Le pietre ei cittadini

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Le pietre ei cittadini
CORSO DI AGGIORNAMENTO
“LE PIETRE E I CITTADINI”
2015-16
!
Associazione Nazionale per la tutela del Patrimonio Storico, Artistico e Naturale della Nazione
Scuola, cittadinanza, sostenibilità
“Le pietre e i cittadini”
Progetto nazionale per l’Educazione al Patrimonio 2015-16
SCHEDA STORICO-DESCRITTIVA DEL CENTRO STORICO
Docente Prof. Domenico Cogliandro
Tel. 3934354096 E-mail [email protected]
Scuola / Istituto: Liceo Scientifico D’Alessandro
Via Sant’Ignazio di Loyola Città Bagheria CAP 90011 Prov PA
Tel. 091.962583 Fax 091.961119 e-mail [email protected]
Denominazione e localizzazione del centro storico
Castello della Zisa, Piazza Zisa, 90135 Palermo
Le motivazioni della scelta
Dato l’orientamento esegetico, si propone lettura eterodossa di uno dei beni “cardine” del percorso Unesco
a Palermo, variamente letto e interpretato nel corso di aggiornamento “Le pietre e i cittadini”.
Breve descrizione
Uso una citazione che ben si attaglia come descrizione alla lettura eterodossa qui proposta: “La Zisa non
si qualifica come novità, se non per il fatto che non si trova dove esattamente ci si aspetterebbe di trovarla,
e cioè a sud del Canale di Sicilia. Questo lieve spostamento, per quanto sia (geograficamente parlando)
poca cosa, basta tuttavia a modificare completamente la fruizione dell’opera. (…) La Zisa è spesso
assente dalle storie dell’architettura semplicemente perché non la si può afferrare. Spuma della storia,
svanisce appena la si tocca. Non è una di quelle costruzioni che nuotando dentro la Storia dell’architettura
come pesci nell’acqua, piuttosto appartiene alla categoria delle alghe e dei detriti, vi galleggia sopra”.
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Contesto territoriale
La Zisa, improprio castello, si situa all’interno dell’invaso, dunque svanito, Jannat-al-ard (il paradiso
islamico, o Janna, “giardino”, è la "dimora finale" del "timorato di Dio", secondo il versetto 35 della sura
coranica XIII) che comprendeva anche le varie “qubba”, o cupole, non ritenute all’altezza del patrimonio
dell’umanità.
Notizie storiche
Ruggero II, clamoroso e invadente individuo appartenente alla chiassosa congerie di quelli che lasciano il
segno ("egli è tale che i suoi sonni valgono quanto le veglie dei comuni mortali" nota mestamente Ibn al
Idriz nella lunga elencazione dei suoi meriti che occupa la premessa del celebre, ed incomparabilmente
seccante, libro di viaggi "Nuzhat al-mushtàq fi iktiràq al-afàq" noto per l'appunto come "Libro di Ruggero")
fu il padre che la sorte riservò al triste Guglielmo. Il diabolico sarcasmo del destino non si esaurì in questa
paternità fragorosa, ma proseguì con esilarante humour noir facendo sì che il nostro (quartogenito e
dunque per nulla educato alla prospettiva di salire al trono) divenisse re per la morte di tutti i suoi fratelli
maggiori; non solo, ma che si trovasse immediatamente a dovere difendere il regno da almeno tre nemici
di tutto rispetto: il Barbarossa, papa Alessandro IV e l'impero Bizantino.
Tenne a bada il primo e sconfisse gli altri due. Non bastò: dovette far fronte alle snervanti ribellioni interne
dei baroni, dai quali fu persino imprigionato e che gli scannarono un figlio. Insomma fece, senza troppo
esaltarsi, tutto quel che gli era toccato di fare. E lo fece da professionista, si direbbe oggi.
Infine, pacificato il regno, decise di costruire qualcosa anche lui (visto che il padre era stato un costruttore
instancabile) e s'inventò la Zisa, che avrebbe dovuto essere il suo harem: "un palazzo - nota l'arguto
Falcando nel 1190 - che superasse, per comodità e perfezione artistica, tutte le opere del padre".
Guglielmo lo edificò per riporvi ciò che probabilmente reputava più prezioso e che a quanto pare aveva
accudito con assoluta dedizione per tutta la sua vita, visto che un malevolo cronista del tempo, volendolo
maldestramente bollare per l'eternità, lo scolpì, suo malgrado, in oro ed avorio con dieci sole parole: "Le
donne furono le uniche a piangere la sua morte".
