Storia della parrocchia

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Storia della parrocchia
Fiondi
Cento anni di storia e di vita
Luciano Orsini – Simone Zarpellon
L
o storico locale Edoardo Astori, autore di un trattato sulle vicende che hanno
legato Fiondi al maggior contesto della zona nella quale è inserito, e
pubblicato negli anni ’30 del XX secolo, sulla “Rivista di Storia, Arte ed
Archeologia della provincia di Alessandria”, lo descrive come un borgo di non antica
estrazione; tuttavia ne fa derivare l’origine da una ben più attempata, definizione
toponomastica che, asserisce, si riconduce ad un gruppo di cascine posizionate sulla
collina al confine tra il comune di Bassignana e quello di Montecastello. Quelle
cascine erano insediamenti rurali che affondavano le loro radici tradizionali nella
storia tardo medioevale e fra esse, una e forse la più grande, denominata “Fiona”, era
di proprietà della famiglia benestante del casato dei Fioni, originaria di Bassignana.
Non è neppure escluso che potesse già esistere un insediamento di origine
romano poiché in tal senso, la regione San Zeno, ha dato conferme archeologiche
riconducibili a reperti databili al II secolo d. C..
Sappiamo comunque che tutta la regione estesa tra Precetto, Bassignana e
Pietramarazzi fu soggetta alla presenza di nuclei romani che edificarono anche
fortificazioni e luoghi privilegiati di residenza. A tal proposito si consideri la
testimonianza storica della grande “villa” che in realtà era una fattoria agricola,
scoperta durante gli scavi del 1980 in regione Monteriolo nel comune di Pecetto,
quando vennero alla luce ciclopiche mura di fondazione i cui laterizi furono in parte
riutilizzati per la costruzione di una necropoli longobarda datato al VII secolo d. C..
Si può parlare a pieno titolo di presenza di alcuni nuclei abitativi a Fiondi, solo
a partire dal 1481 con aumento sensibile nei sessant’anni che seguono, come
riferiscono tracce catastali a questo scopo consultate. Il gruppo di casolari che in
origine erano sparsi e distanti fra loro, aumentò di numero soprattutto dopo la
corrosione che il Tanaro produsse nel 1564, a danno di alcuni territori appartenenti al
comune di Montecastello, esposti ed indifesi sulla riva del fiume. Gli abitanti di
quella località si trasferirono nella zona collinare, certamente più sicura e meno
esposta a rischi geologici, interessata alla nostra narrazione dove gli spazi disponibili
erano di ben maggiore portata e, senza dubbio più consoni alla coltivazione ed allo
sfruttamento viticolo.
Una nota d’archivio che si conservava ancora nel primo quarto del XX secolo
relativa a quell’anno, parla di 3.000 pertiche di terreno inghiottite dalle acque
esondate dall’alveo del fiume che stava cercando un altro luogo nel quale scorrere,
con conseguente e logico disagio di tutte quelle famiglie che si sono viste sottrarre le
case e gli orti dal furore della piena.
La trasformazione del toponimo “Fiona”, collegato col nome conferito alla
costruzione di pertinenza dell’agiata famiglia bassignanese, in “Fioni” e poi in
“Fiondi”, è presuntiva ma non troverebbe conferme storiche attendibili benché,
l’autore, dia dimostrazione della effettiva esistenza della famiglia proprietaria dello
stabile collocato nella zona collinare e la cui origine può identificarsi con
possedimenti già presenti dal XIII secolo.
Paolo Peola, anch’egli storico locale, invece, pur convenendo in parte con
quanto indicato dall’Astori, preferisce significare che il nome del borgo possa
identificarsi con un etimo toponomastico derivato da “fundus”, ovvero
dall’appellativo con il quale si identificava una certa zona circoscritta da confini
stabiliti, piuttosto che con quello derivato dal cognome di una famiglia, per altro
abbastanza diffuso, fra i secoli XII e XV, in tutto il Monferrato. Quest’ultima ipotesi
troverebbe conferme anche nel nome attuale di altri luoghi della zona.
La stessa Pecetto, il cui territorio confina con quello preso in analisi trae la sua
definizione etima dal nome di un albero, il peccio, che ricopriva completamente le
colline del suo territorio in età pre dominio romano e che fu in gran parte abbattuto
per lasciare spazio all’accampamento militare che si trasformò poi in centro di
abitazione civile.
Il centro abitato subì le sorti del restante ambito locale, sotto la dominazione
spagnola e francese e fu poi definitivamente incardinato nel regno di Sardegna,
passando ai Savoia, dopo il Congresso di Vienna.
Da allora la storia ci è nota ed oggi Fiondi è una frazione del comune di
Bassignana, adagiata fra il verde della collina monferrina che degrada aprendosi
dolcemente sulla pianura del Tanaro e del Po, poste ad anticipare gli spazi ben più
vasti della pianura Padana.
La giurisdizione ecclesiastica, prima della fondazione della rettoria, era
amministrata dai parroci di Montecastello e di Bassignana, ma, in antichità, era
certamente assoggettata all’arciprete di Pietra Marazzi dove risulta esserci stato
l’insediamento religioso più vetusto di tutto il territorio, identificato nella presenza di
una chiesa pievana. Infatti il tempio sacro di quel luogo aveva ingerenza anche sulle
altre realtà cristiane amministrate da un sacerdote che doveva, tuttavia, sottostare al
superiore presso la cui chiesa era aperto il fonte battesimale alle cui acque venivano
portati i neofiti destinati a diventare cristiani.
Non si dimentichi tuttavia che il paesello di Fiondi e, prima ancora della sua
identificazione toponomastica, il gruppo di cascinali che poi lo costituirono, erano
incardinati, come il restante territorio nella diocesi di Pavia. Questo da immemorabile
data, seguendo la tradizione che sia stato San Siro, primo vescovo della città sul
Ticino, a portare il vangelo nelle nostre contrade.
