Regge, il cuore regge-convegno Trento ama 2009

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Regge, il cuore regge-convegno Trento ama 2009
Regge, il cuore regge
la comunicazione epistolare
come modalità di sostegno alle persone in lutto
Abbiamo deciso di utilizzare il nostro tempo per raccontarvi questo servizio e
condividere alcune testimonianze, gli scambi epistolari, in modo che si capisca
dall’interno cosa accade concretamente.
Brevi considerazioni iniziali solo per inquadrare il contesto. Il servizio
‘Corrispondenze’, che compie nove anni e in questo momento è gestito da un
gruppo di otto persone, nacque all’interno dei nostri gruppi di auto mutuo aiuto:
emerse infatti direttamente da alcune persone in lutto l’esigenza di un’altra
modalità di sostegno, che non prevedesse il contatto diretto e la comunicazione
orale. La prima riflessione che ci siamo quindi fatti è stata: cosa vuol dire
rielaborare un lutto, come aiutare, che ruolo può avere un operatore in questi
percorsi che sono così singolari e differenti.
Noi pensiamo, ed è il caposaldo della metodologia che abbiamo ideato, che il cuore
del processo risieda nella capacità di recuperare il lascito esistenziale delle
persone a noi care: individuare prima di tutto ciò che ci hanno lasciato in maniera
completa e dettagliata e poi capire come e quando può diventare una risorsa per
vivere ogni singolo giorno su questa terra. E quindi questi scambi individuali,
assolutamente anonimi e privati, tra una singola persona in lutto e un operatore,
hanno lo scopo di permettere a chi soffre di iniziare a rapportarsi con l’assenza e
di capire che anche se la perdita di una parte della nostra vita ci devasta, è ancora
possibile essere vivi e attivi: si può sempre continuare ad amare, in maniera
completamente diversa da prima, chi non abbiamo più accanto. Gli stimoli che
l’operatore offre alla persona, e che gestisce in maniera assolutamente personale,
con le proprie emozioni, il proprio modo di scrivere, la propria sensibilità, sono
però inseriti all’interno di un percorso che vuole proprio stimolare il recupero del
lascito esistenziale.
Una testimonianza
Mi rivolgo a voi perché ho un vuoto incolmabile e inaccessibile ad uno sguardo
superficiale. Per questo vi scrivo, per riversare l'otre colma di sofferenza, quel
vaso di pandora che in questo periodo non ha più il suo coperchio sigillato. Ho
perso mia madre a luglio e da quel momento ho cessato di sorridere, ho
dimenticato quel senso di vitalità che accompagnava la mia vita quando la mia metà
era in vita. All'inizio ho dimenticato, poi sofferto, poi reagito e adesso che mi sono
rialzata i ricordi riaffiorano inevitabilmente ferendomi profondamente. Tutto è lei,
tutto rimanda al suo sorriso e alla sua malattia, tutto è colmo di lei e della sua
grandezza. Mi manca terribilmente. Lei era il mio punto di riferimento, una calamita
gigante che mi tratteneva nel bene e nel male. Ho paura di dimenticarla allora mi
sforzo di ricordare ma così facendo provo un dolore immenso e mi manca il
respiro. E poi il senso di colpa per tutto. Tutto è superficiale e niente è reale
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perché da quando non c'è più mia madre la vita è ricoperta da un velo tetro e non
posso permetterlo, perché lei non vorrebbe, perché ho solo 23 anni e perché mio
padre e mio fratello soffrono troppo quando mi vedono star male. Con la sua morte
ho anche riscoperto la vita e la gioia di avere al mio fianco la mia famiglia, i miei
amici ma non basta, ho bisogno di me, di sentire che ce la posso fare anche senza
di lei e lo so, lo sto facendo ma è dura, è dura farlo nel silenzio. Il mio urlo non
emette suono ma spero che scrivendo possa fare qualche rumore. Perché voglio
scoprire e voglio sentire che regge, il cuore regge.
Grazie
del
contatto
e
del
Suo
racconto
così
e
intimo
sincero,
senza
autocensure
nè
commiserazioni.
