Deviazioni spaziotemporali in Laurence Sterne e Prosper

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Deviazioni spaziotemporali in Laurence Sterne e Prosper
§
PARAGRAFO
RIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI
Paragrafo
Rivista di Letteratura & Immaginari
pubblicazione periodica
coordinatore
FRANCESCO LO MONACO
Redazione
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Questo numero è pubblicato con il contributo
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Paragrafo
IV (2008)
Sommario
INCONTRI
§1. GIOVANNI SOLINAS, La critica tra dialogo e conflitto. Conversazione
con Romano Luperini
9
FIGURE
§2. NICCOLÒ SCAFFAI, Fortuna e sfortuna di un poeta editore. Inediti
di Domenico Buratti
31
§3. PAOLA DI MAURO, Da dandy. L’intellettuale dada contro la guerra
55
§4. GABRIELE BUGADA, La pazzia del tiranno. Ritratti di un potere
bandito
73
QUESTIONI
§5. LUIGI MARFÉ, In viaggio con Erodoto. Appunti per una tipologia
dell’anti-turismo contemporaneo
99
§6. GIANPAOLO IANNICELLI, Tra le crepe della memoria. Dinamiche e
criticità del processo di trasmissione del passato
113
STERNIANA
§7. STEFANIA CONSONNI, Schemi di costruzione spaziale del tempo in
Tristram Shandy
135
§8. STEFANO A. MORETTI, “Quell’inquieto calesse”. Deviazioni spaziotemporali in Laurence Sterne e Prosper Mérimée
163
I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO
183
NUMERI ARRETRATI
185
§
8
Stefano A. Moretti
“Quell’inquieto calesse”
Deviazioni spaziotemporali in Laurence Sterne e Prosper Mérimée
1. Il buffone sull’altalena
Le parole, che l’autore, come tutti gli autori, scriveva predicando
da sé, furono frantese da due inglesi che andavano nel cortile
considerando quell’inquieto calesse.
Ugo Foscolo, Viaggio sentimentale di Yorick lungo
la Francia e l’Italia, 1813
“Se un turista esotico […] ce lo chiedesse, sarebbe arduo spiegare in breve
la rapida e durevole fortuna europea del Viaggio Sentimentale”. Così Giancarlo Mazzacurati apriva Il fantasma di Yorick, scritto sull’eredità formale e
filosofica del Viaggio Sentimentale di Laurence Sterne.1 Se però quell’esotico turista fosse un viaggiatore nel Tempo, proveniente dalla quarta o dalla
quinta dimensione, forse sarebbe lui a spiegare che il mezzo che ha impiegato per raggiungerci è molto simile, se non identico, a quello che Yorick
sceglie per compiere il suo viaggio attraverso la Francia e l’Italia. Ma andiamo con ordine, cominciando – come si conviene – dalla Prefazione.
1.1. Un nuovo vecchio Veicolo2
Una carrozza senza cavalli è l’impossibile mezzo di trasporto di cui si serve
1
Giancarlo Mazzacurati, “Il fantasma di Yorick”, in Laurence Sterne, Un viaggio sentimentale, Napoli: Cronopio, 1991, II, pp. 153-91; ora in Id., Il fantasma di Yorick. Laurence Sterne e il romanzo sentimentale, Napoli: Liguori, 2006, pp. 41-71. Per alcuni suoi assunti fondamentali, il saggio di Mazzacurati è all’origine di buona parte delle riflessioni
che seguono.
2
Mantengo l’uso sterniano della maiuscola per evidenziare il carattere astratto, quasi di
categoria filosofica, che il termine veicolo assume in questo contesto.
PARAGRAFO IV (2008), pp. 163-182
164 /
STEFANO A. MORETTI
Yorick per intraprendere un viaggio inedito, ‘sentimentale’; un viaggio introspettivo e retrospettivo, sobbalzante – il primo inciampo è già nel matter better della prima frase – per le strade della mente più che su quelle che
attraversano le campagne francesi.3 Non solo resoconto o memoria di un
viaggio, ma viaggio esso stesso, indagine rivolta a sondare delicate questioni relative al Sé, il Viaggio sentimentale pone al vaglio della critica la possibilità stessa di comunicare le proprie emozioni e percezioni; comunicazione che seppur possibile sarà sempre e comunque ‘traduzione’, traslazione e
trasporto di una materia tanto volatile e volubile da rischiare di dissolversi
– come una delicata pergamena – al primo contatto con l’aria.4 Se è impossibile uscire da sé comunicando agli altri ciò che proviamo e pensiamo,
impossibile è anche viaggiare, uscire dai propri confini, siano essi corporei
o nazionali. Assunto paradossale, per dare avvio a un racconto di viaggio,
eppure è questa la tesi che Yorick, riprendendo e in buona misura parodiando un sermone del vescovo Joseph Hall,5 sembra sostenere nella celebre Prefazione scritta a viaggio e romanzo iniziato in una carrozza ferma
nel cortile di un’osteria di Calais. Non una carrozza qualsiasi, ma una vecchia désobligeante6 abbandonata nell’angolo più remoto della corte colpisce la fantasia e il capriccio di Yorick che “trovandola in passabile armonia
con il [suo] stato d’animo” decide di entrarvi per scrivere il suo viaggio.
Serrandosi dentro la carrozza, tirando la tendina di taffeta nero per non
3
Yorick “viaggiava in Francia, ma la strada incrociava spesso la sua mente, e le principali
avventure non coivolgevano briganti o precipizi ma le emozioni del cuore”. Virginia Woolf,
“The Sentimental Journey”, in Id., The Common Reader, Second Series (1932), trad. it. di
Vittoria Sanna, Il lettore comune. Seconda serie, Genova: il nuovo Melangolo, 1996, p. 85.
4
Sull’emblematico capitolo The Translation (il XXV secondo la numerazione del Foscolo) si vedano almeno Martin C. Battestin, “A Sentimental Journey and the Syntax of
Things”, in J. C. Hilson, M. M. B. Jones e J. R. Watson (a cura di), Augustan Worlds: Essays in Honour of A. R. Humphreys, Leicester: Leicester University Press, 1978, pp. 223-39
(che definisce il Viaggio un libro “di ostacoli e traduzioni d’ogni genere”); Jean Jacques
Mayoux, “Laurence Sterne”, in John Traugott (a cura di), Sterne: A Collection of Critical
Essays, New York: Cliffs, 1968, p. 118 e Joseph Chadwick, “Infinite Jest: Interpretation in
Sterne’s A Sentimental Journey”, Eighteenth-Century Studies, 12:2, 1978-1979, p. 205.
Laddove non altrimenti indicato la traduzione è mia.
5
Joseph Hall, Quo Vadis? A Just Censure of Travel, As It is Commonly Undertaken by the
Gentelmen of Our Nation, London, 1617; si veda Laurence Sterne, A Sentimental Journey
through France and Italy by Mr. Yorick, a cura di Gardner D. Stout jr., Berkeley, University
of California Press, 1967, pp. 332-36. D’ora in poi la sigla ASJ [Stout] farà riferimento a
questa edizione.
6
Scelgo la grafia francese corrente désobligeante, mentre in Sterne si trova sempre Désobligeant.
