l`ultima base di lou gehrig - Istituto di Ricerche Farmacologiche

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l`ultima base di lou gehrig - Istituto di Ricerche Farmacologiche
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L’ULTIMA BASE
DI LOU GEHRIG
Nonostante sia nota da oltre un secolo, la malattia che prende il nome
dal campione americano rappresenta ancora una sfida per la ricerca
CRISTINA CHERONI
L
GEHRIG È RICORDATO NEGLI STATI UNITI come uno dei giocatori più fenomenali della storia del baseball. I suoi record rimasti
insuperati per oltre 50 anni e la sua scomparsa precoce e tragica
lo hanno reso una leggenda. Nella primavera del 1938, quando Lou
Gehrig, star dei New York Yankees, aveva solo 34 anni ed era all’apice
della carriera, il suo livello di gioco calò bruscamente. Il decadimento
fisico si accentuò con il proseguire della stagione: Gehrig inciampava,
i riflessi erano rallentati, aveva perso forza, potenza e velocità; dopo
2.130 partite consecutive giocate, nel maggio del 1939 fu costretto a
rimanere in panchina. Poco dopo i medici gli diagnosticarono una rara patologia neurodegenerativa, la sclerosi laterale amiotrofica. Non
c’era nessuna speranza: non solo la sua carriera era terminata, ma anche
la sua vita era in declino. Solo due anni più tardi, il 2 giugno del 1941,
Lou Gehrig soccombette alla malattia. Da allora, soprattutto negli Stati Uniti, la sclerosi laterale amiotrofica è conosciuta come morbo di
Lou Gehrig.
Forme di debolezza muscolare progressiva erano già note ai medici del Diciannovesimo secolo, ma venivano considerate patologie
muscolari fin quando nel 1869 il famoso neurobiologo francese JeanMartin Charcot evidenziò la perdita di motoneuroni e propose il nome di «sclerosi laterale amiotrofica», abbreviato in Sla. La Sla è una malattia neurodegenerativa a esito infausto che provoca una lenta ma inesorabile degenerazione dei motoneuroni. Queste cellule del sistema
nervoso centrale sono responsabili della trasmissione degli impulsi
elettrici dal cervello ai muscoli per la generazione dei movimenti volontari dell’organismo. I motoneuroni possono essere suddivisi in due
categorie: motoneuroni superiori e inferiori. I primi sono localizzati
nella corteccia cerebrale e trasmettono il segnale nervoso ai secondi;
questi ultimi, attraverso i loro lunghi assoni, innervano i muscoli che
controllano il linguaggio, la deglutizione, il movimento degli arti e la
respirazione. La Sla provoca la morte sia dei motoneuroni superiori sia
di quelli inferiori; di conseguenza, il sistema nervoso non è più in grado di avviare e controllare il movimento muscolare. I muscoli, che non
ricevono più gli impulsi di cui hanno bisogno per funzionare in modo
corretto, gradualmente si indeboliscono e diventano atrofici.
I primi sintomi sono lievi e subdoli: la maggior parte dei pazienti
avverte spossatezza, affaticamento e debolezza muscolare, con difficoltà nel compiere e coordinare movimenti di precisione a carico degli arti superiori o inferiori. Più di rado possono comparire alterazioni
della deglutizione, della fonazione o della masticazione. L’atrofia e la
debolezza muscolare si accompagnano a rigidità e contrazioni muscoOU
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BETTMANN / CORBIS
Lou Gehrig (a sinistra) con il compagno di squadra Joe DiMaggio nel 1936, due anni prima dell'esordio della malattia.
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è una malattia relativamente rara: in Italia si manifestano in media tre nuovi casi al giorno e si contano
circa sei ammalati ogni 100.000 abitanti. È considerata una patologia dell’età adulta, con picco massimo
di incidenza tra 40 e 60 anni, anche se ci sono casi più
rari a esordio precoce.
