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commentary Commentary,6ottobre2014 CRISI UCRAINA. MERCATI FINANZIARI INTERNAZIONALI: AL RIPARO DAI RISCHI FRANCO BRUNI G li effetti della crisi ucraina colpiscono i rapporti economici internazionali sia direttamente che per le sanzioni decise nei confronti della Russia e da quest’ultima. Sono effetti che riguardano soprattutto gli scambi commerciali e gli investimenti diretti, da e verso la Russia. Ma si estendono anche ai movimenti di capitale di natura finanziaria. L’aspetto più evidente è l’uscita di capitali più o meno speculativi dalla Russia. Un’uscita che ha indebolito il rublo, nonostante gli interventi difensivi delle autorità di Mosca. Rispetto a un anno fa il rublo ha perso quasi un quarto del suo valore in dollari e quasi un quinto in euro. Si tratta di un fenomeno che il persistere di fasi acute della crisi potrebbe rendere violento e pericoloso. Viceversa, un miglioramento della situazione ucraina tenderebbe a invertire il flusso incentivando un movimento speculativo al rialzo del rublo. ©ISPI2014 Al di là dei rapporti con la Russia, la crisi ha avuto un impatto più diffuso e indiretto sulla propensione al rischio degli investitori internazionali. E’ un impatto che è difficile distinguere da quello, contemporaneo, della crisi irakena e mediorientale. Le tensioni geopolitiche hanno spaventato l’appetito per il rischio di chi gestisce i portafogli e i flussi creditizi, inducendolo a scelte più prudenti. Le conseguenze si vedono su molti e diversi fronti. Nell’eurozona si è frenata, a partire dalla primavera, la discesa degli spread dei tassi dei titoli di Stato italiani e spagnoli rispetto a quelli tedeschi, spread che pure sono continuamente spinti al ribasso dalle mosse e dalle promesse espansive della Bce. I rischi geopolitici si sono affiancati, fra luglio e agosto, al crescere delle preoccupazioni per l’inconsistenza della ripresa economica europea: è d’improvviso cresciuta la volatilità della borsa, si sono depressi i corsi azionari e i movimenti di fondi hanno privilegiato i titoli ritenuti super sicuri come quelli a breve del governo tedesco il cui rendimento è divenuto negativo. In settembre la situazione è apparentemente migliorata e, anche in seguito agli annunci di stimoli della banca centrale, è ripresa la ricerca di rendimenti e rischi più elevati e il rigonfio dei titoli in borsa. L’attenzione degli investitori rimane comunque tesa e ansiosa per l’evolvere, apparentemente migliore ma ancora pericoloso, della crisi ucraina. Franco Bruni, vicepresidente dell’ISPI e professore ordinario di Teoria e politica monetaria internazionale, all’Università Bocconi di Milano. Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. 1 commentary L’impatto di questa aspettativa sui flussi finanziari internazionali e sui cambi è rilevante, al punto che l’effetto specifico delle tensioni ucraina e mediorientale è difficile da isolare ed è probabilmente di un ordine di grandezza inferiore. E’ un impatto che riguarda anche l’euro, che da maggio è sceso di circa l’8% rispetto al dollaro, anche perché la Bce sta muovendosi in senso opposto e cerca di abbassare i tassi. Comunque, anche gli investimenti verso l’euro sono frenati dalla crisi ucraina che è considerata particolarmente influente sull’economia europea e contribuisce ad arrestare la propensione a investire in euro, diversificando i portafogli molto concentrati sul dollaro, comprese le riserve ufficiali di Paesi come la Cina. Una propensione che negli ultimi anni ha rafforzato l’euro contro dollaro (di più del 15% dall’estate del 2012 alla primavera di quest’anno), ostacolando le esportazioni nette e soffocando troppo l’inflazione dell’eurozona. Chi ha insistito nel criticare la forza dell’euro potrebbe giungere a pensare che … non tutto il male vien per nuocere. Ma sarebbe un pensiero non appropriato nei confronti di un deterioramento dei rapporti con la Russia che rischia di nuocere molto alla crescita europea. La ricerca di sicurezza ha inoltre accelerato l’uscita di capitali dai Paesi emergenti, indebolendone le valute. Da maggio a oggi le valute brasiliana, turca e sudafricana hanno perso ciascuna circa il 10% rispetto al dollaro; si è indebolita meno la rupia, perché in India c’è la prospettiva di una svolta positiva sia sul fronte politico generale che su quello bancario e finanziario. In verità l’andamento dei movimenti finanziari con i Paesi emergenti è complesso da leggere e interpretare: dipende anche da valutazioni sulle difficoltà oggettive che incontra da qualche tempo lo sviluppo tumultuoso e disordinato di alcuni di essi e da una profonda ristrutturazione della qualità dei loro rapporti finanziari internazionali. In proposito è preziosa l’analisi fatta in settembre dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (www.bis.org/publ/qtrpdf/r_qt1409.htm). ©ISPI2014 In generale, nei momenti di crisi geopolitica il dollaro si rafforza perché gli speculatori tendono a spostarsi a favore delle attività denominate in moneta statunitense, rifugiandosi in quello che vedono come un ambito di sicurezza e chiudendo posizioni più avventurose in monete che rendono di più ma sono più rischiose. Negli ultimi mesi questo fenomeno è stato favorito dall’aspettativa di un rialzo dei tassi negli Usa, dove la congiuntura sembra permettere una politica monetaria meno espansiva. 2