“QUELL’INQUIETO CALESSE” / 165
vedere e per non essere visto, Yorick sospende il corso della narrazione e
scrive la premessa teorica al proprio romanzo. Chiuso nella carrozza immobile Yorick interrompe il suo viaggio, elimina lo Spazio e il Tempo attorno a sé; contemporaneamente egli interrompe anche lo Spazio e il
Tempo del racconto, ne devia il flusso verso la dimensione della narrazione postuma – benché il testo si finga viatico, scritto a viaggio appena iniziato – e verso quella della lettura. Ciò provoca una serie di cortocircuiti
tra gli spazi e i tempi della scrittura, dello scrittore, della lettura e del lettore (Yorick che scrive a Calais e Sterne a Coxwold diversi anni dopo; il
tempo che impieghiamo a leggere il brano di Sterne e il flusso spazio-temporale nel quale viviamo e che interrompiamo leggendo).7
Trasgredendo le norme convenzionali del récit narrativo Sterne non
solo confonde e sorprende il lettore, ma ne invade lo spaziotempo, lo obbliga a fermarsi, tornare sui propri passi e riprendere la lettura, resa frammentaria e sobbalzante almeno quanto la narrazione. Mazzacurati percepì
la frattura provocata dall’inserimento di questa prefazione postuma e ne
segnalò l’effetto straniante come paradigma dei luoghi sterniani “in cui il
testo viene adoperato come uno strano crocevia di apparizioni e sparizioni, un luogo di scambio tra le diverse dimensioni (interno/esterno, mente/corpo, tempo/spazio)”.8 Che sia l’opera stessa questo luogo di scambio,
crocicchio tra varie dimensioni, è Sterne a indicarlo: l’opera è letteralmente “Veicolo”, macchina che subisce continui smontaggi e rimontaggi
e che non ha pudore a mostrarsi nella nudità dei propri ingranaggi.9 In
7
Alle categorie di tempo della scrittura, dello scrittore, del lettore e della lettura (mutuate
da Tzvetan Todorov e Oswald Ducrot, Dictionnaire encyclopédique des sciences du language,
Paris: Seuil, 1972, p. 400 e adottate nell’analisi del Tristram Shandy da Loretta Innocenti,
“La narratività come spazialità del tempo. A proposito del Tristram Shandy”, Lingua e stile,
13:1, 1978, pp. 41-57), mi pare in questo caso adeguato intrecciare il concetto di cronotopo bachtiniano. In Sterne lettura e scrittura non perdono mai la propria corporeità; come per i cronotopi, “il tempo acquista in essi un carattere sensibilmente concreto”. Michail Bachtin, Formi vremeni i chronotopa v romane (1937-38), trad. it. di Clara Strada Janovic, “Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo”, in Id., Estetica e romanzo
(1979), Torino: Einaudi, 2001, p. 396.
8
Laurence Sterne, Un viaggio sentimentale, cit., II, p. 18n13.
9
In una nota del 21 giugno 1767 Sterne definisce il diario che stava scrivendo all’amata
Eliza Draper e il Viaggio sentimentale “sicuri come le prime due ruote della mia carrozza”:
Laurence Sterne, A Sentimental Journey through France and Italy and Continuation of the
Bramine’s Journal, a cura di Melvyn New e William G. Day, Gainesville, University of
Florida Press, 2002, p. 205. D’ora in poi la sigla ASJ [Florida] farà riferimento a questa
edizione.
166 /
STEFANO A. MORETTI
un passo centrale della Preface: In the Désobligeant il neonato viaggiatore
sentimentale ammette con buona dose d’ironia che per attirare l’attenzione su di sé senza essere considerato un viaggiatore vanesio serviranno appigli migliori che non “la Novità del mio Veicolo”.10 Sia Gardner Stout, sia
Melvin New, nelle rispettive edizioni critiche dell’opera offrono soltanto
le occorrenze di questa formula ambigua; è merito di Mazzacurati avervi
riconosciuto non solo il senhal con cui Sterne si riferisce alla propria opera ma anche il fondamento stesso della poetica sterniana, l’idea dell’opera
letteraria non solo o non tanto come vettore di significati e significanti,
ma come macchinario poetico in movimento.11 I sobbalzi di questa macchina poetica si lasciano dietro due tracce contigue, una formale e – a
detta di Šklovskij – rivoluzionaria,12 l’altra esistenziale e lirica.13 La frantumazione o la forzatura dell’intreccio, che affascinò i formalisti, è il frutto
di un consapevole benché precoce superamento della geometria euclidea
applicato alla narrazione, uno sperimentalismo che a noi evoca soluzioni
da avanguardia cubista;14 in campo esistenziale, invece, il moto perpetuo
della macchina poetica sterniana ricorda con insistenza ai propri passeggeri la loro mortalità, offrendo però in cambio alcune possibilità di salvezza: la promessa di una continuazione letteraria dell’esistenza da un lato
e la possibilità di uscire dalla tirannia del Tempo e dello Spazio praticandovi dei varchi dall’altro; fessure attraverso le quali Virginia Woolf sbir10
ASJ [Stout], p. 82, che Foscolo traduce “la novità della mia vettura”; si veda il Viaggio
Sentimentale di Yorick lungo la Francia e l’Italia, traduzione di Didimo Chierico [Ugo Foscolo]
(1813), in Laurence Sterne, Viaggio Sentimentale, a cura di Giuseppe Sertoli, Milano: Mondadori, 1983, p. 21. D’ora in poi la sigla VS [Sertoli] farà riferimento a questa edizione.
11
ASJ [Florida], pp. 244-51 e Laurence Sterne, Un viaggio sentimentale, cit., II, p. 16n8.
12
Victor Šklovskij, “Tristram Shandy Sterne’a teorija romana” (1921), trad. it. Cesare
G. De Michelis e Renzo Oliva, “Il romanzo parodistico. Tristram Shandy” in Id., Teoria
della prosa, Torino: Einaudi, 1976, pp. 209-43; immensa la bibliografia che in seguito ne
ha ripreso le intuizioni, mi limito all’ultimo in ordine di tempo: Carlo Ginzburg, “La ricerca delle origini. Rileggendo Tristram Shandy”, in Id. Nessuna isola è un’isola. Quattro
sguardi sulla letteratura inglese, Milano: Feltrinelli, 2002, pp. 68-95.
13
Virginia Woolf, op. cit., p. 82.
14
Sul legame tra geometrie non euclidee, teorie delle n-Dimensioni e arti figurative si
veda Linda Darlymple Henderson, The Fourth Dimension and Non-Euclidean Geometry in
Modern Art, Princeton: Princeton University Press, 1983. Sterne aveva già nel Tristram
Shandy dimostrato come, al contrario di quanto affermato da Archimede, la retta non è
necessariamente la linea più breve che unisce due punti; si veda Laurence Sterne, The Life
and the Opinions of Tristram Shandy, Gentlemen, a cura di I. Campbell Ross, Oxford:
Oxford University Press, 1983, VI, XL, p. 379. D’ora in poi la sigla TS farà riferimento a
questa edizione.
“QUELL’INQUIETO CALESSE” / 167
ciava le profondità dell’animo.15 Quelli che Šklovskij chiama “grafici d’andamento della fabula”, “mappe” che denunciano un ironico e consapevole
straniamento formale, sono per Mazzacurati come i tracciati di un sismografo sentimentale che vede e registra solo le emergenze emotive, condannando all’oblio tutto quanto asseconda il flusso ordinario degli eventi.16
Viste a bordo della nostra carrozza queste mappe sembrano essere anche
la registrazione tipografica degli accidenti del cammino: indicando un’affinità tra l’incoerenza del pensiero e la disconnessione del manto stradale
queste tracce segnalano una analogia tra esperienza mentale e percezione
corporale, espressa nel tremito della mano che tenta di vergare parole e
che invece scarabocchia.
1.2. L’infinito viaggio della (meta)narrazione
Il “movimento aperto” della macchina narrativa è il moto impresso da Yorick al trabiccolo nell’atto di scrivere impetuosamente il proprio sermone
introduttivo, un moto che sospinge la stesura del Viaggio e che al tempo
stesso ha un riscontro nella dimensione interna alla narrazione, tanto che
due viaggiatori inglesi un po’ maliziosi si avvicinano incuriositi.17 Anche
l’aspetto più macchinale del montaggio narrativo trova una rispondenza
nella carrozza monoposto: nel capitolo seguente la Prefazione, Dessein,
l’oste di Calais, per dissuadere Yorick dall’acquistare quel triste e scortese
carrozzino avverte il viaggiatore che esso è stato già montato e smontato
due volte per attraversare il Moncenisio. La désobligeante riassume e racchiude dunque in sé tutte le caratteristiche del Veicolo sterniano, del suo
libro e della sua scrittura, ne diviene – quasi per sineddoche – il simbolo.
