CRONACHE DELLA RESISTENZA IN PIEMONTE Fra gli atti dell

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CRONACHE DELLA RESISTENZA IN PIEMONTE Fra gli atti dell
CRONACHE DELLA RESISTENZA IN PIEMONTE
.S .
CHIAFFREDO
DI
BUSCA,
SETTEMBRE
1944
Fra gli atti dell’istruttoria a carico dei componenti l’U. P. 1. re­
pubblichino di Cuneo, figurano il memoriale, del parroco di S. Chiaf­
fredo, doti Perano Chiaffredo, che egli, chiamato a deporre alla Que­
stura di Cuneo, chiese e ottenne di allegare al verbale, affinchè tenes­
se luogo della deposizione. Ecco il testo del verbale:
« L ’anno 1945, addì 7 del mese di luglio, alle ore 9,10;
« Innanzi a noi sottoscritto sottufficiale di P. S. appartenente alla
Questura di Cuneo, è presente:
« Don Perano Chiaffredo di Michele e di Carino Giovanna, nato
a Villar S. Costanzo il 24 gennaio 1909, residente in S. Chiaffredo di
Busca, il quale conferma in ogni particolare e ad ogni uso di legge il
memoriale qui appresso da lui redatto ».
Sono arrivati i « Muti ».
Nel pomeriggio del 14 settembre, verso le ore 15, quando tutti
erano intenti ai lavori dei campi, si sente un rombo accelerato di
macchine che dallo stradale di Cuneo-Busca imboccano la piccola
strada che conduce alla parrocchia di S. Chiaffredo di Busca. Sono
due camion ed un’auto scoperta: le macchine s’arrestano davanti al'
giardino parrocchiale e scendono una ventina di uomini, parte in
abito civile, parte in divisa fascista. Sono i militi della famigerata
brigata nera « Lidonnici », armati ed equipaggiati come se si trat­
tasse di venire a compiere un’azione di guerra. (Comanda la spedi­
zione il capitano Brachetti) (1), si distinguono in modo speciale per
crudeltà e malvagità il ten. Belinetti e i due fratelli Ferrari.
Appena la popolazione scorge tutto questo apparato di forza
armata, è presa da un terrore panico. Tutti sanno troppo bene, per
dolorosa esperienza, che le brigate nere non hanno mai portato nulla
di buono.
Chi cercano? Chi vogliono?
Scesi in fretta dai camion., alcuni si dirigono verso la casa cano­
nica, altri in campagna e nelle case.
(1) Il periodo fra parentesi è cancellato sull’originale con un tratto di penna.
A margine sta scritto: «vale la cancellatura a penna».
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Forti scampanellate e colpi precipitosi alla porta con grida e in­
silili, dimostrano le intenzioni malvage contro il Parroco.
Appena la porta della casa parrocchiale è aperta, gli assassini si
precipitano nell’interno, penetrano nelle stanze, rovistando e abbat­
tendo ogni cosa.
Infrangono col calcio del fucile un orologio a pendolo che si
trovava sul pianerottolo delle scale, rompono specchi, sfondano arma­
di. Al piano superiore si trovano il canonico Richieri di Cuneo, sfol­
lato a S. Chiaffredo e ospite di don Demaria. Il Canonico aveva sen­
tito tutto il pandemonio che c’era in casa e aveva interrotto la recita
del breviario per accertarsi di quanto stava succedendo. Accecati dal
furore e dalla rabbia i forsennati non si arrestano neanche dinnanzi
a questa veneranda figura di sacerdote ottantenne. Lo battono con
violenza sul capo, sulla schiena e una sferzata di nervo di bue lo
avrebbe certamente ucciso se non fosse stata attutita dal paralainpade.