Passò quindi, nel periodo napoleonico, a quella di Casale Monferrato per
definirsi finalmente, in quella di Alessandria a partire dal 1818.
In ambito di territorio della parrocchia è opportuno segnalare che un cascinale
di pertinenza del borgo, fino agli anni ’30 del XX secolo, era soggetto alla
giurisdizione della prevostura di Pecetto, ma i confini, di comune accordo fra i due
parroci, furono ridefiniti, assegnando alla rettoria di Santa Maria della Neve il nucleo
storicamente aggregato alla maggior parrocchia di Santa Maria e San Remigio.
Da un punto di vista dell’amministrazione civile anche la frazione ebbe un
delegato comunale preposto alla cura dell’assetto pubblico del piccolo centro,
facendo da tramite con il capoluogo; quella tradizione che poteva vale anche come
presunto diritto per gli abitanti di Fiondi, oggi è tornata attiva.
Cappellania laicale Lunati
“… istituisco una cappellania meramente laicale nella piccola Chiesa campestre di
mia ragione, situata sulle fini di Bassignana, regione denominata alle Fioni …
incarico il cappellano che sarà nominato di fare la dottrina cristiana ai fanciulli nei
giorni di festa in detta mia chiesa … e detto cappellano sarà obbligato ad
amministrare li Santissimi Sacramenti agli infermi di quelle vicinanze, e d’assisterli
a richiesta e sollievo del parroco … ed il sopra più del reddito di detta cappellania,
andrà in fondo per accrescere la dote di essa o per fare aumenti o miglioramenti alla
casa e beni della stessa cappellania …”.
Con queste parole vergate con calligrafia d’altri tempi e su un foglio che la
cura degli uomini ha conservato per noi e per quelli che verranno, nelle sue volontà
testamentarie in data 5 aprile 1827, don Giovanni Battista Lunati istituiva ed
ufficializzava la nascita di una cappellania laicale intitolata a Santa Maria della Neve
in una casa colonica di proprietà sua e del defunto fratello don Giuseppe, situata in un
lembo di terreno che faceva da confine fra i comuni di Bassignana, Montecastello e
Pecetto di Valenza: la località era detta Fioni, usandosi allora l’antico toponimo poi
definitivamente trasformato in Fiondi.
Nel piccolo borgo rurale, la cu popolazione era dedita esclusivamente
all’agricoltura, ed a poche altre attività di tipo artigianale, vivevano i due fratelli
Lunati, sacerdoti benestanti che potevano annoverare tra i loro possedimenti, oltre
alla casa colonica, anche numerosi terreni dei quali beneficiavano delle rendite.
I due sacerdoti avevano, molto tempo prima, ma non ci è stato dato sapere
precisamente quando, trasformato per loro comodità e con l’autorizzazione
dell’Autorità ecclesiastica, una parte della loro casa in cappella privata dove
adempivano al servizio divino e dove celebravano la santa Messa; inizialmente si può
pensare ad una nicchia collocata in una parete della stanza migliore e chiusa da due
ante in legno, come si può osservare in molte residenze gentilizie del periodo
settecentesco che godevano di questo diritto riservato a sacerdoti e nobili.
Successivamente e per maggiore esigenza di fruibilità, l’altare fu spostato nella
camera, trasformandola in cappella vera e propria.
Probabilmente questo avveniva nei primi anni dell’ottocento se non addirittura
alla fine del settecento, data l’avanzata età dei due fratelli, negli anni trenta del XIX
secolo, quando il maggiore testò le sue ultime volontà.
Iniziava così la vita di una modesta cappella privata, apprezzata soprattutto
dalla popolazione del piccolo borgo che, in epoca nella quale l’unico mezzo di
trasporto erano le gambe ben fornite di robusti piedi, non doveva più recarsi nei paesi
vicini di Bassignana e Montecastello per partecipare alle funzioni liturgiche ed
adempiere il precetto della Chiesa sull’obbligo di santificare le feste.
Dopo la morte, il 23 marzo 1824 di don Giuseppe Lunati, il fratello don
Giovanni Battista, nel 1827, rimasto solo e preoccupato della debita cura spirituale
degli abitanti del luogo, redigeva il suo testamento istituendo la cappellania laicale ed
assegnandole la casa colonica con alcuni appezzamenti di terreno. Stabilì anche un
lascito perpetuo di 120 lire “in dotazione alle povere figlie maritande”, che grazie al
sacerdote vedevano più facile le possibilità di sposarsi e formare una famiglia.
Alla morte di don Giovanni Battista Lunati, avvenuta il 29 ottobre 1833,
sempre per sua volontà, la nomina del nuovo cappellano spettò ai suoi esecutori
testamentari ed alla morte di questi al parroco “pro tempore” di Bassignana.
Il rettore beneficiario designato fu don Antonio Bolgeo da Bassignana.
I successivi cappellani furono don Andrea Gay da Montecastello, don
Francesco Quargnenti da Pietra Marazzi, don Giovanni Fracchia da Rivarone e
nuovamente don Andrea Gay da Montecastello che reggerà poi le sorti della
cappellania laicale fin all’erezione di questa a parrocchia nel 1903.
Nel 1867, il 15 agosto, con la legge n. 3848 la cappellania era soppressa,
nonostante fosse legata al testamento di don Lunati che obbligava la celebrazione
della s. Messa per la popolazione, la cura di somministrare i ss. sacramenti e di
insegnare la dottrina cristiana ai fanciulli e, di conseguenza, potesse ritenersi estranea
alle imposizioni legislative promulgate in materia di soppressione di benefici
ecclesiastici di piccola rendita.
L’aggettivo attribuito al titolo di chiesa istituita in cappellania, in altre parole
laicale, prevalse sullo spirito del fondatore la cui lungimiranza non ebbe sorte
duratura.