La piccola carrozza all’interno della quale l’opera è scritta è l’opera stessa
in miniatura, buio anfratto all’interno del quale le percezioni del protagonista sono proiettate come ombre.18 Il “Nuovo Veicolo” scelto da Yorick
15
Sterne “ci conduce fino all’orlo di un profondo precipizio dell’anima; lanciamo uno
sguardo su quell’abisso; ma subito ci distoglie indicandoci splendidi prati verdi dall’altra
parte”: Virginia Woolf, op. cit., p. 87.
16
Giancarlo Mazzacurati, op. cit., p. 50.
17
La stesura e la lettura di un sermone di Yorick è associata all’immagine di una carrozza già in un celebre capitolo del Tristram Shandy (II, XV), ove il caporale Trim, sfogliando
le pagine della Nouvelle manière de fortifications par écluses (1618) di Simon Stevin alla ricerca del passo dove l’inventore fiammingo descrive la sua famosa “carrozza a vela”, fa
inavvertitamente cadere un sermone che Sterne pronunciò il 29 luglio 1750 a York (TS,
II, XV, p. 95).
18
Estranea a gran parte della critica sterniana, questa interpretazione è accennata in una
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STEFANO A. MORETTI
come vettore ed emblema per il proprio viaggio non è dunque la carrozza
vis-à-vis, ma l’angusta monoposto.19 Se il Viaggio Sentimentale è “la porta
che ci permette di giungere ad una comprensione profonda di Sterne”,20
possiamo ora ipotizzare che, per sua stessa volontà, sia la désobligeante –
con la Prefazione che in essa si presume sia stata scritta – la stretta via
d’accesso al Viaggio Sentimentale.
All’ingresso di Yorick nella désobligeante la soluzione di continuità narrativa è segnalata dall’inizio di un nuovo capitolo e da un brusco mutamento di registro stilistico; il tono e la costruzione retorica s’impennano
improvvisamente verso quelli, sempre a un passo dalla parodia, del sermone o del discorso accademico. Già si è notato come la discontinuità sia
non solo narrativa, ma spaziotemporale: “Il Viaggiatore Sentimentale. E
qui intendo di me – e però mi sto qui ora seduto a darvi ragguaglio del mio
viaggio” dice Sterne.21 Il luogo di scambio, lo shifter spaziotemporale non è
qui il testo nel suo insieme ma lo spazio chiuso della carrozza, il suo stretto
sedile che trasporta, come una wellsiana macchina del Tempo, lo scrittore
che ha viaggiato e il suo lettore dal cortile di Calais allo studio di Sterne a
Coxwold. Utilizzo di proposito il termine jakobsoniano shifter per indicare
la funzione che la désobligeante, come dispositivo narrativo e come mezzo
di trasporto, riveste nella costruzione della tessitura spaziotemporale dell’opera: Sterne fà di una sgangherata carrozza monoposto un commutatore
metaforico, uno scambio lungo i binari dello spaziotempo, a volte centripeto, come all’inizio della Prefazione, altre centrifugo, come nel caso citato.22 In maniera del tutto simile Sterne si avvale, sul piano tipografico, delnota di Remo Ceserani: “la carrozza è simbolo e contenitore del racconto (i sobbalzi e i dondolii del calesse in cui si svolge il viaggio, detto la désobligeante, ne ritmano non solo le avventure ma anche la scrittura […])”. Sub voce “Carrozza”, in Remo Ceserani, Mario Domenichelli e Pino Fasano (a cura di), Dizionario dei temi letterari, Torino: Utet, 2007, I, p. 379.
19
Al contrario di quanto afferma Jean-Claude Dupas, Sterne ou le vis-à-vis, Lille: PUL,
1984.
20
György Lukács, “Reichtum, Chaos und Form: Ein Zwiegespräch über Lawrence Sterne” (1911), trad it. di Sergio Bologna, “Ricchezza, caos e forme. Un dialogo su Laurence
Sterne”, in Id., L’anima e le forme, Milano: SugarCo, 1972, p. 217.
21
VS [Sertoli], p. 19.
22
Il termine scambio rimanda al procedimento di débrayage / embrayage, che Algirdas
Greimas e Joseph Courtès (in Sémiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage,
Paris: Hachette, 1979, pp. 79-82) derivano da Roman Jakobson, “Overlapping of Code
and Message in Language” (1950), trad. it. di Luigi Heilmann e Letizia Grassi, “Commutatori ed altre strutture semplici”, in Id. Saggi di linguistica generale, Milano: Feltrinelli,
2002, pp. 149-53.
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le ‘poco eleganti’ lineette per aprire squarci nella temporalità narrativa ordinaria e immettere il lettore nel discorso e nel flusso di pensieri dei suoi
protagonisti;23 inserendosi negli interstizi del testo, grazie alle ferite che
l’autore stesso procura al proprio testo, al lettore è concesso penetrare la
nebbia delle ambiguità per scoprire che a lui è dato tessere la trama
profonda, Sentimentale, del viaggio e rinvenire attraverso l’esperienza o
l’interpretazione i nessi che formano la “sintassi delle cose”.24
L’esibita frammentarietà, sintomo di una poetica, è al tempo stesso la
caratteristica peculiare della concezione sterniana dell’individuo; già nel
Tristram Shandy l’uomo è paragonato dal padre di Tristram a un fragile e
traballante Veicolo, continuamente sottoposto al rischio di perdere i suoi
pezzi a causa dei violenti sobbalzi che il suo viaggio comporta.25 Per Sterne l’Io è un oggetto discontinuo e inafferrabile, proprio come la forma
narrativa adibita a raccontarlo e che tenta di contenerlo;26 questa reiterata
23
“La funzione più importante della lineetta […] è di fornire Tristram di una ‘illogica’
giuntura tra differenti generi di discorso: tra passato e presente, tra evento narrativo e intervento dell’autore rivolto al lettore; tra un flusso di pensieri e un altro nella mente di Tristram”: Ian Watt, “The Comic Syntax of Tristram Shandy”, in Howard Anderson e John S.
Shea (a cura di), Studies in Criticism and Aesthetics, 1660-1800, Essays in honour of Samuel
Holt Monk, Minneapolis: UMP, 1967, pp. 315-31. Altro spazio e altra sede meriterebbe il
raffronto con la funzione delle lineette nell’opera di Emily Dickinson, dove peraltro
l’immagine della carrozza è ricorrente. Sull’argomento sono da vedere, oltre al saggio di
Watt appena citato, Richard B. Moss, “Sterne’s Punctuation”, Eighteenth-Century Studies,
15:2, 1981-1982, pp. 179-200; Elizabeth Brunner, “Dashing Genius: Emily Dickinson
and the Punctuation of Cognition”, <http://members.tripod.com/~ElizBrunner/Scholar/
DashOne.htm>; Brita Lindberg-Seyersted, The Voice of the Poet: Aspects of Style in the Poetry of Emily Dickinson, Cambridge: Harvard University Press, 1968; Id., Emily Dickinson’s
Punctuation, Oslo: University of Oslo, 1976 e Peter Crumbley, Inflections of the Pen: Dash
and Voice in Emily Dickinson, Lexington: University Press of Kentucky, 1997.
24
“poiché il sentimento è il primo / a prestare qualche attenzione / alla sintassi delle cose”: Edward E. Cummings, “VII” (1926), in Id, Complete Poems, New York: HBJ, 1980, p.
290; da questi versi ha preso avvio il lavoro di Battestin citato in precedenza. Il ruolo del
lettore interprete è stato invece messo a fuoco in Joseph Chadwick, op. cit., p. 205.