Se negli Stati Uniti la Sla è legata alla figura di
Lou Gehrig, in Italia è divenuta oggetto di attenzione da parte dei mass-media in seguito al suo manifestarsi in alcuni giocatori di calcio. La possibilità che
l’attività calcistica professionistica aumenti il rischio
di contrarre la Sla è stata valutata in un recente studio 1 nel quale sono state esaminate le cartelle cliniche di tutti i calciatori italiani che hanno giocato almeno una partita ufficiale in serie A o B dal 1970 al
2001. In base ai risultati ottenuti, il rischio di ammalarsi per un calciatore sarebbe sei volte più elevato rispetto alla popolazione italiana totale. Le cause dell’incremento non sono note, ma sono stati ipotizzati
come fattori di rischio uno sforzo fisico prolungato
associato a traumi o microtraumi, oppure l’assunzione di sostanze tossiche illegali o di farmaci utilizzati
a dosi e per periodi di tempo eccessivi. Infine, è stato supposto un legame con l’uso di erbicidi o fertilizzanti sui campi da gioco.
Nei topi transgenici che esprimono la superossido dismutasi SOD1 mutata, responsabile della forma familiare di sclerosi laterale amiotrofica, accrescere o
ridurre i livelli della forma normale della proteina non modifica il decorso della malattia. Questo dato sembra ridimensionare sia il ruolo attribuito allo
stress ossidativo sia l'utilità di potenziali farmaci che simulino l'effetto della
SOD1. In queste sezioni di midollo spinale, le frecce segnalano gli aggregati di
SOD1 che si formano sia nei topi con varie mutazioni (a, b, c, d) sia nei pazienti
(e, f). (Liberamente adattata da Science 1998;281:1851)
lari involontarie, provocate dall’iperattività dei motoneuroni rimasti. A prescindere dal sito d’esordio, man
mano che la malattia prosegue i danni si espandono ai
distretti corporei adiacenti. Sempre più muscoli vengono compromessi e il grado di disabilità del paziente si fa via via più grave, si manifesta una paralisi progressiva che sfocia nell’immobilità e diventa difficile o
impossibile deglutire, masticare e parlare. La paralisi
dei muscoli respiratori rende infine necessaria la ventilazione assistita ed è purtroppo una causa frequente
di morte. In genere la malattia dura fra i tre e i cinque
anni dall’esordio dei primi sintomi, ma esiste una grande variabilità individuale.
La maggior parte dei pazienti conserva pressoché
integre le funzioni cognitive e sensoriali e assiste quindi consapevolmente alla perdita progressiva delle proprie capacità motorie. La sclerosi laterale amiotrofica
Arriva la genetica
Nonostante la Sla sia stata descritta oltre un secolo fa,
fino ai primi anni ‘90 le cause e gli eventi alla base della sua insorgenza erano ancora ignoti, mentre negli
ultimi anni sono state acquisite conoscenze fondamentali grazie allo studio delle forme familiari. Infatti, sebbene la maggior parte dei casi sia sporadica, circa il 5-10% dei pazienti appartiene a famiglie in cui
la malattia si trasmette per via ereditaria. Un lungo lavoro di analisi degli alberi genealogici e di mappatura genetica ha condotto nel 1993 alla scoperta che
circa il 20% dei casi familiari è causato da mutazioni
nel gene per l’enzima superossido dismutasi 1
(SOD1) 2. Questa nuova conoscenza è considerata una
pietra miliare della ricerca, perché ha fornito il primo
indizio molecolare sulla patogenesi della malattia,
permettendo per la prima volta di formulare ipotesi di
lavoro sui meccanismi che uccidono i motoneuroni.
La normale funzione di SOD1 è di eliminare l’anione
superossido, un radicale libero tossico per la cellula.
All’inizio, quindi, si era supposto che nella Sla la mutazione dell’enzima ne riducesse l’attività, con conseguente accumulo di superossido e citotossicità. In
realtà, numerosi dati hanno dimostrato che l’insorgenza della Sla non dipende da una ridotta attività antiossidante della SOD1, bensì dall’acquisizione di
nuove proprietà tossiche.
