7. STEFANIA CONSONNI, Schemi di costruzione spaziale

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7. STEFANIA CONSONNI, Schemi di costruzione spaziale
§
PARAGRAFO
RIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI
Paragrafo
Rivista di Letteratura & Immaginari
pubblicazione periodica
coordinatore
FRANCESCO LO MONACO
Redazione
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Questo numero è pubblicato con il contributo
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Paragrafo
IV (2008)
Sommario
INCONTRI
§1. GIOVANNI SOLINAS, La critica tra dialogo e conflitto. Conversazione
con Romano Luperini
9
FIGURE
§2. NICCOLÒ SCAFFAI, Fortuna e sfortuna di un poeta editore. Inediti
di Domenico Buratti
31
§3. PAOLA DI MAURO, Da dandy. L’intellettuale dada contro la guerra
55
§4. GABRIELE BUGADA, La pazzia del tiranno. Ritratti di un potere
bandito
73
QUESTIONI
§5. LUIGI MARFÉ, In viaggio con Erodoto. Appunti per una tipologia
dell’anti-turismo contemporaneo
99
§6. GIANPAOLO IANNICELLI, Tra le crepe della memoria. Dinamiche e
criticità del processo di trasmissione del passato
113
STERNIANA
§7. STEFANIA CONSONNI, Schemi di costruzione spaziale del tempo in
Tristram Shandy
135
§8. STEFANO A. MORETTI, “Quell’inquieto calesse”. Deviazioni spaziotemporali in Laurence Sterne e Prosper Mérimée
163
I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO
183
NUMERI ARRETRATI
185
§
7
Stefania Consonni
Schemi di costruzione spaziale del tempo
in Tristram Shandy
Riguardo al problema di una sintagmatica spaziale del racconto, riguardo
cioè alla funzione di complemento e incremento svolta dai metalinguaggi
spaziali nell’atto formale di messa in intrigo del tempo, il romanzo del
Settecento inglese rappresenta un ottimo luogo d’osservazione. Se Aristotele per primo descriveva la configurazione nei termini di un intreccio,
un disegno o un nodo, in seguito si è parlato di piramidi (Gustav Freytag), linee e circoli (Alvin Kernan, la Mimesis di Paul Ricoeur), spirali e
serpentine (Allen Tilley),1 e lo si è fatto per una ragione: l’atto configurazionale è il processo che dà forma e sostanza al tempo raccontato, imponendo uno schema spaziale – strutturale, figurale – di totalità significante
alla distribuzione cronologica degli eventi. Il racconto è dunque per sua
natura un atto intermediale, esito di una solidarietà profonda, che ha radici antiche e difficili da districare, fra il segno verbale, uditivo, sequenziale proprio alle arti dette ‘temporali’, e quello iconico, visivo, coesistente
delle arti ‘spaziali’. Non si dà tempo senza la mediazione dello spazio: paradossi della rappresentazione. Lo sa bene Ricoeur, che impernia la sua
teoria della referenza narrativa sull’edificio geometrico e altamente finzionalizzato del Tom Jones di Fielding. Ebbene, nella cultura settecentesca e
in particolar modo in Inghilterra, l’interazione fra spazio e tempo, fra pictura e poësis, fra iconografia e scrittura, è ancora tutta in fieri, in via di negoziazione da parte di un nutritissimo novero di teorici, scrittori, critici e
artisti, cosicché i linguaggi di pittura, poesia, musica, architettura ne ri1
Cfr. Alvin B. Kernan, The Plot of Satire, New Haven: Yale University Press, 1965; Paul
Ricoeur, Temps et récit (1983-85), trad. it. di Giuseppe Grampa, Tempo e racconto, 3 voll.,
Milano: Jaca Book, 1983-88; Allen Tilley, Plot Snakes and the Dynamics of Narrative Experience, Gainesville: University Press of Florida, 1992.
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sultano costantemente sovrapposti e rimescolati. Se da un lato si raccolgono e si distillano gli esiti della questione ut pictura poësis, perfezionandone il lessico e dando corpo alla dottrina neorinascimentale di analogie
fra i segni e paragoni fra le arti su cui si costruirà il moderno canone del
gusto inglese, dall’altro lato, complice il rivoluzionario Laocoonte (1766)
di G.E. Lessing, si intuisce e si imposta con forza la necessità di un crescente apparato di distinzioni, reciproche limitazioni e connessioni regolamentate fra i sistemi di segni. Ecco perché la ricchezza di alcuni schemi
di spazializzazione del tempo rappresenta uno dei tratti di maggior interesse in un romanzo di grande complessità come il Tristram Shandy
(1760-69) di Laurence Sterne.
È difficile dire che forma abbia il tempo in Tristram Shandy. Giudicata disordinata o pretestuosa rispetto al suo universo umorale e umoristico, la narrazione di Sterne è piena di buchi, scarti, parentesi; è abitata da
un “ristagno stregato”2 sul piano tanto dei personaggi, che più “agiscono e
meno cose accadono”, più “pensano e più si fanno inconsistenti”, quanto
degli eventi, inclini a “dipanarsi e a fare inciampare il passato anziché generare il futuro”, e degli oggetti inanimati, mossi da una “sospetta caparbietà”, come la borsa del Dr. Slop. È insomma caratterizzata da una matericità esuberante della dimensione spaziale e dei suoi annessi, mentre
del tutto sfuggente, priva di un nucleo di gravità e di uno spessore suo
proprio, appare la sfera temporale; opera questa, secondo E.M. Forster, di
un “dio nascosto: il suo nome è Disordine”. E se fosse invece Paradosso?
Si ripensi alla commistione fra segni iconici e verbali; al fischiettio dello
zio Toby; alle descrizioni pittoriche e architettoniche di pose oratorie e
fortificazioni militari; al sipario che cala e si rialza, alle rampe di scale che
rallentano e arrestano l’azione; agli intrichi che scompaginano il filo della
storia, così come il tempo del racconto e della scrittura; agli schizzi, ai
diagrammi e agli esperimenti tipografici delle pagine vuote, nere o marmorizzate. Sono tutti elementi, questi, di una riflessione sulla natura spazio-temporale dell’intreccio letterario, a cui sarà dedicato quanto segue.
Non prima di aver però chiarito tre punti preliminari:
i) Stiamo parlando di un intreccio in cui il senso del tempo è restituito in virtù del suo embricarsi con la sfera spaziale, e però imbastito attorno a ‘eventi’ quali un detrito vagante, un naso rotto, una castagna bollen2
E.M. Forster, Aspects of the Novel (1927), trad. it. di Corrado Pavolini, Aspetti del romanzo, Milano: Garzanti, 1991, p. 115.
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
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te, una finestra senza contrappesi. Ma è un’attenta “sintassi comica” dell’intelletto e del linguaggio quella che, sotto la guida principale del Saggio
sull’intelletto umano di Locke, vediamo in atto a Shandy Hall.3 Certo, in
un romanzo intitolato La vita e le opinioni di Tristram Shandy, la ‘vita’
coincide con tragicomiche aporie della soggettività, per cui le stranezze di
Tristram, che da piccolo teneva storta la trottola e da grande non saprà
pensare “come altro figlio d’uomo”,4 sono ricondotte all’influenza dei
fluidi corporei, alla grandezza dei nasi, ai nomi di battesimo. Quanto alle
‘opinioni’: goffaggini del linguaggio, parole non già come nodi forti, un
tutt’uno di mente e natura come vorrebbe Locke (III, 5, X), ma come
perfidi cappi stretti alla maniera di Obadiah fra il soggetto e il mondo,
ingannevoli tanto nella significazione quanto nella comunicazione, come
dimostra il tormento denotativo di Walter, con i guai che ne vengono.
Eppure l’universo di Sterne è lontano da una mera sovversione delle regole proprie al romanzo settecentesco, oltre che da una disimpegnata eccentricità rispetto, poniamo, alla signorile corposità di un Fielding o alla gravità di un Richardson. È che a quelle regole – a quel cerchio di gravità
spazio-temporale che presiede alla messa in intrigo, anche a quella apparentemente più capricciosa –5 Sterne sceglie di dar vita con più amabile
leggiadria.
ii) In effetti, i nessi epistemologici al cuore parodico del romanzo – il
paradigma del sensazionalismo e dell’associazionismo, e il golfo aperto fra
realtà dei fenomeni e costruzione linguistica – si riverberano in una causalità narrativa al contempo opacizzata ed esacerbata, un “realismo percettivo”6 fatto tanto di una componente schematica, un’accentuazione comica dell’orologeria fieldinghiana, quanto di una relazione più compiutamente dialettica fra l’ordine evenemenziale e quello diegetico: come in
3
Cfr. Ian Watt, “The Comic Syntax of Tristram Shandy”, in Howard Anderson e John
S. Shea (eds.), Studies in Criticism and Aesthetics, 1660-1800: Essays in Honor of S.H.
Monk, Minneapolis: University of Minnesota Press, 1967, pp. 315-31. Ove non altrimenti specificato, le traduzioni sono mie.