25
“Sebbene l’uomo sia tra tutti il più bizzarro veicolo, – disse mio padre, – pure ha una
struttura così fragile ed è così mal connesso, che gl’improvvisi sobbalzi e le scosse violente
a cui è inevitabilmente sottoposto il questo scabroso viaggio, lo manderebbero a gambe
levate e lo ridurrebbero in pezzi una dozzina di volte al giorno, se non fosse, fratello Tobia, per una segreta molla ch’è in noi...” Laurence Sterne, The Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman (1760-1767), trad. it. di Antonio Meo, La vita e le opinioni di
Tristram Shandy gentiluomo (1958), Milano: Mondadori, 1974, p. 204. D’ora in poi riferiremo a questo volume con la sigla TS [Meo].
26
Questa vischiosità si riflette nelle numerose e opposte interpretazioni degli studiosi;
Chadwick ad esempio ne evidenzia l’aspetto solipsistico, monadico, di “centro di coscien-
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STEFANO A. MORETTI
scissione dell’Io mi pare si verifichi anche al termine del brano di cui ci
stiamo occupando: interrompendo la scrittura Yorick “schizza fuori” dalla
désobligeante, ma una parte di lui vi resta ‘dentro’ per continuare a scrivere il libro che stiamo leggendo. Mentre Yorick prosegue il proprio viaggio
in un mondo di ectoplasmi, Sterne resta seduto al suo scrittoio e continua a proiettare, insieme a noi, le immagini del viaggio; la piccola carrozza funziona quindi come una camera ottica o un prisma attraverso il quale il fascio di luce del soggetto si rifrange in tutte le sue facce multicolori.
Il mondo esterno, le persone che si incontrano, sono simili a un vetro riflettente, grazie al quale possiamo avere un’immagine dei nostri procedimenti mentali e dei nostri sentimenti e tentare infine di possederli; ma
anche questa superficie sembra essere incrinata, lo specchio del mondo
sembra essersi rotto irrimediabilmente in infiniti caleidoscopici riflessi.27
Questo carrozzino apparentemente dimesso deve aver lasciato un segno
profondo nella memoria di un grande sterniano, E. T. A. Hoffmann, che
scelse di rivestire di specchi la carrozza de La Principessa Brambilla. I passanti cercano di scoprire chi è l’ospite della fantastica vettura giunta a Roma per il Carnevale, ma tutto ciò che riescono a cogliere con lo sguardo è
la loro stessa immagine riflessa e rifratta in mille direzioni differenti; la visione del passeggero resta preclusa e sorge ben presto il dubbio che tra i
cuscini di velluto non sia seduto nessuno: il tentativo di vedere dentro di
sé porta così alla scoperta di un Io in frantumi. L’introspezione, inevitabile
all’interno della désobligeante, in Hoffmann è diventata impossibile; portiere specchiate ne precludono l’accesso, segno dell’inattingibilità dell’Io
che il Romanticismo ha, nel frattempo, portato con sé.28
za” al cui interno anche l’Io del lettore è risucchiato e imprigionato; Mazzacurati vi scorge
invece la “porosità” di una spugna che assorbe ottimisticamente tutte le sensazioni che il
mondo le offre, nella certezza che un “Grande Sensorio” esista; i più, a partire da Stout,
Battestin e Watt fino a Sertoli, leggono il Viaggio come una moderna peregrinatio che ha
questi due poli come prima e ultima tappa.
27
Cfr. Joseph Lamb, “Language and Hartleian Associationism in A Sentimental Journey”,
Eighteenth-Century Studies, 13:3, 1980, p. 290; Danielle Bobker, “Carriages, Conversation,
and A Sentimental Journey”, Studies in Eighteenth-Century Culture, 35 (2006), pp. 243-66; e
Carsten Meiner, “Voyage autour du carrosse. A Sentimental Journey de Laurence Sterne”, in
Id., Le carrosse littéraire et l’invention du hasard, Paris: PUF, 2008, pp. 101-14. La metafora
dello specchio rotto è già in Edward e Lilian Bloom, “Hostage to Fortune: Time, Chance,
and Laurence Sterne”, Modern Philology, 85:4, maggio 1988, p. 500: “Sterne mostra un intarsio caleidoscopico di immagini incomplete, come nelle schegge di uno specchio rotto”.
28
“Il popolo accorreva da tutte le parti e voleva a tutti i costi guardare dentro la carrozza, ma non riusciva a vedere che il Corso e se stesso perché gli sportelli erano tanti spec-
“QUELL’INQUIETO CALESSE” / 171
1.3. See-saw: frammentarietà e moto perpetuo
Il ritmo sussultante della prosa, le frequenti interruzioni nello spaziotempo sono lo stratagemma con cui Sterne imprime alla sua vettura narrativa
l’illusione di un moto perpetuo e perennemente incoativo, che blocca
l’esistenza nella sua fase di gestazione e nascita esorcizzando così la caducità congenita del marchingegno umano, procrastinando la morte all’infinito. La désobligeante è forse la prima delle molte interruzioni, brusche virate e inciampi nello Spazio e nel Tempo che Yorick incontra per via; una
pietra d’inciampo ancora piccola se confrontata con il masso – un “frammento” di montagna, a ben guardare – che nell’ultimo capitolo impedisce a Yorick il valico delle Alpi, lo obbliga a passare la notte nella stessa
stanza con una dama piemontese e lo intrappola per sempre in un viaggio
che non giungerà mai a destinazione.29 Queste frequenti barriere sono lo
strumento di cui il soggetto sterniano si avvale per riflettere su di sé le
proprie sensazioni, i propri pensieri e confrontarli con i nostri, lasciandoci liberi di interpretarli secondo la nostra inclinazione.30 Questi rari momenti permettono un contatto con l’altro, il ritorno alla semplicità della
Natura che, per Sterne, è ancora oggetto di fede; sono petrae scandali in
cui il Viaggiatore Sentimentale inciampa e grazie alle quali per pochi
istanti si riconosce.
Ritmo e interruzioni liberano il Veicolo e i suoi passeggeri restituendoli a una dimensione altra, dove Spazio e Tempo si dissolvono. Virginia
Woolf amava Sterne per questo suo volo a zig-zag, da libellula, che permette al lettore di gettare uno sguardo nell’abisso dentro di sé e un attimo dopo di volgere lo sguardo ai pascoli smaglianti che fiancheggiano la
strada. Il movimento saltellante di questa carrozza senza cavalli non è
però un vago sobbalzo o dondolio, ma un see-saw, un’altalena: “E le sue
fila mi guidano a dirittura (ove il su e giù [see-saw] di questa désobligeante mi lasci tirare innanzi) sì alle efficienti che alle finali cause de’ viaggi”.31
chi. Più d’uno, vedendosi riflesso a quel modo credeva già di star seduto dentro quella
splendida carrozza e dalla gioia usciva completamente di sé”: Ernst Theodor Amadeus
Hoffmann, Prinzessin Brambilla (1820), trad. it. di Alberto Spaini, La principessa Brambilla, in Id., Romanzi e racconti, Torino: Einaudi, 1969, III, p. 418.
29
Anche la narrazione di Tristram è, a detta dei già citati Edward e Lilian Bloom, costellata di continui inciampi: “Tristram stesso […] inciampa per giorni e notti nell’incongruo movimento di uno zigzagare obliquo” (op. cit., p. 499).
30
Joseph Chadwick, op. cit., passim.
31
VS [Sertoli], p. 19.
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STEFANO A. MORETTI
La désobligeante si muove quindi zigzagando, in disequilibrio a trecentosessanta gradi, attraverso tutte e quattro le direzioni e le Dimensioni. È
però anche un’altalena onomastica, dato che il nome stesso del gioco sale
e scende tra presente (o infinito) e passato: vedo-vidi, che tradotto alla lettera ci mostra come il movimento della désobligeante abbia ancora una
volta a che fare sia con il viaggio nel Tempo – e nei tempi – sia con lo
sconcertante paesaggio che quel viaggio ci lascia, per un breve attimo,
scorgere. Questa altalenante carrozza, come il più celebre ‘gioco’ sterniano, il cavalluccio di zio Tobia, è un dispositivo grazie al quale Sterne guadagna alla sua Macchina poetica un moto perpetuo, a sé e ai propri lettori un altalenante e ironico viaggio tra Cielo e Inferno.