Ad onor del vero, bisogna riferire che la soppressione si ebbe anche a causa
dell’incuria e del disinteresse per il presidio religioso presente nel borgo, da parte dei
parroci dei paesi limitrofi; questo si riscontra nella relazione della Visita pastorale
eseguita a Bassignana dal Vescovo Giuseppe Salvaj tra il 17 e il 21 maggio 1879,
nella quale per mano dell’allora parroco di Bassignana don Felice Argenteri, si evince
che lo stato di manutenzione era inadeguato, mentre la celebrazione della s. Messa
avveniva “alla bersagliera”. Era quello un modo per definire la cura delle liturgie che
non corrispondeva ai suggerimenti del messale romano e, per motivi diversi, si
riducevano a funzioni di rapida durata e qualche volta, mutilate di parti indispensabili
alla loro validità canonica.
Alessandro Annaratone di Valenza, parente acquisito del fondatore don Lunati,
svincolava il beneficio della cappellania pagando il 30% all’erario, ma vendendo 4/5
dello stesso (forse per problemi finanziari) come si ricava dall’atto del 27 settembre
1869. La questione poteva avere risvolti negativi senza l’intervento dell’Autorità
ecclesiastica che, nella persona dell’Arciprete del duomo di Alessandria, monsignor
Giuseppe Villa, acquistò dagli Annaratone un terreno con vigna e con annessa piccola
chiesa campestre e casa, in altre parole la parte più importante del beneficio legato
alla cappellania da don Giovanni Battista Lunati; lo stesso beneficio riscattato dai
patroni Annaratone e ceduto a monsignor Villa con atto in data 19 dicembre 1870.
Don Villa fu obbligato a mantenere gli oneri della cappellania, come da
volontà testamentarie del fondatore. Dopo la sua morte la proprietà passò al canonico
don De Giorgi, priore del Carmine in Alessandria. La famiglia Annaratone fece
celebrare a sue spese la s. Messa festiva dal 1870 al 1904.
Per quanto riguarda la struttura e l’arredamento interno della cappella non si
hanno notizie certe. Tutto quello che è rimasto a nostra disposizione per ricostruire la
vita del tempio, è il “Registro della chiesa dei Fiondi” che attraversa gli anni dal 1888
al 1904 ed un inventario redatto nel 1879 dal parroco di Bassignana in veste di
Vicario foraneo con diritto di controllo sulla cappella.
Dal testamento di don Giovanni Battista Lunati sappiamo che la cappella
occupava un ambiente della casa colonica. Comparando questa attestazione con la
struttura attuale della chiesa è possibile supporre che la cappella occupasse quello che
attualmente è il corpo centrale della parrocchiale fatta eccezione per le due navate
laterali e l’abside che si sono chiaramente aggiunte nei successivi ampliamenti.
Doveva essere presente un piccolo campanile o comunque una struttura a
supporto che permettesse il suono di una campana; il riscontro lo si trova nella voce
“uscite” del registro amministrativo del 1890, quando si spendono 1,5 lire “per la
corda della campana”.
La cappellania aveva a disposizione sufficienti suppellettili sacre e sicuramente
otto banchi di legno e vari inginocchiatoi, come risulta dalla spesa di 1,50 lire date al
falegname per aggiustare i banchi nel 1898. Risultano i pagamenti ai vari cappellani
che si sono susseguiti e al sacrestano incaricato di tenere pulita ed in ordine la
cappella.
Si annoverano tra le entrate, oltre al ricavato “della cassetta della chiesa” e
delle offerte dei fedeli, anche ciò che derivava dalla vendita della legna, dalla questua
del grano che avveniva in ordine alla benedizione delle casa della zona fatta dal
sacerdote preposto, dalla vendita della cera rotta e soprattutto da quella dei “bozzoli”,
cioè dall’allevamento dei bachi da seta, una pratica molto comune nelle nostre zone
dove una pianta come il gelso, le cui foglie nutrivano i bachi, serviva per delimitare i
confini degli appezzamenti di terreno.
La contabilità della cappellania era tenuta da un tesoriere che faceva capo ad
un priore e ad un sottopriore che probabilmente dovevano rendere conto alla famiglia
Annaratone che fino al 1904 finanziava le celebrazioni che si svolgevano nella
cappella.
Molto interessante risulta in tutti gli anni che vanno dal 1888 al 1904 la spesa
per il “fazzoletto” ed il conseguente ricavo della “lotteria del fazzoletto”, legata alla
festa per il raggiungimento della maggiore età dei ragazzi; era la tradizionale “festa
della leva” che portava movimento in paese e soprattutto per il ballo che i ragazzi
organizzavano e al quale partecipavano anche dai paesi e dalle cascine vicine. Il
ballo, allora contrastato dalle disposizioni impartite dall’autorità ecclesiastica in
materia di morale, era la preoccupazione del sacerdote che non cessava di
raccomandarsi, durante le prediche della messa “grande”, di non esagerare con la
confidenza verso i “forestieri” e le “forestiere”.
Nel 1903, dopo la decisione di erigere una parrocchia al posto della
cappellania, avvenne lo smembramento della frazione dalla giurisdizione delle
parrocchie di Bassignana, Montecastello e Pecetto. Il decreto vescovile del 1 gennaio
1904 tolse una parte delle rendite del beneficio parrocchiale di Bassignana e
Montecastello (2.000 lire) ed aggiunse 400 lire da parte della Curia; il tutto andava a
formare la congrua per la nuova parrocchia che nel frattempo, il 20 dicembre 1903,
era nata con la nomina del primo rettore parroco: il fiondese don Pasquale Lunati.
La congrua era il necessario per il sostentamento del parroco e serviva, quando
disponeva di rendite maggiori, per il decoro della chiesa.