4
Laurence Sterne, The Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman (1760-67),
trad. it. di Antonio Meo, La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo, Torino: Einaudi, 1990, p. 9. D’ora in poi citato nel testo con la sigla TS.
5
Cfr. la discussione sulla gravità in Flavio Gregori, “‘A Sore Travel and Vexation’: Movement in Tristram Shandy”, III Colloque International Paul-Gabriel Boucé, Parigi, 16 dicembre 2006.
6
Lois A. Chaber, “‘This Intricate Labyrinth’: Order and Contingency in EighteenthCentury Fictions”, Studies on Voltaire and the Eighteenth Century, 212, 1982, p. 191.
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Richardson, ogni cosa, compresi gli elementi più triviali, pone una domanda di racconto. Se la coerenza di storiografo costringe Tristram a un
regresso infinito per afferrare e agganciare tutti gli anelli della catena, la
frattura fra causa ed effetto non è mai colmata, e da questa impossibilità
nascono la sua damnatio biografica e il racconto di Sterne, poiché la circostanzialità del contesto costringe, per esempio, a interrompere l’evento
della nascita per digredire circa la licenza della levatrice, il carattere di Yorick, le clausole matrimoniali degli Shandy: tutti elementi senza i quali si
perderebbe di vista l’architettura della storia. Volendo raffigurare questa
logica, afferma Šklovskij, potremmo paragonare l’evento a un cono il cui
vertice rappresenti il momento causale (Fig. 1). Nel romanzo tradizionale
il cono è “tangente alla linea fondamentale del romanzo proprio col suo
vertice”, qui invece lo è con la base, “e noi ci troviamo all’improvviso
dentro uno sciame di allusioni”.7
Fig. 1. La logica narrativa in Tristram Shandy secondo Šklovskij
iii) Intessendo la più impervia idea di contingenza, eredità del grande
architetto Fielding, con la più ricca rappresentazione della legatura causale che – insegna Richardson – è il suo antidoto, la trama di Sterne è
tutt’altro che nemica dell’ordine: è nemica di un concetto troppo facile di
ordine, e di disordine. Non ci sono nel romanzo, osserva Wayne Booth,
che due nuclei, “il concepimento di Tristram, la nascita, l’imposizione del
nome, la circoncisione, i primi calzoni” e “il corteggiamento della vedova
7
Viktor Šklovskij, “Il romanzo parodistico. Tristram Shandy di Sterne”, in Id., O teorii
prozy (1929), trad. it. di Cesare De Michelis e Renzo Oliva,Teoria della prosa, Torino: Einaudi, 1976, p. 212.
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
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Wadman da parte dello zio Toby”;8 ma Tristram è un protagonista tutt’altro che latitante, e della sua vita e dei suoi pensieri, “non ci viene forse
detto/mostrato tutto? Che cosa vorremmo sapere/vedere di più”?9 La logica narrativa ne risulta allora sì messa in discussione, ma non già affievolita quanto potenziata, poiché basta il primo paragrafo “per apprezzare
l’equilibrio come Sterne si muova fra contingenza e intelligibilità, trasformando la circostanzialità in disegno”.10 Thomas Kavanagh ha raffigurato
una simile strategia con riguardo al Jacques (1796) di Diderot, che da
Sterne prende a prestito l’atteggiamento ‘fatalistico’, l’ostentazione cioè di
una manipolazione del legame causale e finalistico fra gli eventi (Fig. 2).
Si tratta di un’elaborazione del modello šklovskijano, in cui ordine ‘naturale’ della fabula e ordine dell’intreccio sono disposti secondo uno schema zigzagante di vettori lineari.11
Fig. 2. T.M. Kavanagh, La logica narrativa in Jacques le fataliste
Torneremo su questi punti. Importa ora osservare come i problemi fin
qui tratteggiati siano veicolati in Tristram Shandy attraverso una configurazione d’intreccio che investe i limiti semiotici del medium narrativo,
deformandone e riarticolandone l’intrinseca temporalità attraverso l’in8
Wayne C. Booth, The Rhetoric of Fiction (1961), trad. it. di Eleonora Zoratti e Alda
Poli, Retorica della narrativa, Firenze: La Nuova Italia, 1996, p. 241.
9
Giuseppe Sertoli, “Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo”, in Franco Moretti
(a cura di), Il romanzo. Vol. II: Le forme, Torino: Einaudi, 2002, p. 648.
10
Michael Rosenblum, “Shandean Geometry and the Challenge of Contingency”, Novel, 10, 1977, p. 240.
11
Thomas M. Kavanagh, “Jacques le fataliste: Encyclopaedia of the Novel”, in Jack Undank e Joseph Herbert (eds.), Diderot: Digression and Dispersion, Lexington: French Forum, 1984, p. 155.
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gresso della sfera spaziale. Sono limiti, quelli della narrazione, che una
tradizione di confronti fra segno iconico e segno verbale – che muove
dall’Ars poetica di Orazio al Paragone di Leonardo da Vinci, approdando
alla protosemiotica lessinghiana, per poi estendersi fino all’odierna indagine della temporalità nelle arti visive, come in E.H. Gombrich, e viceversa all’esplorazione della spazialità nelle arti verbali, come in W.J.T.
Mitchell e lo stesso Ricoeur –12 riconduce a tre fattori: temporalità, sequenzialità, irreversibilità. Limiti che però lo stesso Lessing intendeva in
chiave non normativa ma come Grenze, faglie di relazionalità intelligente,
di interazione meditata, consapevole delle distinzioni a cui era cieco il paradigma analogico, con i complementari fattori di illusione secondaria
(limiti al contrario delle arti visive), ossia spazialità, simultaneità, giustapposizione. È la lezione, tutta proiettata verso la contemporaneità, del Laocoonte: fra spazio e tempo e fra le relative arti, così come fra simultaneità e
sequenzialità, irreversibilità e giustapposizione, esistono confini permeabili eppure nitidi, flessibili proprio perché rigorosi, di cui l’intermedialità
settecentesca – il fiorire di linguaggi pittorici, architettonici, musicali nei
romanzi di Richardson, Fielding, Sterne, Jane Austen, ecc. – è una delle
espressioni più sottili e calibrate. In Sterne è appunto un armamentario
di giustapposizione e simultaneità a plasmare un’idea più morbida e intricata del tempo narrativo. Una temporalità spazializzata, ‘morfologica’: la
radiografia di una sintagmatica spaziale del racconto, radicata precisamente nel coevo dibattito sulle arti e i linguaggi, poiché le intuizioni dell’‘eccentrico’ Sterne si rivelano più vicine di quanto non sembri a quelle
del ‘grave’ Lessing. A fare da quinta, nell’episteme che Michel Foucault
ha battezzato classica, la metafora lockiana delle parole come immagini
delle cose, perché è nel Settecento che dalle disjecta membra di ut pictura
poësis prende forma un’idea di conoscenza imperniata su un primato del
visivo (nelle parole di Locke “il più capace di tutti i nostri sensi”, II, 9,
IX), e pervasa da una tendenza alla naturalizzazione del segno. Tanto in
Locke quanto in Lessing la rappresentazione appare infatti orientata verso
la sfera visiva, come “griglia di visibilità dell’oggetto che viene filtrata direttamente nel linguaggio”,13 e dunque imperniata su un’ideale trasparenza delle parole, “mediatrici di un’immagine che deve essere percepita dal12
Mi permetto di rimandare all’approfondimento nel mio Geometrie del tempo. Il romanzo inglese del Settecento, di prossima pubblicazione.
13
Sandra Cavicchioli, “Spazio, descrizione, effetti di realtà” (2001), in Id., I sensi, lo
spazio, gli umori, Milano: Bompiani, 2002, p. 243.
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
/ 141
l’occhio, interiore o esteriore”,14 esito di un sodalizio nominalistico fra
mente e natura, rivolto verso pittorialismo e plasticità e teso a chiudere il
golfo fra l’arbitrarietà del segno e la concreta superficie delle cose, verso
cui il segno è riferito.
