Yorick, no doubt, as Shakespeare said of his ancestor

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Yorick, no doubt, as Shakespeare said of his ancestor
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“Yorick, no doubt, as Shakespeare said of his ancestor__”was a man of jest”. Tristram Shandy e il metodo di Yorick.
by Patrizia Nerozzi Bellman
La mia conversazione, uso qui la parola conversazione nel senso sterniano di scambio comunicativo, ironico e sentimentale, tra
l’autore e i suoi lettori, non ha altre pretese che di contribuire a questa giornata di studio, dal titolo davvero fascinoso,
introducendo una breve variazione su Yorick o intorno a Yorick. Nel numero di gennaio del 1760 il Gentleman’s Magazine
pubblicava un estratto dal primo volume di Tristram Shandy, il racconto di Yorick,“The Story of Yorick; from Tristram
Shandy”, con un commento introduttivo che presentava Parson Yorick, personaggio del romanzo, come un ritratto
autobiografico dello stesso Sterne:
“The following Character of a Person called Yorick, supposed to be a Descendant of Yorick the king of Denmark’s Jester, is
extracted from The Life and Opinions of Tristram Shandy, lately published in two small Pocket Volumes, as a Specimen of
the Work, and the rather, as it is by some supposed to be the Character of the Author, as he himself chuses it should be
exhibited”.
La pubblicazione dei primi due volumi di Tristram Shandy avevano già dato a Sterne quella notorietà che egli mantenne
intatta fino alla morte, una notorietà peraltro che fin dall’inizio sulle pagine dei periodici, combinando la figura dell’autore con
quella dei suoi personaggi, alterna il nome di Sterne con quello di Tristram e con quello di Yorick, sopratutto con quello di
Yorick, vero e proprio avatar del suo autore.
Da questo breve riferimento alla stampa del tempo, possiamo cominciare la ricostruzione del gioco di specchi tra Sterne e
Yorick, che durerà in tutte le opere e per tutta la vita dello scrittore, da Tristram Shandy al Sentimental Journey pubblicato
con lo pseudonimo di Yorick, alla raccolta dei sermoni, The Sermons of Mr. Yorick,pubblicati con due frontespizi, solo il
secondo dei quali portava il nome di Sterne, e una prefazione in cui egli si scusava d’aver premesso il nome di Yorick al suo
lavoro, spiegando che l’aveva fatto perché il nome di Yorick era più conosciuto del suo, e ancora a The Journal to Eliza scritt o
“under the fictitious names of Yorick and Eliza”, e infine alle lettere indirizzate a Mrs. Draper che furono pubblicate sette anni
dopo la morte dell’autore sotto il titolo di Letters from Yorick to Eliza.
Yorick /Sterne, un gioco di specchi ,dicevamo, un gioco di specchi che si rifrange in diverse varianti: Sterne/Yorick ma anche
Tristram/ Yorick, Tristram/Sterne/ Hamlet…1 …Ma ritorniamo ora a Tristram Shandy. Parson Yorick è introdotto nel
romanzo come caso esemplare, “painful example” di quella“… fatalità (che) accompagna le azioni di certi uomini…”,
protagonista di una situazione che riflette l’imprevedibilità che governa la storia dell’uomo:
But there is a fatality attends the actions of some men: Order them as they will, they pass thro’ a certain medium which so
twists and refracts them from their true directions---that, with all the titles to praise which a rectitude of heart can give, the
doers of them are nevertheless forced to live and die without it. (I,X)
“Un certo medium” dunque distorce e rifrange le azioni di “alcuni uomini” dalle direzioni predestinate, “…A qualunque fine
siano rivolte (le) devia dalla loro meta”,e, come il romanzo dimostra, l’esistenza non segue un percorso lineare, ma frastagliato,
sfuggendo ad ogni principio di determinismo, con emergenze di soggettività contingenti e disperse in continuo, incessante
movimento. Ma che cos’è questo “medium” che si impone, distorce e rifrange le azioni di “alcuni uomini” dalle direzioni
predestinate? La parola “medium” non suona per noi innocente, quanto piuttosto portatrice, sovraccarica, di riferimenti, di
connessioni, che aprono spazi di complessità comunicativa entro i quali situare la dialettica tra la forma del romanzo e il
supporto libro, come codice e non solo contenitore. Quel “medium” non potrebbe essere forse il romanzo, o meglio la
materialità del testo a stampa, ingabbiato nella camicia di Nesso della composizione tipografica? Perché allora non cambiare le
norme e le convenzioni della pubblicazione a stampa, perché non creare un’altra forma possibile di romanzo, plagiando per
anticipazione, come è stato detto, il modello dell’iper-romanzo? E perché proprio Yorick è nominato caso esemplare di quella
“fatalità” che “distorce” e “rifrange”?