Credo
che
nelle
Sue
parole,
che
denotano
una
non
comune
capacità
introspettiva,
ci
siano
le
domande
e
le
risposte,
lo
smarrimento
esistenziale
dovuto
all'enorme
dolore
e
la
via
per
iniziare
la
risalita.
Leggendola,
cercando
di
ascoltarla,
ho
come
immaginato
che
Lei
viva
'in
terra
straniera':
un
posto
che
non
riconosce
più
come
suo,
una
quotidianità
che
ha
perso
di
valore
e
significato.
E'
naturale,
è
normale,
è
'sano'
che
così
accada:
lo
so
che
questo
può
essere
difficilmente
di
aiuto
ma
un
grande
dolore
si
può
vivere
solo
perché
c'è
stato
lo
un grande amore. Si soffre perché
si ha amato. Ma non è
una
sofferenza
vana,
non
sarà
Quello
che
sta
infinita.
facendo
ha
senso,
è
giusto:
permettere
alla
devastazione
interiore
di
trovare
cittadinanza,
lasciar
fuoriuscire
l'urlo
che
non
emette
suono.
E'
dire
e
dirsi
dei
sensi
di
colpa,
della
importante
grandezza
della
madre,
del
vuoto
che
ora
vive
come
incolmabile
perché
solo
trovando
le
parole
per
nominare
questa
sofferenza
che
lentamente,
passo
dopo
passo,
la
si
può
affrontare.
Io
credo
che
non
ci
siano
scorciatoie,
ricette
magiche
o
parole
salvifiche
che
possono
togliere
ciò
che
sta
provando
(ma
sarebbe
poi
giusto?);
ci
può
essere
la
invece
possibilità
di
capire
e
riconoscere
e
intuire
ciò
che
Sua
madre
Le
ha
lasciato
in
eredità.
Perché
se
è
vero
che
la
morte
si
porta
via
tanto,
è
altrettanto
vero
che
non
ha
potere
su
tutto:
non
può
toglierci
il
desiderio
di
continuare
ad
amare
chi
non
è
più
con
noi.
Abbiamo
la
possibilità
di
'uccidere'
una
seconda
volta
chi
è
già
morto
togliendolo
per
sempre
dalla
nostra
vita,
dai
nostri
ricordi
e
da
quelli
di
chi
abbiamo
accanto.
Ma
c'è
anche
la
possibilità
di
continuare
ad
amarlo,
in
maniera
totalmente
diversa
da
prima,
ma
continuare
ad
amarlo.
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E'
questo
il
primo,
cruciale
passaggio
da
vivere
dentro
se
stessi.
Scegliere
se
amare
chi
ci
ha
se
rapportarsi
con
lasciato,
l'assenza
o
cercare
di
dimenticare,
coprire,
allontanare
tutto.
Non
è
né
dolore
né
privo
di
conseguenze.
Ma
è
il
passaggio
che
apre
a
una
nuova
vita.
Se
desidera,
possiamo
riflettere
insieme
su
questo
e
lo
continuare
il
cammino.
Mi
piacerebbe
conoscere
meglio
Sua
madre
(o
Sua
mamma?),
capire
chi
era,
che
cosa
Le
ha
donato.
Come
farlo
vivere
ancora.
Il percorso di elaborazione del lutto tramite la metodologia della comunicazione
epistolare, inizia spesso con uno scambio di corrispondenza come la precedente:
una richiesta lancinante e urgente di aiuto e una prima risposta nella quale si cerca,
subito, di costruire una relazione di fiducia e di intimità. Assenti i giudizi, gli
incoraggiamenti soliti (e retorici), i tentativi di analisi clinica. Ciò che serve è
entrare in sintonia con la persona, spesso devastata interiormente, e chiarire cosa
si cercherà di far accadere: ricostruire il rapporto con il defunto perché emerga
tutta la complessità e variabilità della sua eredità. La narrazione della storia di vita
vissuta con chi ora non c’è più costituirà quindi il leit-motiv di tutta la
corrispondenze successiva.
Nello scambio che segue, riferito ad un’altra vicenda, emerge chiaramente la
necessità di entrare direttamente nella storia personale con la capacità di
ricostruire, analizzare e ridare significato ai momenti finali di un rapporto e a tutto
ciò che ne consegue.
