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Antenna Regionale Rete
RIRVA in Campania
STORIE DI RITORNI
Smisurata Preghiera
L. ha 52 anni, vive ad Ufa (città russa ai confini con la Siberia) e lavora come bidella
in una scuola. È sposata ed ha un solo figlio, R. Il marito vive con lei in Russia ed è invalido
a seguito di un incidente sul lavoro all’interno di un caseificio.
R., il figlio, ha 20 anni, in Russia ha conseguito il diploma ed ha, poi, frequentato un
corso come cuoco.
E. è nata in Russia ed ha 60 anni. In Russia è pensionata, lavorava precedentemente
come contabile, non è sposata, non ha figli e viveva da sola. Ha una serie di patologie legate
anche all’età tra cui l’osteoporosi e dei problemi ginecologici. Originariamente la sua idea di
migrare era legata alla volontà di sottoporsi a delle terapie in Repubblica Ceca poiché una
sua amica, con patologie simili, aveva avuto dei benefici. Successivamente, però, cambia
pensiero per unirsi al progetto migratorio della sorella L. e del nipote R..
I tre decidono, quindi, di migrare per poter guadagnare i soldi per consentire al
ragazzo di studiare in una buona università o per fargli imparare il mestiere di pizzaiolo per
poi aprire un’attività in Russia.
Dalla Russia iniziano, così, a cercare lavoro attraverso gli annunci sui giornali. Ne
rispondono ad uno di un’agenzia che offre opportunità all’estero ed anche in Italia dove
sostengono sia più facile trovare un’occupazione. L’agenzia per dare inizio alle pratiche,
chiede 200 euro, successivamente saranno costretti a versare altro denaro per biglietti e
visti. Per poter pagare le spese del viaggio i tre chiedono un prestito in banca, vendono,
inoltre, i loro oggetti preziosi. L’agenzia si occupa dei biglietti e del visto valido fino in
Polonia, loro, invece, preparano i passaporti. Non vengono informati sulle pratiche da
sostenere in Italia per regolarizzare la loro presenza e vengono preparati solo ad inventare
una storia al fine di far credere alla dogana in Polonia che avevano intenzione di fermarsi lì.
L’agenzia dà loro il numero di telefono di M., una donna ucraina, che dovranno contattare
appena arrivati in Italia, la quale avrebbe pensato a tutto: vitto, alloggio, lavoro e successivo
ritorno in Russia. In totale all’agenzia e al loro contatto in Italia pagano oltre 4000 euro.
Nell’agosto 2011 inizia il loro viaggio: prendono un treno che da Ufa li porta a Mosca,
poi un autobus che li conduce a Napoli. Arrivati telefonano M., la quale va a prenderli in auto
e li conduce a casa sua, il viaggio dura circa 2 ore. La donna pretende da loro 400 euro a
persona, non hanno tutto quel denaro per cui le danno in totale 1000 euro.
Nell’appartamento, però, rimangono poche ore poiché arriva quello che sarà il loro datore di
lavoro, un uomo italiano titolare di un camping in Puglia.
Al campeggio incontrano l’altra responsabile, una donna ucraina, la quale chiede di
consegnarle i documenti, ma loro fingono di non averli. Spiega che saranno pagati 500 euro
mensili e che avranno una pausa di circa 2 ore, dalle 15 alle 17. Non hanno mansioni precise
poiché si devono occupare dell’intera manutenzione e gestione del campeggio, dalla cucina,
delle camere, della pulizia della spiaggia.
Lavorano, invece, dalle 8.00 del mattino fino alle 2-3 del giorno dopo, mangiano solo ciò che
avanza in cucina, con una pausa massimo di 20 minuti. Tutti e tre dormono in una stanza
che funge anche da stireria e subiscono continue pressioni. Non escono mai dal campeggio
poiché lavoravano così tanto che non riescono nemmeno a pensare di farlo. Non
conoscendo la lingua italiana non sanno precisamente dove si trovavano, anche perché il
campeggio è in una zona isolata. R., un giorno lavorando tante ore di seguito in spiaggia
prende un’insolazione con conseguenti vomiti e febbre. Si allontana dalla spiaggia poiché
non riusciva neanche a stare in piedi ma è costretto a continuare a lavorare nonostante le
sue pessime condizioni di salute. Tutto ciò dura circa due settimane, dopo vengono cacciati
poiché iniziano a ribellarsi alle pesantissime condizioni di lavoro. Durante le due settimane
in camping contattano diverse volte M. per lamentarsi delle condizioni in cui si trovavano, la
quale risponde di tenere duro. Per il lavoro svolto ricevono un compenso di 175 euro a testa.
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Cacciati dal camping un uomo rumeno incontrato per strada li accompagna alla stazione di
Manfredonia dove ricontattano M. la quale dice loro di raggiungerla a Battipaglia, dove
vengono portati a casa di un italiano che pretende 20 euro a testa per dormire.
L. e il figlio restano nella casa altri due giorni dopo i quali M. li porta a casa di un
uomo anziano per il quale la donna deve lavorare come badante. R. resta in questa casa con
la madre in attesa di un lavoro come pasticciere, cosa che non avverrà mai. I due restano in
questa casa circa un mese, poi sono costretti ad andare via poiché ritorna la precedente
badante dell’uomo in cambio di 350 euro.