E però la preoccupazione di Sterne riguarda più radicalmente la dialettica stessa fra limpidezza e opacità del segno, fra referenza ed espressione, fra le lacerazioni della concezione linguistica settecentesca, riassumibili nelle polarità ‘logica’ vs. ‘retorica’, ‘esteriorità’ vs. interiorità’, ‘limitatezza’ vs. ‘illimitatezza’, ‘tradizione’ vs. ‘originalità’, ‘ipercodifica’ vs. ‘ipocodifica’.15 Ed è la difficoltà con cui tale dialettica si lascia afferrare, anche dalla speculazione più raffinata, a pervadere Tristram Shandy. Lo dimostrano
l’ironia inconsapevole dello zio Toby, discepolo della naïvété lockiana; la
pudicizia della Badessa delle Andouïllettes (VII.25); o un passo della Prefazione in cui Tristram proclama un’antipatia per la retorica: “non v’è cosa più sciocca al mondo […] che oscurare la propria ipotesi infilando tra
il proprio pensiero e quello del lettore una lunga serie di paroloni oscuri”
(TS, 185). È pertanto a un confronto fra l’oscurità traditrice delle parole
e il fulgore ingannevole delle cose – parallelamente a un’interrogazione
delle mutue soglie fra i linguaggi dell’arte, condotta attraverso una costante strategia anti-lessinghiana, o più audacemente lessinghiana, di forzatura spaziale della cronotipicità letteraria – che Sterne consacra l’eredità
del pittorialismo letterario. Questo è lo sfondo su cui esaminare una spazialità fatta di gesti, pose e drammatizzazioni, di interruzioni e attorcigliamenti della linearità, di illustrazioni e grafici, ecc. Di espedienti illusionistici di natura pittorica, plastica e architettonica che cioè – interferendo
con l’azione, sospendendone lo svolgimento in maniera quasi impensabile a metà Settecento e rendendone appunto visibili i confini a mezzo di
contrasto, come radiografandoli – mettono in luce, e in discussione,
l’astrazione invalicabile che mantiene separate “le immagini dalle parole,
le strutture spaziali da quelle temporali, le cause dagli effetti, il dopo dal
prima, l’arte dalla vita”.16 Strumento di tale operazione è una configurazione tutt’altro che esile o pretestuosa, che della temporalità restituisce
14
Cfr. Wiliam V. Holtz, Image and Immortality: A Study of Tristram Shandy, Providence: Brown University Press, 1970, pp. 67-68.
15
Loretta Innocenti, “Il linguaggio nella riflessione settecentesca”, in Franco Marenco
(a cura di), Storia della civiltà letteraria inglese, Torino: UTET, 1996, vol. 2, pp. 40, 52.
16
C. Maria Laudando, Parody, Paratext, Palimpsest: A Study of Intertextual Strategies in
the Writings of Laurence Sterne, Napoli: Istituto Universitario Orientale, 1995, p. 248.
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anzi un’idea profondamente dialettica. E moderna: non è un caso che
Tristram Shandy abbia riscosso l’entusiasmo tanto di Diderot, che redasse
la voce “Composition” per l’Encyclopédie sulla falsariga del Laocoonte,
quanto dello stesso Lessing, che secondo un aneddoto “avrebbe volentieri
sacrificato dieci anni di vita per donarne uno in più a Sterne”.17
1. Effetti di giustapposizione, stasi e simultaneità
Evidente è in primo luogo la plasticità prodotta dall’interruzione sistematica della linea di progresso dell’azione attraverso la descrizione di pose e
gesti, costrutti corporei che, sfidando la fallibilità del linguaggio attraverso segni che prescindono dalla verbalità, frenano o arrestano il ritmo diegetico, sfalsandolo rispetto al tempo della storia che continua invece a
scorrere regolarmente. Secondo Goldsmith, Tristram Shandy contiene
non meno di novecentonovantacinque pause e settantadue “ha-ha”,18 e
infatti è Tristram il principale disturbatore del procedere narrativo, colui
che muove e arresta i fili delle marionette. È ciò che avviene quando non
vi è possibilità che le lacune comunicative fra i personaggi siano colmate
dall’astrazione linguistica, e l’intervento risolutore è affidato alla cosalità
del corpo e della mimica: ai personaggi non rimane che sostare – gelati
dall’attesa per intere mezz’ore, se nel frattempo il pensiero ha trasportato
Tristram lontano – in artificiosa immobilità, finché il nodo comunicativo
e diegetico si stringe, e il racconto può tornare a comprenderli. Si pensi
alle attitudes assunte da Toby quando la conversazione si fa criptica o immodesta, come nel caso della prozia Dinah, alla cui menzione si lancia
“indietro nella sedia a braccioli e sollevando le braccia, gli occhi e una
gamba” (TS, 63), o alle configurazioni con cui Walter reagisce ai colpi
della sorte. Sconfortato dal naso rotto di Tristram si lascia ad esempio cadere sul letto, la palma destra, “nel cui cavo si posava la fronte e si nascondevano quasi interamente gli occhi”, affondata sotto il peso della testa, il braccio sinistro penzoloni “lungo la sponda del letto”, la gamba destra “sporgente a metà della sponda opposta” (201).
Si ricordi poi il contrapposto serpentinato con cui il caporale Trim, il
mannequin preferito da Sterne, si dispone per leggere (senza capirlo) il sermone di Yorick in II.17, di cui William Hogarth diede una raffigurazione
17
Cit. in A.A. Mendilow, Time and the Novel, New York: Humanities Press, 1972, p. 187.
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
Fig. 3. William Hogarth, Trim legge il Sermone (1760)
/ 143
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nel 1760, con una bella incisione per il frontespizio del primo e secondo
volume (Fig. 3). Trim è descritto “molleggiato e inclinato in avanti”, la
gamba destra a reggere “i sette ottavi del suo peso”, il piede sinistro un po’
avanzato, il ginocchio piegato “ma non troppo, per restare nei limiti della
linea estetica” (TS, 112). Sterne fa confluire nella posa di Trim sia la moda
del rococò, della varietà e della ‘linea della bellezza’ introdotta dall’amico
Hogarth, sia la tradizione precettistica, con le istruzioni sulla gestualità del
sermo – la Rhetorica ad Herennium di Quintiliano e l’Orator di Cicerone –
sia anche la moderna scienza sociale della conversazione, quella del Cortegiano, del Galateo di Della Casa, di Baltasar Gracián e Stefano Guazzo. È
però con il gesto che annuncia in V.7 la morte di Bobby (un cappello lasciato cadere a perpendicolo, 327) e soprattutto con la raffigurazione in
IX.4 della serpentina del bastone di Trim, silente argomento a favore del
celibato (Fig. 5), che Sterne si avvicina di più a Hogarth. Perché è l’Analisi
della bellezza a fornirgli l’esempio, con un’indagine protosemiotica della
grazia serpentina nei volti, nell’azione scenica e nella danza, accompagnata
da due tavole illustrative. La Figura 71 in particolare, che ha probabilmente ispirato gli atteggiamenti di Trim, schematizza con una tecnica alfabetica – una visualizzazione lineare o “stenografia visiva” delle tracce cinetiche
– le figure danzanti al centro dell’incisione (Fig. 4).19 L’immagine va letta a
partire da destra: le due C rovesciate disegnano una posa corpulenta, così
Fig. 4. William Hogarth, L’analisi della bellezza,
Fig. 71 (1753)
Fig. 5. Tristram Shandy, IX.4 La
serpentina di Trim
18
Cit. in Wayne C. Booth, “Did Sterne Complete Tristram Shandy?”, Modern Philology,
1951, p. 172.
19
William Hogarth, The Analysis of Beauty (1753), trad. it. di C. Maria Laudando,
L’analisi della bellezza, Palermo: Aesthetica, 1999, pp. 123-24; cfr. il mio Linee, intrichi,
intrighi. Sull’estetica di William Hogarth, Genova: ECIG, 2003, pp. 60-65.
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
/ 145
come la curva seguente, mentre una verticale sormontata da un circolo
rappresenta un contegno rigido e impettito, una X una posa sgambettante,
cui seguono una sagoma angolare a forma di Z e una florida P (una retta
verticale sormontata dalla O del seno). Il seme dei quadri racchiude un
movimento saltellante, accompagnato da un figura lunga e immobile (le
braccia piegate a doppia L); all’estrema sinistra, l’eleganza è rappresentata
da due linee speculari a guisa di S.
Auspicando che la gestualità arrivi così a essere insegnata come un
linguaggio, “da una specie di grammatica con regole proprie”, Hogarth –
grande appassionato di letteratura e teatro – dimostra grande sensibilità
rispetto al problema intermediale della resa del movimento.20 Di rimando Sterne, a propria volta pittore dilettante, estende la tecnica all’esperimento complementare, una conversione dell’azione propria al medium
narrativo in stasi, e all’elaborazione di convenzioni più ricche, cifre più
dense e oblique del nostro modo di esperire e rappresentare la realtà e il
tempo. È in riferimento a quest’operazione di manipolazione riduttiva –
ma anche di complemento e incremento iconico – del mondo in cifra e
alfabeto, che Gombrich affianca l’idea di rappresentazione alla metafora
del cavallino fatto con un manico di scopa, perché se è del tutto arbitrario stilizzare “una faccia con due punti e una linea”, d’altro canto proprio
la distorsione creativa del rapporto fra cosa e cifra è il marchio di una vocazione referenziale cui la rappresentazione non può sottrarsi. “Se il cavallino fosse troppo simile al vero, galopperebbe via”:21 è la prima lezione
di Sterne.