Dopo di averlo bastonato bene, riconoscono che il canonico Richieri
non è il parroco. Allora per timore che don Demaria sfugga loro di
mano, come era sfuggito la sera del Venerdì Santo, si precipitano al
piano inferiore a piantonare tutte le uscite. Il Prevosto che stava rac­
cogliendo la frutta del giardino e aveva visto arrivare il camion e
sentito lo schiamazzo in casa, aveva cercato di nascondersi in un
angolo dell’orto dietro una piantagione di fagioli. Il riparo però era
troppo debole e malsicuro; infatti uno della spedizione che aveva
avuto ordine di rovistare in ogni angolo della casa, perlustrando il
giardino, lo scorge facilmente.
Incomincia il martirio.
Furente si precipita sopra il disgraziato Prevosto col nervo di
bue, salutandolo con una litania di insulti e di bestemmie. Le ingiuria
non bastano: a colpi di nervo di bue don Demaria viene spinto verso
la porta d’uscita. Egli tenta di parare come può i colpi diretti contro
il volto facendosi schermo con le mani; ma la violenza e la frequenza
dei colpi gli fanno gonfiare ben presto le mani e il viso.
In casa intanto è cominciato il saccheggio; un operaio intento a
spaccare legna nel cortile del parroco, è costretto con la minaccia di
morte a caricare sul camion parte della biancheria e asportare dalla
cantina bottiglie di vino: quello che resta, verranno a prenderlo
l’indomani.
Appeso alla parete della sala da pranzo c’è un quadro di S. San­
tità Pio XII: anche contro la pacifica e mite figura del Pontefice si
accaniscono i « briganti neri ». Lo distaccano malamente dalla parete
e lo appendono al collo di don Demaria puntando poi la rivoltella
al petto.
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Gli insulti con cui oltraggiano la figura del Pontefice e il sacer­
dozio cattolico, non si possono descrivere. Dopo questa prima mi­
naccia di morte tolgono il quadro di Pio XII dal collo e lo appendono
a un albero accanto al piazzale della chiesa e a sferzate lo riducono
a brandelli.
Don Demaria aveva tirato fuori la corona del rosario e ne faceva
scorrere lentamente i grani con le dita indolenzite recitando sottovoce
le Ave Maria. Pareva che tutto quello che si faceva e si diceva
contro la sua persona non lo toccasse affatto. Con un colpo sulle mani
gli si fa cadere la corona per terra; mentre si china per raccoglierla,
un altro colpo tanto forte lo raggiunge sulla schiena ed egli stramazza
quasi al suolo. Nella foga di battere, il berretto di un fascista cade
al suolo. « Prendilo, porco », gli dicono. Don Demaria fa uno sforzo:
si china, riprende il berretto, lo pulisce e lo rimette in capo con cal­
ma e tranquillità. Poi si fa avanti uno dei fratelli Ferrari con aria bal­
danzosa e gli grida in faccia: «M i riconosci? ». Con lo sguardo an­
nebbiato e intontito dalle percosse Don Demaria risponde di no.
« Guardami e non mentire », prosegue l’altro. « Ah sì — fece con
un gesto di sorpresa il Prevosto — lei è quello che è venuto a pren­
dere il grano ». « Sì, sono proprio quello: tu credevi di darlo ai par­
tigiani il tuo grano; invece l’hai dato a noi ».
Era vero che don Demaria aveva raccolto del grano per darlo ai
partigiani, cosa che del resto avevano fatto molti altri sacerdoti e
civili della nostra pianura e delle nostre valli nell’inverno ’43. Con
la sua consueta bontà e carità che non sapeva mai dire di no a chi
si rivolgeva a lui per aiuto, il Prevosto di S. Chiaffredo aveva fatto
raccogliere, convinto di fare un’opera santa, alcuni sacelli di grano
per darlo agli uomini della montagna che soffrivano il freddo e la
fame.
Per questo suo gesto di amor patrio e di carità sacerdotale, don
Demaria, già preso in primavera, era poi stato rimesso in libertà
dalle autorità tedesche, che gli avevano perdonato di avere... troppo
buon cuore. Dopo questa scena avvenuta sul piazzale della chiesa, don
Demaria viene spinto a busse e a calci verso il camion all’inizio del
giardino.