Nel Discorso sul funzionamento meccanico dello spirito, pubblicato anonimo nel 1704, Jonathan Swift parodiava così i seguaci dei predicatori
moderni, che promettono di sciogliere lo spirito dalle catene del corpo
con una ‘operazione meccanica’: “Per prima cosa costoro rivolgono dentro i globi oculari tenendo socchiuse le palpebre. Poi stando seduti, si
dondolano di continuo, come se fossero su un’altalena, emettendo ad intervalli regolari lunghi mugolii, prolungando il suono alla medesima intensità e scegliendo il momento in cui il predicatore vien meno”.32 È arduo pensare che Sterne, con l’immagine della ‘carrozza altalena’, non intendesse rimandare il lettore al geniale Frammento di Swift, considerando
che la ciarlatanesca “operazione spirituale” dei Moderni consiste nel preferire, come Veicolo di ascesa al Cielo, un asino ad una carrozza, dove
l’asino raffigura i Maestri illuminati e il cavaliere i suoi fanatici uditori:
Si narra che, dovendo far visita in Paradiso, a Maometto fossero offerti vari veicoli per condurcelo, quali carri di fuoco, cavalli alati e berline celesti,
e che lui li rifiutasse tutti, scegliendo di essere trasportato in cielo dal proprio asinello. […] Non c’è altro paese al mondo che sia dotato di tanta abbondanza di mezzi comodi e sicuri per fare un simile viaggio, e moltissimi
di noi non vogliono altro veicolo che non sia quello di Maometto.33
32
Johnathan Swift, Discourse Concerning the Mechanical Operation of the Spirit. In a
Letter To a Friend. A Fragment (1704), trad. it. di Attilio Brilli, “Discorso sul funzionamento meccanico dello spirito. Lettera a un amico (Frammento)”, in Id., Meditazione su
un manico di scopa e altre satire, Milano: Archinto, 2008, p. 75. Poco oltre, egli individua
l’origine di queste estasi altalenanti nei riti di iniziazione femminile del vicino oriente;
l’argomento merita uno spazio ben più ampio, ho voluto però richiamarlo all’attenzione
perché sia presente quando si parlerà della carrozza di Cenerentola.
33
Ivi, pp. 65-66. Swift elenca inoltre quattro motivi di sortita dell’anima dal corpo
(profezia o ispirazione divina, possessione diabolica, immaginazione o spleen dovuto a
“QUELL’INQUIETO CALESSE” / 173
Il pamphlet di Swift è pretestuosamente il frammento di una lettera anonima. A un’eterodossa e ironica questione teologica si associa quindi, come in Sterne, una riflessione sullo strumento letterario.34 La frammentarietà narrativa è legata all’altalenante moto del Veicolo narrativo anche in
uno scritto del terzo conte di Shaftesbury:
Questa maniera di scrivere è così ammirata e imitata nella nostra epoca
che a stento abbiamo idea di qualsiasi altro modello. […] Tutto corre alla
stessa nota, e batte esattamente sempre la stessa misura. Nulla, si vorrebbe
pensare, potrebbe essere più tedioso di questo passo uniforme. La strada
per Amble o per Canterbury non è, ne sono persuaso, più noiosa per un
buon cavaliere di quanto questo altalenare dei saggisti non sia per un abile
lettore. L’accorto compositore di un brano corretto è come un abile viaggiatore, che con esattezza misura il suo viaggio, considera il terreno,
preordina le sue tappe, gli intervalli, le soste e le intenzioni, sino alla conclusione della sua impresa, che egli felicemente raggiunge dove inizialmente si era prefisso quand’era partito.35
Benché la Prefazione del Viaggio Sentimentale sembri rispondere direttamente a questo brano, le Riflessioni di Shaftesbury – come il Discorso di
Swift – non sono mai state considerate tra le sue fonti dirette;36 meriterebbero invece la nostra frequentazione, come lucide e insospettabili antesignane della forma saggio novecentesca e postmoderna. L’attenzione alle origini, agli ingredienti di quella vasta e antica farmacia che è per Sterne la letteratura, non è quindi da intendersi come il tentativo anacronisticause naturali, entusiasmo religioso frutto di una “operazione meccanica”); una casistica
che pare ricalcare, non senza ironia, le celebri maniai platoniche (Platone, Fedro, 244b245a e 249d-e). Scritto poco dopo La battaglia dei libri, questo libello è con ogni evidenza un ulteriore attacco al ‘partito’ dei Moderni. Per una accurata ricostruzione della ben
nota querelle si veda Marc Fumaroli, Les abeilles et les araignées. La querelle des Anciens et
des Modernes (2001), trad. it. di Graziella Cillario e Massimo Scotti, Le api e i ragni. La
disputa degli Antichi e dei Moderni, Milano: Adelphi, 2005.
34
Come non pensare, parlando di asini, linee rette e deviazioni letterarie, al celebre passo shandiano: “se uno storiografo potesse tirar diritto per la sua strada come un mulattiere
nel condurre il suo mulo” (TS [Meo], p. 28).
35
Anthony Ashley Cooper, terzo conte di Shaftersbury, Characteristicks of Men, Manners, Opinions, Times (1714), Farnborough: Gregg, 1968, III, pp. 25-26.
36
La conoscenza da parte di Sterne di questi brani è indubbia; basti dire che, alla morte,
egli possedeva quattro diverse edizioni dell’opera di Shaftesbury (numerate nel catalogo
della sua biblioteca 963, 1416, 1653, 2382) e di Swift (nelle miscellanee numerate 1524 e
1620). Cfr. Charles Whibley (a cura di), A Facsimile Reproduction of a Unique Catalogue of
Laurence Sterne’s Library, London: Tregaskis-Wells, 1930, pp. 39, 55, 59, 62, 63 e 89.
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STEFANO A. MORETTI
co di confinare il Viaggio Sentimentale nei limiti del proprio secolo; è
semmai rassegna e notazione di alcune ennesime merci delle molte che il
Veicolo sterniano contrabbanda alla posterità.37
1.4. Il carro di Elia
Come hanno notato tutti i curatori del Viaggio Sentimentale dopo Gardner Stout, la “Novità del Veicolo” è presente già nella dedica del sermone
intitolato Il caso di Elia e la vedova di Zarepta, pronunciato dal reverendo
Sterne il venerdì di Pasqua del 1747.38 Può stupire che Sterne tratti la Carità alla stregua di un genere letterario o di una forma narrativa, come
farà poi per il romanzo di viaggio; in realtà il sermone, che ebbe all’epoca
molto successo e fece incassare parecchie sterline alla parrocchia di York, è
condotto in maniera piuttosto tradizionale e segue scrupolosamente il canone dell’eloquenza. Com’è noto sono altri due i sermoni che più hanno
influenzato la composizione della Prefazione. Nella désobligeante: Il figliol
prodigo scritto nel 1765 e il Quo Vadis? del vescovo Hall, pubblicato nel
1617. È però quantomeno curioso che il testo ove la metafora del veicolo
sterniano appare per la prima volta sia dedicato al profeta Elia. Abbiamo
visto che anche in Swift, tra i “Veicoli” che si immaginano offerti a Maometto e da lui rifiutati, ci sono “[c]arri infuocati e portantine celesti”; si
potrebbe a questo punto ipotizzare, con più mezzi e spazio a disposizione, una ‘linea irlandese’ e rintracciare così un destino sotterraneo e insulare del profeta chiamato da Dio su un carro di fuoco, con fuggevoli ma
frequenti emersioni in epoche e ambienti apparentemente lontani, come
la letteratura omiletica irlandese e l’Ulisse di Joyce.39 Un’altra apparizione
del carro di Elia, nata in seno all’anticlericalismo francese dell’Ottocento,
sarà la laconica chiusa del secondo testo di cui ora ci occuperemo.