Non è un caso che l’altro motivo-principe del romanzo, quello delle
mappe e delle fortificazioni costruite e demolite nel campo da bocce da
Toby e Trim, pure s’imperni sui principî della convenzione, della stasi,
della geometria. La “rêverie della miniaturizzazione”22 è l’antidoto di Toby
alla difficoltà del dire come si sia procurata la ferita durante l’assedio alla
cittadella di Namur, nel 1697. Prigioniero di un intrico di termini guerreschi difficili da capire e da spiegare, Toby trova l’unica via d’uscita in
una mappa (Fig. 6) tanto dettagliata da consentirgli di puntare uno spillo
20
William Hogarth, op. cit., p. 125.
E.H. Gombrich, “Meditations on a Hobby-Horse, or the Roots of Artistic Form”, in
Id., Meditations on a Hobby-Horse: And Other Essays on the Theory of Art, London: Phaidon, 1963, pp. 6, 8.
22
Gaston Bachelard, La poétique de l’espace (1957), trad. it. di Ettore Catalano, La poetica dello spazio, Bari: Dedalo, 1975, pp. 172-73.
21
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STEFANIA CONSONNI
Fig. 6. Pianta della città fortificata di Namur (1692)
nel luogo esatto, “di fronte al saliente del mezzo bastione di St. Roch”
(TS, 76). La fisicità di tale gesto è purtuttavia satura di astrazione, perché
sostituisce alla sfida avventurosa che aveva caratterizzato l’età d’oro della
letteratura di viaggio – si pensi a Defoe e Swift, Fielding e Smollett –23 la
più potente retorica di world-making della cartografia. A una carrozza e a
un viaggio si sostituiscono una poltrona e una mappa, e a una narrazione
zoppicante subentra una spazialità non meno artatamente linguistica, una
geometria poligonale e/o stellata di torri e bastioni, camminamenti, ponti
e fossati, gallerie e palizzate, mezzelune e rivellini, ecc. Si assiste così al
passaggio di consegne fra i modelli narrativi del tour (il racconto focalizzato attorno all’andare, come Tom Jones), e della mappa, il cui fulcro è invece il vedere, la configurazione di un ordine spaziale di rispettive posizioni.24 Eppure, nota Trim, all’attività cartografica, come al linguaggio,
manca tridimensionalità: occorre una tattica che solletichi sì il piacere
della rappresentazione astratta, ma valichi al contempo “i confini della
23
J. Paul Hunter, Occasional Form: Henry Fielding & the Chains of Circumstance, Baltimore-London: Johns Hopkins University Press, 1975, p. 145.
24
Michel de Certeau, L’invention du quotidien, Paris: Gallimard, 1980, p. 119.
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
/ 147
carta stampata”.25 Servono ‘vere’ campagne condotte secondo i bollettini
di guerra, e un mondo in miniatura man mano più dettagliato e più
astratto, una quinta teatrale con ponti, città, campanili, e sei cannoni in
bronzo che Trim fa fumare con le pipe turche avute dal povero Tom. Il
gioco prende la mano a Toby, ma l’arbitrio geometrico della staticità non
è superato, per tre ragioni. Perché la miniaturizzazione ha ceduto alle lusinghe della coestensione, all’aprospetticità dell’uno a uno; perché con la
demolizione di Dunkerque Toby verrà di colpo consacrato alla pace coniugale, ma non riuscirà a dissipare l’equivoco e darà anzi luogo al double
entendre sul “luogo esatto” in cui ha ricevuto il colpo, il che chiuderà sul
nascere la relazione con il genere femminile; perché la sua carriera militare è iniziata pure nel più artificioso dei modi, quasi per capriccio del narratore che arresta d’emblée gli eventi subito dopo il suo problematico passaggio ai calzoni lunghi.
Si torna con ciò alla funzione narratologica delle pose: la deliberata riduzione della sequenzialità in stasi, la violazione – misurata e rigorosa –
della distinzione lessinghiana fra corpi e azioni, la manipolazione spaziale
delle linee dell’intreccio, la sospensione e rimessa in circolo di una situazione narrativa in una specie di ‘campo di relazioni’ del narrabile. Come
afferma Šklovskij, in Sterne l’azione è continuamente interrotta ma “il
materiale d’inserimento” non è mai a parte, perché “ogni brano si riferisce sempre a una delle linee compositive del romanzo”. C’è una regola alla base di questa scelta e la detta Omero, il quale “non descrive mai due
azioni contemporanee”, anche quando dovrebbero esserlo, ma le rappresenta come successive: Sterne vi si attiene in maniera letterale, consentendo all’azione di un eroe di essere contemporanea solo alla “permanenza di
un altro, cioè alla sua presenza inattiva”.26 Non lo fa però con gli omissis e
il doppio passo di Fielding, ma con una giustapposizione paradossalmente statica che porta alle estreme conseguenze – all’auto-riflessività, al nonsense – la regola dell’ellissi. Quando una situazione non fa nodo nel reticolo dei nessi diegetici viene ‘gelata’ da Sterne, in attesa che si materializzi
una giunzione, un occhiello, che la riagganci alla tessitura causativa.
Spunto che è spesso di natura triviale ma non per questo da sottovalutare,
perché la catena delle associazioni mentali non fa che ribadire la necessità
25
Eleanor F. Shevlin, “The Plots of Early English Novels: Narrative Mappings in Land
and Law”, Eighteenth-Century Fiction, 11, 1999, p. 400.
26
Viktor Šklovskij, op. cit., pp. 237, 213.
148 /
STEFANIA CONSONNI
di un ordine, così come l’infilage di quadri statici ha il compito di mettere l’accento sulla normale dinamica narrativa, che prevede l’ablazione dei
tempi morti, come appunto in Fielding. Le suture sono rese visibili, trasformate in ricami attraverso l’introduzione di effetti simultanei, prerogative delle arti visive: di qui il giudizio formalista, secondo cui questo è “il
romanzo più tipico di tutta la letteratura mondiale”.27 Ecco perché leggendo si tende a percepire una serie di quadri, ciascuno “organizzato secondo una propria logica spaziale” e presentati “secondo un comune ordine di percezione”.28 Ma attenzione: non si pensi con ciò a un principio
atemporale di flânerie. L’effetto complessivo di tale configurazione è simile a un quadro dipinto davanti ai nostri occhi, ma va ricordato che un’immagine ha in sé una temporalità, che non c’è forma senza tempo, né tempo senza forma, e che esattamente in ciò consiste la mediazione prestata
dai metalinguaggi spaziali alla letteratura. La dialettica attuata da Sterne
fra “movimento e stasi, fra linea retta e linea intricata” si rivela dunque
ben più densa, e più prossima di quanto non sembri, all’analisi di Lessing, perché laddove “la prosa precedente risolveva tutta la questione in
favore dell’azione”, Sterne è il primo a esplorarla “in tutte le sue sfaccettature teoriche”,29 e a fare della violazione spaziale il principio di edificazione della temporalità.
2. Arrangiamenti di temporalità relazionale
A fare da canovaccio per l’intreccio di Tristram Shandy è una cronologia
che Theodor Baird nel 1936 ha eletto a esempio di rigore. Sterne elabora
un duplice ordine di eventi, sviluppando il filone biografico-privato sulla
falsariga del calendario storico, su un arco che va dal 1689 fino al momento in cui Tristram, settantenne, redige le sue memorie.30 In un arco
tanto esteso solo piccole incongruenze, pochi fili non annodati: non si sa
cosa accada fra il ferimento di Toby e il suo ritiro presso il fratello; si assiste nel 1704, nel terzo anno delle campagne nel campo da bocce, a battaglie combattute due o tre anni dopo; Billy Le Fever torna in Yorkshire
27
Ivi, p. 243.
William Holtz, op. cit., p. 107.
29
Ivi, p. 99.
30
Theodore Baird, “The Time Scheme in Tristram Shandy and a Source”, PMLA,
1936, p. 804.