Schierati lungo il muro c’erano già altri giovani prelevati dalle
loro case e nei campi dove stavano lavorando. Tra essi c’era il gio­
vane Lerda Bartolomeo, che sarà ucciso col suo parroco, della classe
1921, reduce dal fronte russo, prelevato mentre era curvo sulla stiva
dell’aratro, inteso unicamente al lavoro.
«Avete ucciso uno dei nostri compagni: sarete tutti fucilati»,
minaccia il tenente Belinetti.
Due giorni prima sulla strada Busca-Cuneo in frazione S. Rocco,
quindi fuori dei confini della parrocchia di S. Chiaffredo, era stato
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rinvenuto il cadavere di un giovane senza documenti e senza nessun
segno di riconoscimento. Il morto era stato trasportato al camposanto
di Busca in attesa che qualcuno si presentasse a richiederlo. Nessuno
finora si era fatto vivo: si presentano a reclamarlo i fascisti; ma non
sono venuti tanto per prendere il morto quanto piuttosto per sfogare
la loro sete di vendetta su giovani inermi e pacifici e su un venerando
Sacerdote.
Allineati e terrorizzati, i giovani insieme al parroco attendono
che sia dato l’ordine del fuoco ai mitra puntati contro di loro.
« Figlioli — dice il parroco — recitiamo l’atto di dolore e pen­
tiamoci dei nostri peccati. Io vi dò l ’assoluzione ».
Un segno di croce, poi il Parroco incomincia: « atto di dolore:
mio Dio, mi pento con lutto il cuore... ». Tutti accompagnano le pa­
role del Parroco lentamente e gravemente. Sembra di assistere a una
scena dei primi martiri.
Tra i componenti la spedizione si fa un dialogo animatissimo;
poi vengono richiesti i documenti che prima non si era neanche vo­
luto vedere. I giovani delle classi più anziane vengono rilasciati liberi
e col Parroco sono trattenuti soltanto Lerda Bartolomeo e Ziani Or­
lando, sfollato da Torino. Mientre gli altri si allontanano, questi sono
fatti salire sul camion. Don Demaria, che ha le membra indolenzite
dalle percosse, non può più salire: Lerda e Ziani che sono saliti i
primi, lo aiutano a sollevarsi per risparmiargli le percosse degli
aguzzini.
Da S. Chiaffredo a Busca.
Il carico è completo: il camion si avvia e si dirige verso Busca. Dai
campi e dalle fineste delle case i parrocchiani vedono partire con
triste presentimento il loro parroco e i due giovani: gli occhi pieni
di lacrime si incontrano per un ultimo saluto. Le macchine filano in
direzione di Busca: presso la Cappella della Madonna di Loreto il
vice curato di Busca, don Salomone capisce la gravità della situazione
e pensa che il Viatico che doveva portare all’ammalato servirà forse
per loro... Entrati in Busca, dove era già pervenuta confusamente la
notizia di quanto era accaduto a S. Chiaffredo, i camion si dirigono
verso la piazza della Confraternita Rossa.
Appena giunti sul luogo, i fascisti bloccano la strada e fanno
scendere i due giovani con don Demaria. Don Salomone deve guidare
una comitiva di questi forsennati alla casa parrocchiale per prelevare
il Vicario. Anche nella canonica di Busca abbattono porte e rompo­
no vetri e mobili. Al Vicario don Pasquale già più che settantenne
e malaticcio, risparmiano le battiture ma non le ingiurie: poi an­
ch’egli è trascinato sulla piazza assieme agli altri.
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Frattanto era stato portato dal Camposanto il cadavere dello sco­
nosciuto trovato morto a S. Rocco. Nel ritornare dal Camposanto il
camion s’imbattè nel giovane Ardissone Luigi, la terza vittima inno­
cente, addetto alla trebbiatura, che altraversava la strada con una
latta di lubrificante in mano. Il camion si ferma e gli chiedono i do­
cumenti. Classe 1921. « Anche tu sul camion ». In Busca era pure
stato fermato il sig. Marino, impiegato del Municipio, in mancanza
del Commissario prefettizio.