37
“Continueremo a fatturare nuovi libri come i farmacisti fatturano le loro misture, solo
travasandole da un recipiente all’altro?” (TS [Meo], p. 243); ironica ruberia sottratta a Burton: “come farmacisti facciamo nuove miscele ogni giorno e vuotiamo un vasetto in un altro”. Robert Burton, “Democritus Junior to the Reader”, in Id., The Anathomy of Melancholy (1621), a cura di Floyd Dell e Paul Jordan-Smith, New York: Tudor, 1955, p. 18.
38
Laurence Sterne, The Sermons of Laurence Sterne: The Text, a cura di Melvyn New,
Gainesville: Florida University Press, 1996, p. 40.
39
Un esempio emblematico del destino irlandese di Elia e di Enoch è l’omelia Da brón
flatha nime; cfr. Enrica Salvaneschi, “Enoch in terra d’Irlanda: due testi extra-vaganti”, in
Carlo Angelino e Enrica Salvaneschi (a cura di), Synkrisis. Testi e studi di filosofia del linguaggio religioso, Genova: il Melangolo, 1984. Il celebre ratto compare nel capolavoro joyciano
nella sezione XIII, Cyclops, al termine della quale Leopold ascende alla gloria celeste col nome
di ‘ben Bloom Elijah’. Cfr. James Joyce, Ulysses (1922), London: Penguin, 1986, pp. 281-83.
“QUELL’INQUIETO CALESSE” / 175
2. L’attrice cenerentola
Cenerentola qui non è un soprannome, proprio e inadeguato,
ma aggettivo; non è personaggio, non è persona – ma qualità di
persona, e quindi come in procinto di regredire, di disfarsi della
cenere costitutiva del nome suo inventato.
Enrica Salvaneschi, In vano, 2004
Il 14 giugno 1829 sulle pagine della Revue de Paris compare anonimo La
carrozza del Santissimo Sacramento, breve pièce del ventisettenne Prosper
Mérimée. L’anno seguente sarà accolta, con L’occasione, nella seconda edizione del Teatro di Clara Gazul, commediante spagnola. La fantomatica attrice spagnola cui è attribuita la composizione della raccolta teatrale è in
realtà la maschera indossata da Mérimée per il proprio debutto letterario:
il volto della commediante effigiata in alcune rare copie del volume è a
guardare meglio quello del giovane Prosper. Egli stesso dissemina con arguzia gli indizi necessari a riconoscerlo; persino nel titolo si è voluto vedere l’anagramma di Etienne Jean Delécluze, autore del ritratto di Clara
Gazul, mentore con Lingay e Stendhal del giovane Mérimée.40 La carrozza del Santissimo Sacramento è l’unica tra le otto brevi commedie di Clara
Gazul ad aver avuto fortuna, sui palcoscenici e sulla carta stampata. Ad
esclusione del primo, clamoroso fiasco del 1850 la pièce ha goduto, in patria e all’estero, di un interesse crescente, dovuto in gran parte alla storica
messinscena di Jacques Copeau, Louis Jouvet e Valentine Tessier al Théâtre du Vieux Colombier nel marzo del 1920.41 La vicenda rappresentata
da Mérimée ha ispirato numerose riletture, teatrali, musicali, letterarie e
cinematografiche, da La Périchole di Meilhac e Halévy musicata da Offenbach e La carrozza del Santissimo Sacramento di Maurice Vaucaire sino
a La carrozza d’oro, film di Jean Renoir del 1952 con Anna Magnani.
Fortuna pari se non persino maggiore ha avuto la figura della protagonista di questo atto unico, Camila Perichole, trasposizione letteraria dell’at40
Samuel Borton, “A Note on Prosper Mérimée: Not de Clara Gazul But Delécluze”,
Modern Language Notes, 75:4, 1960, p. 337, legge come anagramma ‘approssimato’ il titolo di Mérimée, in cui rintraccia due serie di lettere che compongono il cognome del pittore Delécluze (Le Théatre de Clara Gazul / Le Théatre de Clara Gazul). L’anagramma di
Gazul, personaggio dei Romances moriscos novelescos, compare in modo evidente ne La
Guzla del 1827.
41
In Italia resta invece poco conosciuta, benché tradotta nel 1993 da Guido Davico
Bonino e nel 1997 da Carlo Terron.
176 /
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trice peruviana Micaela Villegas, fonte di ispirazione per numerosi autori,
tra i quali Thornton Wilder e Luis Alberto Sánchez.42
Il saynete43 è ambientato a Lima, nell’appartamento del viceré del Perù
don Andres de Ribera.44 La sua nuova splendida carrozza è appena giunta
dal continente, ma un attacco di gotta, costringendolo in poltrona, gli impedisce di usarla per andare al battesimo di un cacicco convertito e mostrarsi in tutta la sua vanitosa ricchezza. L’attrice Camila Perichole, sua
amante, sopraggiunge con grande strepito decisa ad avere per sé la carrozza
e mettere così in scacco la vecchia marchesa Altamirano, sua “nemica capitale”.45 Don Andres, benché riservasse una scena di gelosia all’amata, scoperta a tradirlo con un militare, il capitano Hernán Aguirre, e con il torero
mulatto Ramón, cede infine al capriccio e assiste dalla finestra allo scandalo
provocato dalla Perichole: la sua carrozza lanciata di gran carriera verso la
cattedrale taglia la strada a quella dell’odiata marchesa, che si ribalta tra il
clamore della folla. Il dottor Tomas d’Esquivel, scampato all’incidente, lamenta con don Andres lo “scandalo enorme” di cui è stato testimone e vittima e chiede che la Perichole paghi per l’onta causata. Alla funzione da poco terminata pochi hanno prestato attenzione; persino il vescovo ha dimenticato di far promettere al padrino di educare cristianamente l’indio convertito. Il vescovo in persona entra in scena e tenendo per mano l’attrice celebra un nuovo beffardo rito, l’improvvisa redenzione della commediante. In
un inatteso slancio di carità cristiana Camila Perichole ha deciso di donare
la ‘sua’ nuova carrozza ai poveri preti appiedati, che la useranno per raggiungere i moribondi e prestare loro gli estremi conforti della religione.
Rispetto alle fonti Mérimée presenta lo scandalo della carrozza dorata
sotto una luce del tutto diversa; reinventando delle figure reali, le osserva
con uno sguardo disincantato, quasi acre, e al tempo stesso profondamente umano. Dalla lettura del diario del capitano Basil Hall egli poté ricavare poco più che un aneddoto sprezzante sulla fantasia di una comme42
Si vedano Thornton Wilder, The Bridge of San Luis Rey, New York: Boni, 1927 e Luis
Alberto Sánchez, La Perricholi, México: Leyenda, 1944.
43
Il saynete è una breve forma teatrale, comica o brillante, utilizzata soprattutto da
Ramón de la Cruz nel XVIII secolo. Sul suo uso in Mérimée si veda Pierre Trahard, La jeunesse de Prosper Mérimée, Paris: Champion, 1925, p. 112.
44
Don Manuel de Amat Junient, Planella, Aimeric y Santa-Pau – questo il vero nome
del vicerè – fu governatore del Perù dal 1761 al 1775; secondo le fonti storiche dalla relazione con Micaela ‘Perricholi’ Villegas ebbe anche un figlio.
45
Utilizzo per i passi in italiano la versione di Guido Davico Bonino in Prosper Mérimée, La Carrozza del Santo Sacramento, Macerata: Liberilibri, 1993.