28
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
/ 149
quattro anni dopo l’arruolamento avvenuto nel 1717, ma lo troviamo a
Shandy Hall solo sei settimane prima dell’incidente di Susannah, nel
1723. È tutto quanto si può eccepire alla fabula di Sterne, che nell’ordinare sette decenni di storia non sbaglia di un giorno, e nel trattare eventi
ravvicinati, ad esempio quelli del 5 novembre 1718, nemmeno di un’ora.
Eccone, semplificata, la linea cronologica:
1689: Arruolamento di Trim (V.40)
1693: Trim ferito nella battaglia di Landen e curato dalla Beghina
(VIII.20)
1695: Morte di Mr. Wadman (VIII.9)
1697: Toby ferito nell’assedio di Namur (I. 25)
1698: Yorick procura un’ostetrica ai suoi parrocchiani (I.10)
1699 ca.: Fuga della prozia Dinah col cocchiere (I.21)
1702: Toby e Trim si trasferiscono a Shandy Hall, Yorkshire (I.25)
1706: Morte di Le Fever, Sr. (VI.6)
1713: Walter cessa l’attività di commercio a Londra e si ritira a Shandy
Hall (VI.6); pace di Utrecht e demolizione di Dunkerque (VI.30);
Toby corteggia la vedova Wadman (III.24; VI.12; IX.18)
1717: Mr. e Mrs. Shandy a Londra per una falsa gravidanza (I.15); arruolamento di Billy Le Fever (VI.12)
1718: Tristram, concepito fra la prima domenica e il primo lunedì di
marzo (I.4), nasce il 5 novembre (I.5), giorno infausto del Gunpowder Plot
1723: Billy Le Fever rientra in Inghilterra; sei settimane dopo, l’incidente della finestra a ghigliottina (V.17)
1733: Il 10 aprile viene pubblicata la lettera dei Dottori della Sorbona
sul battesimo prenatale (I.20)
1741: Tristram accompagna il figlio di Mr. Noddy nel Grand Tour (I.11)
1748: Morte di Yorick (I.12)
1759: Il 9 marzo, Tristram scrive il capitolo I.18; il 26 marzo, scrive il
capitolo I.21
1761: Il 10 agosto, Tristram scrive il capitolo V.17
1766: Tristram compie un viaggio in Francia (vol. VII); il 12 agosto, Tristram scrive il capitolo IX.1.31
Tali gli eventi della storia. Non pochi né disordinati, e arrangiati secondo
una rigorosa dislocazione spaziale. Il romanzo incomincia nel 1718 e si
chiude cinque anni prima, abbracciando in trecentododici capitoli uno
31
Adattato dal più sintetico Clifford R. Johnson, Plots and Characters in the Fiction of
Eighteenth-Century English Authors, Hamden-Folkestone: Archon & Dawson, 1977-78,
vol. 2, p. 128.
150 /
STEFANIA CONSONNI
zigzag di date fra il 1766 (il 12 agosto, con Tristram che scrive il capitolo
IX.1) e i tempi di Enrico VIII, quando in virtù di una catena di nasi importanti la famiglia Shandy ricopriva prestigiose cariche politiche
(III.33). Circoscrivendo l’analisi con A.A. Mendilow al primo volume, si
oscilla fra il 1698 del capitolo I.10 (in cui la levatrice ottiene la licenza
grazie all’interessamento di Yorick) e il 9 e 26 marzo 1759 di I.18 e I.21,
ossia il presente della scrittura, in cui un Tristram afflitto dall’asma scrive
“questo libro per l’edificazione dell’umanità” (TS, 42). Si passa però più e
più volte attraverso la notte fra la prima domenica e il primo lunedì del
marzo 1718, esplorando l’intorno dei mesi precedenti e seguenti – la dissertazione sul nome ‘Tristram’, scritta nel 1716 (I.16); il viaggio a Londra
dei coniugi Shandy nel settembre 1717 (I.15); i tre mesi di sciatica sofferti da Walter dal dicembre del ’17 e il viaggio a Cambridge con Bobby, fra
marzo e maggio 1718 (I.4) – e si intersecano così i riferimenti cronologici
più disparati: l’antichità di Saxo Grammaticus, in cui vanno rintracciate
le origini danesi di Yorick (I.11); l’assedio di Namur nel 1695 (I.21); la
fuga della prozia Dinah nel 1699 (I.21); il trasloco nello Yorkshire nel
1713 (I.4); la dissertazione dei sorboniani nel 1733 (I.20); il viaggio in
Danimarca nel 1741 (I.11); la morte di Yorick nel 1748 (I.12). È allora
evidente come sotto una superficie ludica e autoironica la trama di Sterne
nasconda una struttura di grande precisione: la collocazione di ogni riferimento risponde a una legge di coerenza interna, appartiene a un preciso
campo di reciprocità gravitazionale che appoggia e puntella la scala evenemenziale della biografia d’invenzione a quella storiografica, collocando
tutti i tasselli al loro posto.
È una temporalità relazionale, questa, che pur nella sua stranezza illumina una proprietà fondamentale del racconto: “ci si accorge della temporalità quando diviene oggetto di un accidente”, cosa che per prima accade con i romanzieri inglesi del Settecento, con le strategie di “rottura
del parallelismo tra il tempo dell’enunciato e il tempo dell’enunciazione,
e rottura anche nella sequenza logica delle azioni”.32 Sorprendentemente
nuova in Sterne, e tale ancora oggi, è invece la bellezza – teatrale ma anche pulita, discreta – delle relazioni, l’architettura di un sistema di giustapposizioni temporali che restituisce un modello non unilineare ma reticolare, in cui cioè non è una linea a guidare il progredire cronologico32
Tzvetan Todorov, “Poétique” (1968), trad. it. di Mario Antomelli, “Poetica”, in AA.VV.,
Che cos’è lo strutturalismo?, Milano: ISEDI, 1971, p. 137.
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
/ 151
causativo mentre un numero di tracciati secondari ne complicano il disegno (come in Tom Jones). Le relazioni devono sì accadere davanti ai nostri
occhi, in un presente drammatico in cui futuro e passato “non sono tali
rispetto al tempo ma all’ordine della narrazione, che è tutt’altra cosa”;33
ma è come se, una volta smessa la maschera dell’iconoclasta, Tristram rivelasse la legge più snella, più semplice, quella che sottostà a ogni racconto, la relazione. Vero, “i grandi ingegno vanno a salti” (TS, 156), eppure
tutto si tiene: alterare la dislocazione degli eventi significherebbe romperne l’unità, introdurre crepe nell’ingranaggio con cui Tristram “nel 1760
racconta di come nel 1713 Trim raccontasse la morte di Le Fever, avvenuta nel 1706”.34 La vedova Wadman ad esempio entra in scena ben prima dei due volumi a lei consacrati, e cinque anni dopo i relativi eventi,
ricordata in II.7 a proposito dell’ingenuità sentimentale di Toby, il quale
nel 1718 tende a giudicare con troppa modestia la presenza di Slop al cospetto della cognata. Il personaggio di Yorick, condotto alla catastrofe nel
1748 da un incauto motteggiare, è ricordato con una pagina nera in I.12,
per ricomparire in II.17 il 5 novembre 1718, a reclamare il sermone dimenticato nello Stevinus; dopodiché balza direttamente al 1751, giacché
questo stesso sermone fu predicato due anni dopo la sua morte da un
prebendario di York che poi “si permise anche di farlo stampare” (TS,
132). Ossia dal Reverendo Sterne, che così ci porta fino al capolinea degli
anni ’60 e al momento della scrittura di Tristram Shandy, in cui il sermone è integralmente riportato. Di qui in poi Yorick non uscirà mai di scena. Il che non significa che il tempo ha invertito o smarrito la sua freccia,
diventando reversibile o dissolvendosi nello spazio. Significa che abbiamo
a che fare con un tempo fuori asse, in cui il 1748 viene prima del 1718.
Un tempo ‘modalizzato’, in cui il 1748 non è annullato ma modificato,
potenziato, dal 1718.
Occorre inoltre evitare di assimilare l’arrangiamento cronologico di
Sterne a strutture di tipo rizomatico come ad esempio quelle descritte da
Deleuze e Guattari, dominate da connessioni agrammaticali e reversibili,
da un nomadismo acentrico e antigenealogico, da un’indefinita possibilità di rottura del legame, ecc.35 Non tutto è possibile, e non nello stesso
33
A.A. Mendilow, op. cit., p. 183.
Ivi, p. 186.
35
Cfr. Gilles Deleuze e Félix Guattari, Rhizome (1976), trad. it. di Giorgio Passerone,
“Rizoma”, in Id., Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Roma: Istituto della Enciclopedia
Italiana Treccani, 1987, pp. 3-36.
