardi, a rendere l’idea di ciò che avrebbe potuto essere e, come spesso succede, invece non è stato. Ettari ed ettari di territorio coperti da sfridi e derivati dell’estrazione. Uno spettacolo orrendo che da decenni si può apprezzare con una semplice gita in auto. Sberleffo agli ambientalisti che si infiammano per una fogna che scarica in mare o per un palazzo troppo alto e mai, in tutto questo frattempo, hanno speso una parola per lo scempio dell’interno. Non fa audience, lo si capisce. Adesso, la Regione ha deciso di prendere di petto la situazione. Ha affidato uno studio a un pool di esperti, guidati dal docente universi- Operai in una cava di granito in Gallura tario Mauro Coni e dalla ricercatrice Silvia Portas, che ha consegnato di stradali per la nuova strada Sassarirecente una dettagliata relazione. Un Olbia”. paio di settimane fa, l’assessore ai Scrive l’assessore: “Un tema che Lavori pubblici Carlo Mannoni ha riveste particolare importanza nella scritto alla Struttura di Missione per Regione Sardegna è dato dalla posil G8. Una paginetta e mezzo con ogsibilità di un riuso degli inerti derigetto: “Riutilizzo degli sfridi dell’attivanti dall’imponente attività estrattività di cava nell’ambito dei lavori va che da sempre caratterizza il ter- ritorio regionale e che ha prodotto ingenti cumuli improduttivi che determinano un forte impatto ambientale”. Della serie non è mai troppo tardi - anche se, a onor del vero, prima di Mannoni non ci aveva pensato nessuno - era ora che si mettesse mano a una situazione che definire una vergogna non sarebbe esagerato. Le responsabilità andrebbero equamente suddivise tra gli enti locali (Regione, Provincia e Comuni) e i predoni che hanno saccheggiato impunemente il territorio senza pagare dazio. «Da anni - dice Salvatore Fiore, di Buddusò, titolare di una delle più grandi cave dell’Isola - noi non abbiamo discariche nel nostro sito. Non usiamo esplosivo e i nostri sfridi sono ridotti a nulla. La nostra azienda, dove ormai lavorano solo quelli di famiglia, è in grado di macinare il granito. Dicono che si voglia utilizzarli per le strade, bene. Noi siamo qui, ad aspettare le commesse per il G8. Se poi dovessero decidere, una volta per tutte, che il granito sardo deve essere usato ovunque, ancora meglio. Sono anni che parlo ma nessuno mi ascolta e ora il settore è quello che è, in crisi profonda e senza vie di uscita». Anche l’idea di risanare l’ambiente, eliminando gradualmente gli sfridi dalle cave dismesse, potrebbe rappresentare un segnale di risveglio per tutti. (v. f.) saggistico, giusto per fare un esempio, limita l’attività estrattiva. Noi non abbiamo mai chiesto l’apertura di nuove cave, bastano e avanzano quelle che abbiamo, perché il prodotto c’è. Si tratta semplicemente di riorganizzarsi e ripartire. Oggi, è sufficiente leggere qualsiasi rivista di architettura, è in atto una sorta di riscoperta della pietra per le costruzioni. In Sardegna si estrae oltre il 90 per cento del granito di tutta l’Italia, mi sembra una ragione più che valida per insistere e per rivitalizzare il settore». Cosa pensa che si possa fare in questo momento? «Occorre inventarsi qualcosa, cominciando dai centri storici. Qual è la ragione che costringe le amministrazioni comunali a utilizzare materiali di altri territori, il prezzo? Un aspetto superabile con l’inserimento nel capitolato dell’obbligo a usare i prodotti locali. Abbiamo visto il porfido nelle nostre piazze e ora anche il granito cinese. Si potrebbe ovviare con un po’ di buona volontà e di buon senso». Piero Tamponi, calangianese, proviene da una famiglia di industriali del sughero che, già un secolo fa, aveva diversificato l’attività aprendo una delle primissime cave in Gallura. Ecco il motivo per cui non è proprio a digiuno della materia. Anzi, ormai da anni presiede il Consorzio di settore che fa capo a Confindustria e cerca di portare avanti le istanze della categorie, non sempre con successo. «Manca una normativa strutturata, siamo ancora distanti da altre regioni italiane. Capiamo tutti che l’economia è fatta di cicli positivi e negativi, noi siamo nella seconda fase nonostante sia rimasta intatta la capacità di produrre. Siamo sempre convinti che dalla crisi si possa e si debba rinascere, oggi, però, gli imprenditori sono disillusi e molto difficilmente investono al buio, senza avere certezze. Esistono e sono solidissime, sotto ogni punto di vista, alcune aziende, ma sono poche rispetto alle potenzialità. Ed è un peccato, perché le nuove generazioni sono più colte, hanno una sensibilità maggiore per l’ambiente e non vengono ascoltate comunque». Soprattutto ora, in un periodo in cui l’aumento dei costi per l’estrazione tocca indistintamente tutti e il gap dell’offerta va riducendosi. Senza supporti legislativi né di alcun genere, resta la difficoltà degli operatori ad accrescere la produzione e a esportare anche solo il blocco grezzo.