Tristram, il protagonista/narratore della sua vita, ma anche, come sappiamo delle sue “opinioni” , è collocato in un universo
narrativo dominato da imprevedibili svolte e pieghe che annullano ogni suo tentativo di imporre un ordine sequenziale sulla
realtà/narrazione, e quindi un lineare svolgimento al racconto della memoria. Cavaliere sentimentale e melanconico, alla
ricerca delle origini e delle cause oggettive delle vicende della sua storia, Tristram è campione di soggettivismo umorale, fedele
sempre all’ossessione di rintracciare “the first springs of the events I tell”(I, XXI), destinato sempre a scontrarsi con le
multiformi e molteplici incarnazioni della fatale contraddizione al principio di Leibniz : “Nulla accade senza che vi sia una
ragione per cui avvenga così e non altrimenti.”
In Tristram Shandy, opera, come è stato più volte detto, interamente post moderna da ogni punto di vista, eccetto il periodo
in cui fu scritta, “antiromanzo-metaromanzo- iper romanzo”, “il progenitore di tutti i romanzi d’avanguardia del nostro
secolo”, come scrisse Italo Calvino, l’autore/narratore è costretto a rifiutare fin dall’inizio una concezione finalistica della
memoria corrispondente ad un’idea di essenza della persona. In un romanzo che è anche un trattato di poetica raccontata, le
vicende del protagonista e i suoi pensieri, le sue “opinioni” formano una rete di fatti inestricabilmente connessi solo nella sua
consapevolezza discontinua e frammentaria, ma resistono con accanimento ad ogni tentativo di essere ordinati in una sequenza
logica e secondo una successione cronologica. Come scrive Arnold Weinstein2 in un bellissimo libro sul romanzo del sé,
Fictions of the self (1550-1800):” We need laws, but they are crumbling, we are reduced to conscience and consciousness, but
they are fallible”, “Abbiamo bisogno di leggi, ma stanno andando in frantumi, siamo ridotti alla coscienza e alla
consapevolezza, ma sono soggette ad errare”. Yorick definisce la coscienza “the knowledge which the mind has within herself”
E se la coscienza dell’individuo non può essere pensata come unità, ma come frammentata intermittenza, il racconto non può
che tentare di procedere attraverso due operazioni di segno opposto, proprio come fa Parson Yorick: “scattering”,
“disperdendo” “disseminando”, e “gathering”, “raccogliendo” :
----he had but too many temptations in life, of scattering his wit and his humour,---his gibes and his jests about him---They
were not lost for want of gathering. (I,XI)
Yorick “no doubt, as Shakespear said of his ancestor---“was a man of jest” (IV, XXVII), dice Tristram. La citazione, in realtà
una misquotation tra le molte che Sterne inserisce nel suo romanzo, è dalla prima scena del quinto atto di Hamlet, scena in cui
il becchino mostra a Amleto e a Orazio il teschio di Yorick, il buffone del re, “fellow of infinite jests”, come lo chiama Amleto.
Parson Yorick dunque disperde intorno a sé il suo spirito e il suo umorismo, ma niente va perduto perché non viene raccolto,
smarrendo e ritrovando, dimenticando e ricordando, secondo quel movimento “digressivo-progressivo” della narrazione
attraverso il quale Sterne offre un risvolto interpretativo alle tendenze dominanti nel romanzo inglese del Settecento.