34
152 /
STEFANIA CONSONNI
tempo, in Tristram Shandy; non tutti i nodi generano racconto, come dimostrano interruzioni e pose, e non ogni ordine è accettato. Per citare un
solo caso, le campagne e gli amori di Toby devono necessariamente chiudere il romanzo, e su questo punto Tristram non transige, nonostante siano la parte più amena dell’opera. Vanno cioè raccontate dopo il volume
VII, in cui la Morte e l’inesorabile scorrere del Tempo incalzano Tristram
in viaggio per la Francia. Impensabile invertire l’ordine: gli amori di Toby
diventerebbero frivoli, il ’13 sbiadirebbe a perduta età dell’oro, la fuga del
’66 risulterebbe greve. La melanconia ironica di Sterne ne uscirebbe distrutta. Insomma, Tristram Shandy non esisterebbe. La mediazione dello
spazio deve infatti servire a rendere più complesso il tempo raccontato, a
spiegarne l’intelligenza, a incrementarne la morfologia, non ad appiattirlo
a campo del possibile-a-ogni-istante. Proviamo a dimostrarlo con un celebre passo in III.39, che mette in scena tutti gli attori contemporaneamente in un brulichio di azioni che chiedono di essere svolte nello stesso
istante, affastellando ‘ieri’, ‘adesso’ e ‘domani’ in cinque minuti – Walter
steso sul letto, il neonato da fasciare, una mucca nelle fortificazioni, lo
Slawkenbergius da tradurre ecc. (TS, 216). È evidente che siamo in presenza di una violazione sincronica della legge di sequenzialità; si rischierebbe però, con un’idea povera di spazialità, di mortificare la tensione
temporale che anche sul piano tematico anima il romanzo, tranciandone
come un nodo gordiano la densità configurazionale.
Il fatto è che la simultaneità va pensata come una più profonda relazione fra spazio e tempo. Come musica, ad esempio: Sterne organizza il
suo intreccio in un sistema “interstrutturato di relazioni”,36 plasmando,
organizzando e sviluppando scene, eventi e fili secondo uno schema visivo
di configurazione sincronica che si sovrappone e si articola con la sequenza diacronicamente ordinata degli elementi. È come se questa strategia di
messa in intrigo riflettesse sui modi in cui, intervenendo sulla linearità irreversibile del testo narrativo, si possa rendere conto della plasticità, della
stereoscopia, della pluralità del tempo nella mente e nell’esperienza. Poco
importa, si è detto, che ne La vita e le opinioni di Tristram Shandy si trovino la vita di Toby e le opinioni di Walter: nessun filo ha un ruolo secondario, nulla è prescindibile eppure tutto è non-finito, poiché tutto è com36
Jean-Jacques Mayoux, “Variations on the Time-Sense in Tristram Shandy”, in Arthur
Cash e John M. Stedmond (eds.), The Winged Skull: Papers from the Laurence Sterne Bicentenary Conference, London: Metheun, 1971, p. 7.
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
/ 153
preso in una rete che non è più semplicemente armonica o melodica, bensì polifonica. E polifonia, lo insegna Bachtin, vuol dire sì pluralità, ma col
significato di articolazione, di varietà nell’unità. La giusta concatenazione
sincronica, il reciproco adattamento progressivo delle scene in un racconto sono dunque equiparabili alla sensibilità morfologica che occorre ad
ascoltare una composizione. Come dice Tristram, “scrivere un libro” è come “cantare una canzone; non importa, signora, che il vostro tono sia alto
o basso, purché voi riusciate a mantenervi intonata” (TS, 282). E che
l’avanzare sequenziale della trama nel tempo e il suo espandersi giustapposto nello spazio siano un uno indivisibile, lo afferma un noto passo di I.22
in cui – a proposito della verecondia di Toby – Tristram riflette sul simultaneo progredire-digredire della macchina diegetica. Sebbene salti continuamente “di palo in frasca”, dice Tristram, “pure ho cura di disporre le
cose in modo che l’azione principale non ristagni mentre io mi occupo
d’altro” (65): l’inseguire tutt’a un tratto Dinah in fuga col cocchiere non
arresta in posa il ritratto di Toby, che al contrario si espande simultaneamente all’ingresso di nuovo materiale, procedendo con “discrete pennellate qua e là”, così che dopo la digressione lo si conosce meglio di prima. È
allora un uso strutturale della simultaneità, quello che Sterne propone con
i suoi inserti, le interpolazioni e i meta-racconti, che non coincide più con
un arresto o una temporanea sospensione della linea narrativa in un punctum temporis, ma al suo flettersi, ingolfarsi, torcersi e svilupparsi contemporaneamente in più direzioni, al suo ospitare nel medesimo tempo segmenti di racconto diversi, al suo dividersi e articolarsi nel medesimo spazio su più piani temporali. Non una proliferazione istantanea di nessi ma
una morfologia plurale poiché scissa: è la natura dialettica della configurazione narrativa, esito di solidarietà ma anche di una tensione, un conflitto
fra tempo e spazio. (Ecco la crucialità del Laocoonte.)
Thomas Carlyle sosteneva che l’azione per sua natura è solida, ha “una
sua ampiezza e profondità”, mentre la narrazione è lineare, “si muove soltanto in avanti, da un punto ai successivi”.37 Ecco, nello spazializzare il
tempo, nel raffigurarlo in segmenti simultanei come golfi, ingorghi e crocicchi, Sterne non fa che ricercare un rapporto stereoscopico fra azione e
narrazione: rendere cioè visibile lo scorrere, la misura, la durata del tempo. È per questo che il concetto di simultaneità va distinto da quello di
37
Thomas Carlyle, “On History” (1830), in Id., The Works of Thomas Carlyle, ed. by
H.D. Traill, London: Chapman & Hall, 1899, vol. 27, pp. 88-89.
154 /
STEFANIA CONSONNI
istantaneità. Si ripensi al passo del secondo volume in cui i due minuti e
tredici secondi occorsi in II.6 a Toby per suonare il campanello e inviare
Obadiah alla ricerca di Slop si trasformano in virtù dell’idea di durata –
che deriva “soltanto dal susseguirsi e concatenarsi delle nostre idee” (TS,
95) – in un’ora e mezzo di lettura. Un intervallo sufficiente per percorrere
avanti e indietro le otto miglia che separano Shandy Hall dall’abitazione
del medico, durante il quale Tristram ha anche prelevato Toby da Namur,
riportandolo in Inghilterra, curandolo e trasferendolo a Shandy Hall, “allo stesso modo – almeno lo spero – che si fosse trattato di una danza, di
una canzone o di un intermezzo musicale”. Naturalmente chi racconta
sta barando, poiché quei due minuti e tredici secondi non erano che due
minuti e tredici secondi, e oltretutto Obadiah non ha dovuto galoppare
per miglia, avendo investito Slop dietro l’angolo della casa. Importa però
un’idea di simultaneità che – racchiudendo in un’unità cronologica (non
importa se forzata oltre il verosimile, afferma Tristram: il tempo è più elastico di quanto dicono le convenzioni aristoteliche) segmenti distinti in
uno schema sincronico – è affiancata a un arrangiamento musicale.38 La
durata appare allora come un continuum configurazionale, una specie di
‘spazio del tempo’. In III.8, ad esempio, è misurata in nodi: data la mezza
dozzina di cappi con cui la domestica di Slop e Obadiah hanno assicurato
la borsa verde, Shandy madre avrebbe partorito Tristram “a dir poco, venti nodi prima” (155). E un nodo è un costrutto spazio-temporale: quando
infatti un filo è teso, “la linea è una retta, presenta cioè la forma di una
temporalizzazione dello spazio”, laddove “un coacervo serrato di curve”
suggerisce una spazializzazione del tempo, poiché ne “imbriglia e rallenta
lo scorrere […], involvendo il rettilineo nel curvilineo”.39
A questo proposito Mendilow ricorda un frammento precedente Tristram Shandy, in cui è lo stesso Sterne ad affermare che se esistono lenti in
grado di espandere indefinitamente la percezione dello spazio, si potrebbe
inventare un metodo letterario per intensificare la sensazione del tempo,
“per fare che un minuto sembri un anno”.40 In che modo? Ad esempio,
presentando una successione di scene e assicurandole con lacci sincronici,
38
Robert P. Morgan, “Musical Time/Musical Space”, in W.J.T. Mitchell (ed.), The Language of Images, Chicago & London: University of Chicago Press, 1980, p. 261.
39
Giuseppe Di Napoli, “Il disegno del nodo”, in Marco Belpoliti e Jean-Michel Kantor
(a cura di), Nodi, Milano: Marcos y Marcos, 1996, p. 427.
40
A.A. Mendilow, op. cit., p. 177. Cfr. Paul Stapfer, Laurence Sterne. Etude précédée d’un
fragment inédit de Sterne, Paris: Thorin, 1870.
