DON BATTISTA SANDIONIGI
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DON BATTISTA SANDIONIGI
DON BATTISTA SANDIONIGI come l’ho conosciuto in questi anni di don Claudio Perfetti Lo scorso 13 maggio 2013 nella Casa del cieco di Civate si è spento don Battista Sandionigi. Nato a Valmadrera (Lc) il 6-4-1930, ordinato presbitero il 21-6-1958, Oblato Vicario (1958), è stato vicario parrocchiale a Camnago (1959); vicario parrocchiale in S. Pietro a Saronno (1961); vicario parrocchiale a Lesmo (1966); parroco a Peregallo (1967); parroco a Passirana (1976); parroco a S. Giorgio M. di Rovagnate (Lc), dal 1985 al 1995; residente con incarichi pastorali nella parrocchia Beata Vergine della Vittoria a Lecco, dal 1995 al 1998; residente con incarichi pastorali nella parrocchia S. Maria Assunta a Cernusco sul Naviglio, dal 1998 al 2002. Dal 2002 residieva a Sirtori. Lo scorso 26 dicembre 2013, festa di S. Stefano; ha iniziato una breve degenza nella Casa di cura Beato Talamoni a Lecco e poi il ricovero nella casa di riposo Casa del cieco di Civate. E’ ora sepolto a Sirtori; non nella sua Valmadrera dove si dice ci sia una tomba di famiglia; non a Rovagnate dove è stato parroco amato; e soprattutto non nella cappella dei sacerdoti, ma in una tomba comune, in mezzo alla gente. Aveva chiesto espicitamente un funerale normale, come quello che si fa per tutti. Sui necrologi era apparsa la raccomandazione: non fiori… Non si è trattato di un vezzo stravagante da ostentare, ma della continuità con uno stile di discrezione ben conosciuto da tutti; e di umiltà, probabilmente mai predicata, ma vissuta. Per più di quattro anni ha concelebrato quotidianamente con me la S. Messa; non ha mai voluto presiedere, tranne quando ero assente e, con l’aiuto di un ministro straordinario dell’Eucaristia finché la salute glielo ha permesso, acconsentiva a celebrare da solo. Sempre defilato sull’altare per tutta la liturgia della Parola fino all’inizio della liturgia Eucaristia, al suo posto un po’ nascosto accanto alla porta della sacristia; non ha mai voluto concelebrare una messa solenne; la sua messa festiva era sempre quella delle 8.00, anche a Natale e Pasqua. Una sola volta gli ho strappato una piccola riflessione, in occasione del 45° sacerdotale di don Giuseppe, in una serata di testimonianze sul sacerdozio di un giovane seminarista (Gabriele di Cremella), un prete di mezza età (don Claudio), un prete “maturo” (don Battista). Non voleva dare fastidio, e per tempo ha pensato a tutto, fino ai dettagli, fino ad interessarsi della propria sepoltura. Quando non si è sentito più di venire a celebrare in chiesa ha provveduto a far portar via dalla sacristia il suo camice e le sue stole, come per darsi un punto fermo: non potrò più andare in chiesa, non devo andare a far tribolare gli altri. Quando si è indebolito e non si sentiva più nemmeno di celebrare in casa lo visitavo per portargli l’Eucaristia, ma solo due volte alla settimana; non voleva di più per non darmi troppo impegno; è stata una fase durata poche settimane, nelle quali in breve tempo ho visto i cambiamenti da quando mi riceveva in piedi, ben fermo sulle proprie gambe, e poi appoggiato alla credenza, e poi seduto, e infine a letto. Sapevo da Giuliana Magni (la signora di una cppia amica, e più che amica che lo ha affiancato per tanti anni) che si alzava molto presto e pregava la liturgia delle ore. Quando era in chiesa era un continuo ripetere avemarie e padrenostro, con grande semplicità, senza arzigogoli spirituali. Ogni tanto si divertiva ad inzigarmi su qualche argomento ecclesiale, per sapere cosa pensassi; è vero che correvamo il pericolo di fare un po’ di pettegolezzo clericale, pericolo sempre sventato dal fatto di ritrovarci con una visione e un giudizio quasi sempre concorde o simile. Il giorno del funerale ho incontrato qualcuno di Peregallo che in pochi accenni diceva quanto fosse stato importante per lui don Battista; qualcuno di Rovagnate che mi confidava: “non potevo non venire, per il mio vecchio parroco”. Ho visto volti in lacrime mentre usciva dalla chiesa accanto alla bara, segno di storie in cui don Battista ha lasciato un segno. E ho immaginato qualcosa della sua energia che non ho potuto conoscere direttamente negli anni della sua avanzata età e della malattia; energia a riguardo della quale talvolta Giuliana mi accennava qualcosa soprattutto in merito agli anni ruggenti passati nella periferia di Rho dove il suo impegno è stato anche di lavoro manuale (ha materialmente fatto il muratore con alcuni volontari della parrocchia per costruire l’oratorio) in un contesto talvolta malavitoso che gli ha fatto vivere qualche avventura e qualche fastidio. Della capacità di accompagnare spiritualmente c’è la testimonianza delle vocazioni che ha accompagnato nella formazione, il buon ricordo dei suoi coadiutori, la stima di sacerdoti (ricordata anche dalla lettera dell’Arcivescovo Angelo Scola per il suo funerale) che lo cercavano per la Riconciliazione e per raccogliere qualche consiglio. «Servo buono e fedele; prendi parte alla gioia…» (Mt 25,23)