In Tristram Shandy il vagabondare della mente nel percorso a segmenti della memoria resiste al desiderio di procedere del
racconto, cresce per così dire ipertroficamente nello spazio dilatorio del differimento, precipita e si inabissa nello spazio e nel
tempo delle digressioni, “l’anima, il sole della narrazione”, nelle questioni di scienza, di medicina, di teologia, di astronomia,
tra discussioni scientifiche, atti legali,un contratto di matrimonio, controversie teologiche, un vero sermone, una scomunica…
L’ironia di Sterne irride al “colpevole gusto” di chi, inseguendo l’avventura, trascura “l’erudizione profonda” che può impartire
un libro dove la narrazione si può allungare senza tener conto né dell’importanza né del tempo reale dell’avvenimento, in
opposizione alla continuità teleologica, allo sviluppo della storia; poiché, come già mette in luce l’ intelligenza teorica di Sterne
è proprio nell’indugio, come lo chiameranno Calvino ed Eco, creato dallo scarto tra fabula, trama e discorso, che si deve
situare l’esplorazione del lettore, la congettura, la divagazione.
Yorick was this parson’s name, and, what is very remarkable in it, ( as appears from a most antient account of the family,
wrote upon strong vellum, and now in perfect preservation) it had been exactly so spelt for near, ---I was within an ace of
saying nine hundred years…That the family was originally of Danish extraction, and had been transplanted into England as
early as in the reign of Horwendillus, king of Denmark, in whose court it seems, an ancestor of this Mr. Yorick’s, held a
considerable post to the day of his death….It has often come into my head, that this post could be no other than that of the
king’s chief Jester;----and that Hamlet’s Yorick, in our Shakespear, many of whose plays, you know, are founded upon
authenticated facts,----was certainly the very man (I, XI)
Il narratore si diverte a supportare con dovizia di erudite considerazioni la sua ipotesi sulla discendenza di Yorick
dall’omonimo buffone del re di Danimarca, invitando peraltro il lettore ad accertarne la fondatezza, consultando la Storia
Danese di Saxo Grammaticus perché lui non ha tempo, cosa che peraltro non gli impedisce di smentire la sua ipotesi nella
pagina successiva “…perché a giudicare dai miei ricordi personali e da tutte le informazioni che ho potuto raccogliere sul suo
conto, non dimostrava di portare una sola goccia di sangue danese nella sua crasi sanguigna”. Si affretta invece a dotarlo di una
cavalcatura, disprezzata per il suo misero aspetto dai suoi parrocchiani, ma di nobili ascendenze letterarie , potendosi
considerare “full brother to Rosinante.” Il fool di Shakespeare quindi sul cavallo del Cavaliere della Mancha: Amleto e Don
Chisciotte sono intrecciati nella figura di Parson Yorick , come su uno scudo araldico, in un emblema che richiama agli occhi
del lettore se non la, una delle genealogie del libro, ma non solo, anche quella del narratore e dell’autore. “Magro e
allampanato quanto la sua bestia”, fool e “man of feeling”, “malcontent traveller”, anche se percorre solo le strade della sua
parrocchia, Yorick annuncia il viaggiatore del Sentimental Journey e ne è già la caricatura, la versione esagerata, che rovescia in
parodia le convenzioni del romanzo picaresco:
…upon his steed----he could unite and recooncile everything,----he could compose his sermon,----he could compose his
cough,----and, in case nature gave a call that way, he could like wise compose himself to sleep. (I,X)
In Tristram Shandy si sa è meglio viaggiare in sella a un “hobbyhorse” che a un cavallo, ma la figura di Yorick è così insolita e
straordinaria da provocare anche uno stupore incantato che lo solleva dalla precarietà aggressiva del mondo per concedergli
un’incursione nel territorio senza tempo del romance, dove oggetti e persone sembrano fermarsi incantati al suo passaggio:
To speak the truth, he never could enter a village, but he caught the attention of both old and young.- Labour stood still as
he pass’d,- the bucket hung suspended in the middle of the well,- the spinning wheel forgot its round,-even chuck-farthing
and shuffle-cap themselves stood gaping till he had got out of sight” (I,X) (giocatori di fossetta e cappelletto)
Avvolto nell’abito del suo humour sentimentale, filantropo per natura, incurante degli effetti delle sue battute, Yorick che “…
mai si lasciava sfuggire l’occasione di dire quello che gli saliva dal cuore, così come veniva” diventa il protagonista di un breve
apologo. Un tempo vittima dell’ambizione di possedere bei cavalli, ma esasperato dal doverli prestare a quelli che andavano a
chiamare la levatrice a sette miglia di distanza e che glieli restituivano in pessimo stato, aveva deciso di pagare le tasse della
licenza per permettere alla levatrice del villaggio di esercitare e di “continuare a cavalcare l’ultima disgraziata bestia”. “…
inesperto del mondo e affatto incauto e avventato”, era caduto vittima della calunnia degli uomini, “sopraffatto dal numero e
infine logorato dalle calamità di questa guerra”. Come il fool ,Yorick deve rivelare la verità del mondo e non può smettere di
parlare neanche sul letto di morte, “…con un che di cervantico nel tono…e negli occhi …un guizzo di fuoco lambente” “…
faint picture of those flashes of his spirit, which (as Shakespeare said of his ancestor) were wont to set the table in a roar!”