Un uomo che si fosse prefissa una meta (quella, per esempio, di passare ai posteri "consegnando il suo
nome alla storia", come già aveva fatto il padre e come poi farà il figlio) non avrebbe mai meritato questo
stupendo necrologio. Ma egli era uomo di percorsi indefinibili ed inconclusi, uomo perennemente inattuale,
che la sorte rese postumo sin dalla nascita. Sembra regnare provvisoriamente. Gli storici glissano sulla
sua figura o al massimo ne prendono atto come di una soluzione di continuità, una piccola buca nella
carrabile asfaltata della Grande e Bella Storia che da Ruggero II, attraverso Guglielmo II (“il gran re del
secolo”) porterà la Sicilia, per vie traverse, all’apoteosi finale di Federico II, per il quale non ci sono più
parole disponibili essendo state tutte triturate nel frantoio dei panegirici.
Si esentò infine, Ruggero, e si ritrasse, anche da quella sua ultima intenzione costruttiva, morendo poco
prima che l'edificio fosse completato di quella malattia che si estrinseca, appunto, per evacuazione.
Così Ugo Falcando mette fine sbrigativamente alle sue note biografiche: "avendo elevato, con
stupefacente celerità e con ingenti spese la maggior parte di quel palazzo, prima di dargli l'ultima
perfezione, colpito da dissenteria, cominciò a spegnersi lentamente a causa di quella malattia”. L’astrologo
e il medico arabi, i due saggi dell’islam che certamente lo assistettero durante la trasmigrazione (così
come avevano assistito il padre) non avrebbero potuto immaginare, in fondo, una fine più consona, per
l’ideatore della Zisa. Quell’ego obeso, appioppatogli dal padre, quel boccone di piombo che l’aveva
angustiato per tutta la vita, alla fine, praticamente, evaporò.
Suo figlio si chiamò Guglielmo, come lui, e costruì la Cuba; ma questo secondo tentativo del destino, a
detta degli storici e dei notai, riuscì meglio, quantomeno non ci furono assenze ingiustificate. Ma
nonostante la discrezione e le assenze, nonostante il mancare e il non esserci, nonostante il tenersi a
distanza dei memorialisti e dei biografi, durante il suo percorso terreno il povero Guglielmo s'era
guadagnato quel soprannome che ancor oggi lo perseguita: Malo. Questo, così pare, non perché fosse
cattivo, ma perché era malinconico e sovente depresso. Probabilmente non s'era mai rassegnato alle
grottesche burle del destino. La Zisa ne ha forse conservato l’unico ritratto e ci si dona, adesso, a muta
immagine e somiglianza di questo triste viveur.
Silenziosa, assente, enigmatica, inafferrabile: Mala.
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Dati geo-morfologici e geografici (orografia, clima, estensione, densità abitativa)
Il Paradiso islamico assume una connotazione descrittiva e materialistica in base a quanto scritto nel
Corano. I beati stanno in "giardini di delizie", "in cui scorrono ruscelli. […] è qualcosa di simile che verrà
loro dato; avranno spose purissime e lì rimarranno in eterno" (Sura II, 25), "un calice di licor limpidissimo,
chiaro, delizioso "tra" fanciulle, modeste di sguardo, bellissime di occhi, come bianche perle
celate..." (XXXVII, 40 - 50). "Ma il compiacimento di Allah vale ancora di più: questa è l'immensa
beatitudine!" (IX, 72). Nei "giardini di Eden" ci saranno "frutta abbondanti e bevande..." (XXXVIII, 49 - 52).
Per l'eternità "saran fatti circolare fra loro vassoi d'oro e coppe..." (XLIII, 71 - 73). "I timorati di Dio staranno
in un luogo sicuro tra giardini e fontane, rivestiti di seta e di broccato..." (XLIV, 51 - 55). I beati "staranno in
Giardini tra fonti d'acqua" (LI, 15); saranno riuniti a quanti, fra i loro discendenti, avranno creduto (LII, 21);
saranno forniti, oltre che di frutta, di carne (LII,22); saranno serviti da giovani "come perle nascoste" (LII,
24); saranno costituiti "in seggio di Verità, presso un Re potentissimo!" (LIV, 55). Il paradiso di delizie è
descritto anche nella sura LV (46-76). Nei Giardini "molti vi saranno degli antichi, pochi là vi saranno dei
moderni" (LVI, 13-14) e sentiranno gridare "Pace! Pace!" (LVI, 25-26). Sui loro volti si vedrà un luminoso
fiorire della gloria (LXXXIII,24) e si abbevereranno alla stessa fonte dei Cherubini (LXXXIII, 25-28).