Sapevo
che
la
mia
e-mail
ultima
era
più
complessa
delle
altre, toccando corde molteplici dei miei vissuti. Veramente siamo
complessi, pluristratificati, e la parte nascosta, l'inconscio come lo
chiamano, a volta ci presenta immagini non proprio rassicuranti.
Ciò che mi ha stupito e mi stupisce sono queste immagini spesso a getto
continuo che la mia fantasia produce di aspetti non positivi di Giusi:
perché adesso, che è morta e ho questo dolore, e questo grande amore, non
prima? E' una parte di me difficile da capire e da accettare.
Contraddittoria
e
a
volte
perturbante.
Devo dire che negli ultimi due giorni ho vissuto più sereno. Saranno stati i
nostri scritti, l'aver mostrato parti di me di cui mi vergogno un poco. Sarà
stato anche un pensiero che mi è venuto dopo che le avevo scritto la mia
ultima lettera. "Carmine, mi sono detto, ma Giusi non ti ha dato nel corso
della vita continue prove di serietà, di dignità, di amore? Perché rovinare
un così bel rapporto a posteriori? Forse è ora di smetterla con tante
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stupidaggini
infantili!".
E allora ho pensato a tutte le volte che Giusi mi guardava e mi parlava con
grande serietà, quando di fronte a qualche corteggiatore, lo sistemava con
uno sguardo, o me ne parlava apertamente, considerandolo uno poco serio.
Meglio avere pensieri positivi di lei, mi sono detto, e i ricordi sono
moltissimi, con la sua immediatezza nel rivelare i suoi sentimenti e pensieri,
nell'andare al cuore dell'altra persona e dalle sue parole, sempre,un grande
rispetto.
Le ultime parole che Giusi mi ha sussurrato sono state parole di amore.
Qualche giorno prima di morire, era quasi sempre assopita. Pensavo che non
si svegliasse più, anche perché sedata. Di sera, nel silenzio di quelle
camerette e corridoi dell'hospice, mentre solo attenuato giungeva il rumore
della città, le ho voluto parlare ancora una volta. "Giusi, hai riempito la
mia vita. Ti ho voluto sempre tanto bene. Starò sempre accanto a te. E te ne
voglio ancora tanto. Lo sai vero?". Giusi si scosse un attimo e mi fece sì
con la testa. "E tu mi vuoi bene?". Giusi sorrise un attimo e mi sussurrò
sì. Poi si addormentò, mentre io le rimasi accanto per alcune ore, tenendole
la mano e con la testa appoggiata alla sponda del letto. Le accarezzavo la
testa e i capelli ogni tanto, con leggerezza. Poi mi addormentai anch'io.
Il mattino successivo, quando entrarono le infermiere per lavarla, le chiesi
se aveva bisogno di qualcosa. "Ho sete", mi sussurrò. Allora le diedi un po'
d'acqua, poi le feci portare una tazza di caffelatte, che le pi aceva tanto.
Beveva a casa tre o quattro cappucci al giorno, anche di notte, quando si
alzava. Mi avvicinai e le misi una cannuccia tra le labbra. Cominciò a
succhiare, e bevve quasi tutta la scodella. "L'hai gustato?". "Molto", mi
rispose. Poi si addormentò e continuò a dormire, fino alla sua morte. Queste
sono
state
ultime
parole.
le
Ho passato le ultime notti accanto a lei (di giorno mi davano il cambio i
miei figli). Il suo respiro si fece a poco a poco più pensante, a volte in
apnea smetteva di respirare per 15-20 secondi, un'eternità, soprattutto di
notte. Poi ritornò frequente, ma accompagnato da un piccolo rantolo per il
catarro che si formava. Fino a quando cessò di respirare. E poi dopo un
minuto circa, un ultimo esalare l'aria che aveva ancora dentro. Mi misi a
piangere
e
mugulare.
E
non
ho
ancora
smesso.