Fondazione della Parrocchia
e costruzione della chiesa
L
’istituzione della parrocchia di Fiondi avvenne nello stesso anno, il 1903, in
cui veniva eletto al soglio pontificio il Papa Pio X, Giuseppe Melchiorre Sarto
che governò la navicella di Pietro dal 1903 al 1914 e successivamente, nel
1954, fu proclamato santo.
A volerla fu quel buon sacerdote di nome Pasquale Lunati che del paese era
originario e, nel paese, volle poi essere sepolto, in quel piccolo ma tranquillo
camposanto, in attesa della risurrezione finale. L’erezione fu sottoscritta dal Vescovo
diocesano mons. Capecci, agostiniano, che procurò l’istruttoria di tutte le pratiche
previste dal Codice canonico e, con insolita sveltezza riuscì ad ottenere tutte le
garanzie necessarie. Nelle pagine ingiallite del giornale “L’Ordine” del 20 febbraio
1904, si legge la cronaca della presa di possesso del rettore parroco avvenuta il 15
febbraio dello stesso anno. È un linguaggio tipicamente ottocentesco che non risente
ancora delle innovazioni letterarie apportate allo stile giornalistico che nel trascorrere
del XX secolo introdurranno una rivoluzione nella lingua scritta e in quella parlata.
A dare notizia ufficiale della costituzione della novella realtà parrocchiale, fu
inviato nel paese il pro Vicario generale della Diocesi, accompagnato dal cancelliere
vescovile e da monsignor Vincenzo Badengo, amico personale ed estimatore del
rettore.
“La popolazione attese gli augusti Ospiti alle porte della borgata ed in
processione, si portò alla chiesa che era ornata di lumi e palme in stoffa; sull’altare
facevano bella mostra splendide tovaglie ricamate per quella speciale occasione
dalle locali donne cattoliche. Entrati nel tempio, il novello rettore parroco parlò al
suo gregge e rivolse un indirizzo di ringraziamento e d’affetto al Vescovo
rappresentato da monsignor Villa ed a tutti i numerosi presenti, venuti anche da
altre località.
Da Roma papale giunse la benedizione del Santo Padre Pio X che ben
conosceva le piccole realtà delle parrocchie rurali per essere stato, egli stesso,
curato in un borgo dai ridotti confini geografici, unita ad uno speciale messaggio
che rallegrò i cuori e produsse tanta fiducia nell’opera che don Lunati avrebbe
svolto in paese”.
Con la nomina del primo parroco si decise di adattare la chiesa alle esigenze
della comunità, che in quel periodo era molto numerosa e comprendeva circa trecento
persone. Ci si rese immediatamente conto che la parrocchiale non poteva ospitare che
poche decine di fedeli, quindi il rettore, don Pasquale Lunati incaricò il geometra
Carlo Pomesano di Alessandria di eseguire un progetto di ampliamento della struttura
della chiesa che potesse adeguarsi alle nuove esigenze canoniche per un luogo sacro
che avrebbe dovuto ospitare anche altre strutture, ad esempio il battistero.
Tale progetto fu realizzato in parte nel 1904 e successivamente nel 1931 con il
contributo di tutta la popolazione, i cui nomi si conservano in sacrestia in un elenco
che la storia saprà valorizzare per rendere giusta memoria a tanti benefattori non solo
possidenti ma soprattutto generosi contadini che sottrassero qualche cosa alle loro
magre finanze per ampliare la casa di Dio. L’operazione riuscì poiché da allora
ciascuno considerò la chiesa come la sua casa comune e luogo di ritrovo per tutte le
occasioni, non solo religiose, che vedevano coinvolto il paese.
Possiamo pensare a questo come ad un tuffo nel passato, quando gli edifici
sacri erano anche i luoghi degli incontri sociali intesi all’organizzazione della
comunità civile. L’ampliamento del 1904 creò la zona dell’abside, quella del
presbiterio con l’altare e la cantoria in alto a sinistra. Vennero acquistate numerose
suppellettili tra cui il confessionale per le donne tutt’oggi presente in chiesa, il
battistero di cui purtroppo si sono perse le tracce, e venne aggiunto il tronetto al
vecchio altare in muratura già esistente nella originaria cappella Lunati.
La memoria giornalistica de “L’Ordine” del 13 agosto del 1904, riposta la
cronaca di una giornata indimenticabile, vissuta sulla propaggine collinare di Fiondi
il giorno 5 dello stesso mese. La gioia degli abitanti si protese nell’ammirare la chiesa
appena ampliata di due nuove cappelle. Noi, uomini del terzo millennio abbiamo
perduto il significato di qualche cosa che possa identificarsi come la conquista dopo
tanti sacrifici per cui sorridiamo di tanto entusiasmo; dovremmo invece riflettere, ne
trarremmo senz’altro giovamento.
“Grande festa dunque, poiché da Alessandria giunse in abiti prelatizi, niente
meno che il pro Vicario generale della diocesi, monsignor Giuseppe Villa arciprete
della cattedrale e che aveva particolarmente a cuore la sorte della piccola realtà
parrocchiale, accompagnato dai canonici Bagliardi e Badengo. Dai paesi vicini
intervennero il parroco di Bassignana prevosto Argenteri e quello di Pecetto,
prevosto Orazio Ottone che raggiunse la località i compagnia di numerosi suoi
fedeli, attraversando a piedi la collina che divide i due paesi. Uno stuolo di altri
sacerdoti invase Fiondi per partecipare alla funzione e per ascoltare la messa
cantata del Cappucci che la locale corale aveva imparata con generosa
disponibilità, rinunciando per ore e ore, allo svago ingenuo della partita a carte o
del ricamo nella stalla. La popolazione, è superfluo dirlo, fu presente al completo;
non ci fu anziano, adulto, giovane, ragazzo, bimbo, assente all’attesa cerimonia che
per la prima volta nella sua secolare storia, vedeva tutta riunita la famiglia fiondese.