“QUELL’INQUIETO CALESSE” / 177
diante capricciosa e spendacciona che, per mettere alla prova il proprio
ascendente sull’amico governatore, lo obbliga a farsi costruire una carrozza decidendo, altrettanto capricciosamente, di donarla alla curia.46 L’invenzione scenica rivela invece una tessitura abile e delicata; con piglio
maturo egli ordisce la trama e dispone un impeccabile meccanismo teatrale che supera l’anticlericalismo e l’épater le bourgois ponendo questioni
sociali e politiche di rilievo, quali la libertà dei subalterni nelle colonie,
l’indipendenza femminile, il rapporto tra attrice e cortigiana nella società
borghese. La beffarda scenetta è anche una riflessione estetica e ontologica sullo statuto della verità nell’arte, sulla evanescente e proteiforme identità della commediante, e al tempo stesso teologica, sulla possibilità – qui
ironizzata – della Grazia.
Anche la carrozza di Mérimée è petra scandali; come la désobligeante di
Sterne essa taglia la strada al regolare flusso degli eventi, su di essa i valori
consueti inciampano e vengono per un breve lasso di tempo annullati, le
identità dei personaggi e le convenzioni sociali si confondono. Lo scontro
tra la carrozza della Perichole e quella della marchesa – assente nei resoconti storici e probabilmente preso a prestito a Calderón47 – è un gesto
intenzionale; la sfida all’avversata marchesa non è soltanto l’ennesimo affronto nella scaramuccia tra due donne vanitose, ma un atto deliberato
contro l’aristocrazia coloniale. La notorietà e l’avvenenza sono per l’attrice armi di seduzione tanto quanto l’imprevedibilità, libertà garantitale da
uno statuto sociale ambiguo, meticcio. Quando don Andres minaccia di
incarcerarla Camila risponde che “ci sarebbe una rivolta a Lima se la Perichole finisse in prigione”;48 la consapevolezza del potere conferito dal ruolo di mantenuta, la conquista attraverso la seduzione dell’indipendenza
46
Basil Hall, Extracts from a Journal, written on the coasts of Chili, Peru and Mexico,
Edinburgh: Constable, 1825, vol. I, pp. 238-41, individuato come fonte da George
Hainsworth, “Autour du Carrosse du Saint-Sacrement: Basil Hall, La Araucana et l’Histoire
générale des voyages”, Zeitschrift für franzosische Sprache und Litteratur, 2, 1972, pp. 14152. Mérimée ha certamente letto Hall nell’edizione originale: se in francese la carrozza è
“un brillante equipaggio dal gusto antico” (Basil Hall, Voyage au Chili, Pérou et au Mexique, Paris: Bertrand, 1825, I, p. 223), nell’originale è “una grande, pesante, vecchia carrozza gilt (dorata)” (Basil Hall, Extracts from a Journal, cit., I, p. 239), come nella pièce
“un’attrice su una carrozza doré (dorata)” (Prosper Mérimée, Le Carrosse du Saint-Sacrement, cit., p. 240). I corsivi sono miei.
47
Il racconto di un incidente tra due carrozze è l’avvio di Cuál es major perfección? di
Calderón de la Barca, citato da Mérimée in esergo alla Carrozza.
48
Prosper Mérimée, La Carrozza del Santo Sacramento, cit., p. 43.
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STEFANO A. MORETTI
economica e il tentativo di metterla a frutto per superare le barriere che
quello stesso ruolo impone, sono i tratti di molte Margherite Gauthier
che durante il Secondo Impero provocheranno la preoccupazione di non
pochi padri e moralizzatori. Il nobile o il borghese à la Armand Duval
che ama una cortigiana o un’attrice senza mantenerla rischia di sovvertire
la rigida gerarchia sociale e sessuale così come la donna che possiede da sé
il danaro per sostenere le proprie passioni e i propri capricci; per la società essi sono entrambi una minaccia.49 Per il mondo borghese esiste tuttavia un pericolo ancora maggiore dello scandalo in sé ed è l’uso dello
scandalo che le attrici cortigiane del Secondo Impero fanno o tentano di
fare. Possiamo scorgere il germe anche di questo male nel gesto della Perichole che sporgendosi dal finestrino ordina al cocchiere di tagliare la strada alla marchesa per fare ed essere scandalo.
La scorribanda dell’attrice è però anche uno scandalo dell’identità.
Una commediante conduce per definizione un’esistenza proteiforme se
non addirittura schizoide, in ogni caso indefinibile secondo i parametri
identitari consueti. La consapevolezza della Perichole e di Mérimée in
questo senso è lampante; al viceré che le ricorda di non essere “un vescovo, […], un uditore o una marchesa, per andare in carrozza” Camila replica di essere di volta in volta “l’infanta d’Irlanda, la regina di Saba, la regina di Thomiris, Venere e santa Giustina, vergine e martire”.50 Il travestimento di Mérimée è qualcosa di più che un mero vezzo romantico, il gioco di un enigmista erudito o la maschera presa a prestito da un esordiente
timoroso; la scelta di indossare i panni di una commediante spagnola che
a sua volta interpreta il ruolo di una nota attrice peruviana del Settecento
è, ancora, come riflettersi in uno specchio rotto. L’essenza femminile sarà
sempre per Mérimée una preda inafferrabile, desiderata e temuta ad un
tempo, in cui egli vedrà incarnato il contrasto insanabile tra verità e finzione.51 Per questo Mérimée partecipa al dibattito sul Vero solo nella misura in cui esso gli dà modo di perseguire la propria indagine sulle donne
e le fornisce una cornice teorica. Benché le sue scelte formali e contenuti49
Un utile raffronto può essere quello con Michel Foucault, La volonté de savoir, Paris:
Gallimard, 1976, pp. 161-73.
50
Prosper Mérimée, La Carrozza del Santo Sacramento, cit., p. 37.
51
Guido Davico Bonino, “Introduzione”, in Prosper Mérimée, La Carrozza del Santo
Sacramento, cit., pp. xiv-xv. Il motto di Mérimée, va ricordato, sarà sempre mémneso apistéin (ricordo di non credere): Prosper Mérimée, Théâtre de Clara Gazul, Romans et nouvelles, éd. par Jean Mallion et Pierre Salomon, Paris: Gallimard, 1978, p. lv.
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stiche siano state recepite come l’esempio di una nascente nuova generazione di scrittori romantici, esse non sembrano essere lo scopo ma il mezzo del suo fare letteratura; nei suoi ritratti femminili egli ci restituisce non
solo il prodotto di una riflessione estetica, ma anche il nodo irrisolto di
una cogente questione privata.
L’ultima parola, nella Carrozza del Santo Sacramento, è lasciata ad un
anonimo pretino. Fino ad allora il canonico ha assistito in disparte agli
ultimi sviluppi della vicenda, è entrato al seguito del vescovo ma non ce
ne siamo neppure accorti. Mentre il suo superiore saluta e sorride alla ‘redenta’ Perichole, egli ha l’onore della morale finale: “Signorina, questa
carrozza sarà per voi come il carro di Elia, vi porterà dritto in cielo”.52
L’ammiccante presenza del vescovo sulla scena venne ritenuta scandalosa dagli spettatori della prima rappresentazione del 1850, che abbandonarono la sala e fischiarono gli attori. Mérimée non solo si disinteressò
completamente della messa in scena, ma tentò pure, con garbo ma con
decisione, di impedirla. La sua tormentata assenza di fiducia nelle donne
e nella verità si intreccia a una forse altrettanto tormentosa assenza di fede.53 La redenzione della Perichole è certo una parodia, come ironico è il
rimando all’episodio biblico del carro di Elia; tuttavia in essi si cela il
dubbio e, con il dubbio, la speranza. La carrozza d’oro non perde quindi
del tutto la valenza soteriologica che anche altri Veicoli, a cominciare proprio dal carro di Elia, hanno avuto. Nella mitologia classica e nelle religioni arcaiche, tradizioni in cui le idee di soprannaturalità e di vita ultramondana non implicano una promessa di salvazione o di vita eterna ma
un processo di rigenerazione, il viaggio di un carro o di una carrozza fuori
dal Tempo e dallo Spazio ha assunto un valore diverso, sempre però legato al passaggio da uno stato dell’esistenza marginale e incompleto a uno
stato superiore. Il carro di Elia trova il suo corrispettivo nei riti di passaggio legati ai culti orfici, praticati a Roma ancora nella tarda età imperiale,
nel ratto di Persefone. L’immagine arcaica del carro di Proserpina giunge
con grande vitalità sino all’età moderna, dove, perduto il suo valore iniziatico, si intreccia alla vicenda di Cenerentola.54 Tra le molte analogie
52
Prosper Mérimée, La Carrozza del Santo Sacramento, cit., p. 73.