(I,XII).
“He hath borne me on his back a thousand times” (Hamlet, V.i.174-75), ricorda Amleto del suo buffone, e, come lo Yorick di
Hamlet , Parson Yorick entra nel testo attraverso la memoria di un personaggio che porta le stigmate del melanconico.3 Ma in
Tristram la melanconia, non è più come nel regno di Elisabetta la materializzazione nel corpo e nello spirito dell’inquietudine
dei tempi, malattia sintomatica delle epoche di transizione, quanto piuttosto il risultato di una fusione tra il disagio del vivere
il rapporto tra l’io e il mondo, che è una delle molte anime del Settecento, e lo humour, ironico e nostalgico, di cui si
approprierà Foscolo nel suo Viaggio Sentimentale.
Si può sostenere, come è stato fatto in uno studio di Ronald Paulson sull’estetica del lutto, che la strategia di Tristram di
preservare la memoria della famiglia attraverso una storia che costruisca “one enormous funerary memorial erected by Tristram
to himself and his father, mother, uncle, and friend Yorick”4 lo avvicini a quel “purpose of playing” che Amleto definisce
prima del play-within-a-play. Certamente il tema della memoria, personale, familiare e culturale, è più che un tema ricorrente,
un Leitmotiv, in Tristram Shandy, ma costituisce una delle strutture portanti del testo che condivide con Hamlet una tensione
essenziale tra il il ricordo e l’oblio. “When I see him cast in the rosemary with an air of disconsolation, which cries through my
ears…” (VI, XXV). “There’s rosemary, that’s for remembrance” (Hamlet, V,IV). dice Ophelia nella quinta scena del IV atto di
Hamlet.
Vorrei aprire qui una breve parentesi in linea con il tema del convegno. “When I see him cast in the rosemary…” non è il solo
riferimento volutamente banale, di repertorio a Shakespeare in un momento di grande diffusione delle edizioni e delle
rappresentazioni delle opere di Shakespeare; ce ne sono almeno altri tre che proprio in quanto citazioni ormai quasi d’obbligo
in un testo colto quale è Tristram Shandy hanno la funzione di operare un abbassamento ironico del discorso:
“He (Dr Slop) stood like Hamlet’s ghost, motionless and speechless…”(II,X)
“At the end of the last chapter, my father and my uncle Toby were left both standing, like Brutus and Cassius, at the close
of the scene, making up their accounts” (II.XIV)
“Why, Sir, your Julius Caesar, who gave the operation a name;”(II,XIX)
Rimanendo entro l’ambito di riferimenti coevi, vorrei brevemente ricordare che in Tristram Shandy Shakespeare è una
presenza pervasiva anche attraverso la mediazione di David Garrick. Garrick, che fu grande e generoso amico di Sterne, lo
aiutò anche economicamente, è nel romanzo esplicitamente richiamato quattro volte come una presenza amica, ma anche
come esempio di artista, che lo accompagna nella sua difficile impresa:
“—O Garrick!—What a rich scene of this would thy exquisite powers make! And how gladly would I write such another to
avail myself of thy immortality, and secure my own behind it.” (IV,VII).
La connessione Garrick su Sterne, più interessante per noi, consiste peraltro nell’influenza che il modello innovativo della sua
recitazione ebbe con ogni probabilità sulla descrizione dei personaggi di Tristram Shandy. Garrick, sul palcoscenico delle sue
memorabili rappresentazioni shakespeariane, enfatizzava la fisicità, la corporeità dell’attore, avvalendosi ,come sappiamo, della
sua prestanza fisica, accentuando inoltre allo stesso tempo la mimica facciale. Nel romanzo di Sterne nei movimenti
amplificati, esagerati e allo stesso tempo misurati “con matematica esattezza” nelle angolature palesemente meccanici dei
personaggi, l’intenzione spesso parodica dell’autore combina l’espressione dei due modelli, meccanicistico e fisiologico,
dell’uomo, che a loro volta rimandano sia ai trattati di medicina dell’epoca, come quelli di Archibald Pitcairne e di George
Cheney, sia alla tavole illustrative contenute in The Analysis of Beauty di William Hogarth, e tutto questo nel secolo
dell’automa.