Sistema viario, piazze
L’odierna perimetrazione di strade o piazze, che poi piazze non sono, non gli appartiene essendo una
sorta di zattera di Medusa che fluttua, con i suoi naufraghi temporanei, all’interno di un’area, e aura,
paradisiaca che traguarda da dentro a fuori e da fuori a dentro giardini di risulta, e appuntite territorialità.
Sistema edilizio
L'arte islamica, e l’architettura in particolare, non tollera commistioni, deroghe, scarti e la genialità
dell'artefice non vi è contemplata. L'invenzione stravagante diretta alla produzione dell’Originale, la ricerca
di una cifra personale, la contrapposizione ai predecessori per affermare il proprio stile non risultano, per
l'architetto islamico, valori appetibili. Il fatto è che l’architettura dell’Islam dà, in qualche misura, per
scontata la sua essenza. Non si preoccupa, ogni volta, di rifarsi il trucco per continuare a rappresentarsi
“giovane e vitale” ed urlare nelle orecchie di tutti che è viva e vegeta. Per questa ragione il riferimento agli
ordini classici, che ha garantito per parecchi secoli all’architettura occidentale sufficiente continuità
formale, non è stato necessario a quella islamica (che pure nasce e si sviluppa in rapporto dialettico con
l’arte greco-romana, anzi addirittura “si fa” di essa, per spoglio). Insomma, è come se l’architettura islamica
ritenga la sua “parola” già pronunciata una volta per tutte. L'architetto islamico non ha nulla di nuovo da
dire, o meglio, per la precisione, non dice mai nulla. Si limita a “riprodurre”, così come il calligrafo ricopia le
sure del Corano.
Sistema difensivo e recinti
La proiezione in un’immobilità atemporale, che la preserva da qualsiasi mutazione effettiva, non le sottrae
però gradi di libertà che, pur all'interno di un recinto perfettamente delineato, le consentono possibilità di
movimento tutt’altro che trascurabili. Ora, può darsi che l’identità recinta le stia stretta ed è per questo che
l’involucro appaia più di quello che dovrebbe, esponendosi nelle tracce di archi e paramenti al punto da
non consentirci, distratti da tanta muscolarità, di percepire il senso della sua presenza, doppiamente
involucro e artefatto. La Zisa manifesta nei confronti dell'esterno un doppio atteggiamento: da un lato di
cesura e chiusura, dall'altro di accoglimento. Il suo prospetto è una paratia poderosa interposta tra un
dentro che tende a rimanere misteriosamente separato, ed un fuori che incalza e pretende di entrare. Una
volta attraversata questo confine-soglia, però, ci troviamo in uno iato. Un’apertura accoglie la memoria
dell'esterno e ne riflette l'immagine: l’atrio-giardino-fonte.
Le funzioni insediate: quelle storiche e le attuali (le permanenze e le modificazioni)
Chiudendosi al giardino l’edificio ne interiorizza il riflesso stilizzato. Non solo, perché l’involucro cela
l’artificio assoluto che fa rizzare i capelli allo storico e turba l’esegeta: il suo essere cuore pulsante del
Jannat-al-ard che mette a nudo l’essenza del paradiso, il nutrimento e la manna che arriva dal cielo
quando non si hanno più risorse. L’acqua. L’involucro si dà, infatti, come un enorme serbatoio che
preserva ingenti quantitativi che rilascia al momento opportuno, ovvero quando il solatium viene investito
dallo scirocco, l’architettura ha la deriva idraulica che sta alla vasca che si stende come un tappeto dinanzi
a lei, esattamente come l’ingegneria del territorio sta a qanat, pozzi e aria condizionata in tempi non
sospetti. Oggi se ne nota la gola riarsa dentro cui cade l’occhio, in assenza d’acqua la Zisa è velo
sepolcrale di se stessa e, facendo il verso del monumentum, si mostra asfittica e silenziosa.
L'andamento socio-demografico (spopolamento, cambiamento di tipologie di insediati, ...)
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I valori espressi (architettonico, ambientale urbano e ambientale paesistico).
Sul perno del progetto ruotano le Storie dell'architettura, e "La volontà d'arte" appare inscindibile dal
progetto. Perciò un'opera non propriamente progettata è difficilmente "valutabile". Va assimilata, in qualche
modo, alla natura, di cui possiamo anche indagare e spiegare le eventuali incoerenze o le incongruità
evidenti, ma mai a stigmatizzarle. Credo, anzi, che uno degli elementi più coinvolgenti ed emozionanti
della Zisa sia il candore con cui dichiara la sua non-appartenza ad alcun luogo.