Più di recente è stato identificato un secondo gene, codificante per una proteina a funzione ignota, la
cui mutazione è responsabile di una forma di Sla gio-
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vanile 3. Grandi sforzi sono tuttora in corso per individuare le mutazioni genetiche ancora sconosciute
che provocano la patologia, nella speranza che, decifrando i meccanismi cellulari la cui alterazione innesca la malattia, se ne chiarisca meglio la patogenesi.
Il riconoscimento di mutazioni di SOD1 come
causa di Sla ha anche permesso di sviluppare modelli
sperimentali validi e affidabili, grazie ai quali si è potuto ampliare notevolmente il bagaglio di conoscenze. Gli studi in vitro sono condotti soprattutto su colture cellulari di diverso tipo, per esempio neuronali o
gliali: facendo esprimere in tali cellule la SOD1 mutata, si possono valutare le modificazioni più importanti che essa induce ed esaminare le risposte che si verificano in seguito a modificazioni dell’ambiente, come ad esempio le alterazioni dei livelli di altre molecole di cui si vuole indagare il ruolo. Il più importante modello in vivo, invece, è rappresentato da topi
transgenici nel cui genoma è stato inserito il gene codificante per la SOD1 umana mutata (topi F-Sla) 4. L’espressione ad alti livelli della proteina mutata provoca nei topi F-Sla una patologia paralitica progressiva,
le cui caratteristiche generali ricapitolano la malattia
umana. Questo modello è impiegato per indagare i
meccanismi patogenetici, poiché può essere analizzato sia in stadi presintomatici sia in quelli avanzati e
consente di verificare i dati ottenuti negli studi in vitro in un sistema più complesso e più simile alla patologia umana; inoltre è utile per saggiare nuovi approcci terapeutici.
Indizi al vaglio
Nonostante i notevoli sforzi e i passi in avanti compiuti, gli eventi precisi che innescano la patologia rimangono elusivi. La Sla è considerata una malattia
multifattoriale: più che una singola causa, sono implicati diversi fenomeni che convergono e interagiscono tra loro nel determinare la morte dei motoneuroni. Di seguito verranno discusse le ipotesi di meccanismi patogenetici oggi allo studio; capire quali tra di
essi abbiano un ruolo principale e quali siano invece
eventi secondari, così come individuare a che punto
della progressione della patologia intervengano, è
una sfida che deve ancora essere vinta.
Una prima ipotesi è quella dello stress ossidativo. I radicali liberi sono un sottoprodotto nocivo del
metabolismo cellulare: si tratta di specie chimiche
molto reattive che danneggiano DNA, proteine e lipidi. Diversi studi hanno evidenziato un aumento dei
marcatori di ossidazione sia nei pazienti sia nei topi
F-Sla e di conseguenza si è ipotizzato che alla base
della malattia ci possa essere un’alterazione del bilanciamento tra i fenomeni pro-ossidanti e i sistemi antiossidanti 5. Oggi però non esistono dati che dimostrino in modo univoco un ruolo primario dello stress
ossidativo e alcuni studiosi ritengono che si tratti
piuttosto di un evento secondario, seppure con un
contributo significativo alla morte dei motoneuroni.
Un’altra ipotesi è quella delle anomalie mitocondriali. I mitocondri costituiscono la maggior fonte
energetica della cellula, ma sono anche il principale
sito di produzione di radicali liberi. Alterazioni morfologiche e funzionali dei mitocondri sono state riscontrate come evento molto precoce nei motoneuroni dei topi F-Sla 6. Di recente, inoltre, è stata individuata un nuova e inaspettata interazione tra la SOD1
mutata e questi organuli cellulari: esperimenti di frazionamento delle proteine cellulari hanno dimostrato che la SOD1 è localizzata anche a livello mitocondriale, nonostante tradizionalmente lo si consideri un
enzima a esclusiva localizzazione citoplasmatica;
inoltre la forma mutata sembra interagire con la membrana dei mitocondri e danneggiarla 7,8. Tutti questi
dati hanno supportato l’ipotesi che i mitocondri possano rappresentare un bersaglio importante durante
l’insorgenza e la progressione della Sla.