Quando tutti furono tornati, i militi con le armi in pugno co­
stringono quelli che trovano, uomini, donne, a portare fiori al morto,
mentre dall’alto dei camion un ufficiale arringa il popolo con parole
feroci di minaccia e con le ingiurie più triviali.
Frattanto, trafelato e sudato, era giunto da S. Chiaffredo il padre
del Lerda che vuole parlare ancora con il figlio. Ma non gli è per­
messo avvicinarlo, come pure non può avvicinare il tenente che gui­
dava fa squadra.
Don Demaria che si trovava in fondo alla piazza, prevede la tra­
gica sorte che li attende: si accosta ai giovani parrocchiani e ad Ar­
dissone appena arrivato e li invita a fare la loro confessione. Se la
morte troncherà questa vita terrena, egli ha in mano una chiave che
apre le porte a un’altra vita immortale e beata. Poi si accosta an­
ch’egli al Vicario di Busca che stava col vicecurato, un po’ più di­
stante, e gli fa la sua confessione.
Dopo la commedia inscenata per fare portare fiori sulla salma, i
camion si mettono in movimento: su uno di essi c’è la bara, sull’al­
tro stanno i sacerdoti e i giovani prelevati.
L’esecuzione.
Al 14 Km. in Frazione S. Rocco le macchine si arrestano: il
sig. Marino, che aveva fatto la ricognizione del cadavere dello sco­
nosciuto, deve indicare il luogo presso cui era stato trovato. Qui de­
vono essere massacrate le vittime designate. Si fa l’appello dei giustiziandi: don Demaria Costanzo, Lerda Bartolomeo, Ardissone
Luigi; i chiamati vengono tratti giù dal camion e schierati sul ciglio
della strada. Don Demaria e il suo parrocchiano Lerda Bartolomeo
si abbracciano e si baciano, mentre Ardissone guarda smarrito e pro­
clama ancora la sua innocenza.
Nell’abbraccio al suo carissimo giovane, don Demaria intende
abbracciare e salutare tutta la sua popolazione che ha tanto amato;
nell’abbraccio del Lerda c’è l’estremo saluto di tutti i parrocchiani
al loro prevosto.
E ’ una scena straziante: il singhiozzo fa nodo alla gola e non
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permette a nessuno di parlare; ma cosa aggiungerebbero le parole
in queste circostanze?...
Dall’alto del camion il vicario, il vicecurato di Busca, il sig. Ziani
e il sig. Marino, assistono impotenti.
Don Demaria tiene sempre in mano la corona del Rosario. Nel
silenzio generale si sente la voce secca del giustiziere: Uno, due, tre,
fuoco... Una raffica di mitra, sparata a quattro metri di distanza, li
rovescia tutti a terra. Le vittime cadono senza emettere né un gemito
né un sospiro: la raffica li ha colpiti in pieno. Per essere più sicuri
della morte, gli assassini si chinano sui cadaveri e scaricano ancora
sul loro volto e al cuore, con cinismo ributtante, le rivoltelle; poi ri­
partono con gesto di trionfo e di vittoria per Cuneo coi rimanenti
sacerdoti e giovani.
Da S. Chiaffredo, dove si vivevano momenti di angoscia crudele,
si udirono i colpi di mitra. Un brivido di freddo corse per le vene
di tutti; un grido solo si udì: li hanno uccisi!
11 padre di Lerda, che aveva seguito di corsa il camion partito
da Busca, trova il figlio crivellato di pallottole in una pozza di san­
gue. Intanto giungono da Busca alcuni uomini, che confermano la
tragica notizia.
Il prevosto don Demaria, Lerda Bartolomeo di S. Chiaffredo e
Ardissone Luigi di Busca sono stati uccisi.
La notizia della morte si diffonde ancora nella sera in tutta la
parrocchia : tutte le famiglie sono in pianto : sui volti terrorizzati si
scorge un senso di smarrimento e di profonda mestizia.
Nessuno osò per tutta la notte portar via i cadaveri che rimasero
nel fosso fino al mattino con una pezzuola sul volto intriso di sangue.