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
/ 155
“dilatando un momento e contraendo anni” attraverso l’associazione
d’idee, in modo da rendere non soltanto “le impressioni e associazioni
che passano nella mente dei personaggi”, ma anche “l’accumularsi di fatti
distinti” e perfino “l’equivalente di spazi vuoti”.41 È quello che accade con
il dialogo sulle durée fra Walter e Toby in III.18, che si svolge un paio
d’ore dopo l’arrivo di Slop e comincia con l’osservazione, “Sono due ore e
dieci minuti, non di più […] dacché il dott. Slop e Obadiah sono arrivati, ed io non so come accada […] ma alla mia immaginazione sembra
quasi un secolo” (TS, 175). Con la rappresentazione della durata, Sterne
incrocia l’asse temporale-sequenziale-irreversibile della scrittura con quello spaziale-giustapposto-simultaneo dell’esistenza, creando l’impressione
che tutte le parti della storia procedano simultaneamente, “ognuna col
suo ritmo e nella sua direzione”, ma secondo una comune unità compiuta e indivisibile, come se emergessero “da una moltitudine di pennellate”.42 È così sancita la capitolazione del modello aristotelico e la sua sostituzione con una morfologia pensata, oltre che per adattarsi alla coscienza
dei processi psicologici e per veicolare un’idea del tempo come fenomeno
mentale, per esplicitare il modo in cui l’entropia dell’esistenza viene accomodata in una forma narrativa ampia e capace – la forma romanzo – in
grado addirittura di travalicare i propri Grenze.
In tal senso, è il tempo della scrittura il protagonista di Sterne. Non
c’è modo per Tristram di sincronizzarlo o avvicinarlo in maniera accettabile al tempo della storia. In più punti egli si raffigura in preda a un’insormontabile difficoltà; anche se, curiosamente, i riferimenti cronologici
al qui-e-ora della scrittura seguono un ordine lineare, senza dislocazioni:
il 9 marzo 1759 Tristram scrive il capitolo I.18; il 26 marzo, fra le nove e
le dieci del mattino, è arrivato a I.21; dopodiché, coerentemente con le
date di pubblicazione dei rispettivi volumi, lo rincontriamo il 10 agosto
1761 (V.17) e il 12 agosto 1766, in “casacca viola e ciabatte gialle”, ad
aprire l’ultimo libro. Ma il perenne ritardo della scrittura nei confronti
dell’esistenza è un tema ricorrente. Un solo esempio: in IV.13, dopo aver
invocato l’aiuto dei critici per togliere Walter e Toby dalle scale e sbloccare la scena, quantifica in termini spazio-temporali la ratio anisocronica fra
vita e scrittura spiegando che, con un ritmo di scrittura di 364 volte più
lento rispetto a quello dell’esistenza, egli avrà in futuro sempre più mate41
42
Ibidem.
Ivi, p. 178.
156 /
STEFANIA CONSONNI
riale per continuare a scrivere, per cui non riuscirà “mai a raggiungere [s]e
stesso” (TS, 264). Di qui l’inadempienza e la programmatica lacunosità
che per Giuseppe Sertoli sono la ragione stessa del romanzo, il principio
strutturale del suo “solidissimo impianto narrativo”, il motivo per cui pur
a malincuore bisogna accettare che dei capitoli promessi – quello sui nodi, sul dritto e il rovescio delle donne, sugli occhielli, sui capitoli, sugli
uff!, sul sonno ecc. – quasi nessuno sarà realizzato. Di qui anche il vuoto
cristallino di un reticolo finito eppure sempre incompiuto, e proprio per
questo, perfetto nella sua ricercata imperfezione, simile all’intelaiatura
dell’esistenza.43 È evidente che Tristram non risolverà mai il problema del
tempo; che soltanto in una manciata di casi, indovinando una posa o materializzandone l’estensione nella simultaneità, gli riuscirà di catturarne lo
scorrere, mentre il più delle volte se lo lascerà sfuggirà fra le dita, tenterà
di riempirlo con una digressione oppure resterà a contemplarlo “come
nuvole leggere in una giornata di vento” (564). Eppure non è una fuga la
sua ma un agone, combattuto con gli strumenti dialogici della spazializzazione, come se i problemi di Tristram col tempo fossero illusionisticamente circoscritti da Sterne attraverso la mediazione dello spazio.
L’immobilità, il silenzio, la sincronia saranno l’eredità di scrittori come
Proust o Virginia Woolf, così come il conflitto fra un sé che è ormai
ostaggio del flusso della temporalità e una scrittura che ricerca “la fissità
dello spazio”,44 e che proprio nell’elaborare schemi narrativi sempre più
sofisticati e problematici – nello scandagliare i rapporti fra i linguaggi
della rappresentazione, nel penetrare morfologicamente le relazioni fra
tempo e spazio – offre la miglior interpretazione a uno degli interrogativi
più formidabili dei nostri, oltre che di quei tempi.
3. Tecniche di spazializzazione grafica del racconto
Grande “anatomia del libro stampato”,45 Tristram Shandy si rivela su più
piani un esperimento sulla necessità di integrare la sequenzialità lineare e
43
Giuseppe Sertoli, op. cit., pp. 646, 650.
K.G. Simpson, “At This Moment in Space: Time, Space and Values in Tristram
Shandy”, in Valerie Grosvenor Myer (ed.), Laurence Sterne: Riddles & Mysteries, London:
Vision, 1984, p. 152.
45
Maurice Couturier, Textual Communication: A Print-Based Theory of the Novel, London: Routledge, 1991, p. 87.
44
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
/ 157
tutta ‘annidata’ del medium letterario con la tridimensionalità, rubata alle
arti visive, di elementi che segnalino – sul piano tipografico come della
forma-libro, dal testo al paratesto fino all’illustrazione, alla messa in pagina e alla legatura – la necessità di fare “i nodi alle stringhe” del discorso,46
di flettere e allacciare le marche disgiunte, fratturate, allografiche del sistema verbale attraverso la continuità densa ed estesa propria al linguaggio iconico. Di intrappolare il dinamismo intrinseco al medium temporale attraverso un arricchimento grafico, pittorico, musicale del supporto
che lo ospita. Tristram Shandy è un lavoro sul potenziale espressivo della
stampa, inteso, alla Richardson, in chiave critica e creativa; è un esperimento di retorizzazione visiva della parola scritta, che prende le mosse da
un’equazione epocale fra parole e cose e dalla tradizione del pittorialismo
letterario, e tuttavia finisce una volta di più per metterne in discussione
gli assunti, complicandone enormemente gli esiti. Se in più punti Sterne
fa riferimento al parallelo fra pittura e poesia, come ad esempio in I.9 o
in II.4, il suo è un impiego ironico del topos, che nasce dallo scetticismo
nei confronti della parola e s’impernia sul capovolgimento dell’anima della scrittura: l’essere “fissata nel tempo ed estesa nello spazio”,47 prodotta
attraverso un susseguirsi irreversibile di lettere, segni d’interpunzione, regole grammaticali e sintattiche, e al contempo imprigionata in uno schema immobile di caratteri a stampa. Non occorre qui esaminare tutte le
tecniche usate da Sterne, come la resa del tono conversazionale attraverso
l’uso della punteggiatura, segni di editing, omissioni e aposiopesis; la manipolazione del “livre comme objet” e delle sue convenzioni di volumen; le
pagine nere e bianche, le impaginazioni con testo a fronte, ecc. Tutte
hanno però lo scopo di contrastare con la loro visibilità il naturale dissolversi nacheinander delle parole, di prolungare la “tardità” e lo svanire di
parti che, come diceva Leonardo da Vinci, non sono “tutte insieme giunte” ma nascono l’una dall’altra successivamente, e soltanto se le precedenti muoiono.48
Un’attenzione speciale merita tuttavia la duplice pagina marmorizzata,
il risguardo di copertina prelevato dalla collocazione usuale e reinscritto in
III.36, nel mezzo di una digressione sui nasi lunghi, quale motivo orna46
Stefano Bartezzaghi, “I nodi alle stringhe”, in Marco Belpoliti e Jean-Michel Kantor
(a cura di), op. cit., p. 464.
47
William Holtz, op. cit., p. 86.
48
Leonardo da Vinci, Trattato della pittura (1490-1515), Milano: Neri Pozza, 2000, pp.
23-24.