Ma cerchiamo di non perdere Yorick.
Come il buffone della corte del re di Danimarca Parson Yorick entra nel testo attraverso la morte o meglio, attraverso la
contemplazione della morte. Il jester non è che un teschio nel mondo caduto di Hamlet e Parson Yorick è coperto da quella
cortina nera, la pagina nera che il romanzo gli dedica per celebrarne la morte prematura, pagina inscritta nel testo perché,
come scrive Carlo Levi “la sagacia del mondo non (la) sa decifrare”.
“ Alas, poor Yorick!”. In realtà le cose non stanno proprio così, la morte non è prematura, cosa che scopriamo se ricostruiamo,
come è stato fatto, la cronologia della vita di Yorick. Il pathos della vicenda di Yorick dipende dall’idea, suggerita anche nel
tono della narrazione, che egli sia morto prematuramente, vittima della cattiveria e della calunnia del prossimo. Verso la fine
del passo , Yorick giace “quite broken hearted” come conseguenza degli attacchi di “CRUELTY and COWARDICE” che lo
hanno colpito proprio quando “preferment was o’ripening”, “pareva che stesse maturando la sua promozione” . Eugenius, altro
personaggio del romanzo, si rivolge a lui chiamandolo “my dear lad” e lo incoraggia con la speranza che egli possa ancora
divenire vescovo, ma sua testa è ormai così “ammaccata e pesta” per i colpi che gli sono stati inferti che “…potrei ripetere con
Sancio Panza che ‘quand’anche guarissi e le mitrie cadessero dal cielo fitte come grandine, non ve ne sarebbe una adatta per la
mia testa’” Il lettore è quindi indotto a credere che la costituzione di Yorick sia stata fatalmente distrutta, stroncata dal cattivo
trattamento subito. In una breve parentesi autobiografica ricordo che la delusione professionale di Yorick è stata a lungo
interpretata con riferimento alle difficoltà che lo stesso Sterne ebbe nella sua posizione di ecclesiastico a York. In effetti se si
ricostruisce la cronologia della vita di Yorick, questo aspetto, come dire, sentimentale, viene di molto attenuato. E’ Yorick che
circa venti anni prima della nascita di Tristram il 5 novembre 1718 paga la licenza dell’ostetrica impiegata da Mrs Shandy. Per
circa cinque anni prima della data della licenza, cioè circa dal 1693, Yorick aveva cavalcato “ a lean sorry jack-ass of a horse”.
Prima di decidere per ragioni di economia di rimanere con “the last poor devil, such as they had made him, with all his aches
and infirmities, Yorick aveva avuto delle dignitose cavalcature “per molti anni “, quindi dalla fine degli anni 80 del Seicento.
Poiché Yorick a quel tempo aveva già un “living”, probabilmente doveva avere almeno venticinque anni e quindi essere nato
intorno alla metà degli anni 60. La morte di Yorick è avvenuta “about ten years ago” il che vuol dire intorno al 1748, una data
confermata nella storia del sermone sulla coscienza che venne tenuto da un prebendary della cattedrale di York, naturalmente
Sterne stesso, nel 1750 “within so short a space as two years and three months after Yorick’s death” (II, XVII). Dal punto di
vista cronologico è certo dunque che Yorick ha almeno 80 anni quando muore. Che questo non sia immediatamente ovvio
deriva in parte dal fatto che ci sono cinque capitoli tra la morte di Yorick e la menzione da parte di Tristram della prima delle
quattro date che inserisce per dirci quando sta scrivendo. Di conseguenza la data della morte di Yorick può essere scoperta solo
retrospettivamente.
Ma il lettore è naturalmente lasciato libero di abbracciare il culto della sensibilità, o di diffidare della morale della storia e
divertirsi con la parodia, dedicarsi a Shakespeare o osservare turbato cosa succede quando non ci si conforma alle esigenze del
mondo.