Solo i padri di Lerda e di Ardissone rimasero sprezzanti della morte
accanto ai loro figli.
L ’indomani si può ottenere il permesso di rimuovere i cadaveri.
Don Demaria viene portato nella sua chiesa parrocchiale, mentre il
cadavere di Lerda Bartolomeo è deposto nel camposanto di S. Chiaf­
fredo e quello di Ardissone nel camposanto di Busca.
Proibito il corteo funebre, nessuna dimostrazione di cordoglio
può essere data.
In chiesa tutta la popolazione di S. Chiaffredo si succedette nella
veglia e nella preghiera per il rimanente della giornata e per il gior­
no seguente.
Sembrava impossibile che degli italiani avessero avuto il macabro
coraggio di uccidere con ferocia senza pari un sacerdote venerato e
amato, che aveva sempre fatto del bene a tutti, e due giovani inno­
centi strappati brutalmente alle loro famiglie e al loro lavoro.
Non c’è famiglia che non ricordi qualche tratto di bontà, qual­
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che atto di generosità del suo parroco nei 36 anni di ministerio Pa­
storale. La chiesa decorata di nuovo nel ’42, l’altare di marmo, la
splendida Via Crucis, sono le opere parlanti e testimoniami il suo
zelo per la casa del Signore. Domenica 16 è fissata la messa funebre
per i Caduti: più che con parole, la preghiera si esprime in singhiozzi
ed è inzuppata di lacrime. Se non potevano accompagnare i Caduti
al Camposanto in una dimostrazione grandiosa di trionfo e di amore,
non potevano impedire di piangerli e di pregare per loro.
La vita dopo la morte.
E il pianto e la preghiera che discendono sopra una bara sono
il tributo più bello e la testimonianza più profonda dell’amore. Né
questo tributo di lacrime e di preghiere si limitò al giorno dei fune­
rali, ma continua ancora dopo otto mesi dalla scomparsa e conti­
nuerà per sempre. La morte potrà disfare i corpi e polverizzarli, ma
non può cancellare dalla nostra mente e dal nostro cuore il ricordo
dei Caduti.
Essi continueranno a vivere nella nostra mente e nel nostro cuore,
come vivono nella vita immortale del cielo. Se è vero che il nostro
cuore è fatto per piangere, esso è anche fatto per credere. Chi crede
non può morire. Dinnanzi alla tomba dei Caduti si avanza colle brac­
cia distese in gesto di conforto supremo la mite figura di Gesù, che
dice : « Io sono la Resurrezione e la Vita : chi crede in me non morrà
in eterno ». Noi sappiamo che essi sono partiti, ma non si sono al­
lontanati; sono invisibili, ma non sono assenti; sono in alto, eppure
ci sono vicinissimi.
Con spudorata menzogna il giornale repubblicano, dando il reso­
conto della sacrilega impresa compiuta dai militi della V Brigata nera,
motivava l ’uccisione dicendo che tutti e tre gli assassinati erano de­
tentori di armi! Abbiamo dovuto attendere otto mesi per far sentire
la voce della verità, finché il tricolore mortificato sventolò in un tri­
pudio di festa in tutte le città d’Italia, finché le nostre campane
squillarono la diana della libertà.
Tutta la popolazione, con gesto eloquente e magnifico, appena
seppe notizia della libertà riconquistata, si portò compatta in lungo
corteo orante sulla tomba del suo Prevosto indimenticabile e sulla
tomba di tutti i suoi eroici Caduti per spargere a piene mani i fiori
della riconoscenza e dell’amore.
E ancora qui, sulla loro tomba insanguinata, noi verremo ad
attingere la parola d’incoraggiamento e di forza per attuare quel­
l’ideale di. fede e di Patria che essi attuarono, e per salire il nostro
calvario con quella fede e con quell’amore con cui essi lo salirono.
f.ti Sac. Chiaffredo Perano
(Parroco di §• Chiaffredo di Busca)
Albenga Giuseppe
(V. Brigadiere P. S.)