La benedizione solenne della chiesa fu impartita dal pro Vicario generale, il quale
non mancò di esortare i fedeli ad un attento spirito d’affetto per la casa di Dio che
veniva loro consegnata e la cui cura essi si assumevano”.
Una giornata da non dimenticare che gli abitanti di Fiondi portarono a lungo
nel cuore, trasmettendone la memoria ai figli ed ai nipoti.
Il 13 ottobre 1906 il parroco don Pasquale Lunati rinunciava al suo incarico a
causa di una malattia agli occhi, ritirandosi in Alessandria. La decisione fu molto
sofferta ma il sacerdote preferì rinunciare agli affetti della terra natia piuttosto che
sottrarre la comunità alle cure di un pastore più giovane e con maggior vigoria fisica.
Il suo posto venne occupato da don Paolo Colombo. Il nuovo rettore si prodigò
molto per rendere più confortevole la chiesa che ebbe i primi tentativi di
abbellimento, dovuti anche alla presenza di nuovi paramenti. Nel mese di dicembre
1906 vennero acquistati molti oggetti per le sacre funzioni e la statua di Gesù
Bambino per la solennità del Natale e per il rito tradizionale del bacio. Con il verbale
del 2 febbraio 1907 il parroco e la fabbriceria decisero di dotare la chiesa di un
Armonium “con preghiera al Sig. Gaia Paolo fabbriciere, di voler assumere
l’incarico di suonarlo … e con promessa di una regalia a suo riguardo a fine anno
…”. L’armonium fu acquistato dal dott. Graziano Tubi di Lecco per la somma di
160,00 lire. Il trasporto a Fiondi costò 4,83 lire; non immaginiamolo su un moderno
automezzo bensì sul carro trainato dal cavallo che qualche “particolare” della zona
possedeva e che si mise a disposizione con se stesso, per una somma neanche tanto
conveniente. Non mancò l’acquisto del “Metodo per imparare il suono
dell’Armonium” che comportò una spesa pari a 7,50 lire; che consentì
all’improvvisato organista, di apprendere le tecniche musicali per rendere gradito il
suono e per supportare convenientemente il canto della nascente corale.
Nel mese di giugno del 1907 fu adottata una soluzione che tutt’oggi è presente
nella chiesa di Fiondi. Si decise di aprire una porta che dal tempio immette in
sacrestia, luogo abbastanza ampio che poteva contenere gli uomini durante la
celebrazione della santa Messa. Precedentemente “trattenendosi essi in fondo alla
chiesa o fuori di essa, ne avveniva che la popolazione vi stava pigiata come acciughe
in un barile”; come più volte ebbe a segnalare il rettore a proposito della insufficiente
capienza della chiesa. Il parroco afferma altresì, che la sacrestia dovrebbe essere
luogo riservato a sacerdoti e serventi, ma viste le ristrettezze in cui versavano le
entrate della chiesa, aggiunse che “bisognava fare di necessità virtù”. Il rettore
d’altronde si lamenta del fatto che nonostante l’ampliamento del 1904 e del 1905,
molte persone dovevano rimanere fuori dalla chiesa a causa della ressa che impediva
loro di entrare. Tempi beati che forse non ritorneranno tanto presto!
Nello stesso anno, 1907, venne acquistata la reliquia di Santa Croce ed il
relativo reliquiario “da portarsi in processione per la benedizione della campagna”. Si
effettuarono alcuni lavori per migliorare il suono della campana del piccolo
campanile, sopra la cantoria, sul cui pianerottolo di legno è ancora oggi visibile il
foro per il passaggio della corda.
Nel 1908 venne acquistato il leggio per il coro; in questo modo sappiamo che
ad appena un anno dall’acquisto dell’armonium era già presente un coro formato
dalle persone del luogo; questo spiega le numerose partiture presenti tutt’oggi in
sacrestia relative alle s. Messe cantate a due o tre voci del Perosi, genio musicale
tortonese e maestro perpetuo della cappella Sistina in Vaticano. Gli echi di s. Pietro
risuonarono anche sotto la volta della chiesa di Fiondi; se non con lo stesso risultato,
senza dubbio con la stessa partecipazione ed il medesimo impegno.
Di fondamentale importanza risulta essere l’incarico dato nello stesso anno al
sig. Pastore di Pecetto di “imbiancare l’interno della chiesa nonché la facciata, con
qualche tinta e figura d’angeli”. Molti infatti ricordano ancora come la volta
dell’abside fosse affrescata con tre figure d’angelo che fecero bella mostra di sé in
chiesa probabilmente fino agli anni ’70 del XX secolo, per poi subire un triste destino
sotto i colpi di pennello di un “imbianchino improvvisato”. Il ciclo pittorico ritorna
ancora nella memoria di chi ha qualche cappello bianco; per chi invece non ha mai
potuto ammirarli personalmente restano le vecchie cartoline in bianco e nero di
Fiondi che ritraggono l’interno della chiesa, così come si presentava negli anni ’50.
Tutti ci auguriamo che con le attuali tecniche di restauro si possa, in un futuro non
troppo lontano, rendere giustizia e riportare agli antichi splendori gli affreschi della
parrocchiale. Non erano capolavori d’arte, ma avevano accompagnato tutte le vicende
dei fedeli in un lungo cammino sulla via della salvezza. Recuperare la loro presenza
significa ridare volto a una immagine tanto cara ai nostri predecessori e, nello stesso
tempo, consentire a noi e a quelli che verranno, di poter sostenere che la tradizione è
una parte viva del nostro patrimonio di fede e di cultura.