“Dio mi sembra molto probabile […]. Quanto all’altro mondo, stento molto di più a
credervi”. Lettera alla signora de la Rochejaquelein del 7 novembre 1859, citata in Prosper Mérimée, Théâtre de Clara Gazul, Romans et nouvelles, cit., p. lv.
54
Il legame profondo che unisce Kore a Cenerentola non riguarda solo l’antropologia
delle religioni ma anche la psicoanalisi, come si evince da Adalinda Gasparini, La luna
53
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strutturali che rendono salda questa parentela, la funzione svolta dalla
carrozza o dal carro nella vicenda simbolica ed esistenziale delle due fanciulle è una delle più importanti. La carrozza è ancora una volta ‘Veicolo’
verso una dimensione senza Tempo, di segregazione e sterilità: mentre
Persefone è rinchiusa nelle ‘case ammuffite’ di Ade il tempo naturale si arresta, i fiori e le messi smettono di crescere; tornando alla luce ella fonderà un nuovo Tempo, quello delle stagioni, fatto di continue morti e rinascite.
Nella prima apparizione letteraria di Cenerentola, Lo Cunto de li Cunti di Giambattista Basile, gli echi dei riti di passaggio sono ancora tutti
ben udibili: Zezolla, uccisa la prima madrina, vive davvero nell’Inferno
della cenere, ma una volta trasformata dalla fata è come una regina tra
dodici paggi, dodici come i mesi dell’anno che lei governa.55 C’è in Basile
un dettaglio che lega in modo indissolubile la casta fanciulla delle origini
a numerose e meno caste fanciulle delle letterature europee: alla sua terza
metamorfosi Cenerentola “fu vestita superbamente e messa in una carrozza d’oro, con tanti servi intorno che sembrava una puttana sorpresa durante il passeggio e circondata di sbirri”.56 La festa a cui tutti si recano per
tre volte nel racconto e in occasione della quale il re si innamora di Cenerentola non è il ballo tramandatoci dalle versioni posteriori della favola
ma il giorno della festa, la domenica. Cenerentola, come la Perichole si
reca in chiesa con una carrozza d’oro e come lei sembra o forse è una cortigiana. C’è però anche un altro elemento comune tra le due vicende: vedendosi seguita ancora una volta dal servo del re Cenerentola chiede al
cocchiere di andare più veloce; la carrozza si mette a correre pazzamente
e, mentre lei perde una pianella, vola via. Superati i limiti del Tempo, Cenerentola infrange anche quelli dello Spazio.
nella cenere. Analisi del sogno di Cenerentola, Pelle d’Asino, Cordelia, Milano: Franco Angeli, 1999, pp. 35-52 e passim. Sui riti di iniziazione femminile si vedano a titolo d’esempio
Arnold van Gennep, Les rites de passage, Paris: Nourry, 1909, e Mircea Eliade, Initiation,
Rites, Sociétés secrètes. Naissance mystique, Paris: Gallimard, 1976.
55
Zezolla il secondo giorno è “fatta bella come a no sole” su una carrozza tirata da sei
cavalli. Nella antica smorfia napoletana il sei, che è anche il numero della novella all’interno della prima giornata, indica tra altre cose anche la Luna.
56
Giambattista Basile, Lo Cunto de li Cunti, ovvero lo trattenimento de’ peccerille (1634),
trad. it. di Michele Rak, Milano: Garzanti, 1986, p. 133.
“QUELL’INQUIETO CALESSE” / 181
3. Au bout du souffle
Le parole – così immagino spesso – sono piccole case, con cantina
e soffitta. […] Salire e discendere, nelle parole stesse. Questa è la
vita del poeta
Gaston Bachelard, La poetica dello spazio, 1992
Benché apparentemente differenti, i viaggi metaforici della désobligeante e
della carrozza d’oro provocano tutte e due quella che Mircea Eliade chiamerebbe un’altalenante “uscita dal Tempo”.57 Entrambe alternano discese
nei recessi dell’Io e brusche risalite verso un improbabile altro mondo;
entrambe partecipano alla medesima rivolta contro il tempo cronologico.
Salendo a bordo di queste due carrozze il lettore è portato alla Quinta Dimensione di cui parla Norbert Elias nel suo Saggio sul tempo; qui egli
prende consapevolezza del carattere prettamente umano, convenzionale,
dello spaziotempo e può finalmente scioglierne i legami, rendendo così
praticabile l’accesso a concezioni temporali differenti, non necessariamente sottomesse al dominio degli orologi.58 La lettura, la scrittura, l’insolito
e sobbalzante viaggio di un’immaginaria carrozza sono uscite dal tempo,
“maglie rotte” nella trama dell’esistenza direbbe Montale; in quanto tali
permettono di partecipare per quel che è possibile a ciò che resta del
“tempo del mito” e consentono di immaginare una melodia sacra di cui
possiamo ormai intendere solo degli echi confusi.59
Ci troviamo così di fronte a un bivio decisivo, la scelta tra quale via
intraprendere in questa ‘altalena’ esistenziale e letteraria: l’introspezione o
la fuga nell’Eterno, il buio abitacolo della désobligeante o l’incontro con
l’altro, la cenere del camino o la carrozza d’oro. Aby Warburg individuò
nell’alternarsi di queste due strade simmetriche l’essenza stessa della nostra vita, equiparandolo al ritmo del respiro: “L’ascesa con Elio verso il sole e la discesa con Proserpina agli inferi simboleggiano due fasi, che appartengono inseparabilmente al ciclo della vita, proprio come l’alternarsi
del respiro. […] Sta a noi riuscire a prolungare, con l’aiuto di Mnemosyne, questo intervallo del respiro”.60 La scelta è illusoria, impossibile, per57
Mircea Eliade, Aspects du mythe (1963), trad. it. di Giovanni Cantoni, Mito e realtà,
Roma: Borla, 2007, p. 226.
58
Norbert Elias, Über die Zeit. Arbeiten zur Wissenssoziologie II (1984), trad. it. di Antonio Roversi, Saggio sul tempo, Bologna: Mulino, 1986, p. 45.
59
Mircea Eliade, op. cit., p. 227.
60
Aby Warburg, citato in Ernst Hans Gombrich, Aby Warburg: An Intellectual Bio-
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STEFANO A. MORETTI
ché abissi di dolore e vette di gioia sono fasi inalienabili del nostro essere;
abbiamo però la possibilità, attraverso la letteratura, il viaggio, il dialogo
e lo scandalo che talvolta essi producono, di trovare in questo continuo
dondolìo un punto d’equilibrio o di disequilibrio: a questo valgono le
carrozze di Sterne e di Mérimée che abbiamo, per un breve tratto, seguito. Lo scarto cruciale, il voltare della clessidra sembra dunque risolversi
nell’istante di un respiro, o meglio nell’attimo in cui, dopo che un respiro
s’è appena concluso e un altro sta per nascere, l’esistenza subisce un breve
arresto, un’apnea.
graphy (1970), trad. it. di Alessandro Dal Lago e Pier Aldo Rovatti, Aby Warburg. Una
biografia intellettuale (1983), Milano: Feltrinelli, 2003, p. 206.