Abbiamo passato molti anni insieme. Ci siamo amati. Ma il mio peccato
mortale è stato il mio egoismo, il mio egocentrismo causato dalla scarsa
fiducia che avevo in me. Penso che non dovrò più perdere tempo, ma dedicare
la mia vita a cose importanti, anche se piccole cose. Molte volte Giusi si
metteva lì, in soggiorno, a dipingere. La finestra sul balcone aperta.
Silenzio e tranquillità. Fuori le piante, qualche uccello che passava. I
fiori che lei curava così bene. Aveva un capacità unica di far crescere le
piante. Spesso diventavano così grandi che non ci stavano più in casa e
dovevamo
regalarle
a
qualcuno
che
aveva
spazi
diversi.
A volte si metteva ad ascoltare qualche canzone: Edith Piaf e John Lennon,
soprattutto, oltre a De Andrè. E così passava le ore e le giornate serene.
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Io l’ho aiutata nelle cose che le piacevano e la interessavano. Per esempio
la pittura e la decorazione, che ho sollecitato a curare fino a diventare
esperta.
Con
un
altro,
probabilmente,
non
avrebbe
potuto.
La notte scorsa sono riuscito a dormire quasi otto ore. Era tanto tempo che
non mi capitava. Devo recuperare un poco di forze, la stanchezza immensa e i
dolori di tanti mesi. L'altro pomeriggio mi ero un poco appisolato, tenevo
le mani incrociate e sento come un'altra mano che si appoggia alle mie. Mi
sono
svegliato
di
colpo.
Non
spaventato,
ma
sereno.
Ho scritto molto. Va bene così. spero di dormire anche questa notte.
Affidare a me le sue paure, i dubbi è una forza: è fondamentale
la sua capacità di guardarsi dentro e di mettersi in gioco,
per capire cosa sta accadendo e per ricostruire dentro ciò che è successo.
La morte è l’atto conclusivo della vita, come un fiume in piena
spazza via gli amori, le certezze, le abitudini, lasciando un profondo
senso di vuoto e la paura.
Il senso d’inadeguatezza sembra toglierci le risorse interiori,
che in realtà restano intatte in un apparente stato di immobilità,
come lei descriveva bene nell’altra lettera.
Dentro questo universo di sensazioni, riflessioni, processi mentali,
orbitano i “cattivi pensieri” dei quali mi parla; la loro complessità
va letta nell’ottica del cambiamento, nel tentativo di orientarsi,
di ri-conoscersi.
Accogliere senza eccessivi timori questi pensieri, significa anche
accettare l’evento che l’ha colpito; infatti, non è facile vedere
l’amata consumarsi e spegnersi.
Perché prova adesso questi pensieri? Mi chiede.
Perché prova un grandissimo dolore che deve trovare casa, che deve
essere nominato, cercando, nelle sensazioni più profonde, le parole
per stanarlo dalla paura, per descriverlo, tirarlo fuori e riconoscerlo.
Io sono qui con lei per condividerlo.
La serietà, l’amore che sua moglie le mostrava, e “i ricordi sono moltissimi”,
non hanno bisogno di conferme esterne, anche se scalda il cuore riceverle: il
vostro
sentimento, da ciò che mi scrive è un dato di fatto, è “l’altra mano” che
si appoggia a lei e che può dare serenità.
Mi sono emozionato per la preziosa, tenera e delicata descrizione che fa
della morte di Giusi, dove appunto emerge la vostra complicità, la fiducia,
l’affidarsi con la certezza di trovare l’altro pronto.
Fino all’ultimo Giusi ha rinnovato il suo amore e la riconoscenza per averla
sempre sostenuta nelle passioni, per aver accettato senza riserve
il suo passato: è giusto che ne sia fiero. Siete stati fortunati.
Perché parla di egoismo, di egocentrismo? Per la sua voglia di libertà?
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Per la scarsa fiducia in se stesso? Mi chiedo se c’è qualcosa di irrisolto
nel vostro rapporto affettivo, almeno per lei, che le impedisce di apprezzare
appieno la vita che avete costruito insieme, oppure è un’affermazione
di ricerca interiore.
Nulla è perso del vostro amore, ogni complicità e ogni pensiero:
non sta tradendo sua moglie, ha però bisogno di capire come continuare ad amarla.