Nel 1909 il Sommo Pontefice Pio X in segno di benevolenza verso la comunità
di Fiondi, inviò un ternario bianco alla parrocchia e del quale oggi rimangono solo le
due tonacelle. Il dono del Santo Padre giunse a Fiondi il 15 agosto 1909 con grande
compiacimento del parroco, che vedeva in qual modo risolversi il problema di
chiedere in prestito alle parrocchie vicine i paramenti sacri per le celebrazioni
solenni.
La presenza del sacrestano è sempre stata una costante nella vecchia cappella
Lunati ed anche nella nuova chiesa la sua figura si rendeva importante e necessaria.
Nel 1911 il sacrestano Ernesto Cappelletti si dimise dal suo incarico, ed al suo posto
venne nominato Cesare Taverna di Lobbi, che accettò di risiedere a Fiondi, nella casa
parrocchiale. Tra i compiti previsti nel suo contratto c’era il suono della campana
quale avvio dell’orario scolastico; incarico purtroppo “retribuito piuttosto
magramente” dai municipi di Bassignana e Montecastello.
Il 1911 vede anche la costruzione del cimitero eliminando così il problema di
inumare i defunti in quelli di Bassignana e Montecastello.
Il 1911 è anche l’anno della prima lotteria detta “della Sveglia” per finanziare
le casse della chiesa. Non dimentichiamo l’importanza di possedere una sveglia che
garantisse il battere lento ed inesorabile del tempo, segnando lo scorrere delle ore.
Era quello un regalo assai gradito e non c’era nuova coppia di sposi che non lo
desiderasse; non c’erano allora liste di nozze, ma una sveglia era la realizzazione di
un sogno. Tutto questo ci è anche ricordato nelle pagine del “don Camillo” di
Giovannino Guareschi che racconta di una sveglia donata da tutto il paese alla
vecchia maestra per il suo pensionamento.
Il 19 gennaio 1912 dopo approfondite discussioni tra il parroco e i suoi
consiglieri, si dettano finalmente le regole del servizio del sacrestano. Egli,
assumendo l’incarico presso la rettoria di Santa Maria della Neve, aveva i seguenti
obblighi:
1.
di curare la pulizia della chiesa sia internamente, sia esternamente,
specialmente nella stagione invernale, quando cade la neve. Questi dovrà toglierla
dalla scalinata, dal sagrato o piazzetta nonché dai muri d’intorno alla chiesa, in modo
che la popolazione abbia sempre libera la via per accedervi;
2.
di suonare la campana all’Ave Maria del mattino, della sera e al
mezzodì, nonché per la celebrazione della santa Messa nei giorni festivi e feriali, e
per i Vespri;
3.
di curare la pulizia, l’ordine della sacrestia, dei sacri arredi e di tutto
quanto appartiene alla chiesa;
4.
di servire la santa Messa quando nessuno si presenta a sostituirlo, e di
recitare il santo Rosario durante la celebrazione della santa Messa nei giorni festivi;
5.
di curare la pulizia dell’altare, di prepararlo per le Solennità, e
sprepararlo terminate che siano. Di accendere e spegnere le candele, nonché di
raccogliere l’elemosina col piattello durante le funzioni dei giorni festivi e riporla
nella bussola che trovasi murata in fondo alla chiesa;
6.
di ubbidire insomma al signor parroco e ai signori fabbricieri in tutto ciò
che riguarda la chiesa ed il culto.
Questo documento ci ridona una frammento di vita parrocchiale come si
svolgeva prima del Concilio Ecumenico Vaticano II, quando i fedeli che assistevano
alla santa Messa erano invitati ala recita del santo Rosario, guidati dal sacrista.
Quell’abitudine è stata debitamente soppressa poiché ora si partecipa e non si rimane
spettatori di un rito che si svolgeva prima con un unico protagonista, il sacerdote
all’altare. In questo senso la Chiesa ha compiuto passi da gigante sul cammino del
coinvolgimento di tutti coloro che hanno il titolo di figli di Dio.
Per ricollegarsi a quanto detto precedentemente riguardo all’abitudine degli
uomini di partecipare alle sante Messe rimanendo in sacrestia, abbiamo un’altra
conferma il 30 gennaio 1912 quando si approvò la costruzione di un marciapiede di
mattoni che andava dal sagrato della chiesa fino alla porta della sacrestia aperta
direttamente sull’esterno; in questo modo gli uomini potevano entrane nell’ambiente
loro riservato senza passare dalla chiesa e senza sporcarsi le scarpe “della festa” che
abitualmente calzavano, non senza difficoltà, per la funzione domenicale. Quella fu
una trovata veramente geniale e da tutti apprezzata, soprattutto dalle mogli che
dovevano, il giorno seguente, lucidare a nuovo le scarpe di solito sporche di fango.
Dai libri verbali in data 26 marzo 1914 risulta che l’ing. Garrone, un
benefattore della chiesa di Fiondi, donò una campana che si aggiunse all’unica
presente sul piccolo campanile che, per l’occasione, venne restaurato ed al quale si
apportarono quelle migliorie necessarie per sistemare il secondo bronzo. Due
campane avrebbero dato significato specifico alla differenza delle funzioni,
aggiungendo, nel caso, anche il tono di festa.
Lo stesso ing. Garrone il 10 agosto 1914 donò alla chiesa la statua in gesso
policromo della Madonna della Neve, Patrona di Fiondi. Un simulacro subito entrato
nella devozione dei fedeli che in esso vedevano il dolce e materno sguardo di Maria e
ad esso confidavano le loro pene e le loro gioie; basti pensare da quanti sguardi fu
accarezzata la riproduzione di Maria e quante preghiere, per il suo tramite sono
giunte alla Mamma di Gesù. La parrocchia spese 129,08 lire per la costruzione della
nicchia nella quale conservare la Patrona, a destra dell’altare e 24,00 lire per il vetro.