Un terzo possibile meccanismo è quello dell’aggregazione proteica. Sebbene fenomeni di aggregazione e deposito di proteine aberranti siano comuni a
diverse malattie neurodegenerative, il loro ruolo patogenetico non è chiaro. L’attività tossica potrebbe
derivare da vari effetti dannosi, quali il sequestro e il
danneggiamento di componenti cellulari fondamentali oppure l’interferenza con i meccanismi fisiologici
di degradazione proteica e di movimento di molecole 9. È però anche possibile che le inclusioni proteiche
siano un prodotto secondario inoffensivo o addirittura abbiano un ruolo protettivo mediante il sequestro
delle proteine aberranti. Per ciò che riguarda la Sla,
sia nei pazienti familiari sia in quelli sporadici i motoneuroni in degenerazione e gli astrociti che li circondano presentano accumuli di proteine strutturati
in corpi di inclusione; tra le principali molecole che
si accumulano ci sono i neurofilamenti (componenti
del citoscheletro cellulare importanti per il traffico
molecolare nella cellula), l’ubiquitina e, soprattutto
nei casi familiari in cui è mutata, la SOD1. Vari studi
hanno mostrato che le mutazioni di SOD1 ne alterano la conformazione tridimensionale destabilizzando
l’enzima diminuendone la solubilità e aumentandone
la propensione ad aggregare; queste nuove caratteristiche della proteina mutata sembrano essere importanti per la patogenesi della Sla, sebbene la tossicità
delle forme aggregate sia ancora oggetto di studio.
L’ubiquitina è un polipeptide implicato nel controllo del turnover proteico; infatti, quando si lega a
una proteina, ne determina la degradazione da parte
del principale meccanismo proteolitico intracellulare, il proteasoma. Il sistema ubiquitina-proteasoma è
fondamentale per mantenere la corretta omeostasi
proteica nella cellula e quindi si è ipotizzato che alterazioni della sua funzionalità possano essere implica-
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Nei malati di Sla questo meccanismo protettivo sembra essere deficitario, in quanto proprio nelle regioni
del sistema nervoso colpite dalla patologia si è rilevato un calo dei livelli del trasportatore gliale del glutammato.
Chimere
L
SOD1 mutanti puri
100
sopravvivenza %
80
60
40
20
0
0
50
100
150
200
250
300
Età (giorni)
I topi chimerici in cui alcune cellule possiedono la superossido
dismutasi SOD1 normale e altre la forma mutata (cerchi) si ammalano più tardi e sopravvivono più a lungo dei mutanti puri
(triangoli), anche quando la forma normale è espressa non nei
neuroni ma nelle cellule nervose che li circondano, gli astrociti.
Il danno ai neuroni quindi è influenzato anche dalle interazioni con le cellule circostanti (liberamente adattata da Science
2003; 302: 113).
te nella formazione dei corpi di inclusione. A questo
proposito, numerose indagini cercano di valutare se,
durante la progressione della malattia, l’accumulo di
proteine sia correlato a una diminuzione dell’attività
del sistema ubiquitina-proteasoma. In caso positivo,
si potrebbero escogitare nuovi interventi terapeutici
per migliorare i meccanismi proteolitici nei neuroni.
Purtroppo finora i dati sono contrastanti e non permettono conclusioni definitive. Molti studi, soprattutto utilizzando tecniche di proteomica, stanno cercando di identificare anche le proteine meno abbondanti che, rimanendo intrappolate negli aggregati,
potrebbero non essere più in grado di svolgere la propria funzione fisiologica.
Un ruolo è stato infine ipotizzato per la cosiddetta eccitotossicità. Il glutammato è un aminoacido
che nel sistema nervoso centrale svolge il ruolo di
neurotrasmettitore eccitatorio: una volta rilasciato
dal neurone presinaptico, si lega ai propri recettori
localizzati sulla membrana del neurone post-sinaptico e determina l’ingresso di ioni calcio, scatenando
specifiche risposte cellulari. Se la stimolazione da
parte del glutammato è eccessiva, la concentrazione
intracellulare di calcio supera la soglia di tollerabilità
e diventa tossica; questo fenomeno viene definito eccitotossicità. In condizioni fisiologiche, proprio per
evitare eventi simili, il glutammato rilasciato nello
spazio sinaptico viene rapidamente rimosso dalle cellule gliali adiacenti mediante molecole trasportatrici.