Nel frattempo E. (che ha 60 anni!) viene presentata ad un uomo italiano per il quale
deve lavorare come domestica. Arrivati presso l’abitazione l’uomo le mostra una camera da
letto matrimoniale e le fa capire che loro due avrebbero dormito insieme. La donna si rifiuta e
dopo cinque giorni vuole andare via da quella casa dove le vengono chieste continue
prestazioni sessuali. L’uomo, invece, non intende più tenere in casa una donna che non si
cede alle sue richieste e la accompagna alla stazione e le fa il biglietto per Battipaglia dove
va a prenderla M. che pretende 20 euro per farla dormire in una casa e 60 euro per la
benzina. Il giorno successivo la donna russa viene portata in un ristorante dicendole che
doveva restarci almeno un mese. Vi resta 32 giorni lavorando dalle 8.30 del mattino alle 2-3
di notte, con una pausa dalle 15.00 alle 17.00. Dorme in una sorta di container con il tetto
rotto, per cui quando piove l’acqua allaga tutto, il suo letto è un materasso senza lenzuola né
coperte. Inoltre, il proprietario del ristorante fa continue pressioni affinché la signora fornisca
prestazioni sessuali sia a lui che ai clienti. Anche in questa circostanza E. si rifiuta. Per farle
comprendere bene cosa pretendevano da lei l’hanno anche fatta parlare con un ragazzo
ucraino che le ha spiegato che si trattava di persone con pochi scrupoli e che non avrebbero
avuto alcun rispetto nonostante la sua età. E., spaventata, chiama M. , vuole che lei la vada
a prendere, la donna è offesa, umiliata e stanca per tutto quello che è costretta a subire.
Prima dell’arrivo di M., un uomo italiano che lavora nel locale le fa firmare con forza un foglio,
lei non sa cosa ci sia scritto perché non conosce l’italiano e le vengono dati solo 150 euro di
retribuzione e sarà poi la stessa M. a spiegarle, poi, che ha firmato un foglio in cui c’era
scritto che aveva già ricevuto 350 euro.
A quel punto ritornano a Battipaglia pagando 10 euro a testa per dormire ed i tre si
ricongiungono e decidono di andar via, poiché hanno capito che M. non farà altro che
sfruttarli.
Scappano ad ottobre 2011 e si recano a Napoli e si rivolgono alla Caritas. Vengono
aiutati dalla comunità ucraina-russa per vitto e alloggio ed incontrano la mediatrice ucraina
della Cooperativa sociale Dedalus. Già durante il primo colloquio con quest’ultima viene
espressa la volontà di denunciare coloro che li hanno sfruttati e di voler fare ritorno in
Russia. La mediatrice li mette in contatto con il legale della cooperativa Dedalus che procede
con la presa in carico, ai sensi dell’art. 18 T.U. Immigrazione, con il collocamento in due
strutture di accoglienza, con la denuncia e con la richiesta del permesso di soggiorno per
motivi umanitari.
Contemporaneamente vengo contattata io, in qualità di Antenna regionale della Rete
Nirva, ed incontro i tre russi il 6 febbraio 2012 in presenza della mediatrice culturale e del
legale che segue il caso. Il primo colloquio dura quattro ore. I tre sono decisi nel voler far
ritorno a casa ma pongono mille domande su come accedere alla misura, sui tempi e modi in
quanto sono scettici e non credono più a nulla di ciò che gli si dice. Decido, inoltre, dopo una
prima fase di confronto, di fare colloqui singoli in quanto, almeno inizialmente, E. era l’unica
a parlare e a prendere decisioni per tutti. Mi premeva, soprattutto, la situazione di R, ragazzo
di 20 anni, che avrebbe potuto prendere una decisione diversa dalla mamma e dalla zia data
la sua giovane età e la consapevolezza che il progetto migratorio era tutto concentrato sul
suo futuro.
Incontro di nuovo il nucleo familiare il 20 febbraio e mi confermano la loro volontà a
voler ritornare a casa. Invio, così, la scheda di segnalazione del caso.
Nel frattempo il percorso di regolarizzazione procede ed i tre ottengono la richiesta di
permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Il 28 febbraio faccio un altro colloquio per confrontarci sul piano di reintegrazione e R. decide
di voler fare un corso di formazione, la mamma di pagare le spese per la casa ed, infine, la
zia di fare delle cure mediche.
Il 19 marzo i tre russi partono per Ufa grazie al progetto PARTIR III e sono tutt’ora in
contatto con la mediatrice culturale ucraina.
Grazie ai piani di reintegrazione previsti dal progetto PARTIR, R., una volta ritornato
nel suo paese, ha frequentato un corso di cucina ed ora lavora in una pizzeria italiana nella
sua città. L., invece, ha potuto pagare dei mesi di fitto della casa ed ha, poi, ripreso il suo
lavoro di bidella in una scuola ed, infine, E. ha speso la sua reintegrazione per diverse cure
mediche per la sua salute fisica e mentale dopo le violenze e le pressioni subite.
Napoli, Marzo 2012
Rosaria de Ponte
Antenna Rete RIRVA in Campania
CIR di Napoli
Rete RIRVA – Rete Italiana per il Ritorno Volontario Assistito
Help desk: 049.2023830 [email protected]
www.reterirva.it
Partnership RIRVA (Cons naz. Idee in Rete, CIR, OXFAM e GEA)
In collaborazione con Ordine Nazionale Assistenti Sociali
Az 7 Fondo Rimpatri 2011 e Ministero dle’Interno
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