Nel 1915 il rettore don Francesco Malvicini fondò la compagnia del Rosario a
cui aderirono 30 donne del paese.
Nel 1923 veniva costruito un apposito comitato per allestire una recita teatrale
che avrebbe visto protagoniste le ragazze ed un banco di beneficenza a favore delle
attività della parrocchia, le cui finanze languivano sempre per la mancanza dei fondi
necessari alle diverse attività. D’altra parte questa condizione era comune a tutte le
piccole comunità; si potrebbe ben dire, citando il proverbio: “… mal comune mezzo
gaudio …”. Sulla base delle entrate registrate nello stesso anno è possibile affermare
che la partecipazione popolare a queste iniziative fosse totale, tanto da giustificarne le
successive che, per la verità, non tardarono a venire e furono sempre accolte con il
solito entusiasmo popolare.
Tre anni dopo, nel 1926, si avanzò la proposta di costruire un piccolo
campanile con tre campane, ma probabilmente per mancanza di fondi quell’idea
dovette essere accantonata ma, come vedremo, non del tutto dimenticata e sempre
tenuta a cuore da coloro che l’avevano sollecitata.
Il sacrestano Cesare Taverna, ormai avanti con le stagioni della vita, in
quell’anno lasciò il suo servizio e la casa parrocchiale presso la quale era stato per
lungo tempo alloggiato.
Nel mese di marzo 1928 venne collocata sul lato destro della facciata della
chiesa la lapide dei fiondesi caduti per la patria nella Prima guerra mondiale.
Memorabile fu la cerimonia della benedizione impartita dal rettore che in
quell’occasione parlò al popolo con ardore patriottico, strappando qualche lacrima in
coloro che nel marmo poterono leggere il nome di un loro caro. Testimone di questo
episodio è, ancora una volta, la pagina ingiallita del giornale diocesano che ne
riferisce in perfetto stile giornalistico dell’epoca la cronaca.
Anche la luce elettrica per opera del pecettese Pierino Ronza che elaborò un
impianto di innovazione tecnologica, entrava finalmente in chiesa nel 1930 su
iniziativa del nuovo parroco don Ettore Muzio promotore anche di un banco di
beneficenza e soprattutto regista della recita di Gelindo; la storia del pastore
mandrogno venne messa in scena nel gennaio di quell’anno nel Circolo Viticultori di
Fiondi. Gli stessi abitanti del paese che con scrupolo e buona volontà trascorsero
lunghi mesi invernali a studiare la parte loro assegnata, furono autori di una “divota
commedia” già apprezzata fin dalle prime esibizioni e poi ripetuta con grande
compiacimento degli ascoltatori venuti anche dai paesi vicini.
Nel 1931, dopo le esortazioni fatte con decreto dai diversi Vescovi durante le
visite pastorali, si decise di procedere al secondo ampliamento della chiesa, quello
delle navate destra e sinistra, come previsto dal progetto del geom. Pomesano. In
questo modo si sarebbe avverato un sogno già caro, ma tenuto nel cassetto dal primo
parroco don Lunati. Si decise di creare una sottoscrizione pubblica; di stampare ed
inviare delle circolari “ai Fiondini fuori dalla frazione ed in America” per ricevere
eventuali e cospicui contributi. I lavori di ampliamento del lato destro terminarono
nel 1932 e nello stesso anno iniziò il rimaneggiamento del lato sinistro con la
rimozione della vecchia tribuna del coro.
Il vetusto pavimento sul quale avevano lasciato le loro impronte tutti i fiondesi
ma che era ormai logoro, fu sostituito, con la pavimentazione a piastrelle esagonali
di cemento, in tutta la chiesa. E già che si era data mano ai lavori di ampliamento, si
trovò conveniente realizzare una stanza sopra la sacrestia che potesse essere adibita a
diversi usi. Si sperava, confidando nell’onnipresente Divina Provvidenza, di
sopperire se non a tutte, almeno ad una parte delle spese. In quell’anno fu messa in
scena una seconda recita di Gelindo e un banco di beneficenza che garantirono
cospicue entrate, andando a sommarsi alle generose offerte arrivate dai fiondesi di
Menphis (USA). La Divina Provvidenza, ancora una volta e come sempre, aveva
sconfitto il pessimismo di qualcuno!
Nel febbraio del 1934 seguendo una ormai collaudata tradizione si tenne la
recita teatrale dal titolo “Via larga” che ottenne un grande successo, tanto da essere
proposta, oltre che a Fiondi, anche a Pietra Marazzi, Rivarone e Bassignana.
Si passò altresì alla discussione del “Pro erigendo campanile”, l’unica struttura
mancante alla chiesa che fu realizzata grazie al contributo del Comm. Sozzoni di
Milano, quale erede dei coniugi Garrone che donò i mattoni per la costruzione.
Nel 1935 si svolse il consueto banco di beneficenza che fu organizzato anche
l’anno successivo ed i cui proventi risultarono miracolosi per le casse, quasi vuote,
della parrocchia.
Il sig. Alessandro Annaratone e suo figlio cav. Silvio, a suo tempo tra i
principali promotori della nascita della parrocchia, furono ricordati nel 1937 con la
posa di una lapide in chiesa. Ci fu una cerimonia inserita in una funzione liturgica ed
il rettore ebbe parole di benevolenza nei confronti dei benefattori, esortando altri a
seguirli per il totale abbellimento del tempio che nel frattempo era stato in gran parte
ampliato.
I proventi della recita “Nuova notte sul molo”, andarono a ridurre il debito che
ancora gravava sulle finanze della chiesa nel 1938 per la costruzione del campanile.