Vulnerabilità selettiva
La Sla è una patologia altamente selettiva: le uniche
cellule che degenerano sono i motoneuroni. Ciò accade anche nei casi familiari, nonostante la mutazione
che provoca la malattia sia ubiquitaria. Lo studio delle caratteristiche specifiche dei motoneuroni potrebbe quindi aiutare a comprendere i motivi della loro
maggiore suscettibilità alla degenerazione. Innanzitutto, queste cellule sono tra le più grandi del sistema
nervoso centrale; i loro assoni, che partono dal tronco encefalico o dal midollo spinale e raggiungono i
muscoli scheletrici per creare il contatto neuromuscolare, possono essere lunghi fino a un metro. Inoltre a
livello della giunzione neuromuscolare i motoneuroni
sono a contatto con l’ambiente esterno al sistema nervoso centrale; in questo distretto, infatti, è assente la
barriera ematoencefalica, che di norma separa le cellule nervose dal resto dell’organismo. Infine, i motoneuroni sono particolarmente vulnerabili agli stimoli
eccitotossici e ai processi biochimici calciodipendenti potenzialmente dannosi. Ciò deriva dall’alta espressione di recettori per il glutammato e dalla carenza
delle più importanti proteine leganti il calcio, la cui
azione fisiologica è di opporsi a eccessivi incrementi
della concentrazione intracellulare di calcio.
A causa della grande selettività nella morte cellulare, per molto tempo la Sla è stata studiata prendendo in considerazione solo gli eventi che accadono all’interno dei motoneuroni. L’emergere di nuovi
dati, tuttavia, ha costretto gli studiosi a rivedere questa approccio. Infatti, esperimenti sui modelli animali hanno dimostrato che la presenza di SOD1 mutata
solo negli astrociti o solo nei motoneuroni non basta
a provocare la malattia 10,11. Inoltre le osservazioni su
topi chimerici, in cui solo alcune cellule del midollo
spinale esprimono la proteina mutata, hanno mostrato che i motoneuroni mutati, se circondati da cellule
gliali sane, sopravvivono più a lungo 12. In conclusione la morte dei motoneuroni non sarebbe imputabile
soltanto a eventi che avvengono al loro interno, ma
richiederebbe anche un coinvolgimento delle cellule
circostanti, le quali svolgerebbero un ruolo critico
durante l’insorgenza e la progressione della patologia.
A questo punto, lo studio delle interazioni tra i diversi tipi cellulari del midollo spinale diventa di fondamentale importanza.
In conclusione, come nel caso di altre malattie
neurodegenerative, le cause esatte che determinano
l’insorgenza della sclerosi laterale amiotrofica non sono ancora state completamente chiarite. I grandi sfor-
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zi della ricerca hanno però permesso di individuare
alcune caratteristiche fondamentali della malattia e i
processi critici che si manifestano durante il suo evolversi. L’obiettivo primario è ora quello di aumentare
le conoscenze sulle interconnessioni e le gerarchie tra
questi meccanismi; ciò potrebbe infatti fornire indizi
fondamentali per la comprensione della patogenesi e
nuovi bersagli per lo sviluppo dei farmaci. Dal punto
di vista terapeutico, infatti, al momento non esiste
nessun intervento farmacologico che sia in grado di
curare la Sla o di rallentarne significativamente il decorso. L’unico farmaco in commercio è il riluzolo, che
agisce come antagonista del glutammato ma che, pur
essendo somministrato a tutti i pazienti, si è dimostrato in grado di prolungare solo di pochi mesi la loro attesa di vita.