LA FORMAZIONE E LE RIFLESSIONI DEGLI OPERATORI DELLA SCRITTURA
Cosa serve per diventare una persona in grado di stare in contatto con il dolore
esistenziale di chi soffre? Quali capacità bisogna acquisire? Che tipo di personalità
bisogna avere? Che rischi si corrono?
Sono domande non di proprietà esclusiva di chi si occupa nella vita di queste
problematiche ma riguardano ognuno di noi: quale esistenza, se non di brevissima
durata, viene risparmiata dall’esperienza di lutto? Chi non affronterà il dolore
causato dalla morte, per lunga o fulminea malattia, incidente o altra disgrazia, di un
proprio amore? Ecco allora che prima di tutto si impone una scelta: la scelta di
affrontare una dimensione della vita che nella nostra cultura viene nascosta,
esorcizzata, volutamente dimenticata. Ma è giusto, è sano, è responsabile
affrontare la verità, la semplice verità, indipendentemente dalla lettura che ognuno,
con i suoi riferimenti culturali, etico o religiosi, le attribuisce. E la verità del nostro
camminare su questa terra dice che dobbiamo vivere una parte del nostro futuro
senza chi abbiamo amato. Ad ognuno di noi decidere se questa verità sia da subire
passivamente o da affrontare come una possibilità per una vita più matura, reale,
intensa.
Se si decide allora di proseguire in questo cammino (e tanti non lo fanno!)
certamente è importante conoscere, capire e approfondire: numerosi sono gli studi
e le ricerche scritte e condivise realizzate in ogni parte del mondo sul lutto e le
possibili relazioni d’aiuto che possono essere apprese. Ma in fondo non è questo il
cuore della questione perché tutto si può imparare da chi ci ha preceduto. Si tratta
invece di mettere in campo un atteggiamento di fondo nei confronti della
devastazione interiore: Paola, una nostra volontaria corrispondente, lo spiega
meglio di mille dissertazioni.
Quello che fa una lettera, quando ti raggiunge, è scavarti dentro.
Sento le frasi insinuarsi come acque fra le falde, in cunicoli nascosti e inaspettati.
E l’onda è come un brivido che scuote, a volte ricorda anfratti che non visitavo da
tanto tempo, a volte suscita reazioni chimiche. La lettera scava e questo non ha
nulla a che vedere con ciò che sappiamo di dover rispondere, con ciò che sappiamo
essere il percorso da compiere.
Intanto bagna, allaga, colma.
Idrata.
E poi fa germinare. Sbocciano germogli di nuove risposte, sbocciano intuizioni,
idee, sensazioni. Tutto ridiventa verde. Tutto cresce.
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Allora quando sento (e non so quando, magari dopo un’ora, magari dopo giorni,
magari subito) che le foglie sono pronte per uscire alla luce, allora scrivo e
rispondo.
Ascoltando bene le emozioni, ascoltando bene la direzione, ascoltando.
Al di là del pensiero e delle ipotesi, al di là delle conoscenze e delle competenze.
Ascoltando la Vita.
La Vita che bussa alla mia porta, la Vita che pulsa nel cuore, la Vita che offre
incontri e condivisioni. La Vita che contiene e sovrasta.
La Vita che è.
E io dentro e lei dentro.
Farsi attraversare allora dalle parole di dolore, scritte o dette, senza pensare di
avere risposte magiche o soluzioni consolatorie da offrire. Si tratta di instaurare un
rapporto caratterizzato dall’ascolto reciproco nel quale due persone percorrono un
tratto di vita insieme e condividono le conseguenze dell’assenza.
Il dolore dell'altro non è il mio, però mi riguarda, posso ascoltarlo per aiutare ad
ascoltarsi, affinché con pazienza riporti l'amore perduto dentro di sé. Non posso
scrivere se mi sento troppo coinvolta né se sono troppo distante.
Aspetto che le mie emozioni si stemperino per evitare l'eccesso e l'intrico. Quando
le parole dello scrivente mi riattraversano più quietamente e il mio intuito riesce a
dare loro significati nei quali è presente la mia compartecipazione - senza illudermi
di comprendere tutto ciò che mi ha presentato, senza pretendere di essere nella
verità - so che è il momento per mettermi a scrivere.