L’autunno del fatidico 1940, anno tristemente famoso per l’entrata in guerra
dell’Italia, ci fu un primo tentativo di riscaldare nei mesi invernali la chiesa con una
stufa probabilmente a legna e carbone. Era quasi certamente un modello a “pipetta”
come potevasi riscontrare in quasi tutti i luoghi pubblici dei piccoli centri; per chi
stava vicino il calore emanato portava il termometro a circa 40 gradi, mentre chi era
posizionato a breve distanza non sentiva alcun tepore. In quei tempi ci si sapeva
comunque accontentare. Nel medesimo anno si sostenne la spesa per la riparazione
dell’armonium che ormai necessitava di una revisione generale affinché potesse
ancora contribuire al sostegno musicale della corale e delle celebrazioni.
Il parroco don Oreste Rangone nel 1944 presenta “… il bisogno di una
sorgente d’acqua per la completa sistemazione della parrocchia”. Il lavoro per la
costruzione del pozzo a sezione cilindrica viene affidato al sig. Guasco di Rivarone
che in questo genere di attività era certamente esperto per aver già dato ottimi risultati
in altre parti del territorio.
Nel 1946, dopo i lunghi anni della Seconda guerra mondiale in cui le attività
parrocchiali furono ridotte, si riprese la consueta tradizione delle recite ad opera della
filodrammatica locale; questa volta venne messo in scena il dramma “L’orologio
della Bastiglia”. Un titolone per una rappresentazione assai applaudita e frutto di un
impegno non comune da parte degli improvvisati attori.
Grazie alla donazione del cav. Alessandro Locardi si inaugurò per la festa
patronale di quell’anno, un’arcata di 42 lampadine sovrastante l’altare ed anche
l’illuminazione della facciata della chiesa ottenendo un magnifico effetto; ancora una
volta furono i fratelli Ronza di Pecetto a dare dimostrazione della loro bravura
professionale.
Di particolare interesse storico risulta essere un atto di donazione alla
parrocchia redatto nella prima metà del giugno del 1946, durante il breve regno di
Umberto II di Savoia, pochi giorni prima che il sovrano partisse per l’esilio
portoghese. Riteniamo che il documento possa effettivamente ritenersi raro poiché
nell’unico mese di mandato dell’ultimo re d’Italia ne furono redatti ben pochi. La
chiesa di Fiondi riceveva con rogito del notaio dott. Mario Mensi alcuni terreni in
regione Zuccarello.
Il 22 giugno 1947 è una data che il piccolo borgo di Fiondi ricorda ancor oggi
con triste commiserazione. Quella domenica alle 19,30 infatti, una spaventosa
grandinata che a memoria d’uomo non si ricordava, “sterminò al 90% i più preziosi
raccolti della zona” come scrisse il parroco don Anselmo Pianzola. Furono
danneggiate anche le vetrate della chiesa, che vennero sostituite con quelle policrome
istoriate, presenti ancora oggi. Il lavoro fu eseguito dalla ditta Costa di Alessandria,
azienda molto nota nel settore il cui titolare aveva inviato in dono al Papa Pio XI una
artistica vetrata che fu presentata in Vaticano, in occasione dell’esposizione per
l’anno Giubilare straordinario della redenzione, nel 1933.
Le ristrettezze economiche in cui gravava il paese bloccarono l’idea della
costruzione di un nuovo altare di marmo in sostituzione di quello precedente in
muratura.
Nemmeno la recita del 1948, di cui non conosciamo il titolo, riuscì ad
aumentare il saldo delle esigue casse della parrocchia. Si dovettero aspettare altri due
anni per vedere finalmente realizzato il desiderio del rettore e dei fedeli. Grazie al
cospicuo contributo dei fiondesi di Menphis (USA), si raggiunse la cifra necessaria
per l’acquisto del nuovo altare di marmi pregiati, eseguito sul disegno del prof.
Frascarolo, molto esperto in quel genere di progetti. Nella memoria storica della
parrocchia non può cancellarsi il ricordo festoso della funzione di consacrazione per
mano del Vescovo diocesano, monsignor Giuseppe Gagnor, avvenuta il 7 dicembre
1950, vigilia della solennità dell’Immacolata Concezione di Maria; in quel giorno si
cantò la messa e l’emozione pervase molti fra i presenti. Nella stessa occasione fu
posta e benedetta, in chiesa, la lapide a ricordo del primo parroco rettore di Fiondi,
don Pasquale Lunati. Finalmente si fissava nell’imperitura riconoscenza della
comunità la memoria di colui che diede definizione giuridico canonica al paese e ne
eresse la parrocchia.
Anche in quell’anno gli abitanti si impegnarono in una recita con il titolo
“Sangue che redime”; il successo ancora una volta garantito con apprezzamenti
entusiastici e richieste di ripetere il lavoro teatrale. Non dimentichiamo che quegli
spettacoli erano l’unico divertimento concesso a chi non poteva fruire delle proiezioni
cinematografiche che si facevano solo in città, tanto meno degli spettacoli televisivi
perché non c’era ancora la radiotelevisione. Potremmo dire oggi: beati quei tempi!
Gli anni successivi coincisero con un periodo di stasi per il paese e anche la
chiesa ne subì le conseguenze. La sistematica e progressiva diminuzione della
popolazione, ridusse la frazione a poche decine di persone ed anche l’attività della
parrocchia fu coinvolta nella diminuzione dei fedeli che poté considerarsi un vero e
proprio spopolamento; mancando nuclei familiari di nuova costituzione, vennero
meno i battesimi, aumentando solo i funerali.
Non furono apportati miglioramenti all’edificio sacro e fu difficile anche
mantenere le condizioni sufficienti per il decoro della struttura che tante fatiche erano
costate agli abitanti dei decenni precedenti.
L’unica opera rilevante di questo periodo risale alla fine degli anni ’80,
precisamente il 1988, quando il parroco don Sergio Berta diede il via per i lavori di
rifacimento della scalinata della chiesa e del piazzale antistante ad opera della ditta
Luigi Costa di Tortona.