Come prospettiva futura, date le caratteristiche
di multifattorialità della malattia, è emersa la possibilità di testare multiterapie. Fra gli approcci terapeutici più innovativi c’è il possibile utilizzo di nuovi metodi di somministrazione. Per esempio, l’uso di vettori virali potrebbe permettere di esprimere molecole
protettive, come i fattori di crescita, in modo selettivo in alcune popolazioni cellulari; vari trial sono stati condotti e sono in corso sul modello murino per
mettere a punto e testare l’efficacia e la sicurezza di
queste tecniche. Anche il trapianto di cellule staminali si prospetta come una tecnica potenzialmente
utile. Allo stadio attuale delle conoscenze, è ancora
difficile stabilire se, una volta immesse nel paziente,
le cellule staminali possano differenziarsi in motoneuroni e ristabilire le connessioni funzionali con gli
altri neuroni e le cellule muscolari; potrebbero però
svolgere un’azione benefica attraverso la produzione
Note
1. Chio, A., et al., Severely increased risk of amyotrophic lateral sclerosis among Italian professional football players. Brain,
2005. 128(Pt 3): p. 472-6.
2. Rosen, D.R., et al., Mutations in Cu/Zn superoxide dismutase gene are associated with familial amyotrophic lateral sclerosis. Nature, 1993. 362(6415): p. 59-62.
3. Yang, Y., et al., The gene encoding alsin, a protein with
three guanine-nucleotide exchange factor domains, is mutate
in a form of recessive amyotrophic lateral sclerosis. Nat Genet,
2001. 29(2): p. 160-5.
4. Gurney, M.E., et al., Motor neuron degeneration in mice
that express a human Cu,Zn superoxide dismutase mutation.
Science, 1994. 264(5166): p. 1772-5.
5. Cleveland, D.W. and J. Liu, Oxidation versus aggregation how do SOD1 mutants cause ALS? Nat Med, 2000. 6(12): p.
1320-1.
6. Bendotti, C., et al., Early vacuolization and mitochondrial
damage in motor neurons of FALS mice are not associated with
apoptosis or with changes in cytochrome oxidase histochemical reactivity. J Neurol Sci, 2001. 191(1-2): p. 25-33.
b
a
Mitocondri
Nucleo
c
Una tecnica per studiare il ruolo dei difetti del DNA mitocondriale nelle malattie neurodegenerative. Una cellula di un malato (a),
in cui la funzione mitocondriale è alterata, viene fusa con una cellula privata dei propri mitocondri (b). Se nella cellula risultante (c)
la funzione mitocondriale è normale, ciò significa che il difetto
era dovuto a mutazioni del DNA genomico del paziente; se la funzione mitocondriale mostra dei deficit, ciò significa che il difetto
risiede nel DNA dei mitocondri stessi, come in effetti è stato osservato in alcuni casi di Sla e di altre malattie neurodegenerative
(liberamente adattata da Trends Neurosci. 2000; 23, 298)
di fattori trofici in grado di proteggere i motoneuroni rimasti. Per comprendere a fondo le caratteristiche
e le potenzialità di queste cellule, così come per stabilire protocolli terapeutici sicuri ed efficaci, saranno
necessari ancora molti studi.
Cristina Cheroni, Istituto Mario Negri, Milano
7. Liu, J., et al., Toxicity of familial ALS-linked SOD1 mutants
from selective recruitment to spinal mitochondria. Neuron,
2004. 43(1): p. 5-17.
8. Pasinelli, P., et al., Amyotrophic lateral sclerosis-associated
SOD1 mutant proteins bind and aggregate with Bcl-2 in spinal
cord mitochondria. Neuron, 2004. 43(1): p. 19-30.
9. Xu, Z., Mechanism and treatment of motoneuron degeneration in ALS: what have SOD1 mutants told us? Amyotroph Lateral
Scler Other Motor Neuron Disord, 2000. 1(4): p. 225-34.
10. Gong, Y.H., et al., Restricted expression of G86R Cu/Zn
superoxide dismutase in astrocytes results in astrocytosis but
does not cause motoneuron degeneration. J Neurosci, 2000.
20(2): p. 660-5.
11. Pramatarova, A., et al., Neuron-specific expression of
mutant superoxide dismutase 1 in transgenic mice does not
lead to motor impairment. J Neurosci, 2001. 21(10): p. 336974.
12. Clement, A.M., et al., Wild-type nonneuronal cells extend
survival of SOD1 mutant motor neurons in ALS mice. Science,
2003. 302(5642): p. 113-7
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