Rivolgo domande e porto impressioni per stimolare le sue e i ricordi.
Nel riflettere sui messaggi del corrispondente si instaura un confronto con lui
anche dentro di me e possono ritornare a galla e sovrapporsi nodi e ricordi
personali. In quel momento anch'io mi do il compito di riconsiderare ciò che mi
riguarda, per cui anche lo scrivente aiuta me proprio nel momento in cui sono tesa
ad aiutare lui.
Più l'elaborazione del lutto si sviluppa e più è possibile il dialogo; ed è qui che vedo
che l'azione della parola scritta, uscita dal nostro corpo, dalle nostre mani, produce
una lenta tessitura, a volte intricata, ma retta dal filo della fiducia reciproca e dal
massimo rispetto.
E' un percorso faticoso attraversare le sofferenze, ma è proprio questo che può
fare ritrovare coraggio ed energia sconosciuti, laddove ci permettiamo di non
girare gli occhi altrove. (Angela, corrispondente volontaria)
Non è facile. Stare accanto a persone in lutto implica necessariamente confrontarsi
con le proprie esperienze di perdita, con i dolori vissuti: ho vissuto molti lutti nella
mia vita- ci racconta ancora Angela.
Ricevere mutismo e imbarazzo dagli altri ha aumentato in quei frangenti la mia
sofferenza, e mi ha fatto maturare la consapevolezza che delle esperienze, anche le
più dolorose, si debba poter parlare e si debba poterle ascoltare, perché sono
parte integrante della vita.
Si tratta di un valore che richiede un impegno emotivo molto forte di vicinanza,
senza fare al posto dell'altro.
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Servono, come ci testimonia Maurizio, un altro volontario dell’Associazione ‘cuore
e ragione’ per affrontare ‘la novità in modo sereno grazie al supporto e al
confronto del gruppo di volontari. Mi ha certamente aiutato conoscere la
metodologia di lavoro, ma ciò non è sufficiente per gestire la situazione, infatti ho
capito subito che è indispensabile trovare un riscontro interiore nelle parole che
leggo; ciò impone un tempo adeguato e che la mia mente sia libera, disponibile a
recepire il senso a volte confuso di parole piene di dolore. Quando scrivo mi sento
flessibile, tutto è essenziale, ogni particolare diventa importante e mi metto a nudo
per trasformare il mio ascolto in parole che si prendono cura, anche se non c’è
nulla da guarire, io sto semplicemente accompagnando l’altro nel suo percorso
personale.
Garantirmi l’equilibrio interiore è fondamentale per durare e per evitare che i
pensieri della scrittura monopolizzino la giornata, per questo prima di rispondere
mi dedico ad altro per lasciare assorbire le emozioni e riprenderle
successivamente.
Ecco, forse è proprio in questo ‘dedicarsi ad altro’ che si può trovare la vera
risorsa da mettere in campo quando si affrontano i drammi altrui e tutte le
ripercussioni che, come cerchi nell’acqua, risuonano inevitabilmente in noi.
Bisogna voler bene a se stessi.
Prendersi cura della propria vita.
Fare il possibile per riempire l’esistenza di tutto ciò che consideriamo importante e
meritevole di essere perseguito.
Vivere una vita degna di essere vissuta, secondo i parametri e i credi di ognuno.
Così facendo le lacrime e le devastanti disperazioni che si incontrano possono
trovare in noi cittadinanza senza distruggerci emotivamente: un tempo e un posto
in cui essere espresse e analizzate.
Un’occasione per far divenire il dolore esistenziale.
Perché tutto ciò che diviene, muta e si trasforma.
E quando inizia e prosegue con continuità il cambiamento in una persona in lutto, la
nostra funzione di supporto si è praticamente esaurita.
Come se nulla di magnifico fosse successo, la vita riprende a scorrere.
Nicola Ferrari
Psicopedagogista, scrittore
Responsabile servizi di sostegno alle persone in
lutto dell’Associazione Maria Bianchi
Master in ‘Psicologia clinica del lutto naturale e
traumatico’
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