Questo sradicamento è caratteristica comune a molti edifici stereometrici (forse perché praticano la
tautologia: un cubo è un cubo, un prisma è un prisma ecc.) ma in questo caso abbiamo tre grandi aperture
a piano terra che convogliano verso l'unico grande fornice che dà accesso alla sala della fontana: vero
"luogo" dell'edificio. La Zisa gli appartiene assai più di quanto esso non appartenga alla Zisa, perché, in
una epifania dell'acqua, dove tutto si rivela perché è lì che emerge il valore ingegneristico del corpo, il
massimo sradicamento coincide con l'appartenza radicale ad un luogo che è tutto dentro di sé.
I valori espressi (letterari, descrittivi, narrativi).
“Finita la novella di Neifile, assai alle donne piaciuta, comandò la reina a Pampinea che a doverne alcuna
dire si disponesse. La qual prestamente, levato il chiaro viso, incominciò: (…) s'erano certi giovani ciciliani,
che da Napoli venivano, con una lor fregata raccolti. Li quali, avendo la giovane veduta bellissima e che
ancor lor non vedea, e vedendola sola, fra sé diliberarono di doverla pigliare e portarla via; e alla
diliberazione seguitò l’effetto. Essi (…) vennero a concordia di doverla donare a Federigo re di Cicilia, il
quale era allora giovane e di così fatte cose si dilettava; e a Palermo venuti, così fecero. Il re, veggendola
bella, l'ebbe cara; ma, per ciò che cagionevole era alquanto della persona, infino a tanto che più forte
fosse, comandò che ella fosse messa in certe case bellissime d'un suo giardino, il quale chiamavan la
Cuba, e quivi servita, e così fu fatto.”
Boccaccio, dal Decameron (1348/1353), Quinta giornata, Novella sesta (dove Giovanni Boccaccio, a cui di
Palermo gli sono giunte solo descrizioni d’altri, confonde i sollazzi della Zisa con la Cuba a cui era votata
altra funzione)
“D’ogni intorno alla capitale della Sicilia [il terreno] è solcato d’acque e n’erompono delle fonti perenni.
Palermo abbonda di frutte; i suoi edifici e i suoi luoghi di delizie confondono chi si metta a descriverli ed
abbagliano gli intelletti. A dirla in una parola, questa città è una tentazione per chi la guarda”. ‘Abd ‘Allah
‘Ibn ‘Idris, dal Kitab Nuzhat ‘al Mustaq (Sollazzo per chi si diletta di girare il mondo), ed. italiana Reale
Accademia dei Lincei, Roma 1883 (dove Idrisi pare abbagliato da Palermo come luogo di delizie, uno dei
quali era la Zisa, e quasi non riesce a parlarne, provando solo a sfiorarne i contorni)
“Diversi passeggi conducono dalla Porta d’Ossuna ai deliziosi giardini della Zisa, sui quali torreggia il
Saracenico Edifizio, detto Castel Reale, posseduto col titolo di principe dalla famiglia Sandoval. Nella sua
Italia il Padre Leandro Alberti ne diede una lunga descrizione. Sussistono ancora le lettere Arabiche sugli
alti merli in giro. In un lato sta la Parrocchia coi rimasugli di Moschea; e rimpetto la decente Chiesa col
Convento dell’Annunziata dei Frati Francescani del Terz’Ordine, fondata nel 1581 dal nobile Nicolò
Spadafora.”
Domenico Adorno, Descrizione geografica dell’Isola di Sicilia e dell’altre sue adiacenti, Palermo 1798
(dove la Zisa è già castello, o non lo è più)
Fonti e documentazione di riferimento
Ugo Rosa, Attraverso la Zisa, Biblioteca del Cenide 2007
Il Sacro Corano (traduzione interpretativa in italiano a cura di Hamza Piccardo), www.corano.it
Giuseppe Caronia, La Zisa di Palermo, storia e restauro, Roma-Bari, Laterza editore, 1982
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AZIONI SVOLTE A TUTELA: Condizione vincolistica; Strumenti urbanistici
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AZIONI PROPOSTE PER CONTRASTARE I RISCHI per la tutela e conservazione
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RISULTATI RAGGIUNTI DALLE AZIONI PRECEDENTI:
1.
NUMERO DI PERSONE COINVOLTE
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2.
RASSEGNA STAMPA (n. articoli pubblicati)
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3.
AZIONI FATTE PER CONTINUARE A SENSIBILIZZARE LA COMUNITÀ
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4.
ALTRO
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SI ALLEGANO:
N° 4 IMMAGINI
Luogo e data Palermo, 18/02/2016
Da restituire all’indirizzo di posta elettronica [email protected]
ed a quello della sezione che organizza il corso di aggiornamento
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