Nella nostra ricostruzione del gioco di specchi, gioco caleidoscopico direi, tra Sterne/Tristram/ Yorick ritorniamo al Sermone
sulla coscienza che il romanzo include. Il sermone era già stato tenuto da Sterne nel Minster, la Cattedrale di York , avendo
prima inventato Yorick, come ricordavamo all’inizio, come suo autore. Quindi Tristram inventato per essere il narratore del
romanzo di Sterne, trasforma Sterne in Yorick, creatura dell’invenzione di Sterne. Sterne insomma, potremmo dire, inventa le
condizioni in cui può inventare se stesso. Con la maschera di Yorick, Sterne può diventare un personaggio5 del suo romanzo.
Inoltre la prima frase del sermone innesca la storia che Trim, altro personaggio del romanzo, colui che legge il sermone,
racconta di suo fratello Tom e dell’Inquisizione, storia che Trim racconterà ancora verso la fine del libro.
Can the reader believe, that this sermon of Yorick’s was preached at an assize, in the cathedral of York, before a thousand
witnesses, ready to give oath of it, by a certain prebendary of that church, and actually printed by him when he had done,---and within so short a space as two years and three months after Yorick’s death.---Yorick, indeed was never better served in his
life!---but it was a little hard to male-treat him after, and plunder him after he was laid in his grave. (II, XVII)
Inoltre consideriamo per un momento le date: il sermone è successivo al racconto della morte di Yorick, morte che ha
ovviamente una data fittizia, (“About ten years ago” dice Tristram nel 1759, Yorick “left his parish, and the whole world at the
same time behind him”,I,X) ed è utilizzata per richiamare una data reale, la data in cui Sterne ha predicato quel sermone.
Quindi un’altra storia nella storia, raccontata da un personaggio agli altri personaggi della storia, alla quale il “vero” sermone di
Yorick/ Sterne si collega attraverso una descrizione dell’Inquisizione. E le parole di Walter Shandy, l’aspirante filosofo
enciclopedico, l’uomo-libro, insieme a Tristram e con Yorick , altra personificazione del metodo sterniano, diventano
inefficaci:
I tell thee, Trim, again, quoth my father, ‘tis not an historical account,---‘tis a description.---‘Tis only a description, honest
man, quoth Slop, there’s not a word of truth in it.---That’s another story, replied my father.----(II, XVII)
Resoconto storico, documento, descrizione, ma anche autobiografia, Bildungroman, diario di viaggio, storia fantastica…In un
mondo dove niente può essere completato, concludersi, dove tutto è già stato detto e tutto si interseca, e i libri traboccano
dalle biblioteche, dagli archivi, dalla memoria dei personaggi, i generi narrativi si affollano, scambiandosi ruoli e parti, e l’unica
permanenza si scopre nel gioco dell’immaginazione, l’autore congeda il suo lettore con la maschera del jester:
L- -d! said my mother, what is all this story about?___
A COCK and a BULL, said Yorick __And one of the best of its kind, I ever heard.
“la storia di un GALLO e di un TORO”, una storiella, una panzana, “e una delle migliori , nel suo genere, che io abbia mai
sentito raccontare” Alla fine del capitolo XXXIII del volume IX Parson Yorick a sua volta riprende con guizzo improvviso la
maschera dello Yorick di Amleto, il suo ruolo di “ absolute jester of the imagination” 6 con un’ultima irriverente ed equivoca
battuta, uno sberleffo comico, butta nell’aria il mondo di carta.
NOTE
1
Cfr. Richard A. Lanham
Tristram Shandy: The Games of Pleasure, University of California Press, Berkeley 1973..
2
Arnold Weinstein
Fictions of the Self: 1550-1800, Princeton University Press, 1981, p.216.
3
Cfr. O. P. James
The Relation of Tristram Shandy to the Life of Sterne, p.92. .
4
Ronald Paulson
“The Aesthetics of Mourning” in Studies in Eighteenth-Century British art and Aesthetics, ed. Ralph Cohen, University of
California Press, Berkeley 1985, p.167.
5
Cfr. John Preston
The Created Self, The Reader’s Role in Eighteenth-century Fiction, Heinemann, London, 1970.
6
Ben Lehman
“Of Time, Personality, and the Author”, in Laurence Sterne, ed. Traugott, p.24.