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mentale e cifra dell’opera, della sua stratificata difficultas, e monito di Tristram al lettore incolto, poiché “senza molta lettura” non si potrà “penetrare il significato morale” di tale “variegato emblema” (TS, 210). Come nota
Martin Battestin, la composta simmetria palladiana che condensava
l’architettura di Tom Jones è qui sostituita con una figura magmatica che,
attraverso un flusso anziché uno schema, restituisce un’idea “delle sensazioni e dei movimenti del pensiero”, e nel suo imitare non la geometria ma
“la profusione, il capriccio e l’infinita varietà della Natura” riflette “una
nuova concezione della mimesi, dei modi in cui la forma dà conto di
un’ontologia”.49 Il che sollecita due considerazioni. Primo, che cos’è un
emblema? Secondo Ronald Paulson, è un costrutto di natura relazionale,
in bilico fra l’analitico e il sintetico e, dal punto di vista semiotico, fra il
verbale e l’iconico: il significato di un emblema nasce “solo da un’interazione fra il titolo, il motto e l’immagine, a cui si aggiunge spesso un commento in prosa”, poiché produce “un’immagine che è più della somma
delle sue parti, [e] che va decifrata”.50 E, secondo, quale emblema sceglie
Sterne? Un ramificarsi discontinuo di venature, di macule e aloni, un
compenetrarsi di pieni e vuoti, di forme e accidenti, che si presta a varianti
potenzialmente infinite quanto le edizioni, o addirittura le singole copie
del testo, e che soltanto un preciso atto di volontà morfologica può ricondurre a uno schema riconoscibile, quasi che potenzialmente infinite fossero anche le varianti fruitive concesse dall’opera. Ecco una tesi discutibile,
perché il gesto di Sterne va ben oltre una poco dispendiosa idea di deriva
interpretativa, secondo la quale il romanzo esisterebbe – paradossale unicum indefinitamente ripetibile – soltanto nell’immaginazione del lettore,
come un guazzabuglio caleidoscopico nell’occhio di chi lo contempla.
Certo l’immaginazione e il suo correlato critico, l’estetica della ricezione,
sono una componente del testo, ma non l’unica. E soprattutto non devono semplificare, rendendola quasi casuale – con riferimento a un’accezione
povera del concetto di ‘caso’ – la natura configurazionale, e perciò dialettica e transazionale, della costruzione temporale in Tristram Shandy.
Si noti allora come la scelta del motivo marmorizzato non sia frivola
come potrebbe sembrare. Prestando fede alla curiositas offerta da Peter de
Voogd ai primi lettori dello Shandean, Sterne potrebbe essersi ispirato a
49
Martin C. Battestin, op. cit., pp. 260-61.
Ronald Paulson, Emblem and Expression: Meaning in English Art of the Eighteenth
Century, London: Thames & Hudson, 1975, p. 14.
50
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
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Fig. 7. Geoffrey Smith, The manner of marbling paper (1738)
un popolare manuale di arti e mestieri, The Laboratory: Or, School of Arts
(1738) di Geoffrey Smith, all’epoca alla quarta edizione (1755), che fra le
altre cose illustra “il modo in cui si marmorizza la carta” (Fig. 7). Occorre
cospargere un foglio con gocce di colore diverso (cfr. le boccette di inchiostro), spruzzandole con un pennino o strumento simile, dopodiché,
mentre l’inchiostro è fresco, con un pettine o altro attrezzo dentato bisogna disegnare “attraverso i colori una specie di figura a serpente”.51 A un
dripping alquanto casuale fa seguito una traccia precisa – un taglio sbieco,
una deviazione calcolata – che dà al motivo una forma solo apparentemente effimera. Pieni e vuoti, zigzag, bolle e venature sono sì oggetti metamorfici che prendono vita nello sguardo di chi li interpreta, ma sono
anche l’esito di un ordine composito, che prescinde dall’imposizione di
uno schema lineare ma non per questo rinuncia a morfologie più articolate. Di nuovo, è un concetto insufficiente di ordine il nemico di Sterne.
Come una macchia di Rorschach, il motivo marmorizzato suggerisce un
uso pianificato del frammento, una incompletezza deliberata che se rimanda alla dimensione drammatica del non-finito, dell’instabile, dell’inadeguato – sollecitando così una partecipazione spettatoriale – non può
però non mettere l’accento sul fatto che si tratta di una forma artificiale,
51
Cfr. Peter J. de Voogd, “A Portrait and a Flourish”, The Shandean, 1, 1989, pp. 129-32.
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attentamente costruita. Come non condividere perciò l’idea di McKillop,
secondo cui Sterne “intreccia l’uso di un simbolo che potrebbe sembrare
degradante o ridicolo con la riaffermazione della sua dignità e del suo significato”, suggerendo come “le piccole cose su questa terra possano superare le grandi, le umili oscurare le maestose”?52 E appunto: dov’è discontinuità è legame, dov’è contingenza è racconto. Nelle parole di Sir
Thomas Browne, il mondo è pervaso da un “aspetto particolare e oscuro
della Provvidenza [che] noi chiamiamo Fortuna, quella linea serpentina e
contorta attraverso cui Egli, in modo sconosciuto e segreto, guida le azioni dettate dalla Sua saggezza”.53
Fig. 8. Tristram Shandy, VI.40 La logica narrativa del volume V
Pace Forster: e se fosse una divinità morfologica a plasmare i percorsi
inattesi e irregolari di Tristram Shandy? Non mediante il limpido schema
al tratto di Tom Jones, ma con la geometria del nodo, ossia di uno “specifico modo di vedere” il mondo attraverso una torsione, un’obliquità cifrata che rivela sempre un conflitto, una tensione “tra la volontà del tempo a
incedere e la capacità dello spazio a trattenere, tra la in-tensione della direzione e la es-tensione della massa, tra l’intensità del divenire (moto) e la
densità dell’essere (stato)”.54 È quanto mostra lo schema in VI.40 (Fig. 8),
miscuglio di tipografia e illustrazione – annodamento, voluta, origami
che piega e dispiega il mondo –55 ispirato secondo Carlo Ginzburg all’errabondo sistema di notazioni dell’eruditissimo Dictionnaire di Pierre Bayle, che visualizza la concatenazione spazio-temporale fra il viaggio in Na52
A.D. McKillop, The Early Masters of English Fiction, Lawrence: University of Kansas
Press, 1956, p. 186.
53
Thomas Browne, Religio Medici, in Id., The Works of Sir Thomas Browne, ed. by
Geoffrey Keynes, London: Faber & Faber, 1964-66.
54
Giuseppe Di Napoli, op. cit., p. 440.
55
Gilles Deleuze, Le pli. Leibniz et le Baroque (1988), trad. it. di Valeria Gionolio, La
piega. Leibniz e il Barocco, Torino: Einaudi, 1988, p. 149.
SCHEMI DI COSTRUZIONE SPAZIALE DEL TEMPO IN TRISTRAM SHANDY
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varra (A), una passeggiata con la signora de Baussière (B), i diavoli di
Monsignor Della Casa (D) e alcune parentesi di scarsa importanza (c c c
c c).56 Guai però a pensare che il rifiuto delle linee rette, lasciate ai teologi
e ai piantatori di cavoli, si traduca automaticamente in cose come l’eccentricità, l’esuberanza, la dépense. A un soggetto strambo non può che corrispondere, si dirà, una forma dell’incomprensione, un’architettura aberrante. Vero, ma solo in parte, perché se c’è un motivo per rifiutare le linee
rette, è che benché “certi uomini di spirito e di genio” le abbiano sempre
confuse “con la linea di gravitazione” (TS, 432), non sono leggi gravitazionali sufficientemente elastiche, soffici, articolate, per spiegare un universo saldamente concepito e ingabbiato in una struttura tutt’altro che
fragile o pretestuosa com’è quella allestita da Sterne. Non sono adatte a
raffigurare la bellezza dell’intelligenza, del legame, della varietà nell’unità.
È in questo particolare senso che le digressioni rappresentano “il sole, la
vita, l’anima della lettura” (TS, 65). Come osserva Roger Robinson, il rococò di Tristram Shandy non rappresenta perciò alla fine dei conti che “il
ricco rivestimento di una struttura attentamente elaborata”, di una configurazione che nell’intricata eccentricità della sua esecuzione si dimostra
assolutamente rigorosa. Quanto più “il labirinto sembrerà irregolare” –
tale è la vita segreta delle geometrie – allora tanto più attentamente risponderà “a una legge complessiva di configurazione”.57 E questo, insieme
a tante altre cose, insegna Tristram Shandy.
56
Carlo Ginzburg, “La ricerca delle origini. Rileggendo Tristram Shandy”, in Id., Nessuna isola è un’isola, Milano: Feltrinelli, 2002, pp. 68-95.
57
Roger Robinson, “Henry Fielding and the English Rococo”, in R.F. Brissenden (ed.),
Studies in the Eighteenth Century: Vol. II, Canberra: Australian National University Press,
1973, p. 111.