Sul dolore e sull`amore Mi inoltro nell`ignoto di un

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Sul dolore e sull`amore Mi inoltro nell`ignoto di un
Sul dolore e sull’amore
Così viviamo
In un continuo prendere congedo.
Rainer Maria Rilke, Ottava Elegia
Mi inoltro nell’ignoto di un piccolo libro difficile.
Scrivere sull’esperienza della malattia e della morte
della persona amata.
Su cosa possa significare dal vivo l’enigmatica espressione:
elaborare il lutto.
Cosa succede nell’anima di chi resta dopo aver perso
qualcuno che era parte vitale di sé? Che cos’è il lutto:
solo il tempo di un fisiologico acquietarsi del dolore o
un’esplorazione profonda di luoghi di sé assolutamente
incogniti?
Un piccolo libro difficile, perché fuori e dentro di noi
tutto rifugge dal soffermarsi sull’esperienza della morte.
Si scappa, tanta è l’angoscia.
Provare a scriverne è tentare di non tenere ai margini
una realtà che cambia la vita. È pensare non solo a ciò
che una morte fa subire internamente, scatenando affetti
travolgenti, ma fa anche scoprire di sé e degli altri, per
doloroso o spiacevole che sia.
È cercare vie ignote per riprendere a essere “vivi”.
La malattia grave e il lutto sono uno strano luogo di
osservazione.
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Maria Luisa Algini
Ti scaraventano non sai dove, e da lì appare un altro
panorama.
Vedi cose mai viste prima.
O le cose di prima da un’altra parte: il passare degli
anni, il cambiare del corpo, lo stringersi e l’attenuarsi
dei vincoli del passato, i frutti o i non frutti del proprio
lavoro.
Vedi aspetti nuovi, pur prima intuiti, di chi non c’è
più. E aspetti nuovi di te.
Ma è tutto confuso. Che cosa era tuo e che cosa era
suo?
La relazione d’amore è come un tessuto, i cui fili, nel
gioco di trame e colori e nel tanto tempo passato insieme, non si riescono più a distinguere.
La morte strappa il tessuto. I fili si spezzano, scappano i punti, si aprono buchi. Il tessuto non potrà più
essere uguale.
Come si riprendono i fili strappati, pur nella discontinuità di una trama diversa?
E come si aggiungono altri fili, mai visti prima?
Il nero d’inchiostro che cade sul tempo e sul mondo.
L’inevitabile melanconia.
L’addensarsi della solitudine.
L’orizzonte che diventa corto.
Il rimpianto per quanto non c’è stato e non ci sarà
più.
Il bisogno di accettarlo, per non perdere il molto che
c’è stato. Che rimane.
Il lutto è un buio nell’identità. È una ricerca della
memoria di sé.
Ho provato dunque a immaginare un piccolo libro.
Sul lutto e sull’amore.
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Il tempo dell’orizzonte corto
Non è un libro di psicoanalisi, anche se l’esperienza
psicoanalitica è stata quasi un bastone da cieco, per non
restare impantanata nella desolazione.
Non è un racconto di “fatti”, pur nella necessità di
evocarli.
Vorrebbe, piuttosto, far intravvedere alcuni squarci
dei paesaggi interiori connessi a quei fatti. Paesaggi in
continua evoluzione, talmente intensi e mutevoli da riuscire a metterne a fuoco solo piccoli particolari.
La mente non può circoscrivere l’esperienza della
perdita.
Non potremo mai sapere fino in fondo chi e com’era
colui che è morto, né chi era per noi, quale posto occupava nell’equilibrio intimo, quali vuoti o desideri era
andato a colmare, quali energie a risvegliare.
Né conosciamo quali difese adotteremo per arginare
la piena del dolore, della mancanza, dello spaesamento.
Il lutto è dunque un viaggio misterioso, dentro una
tempesta.
Chissà se ci lascerà vivi e in quali condizioni. Ma
non resta che inoltrarsi.
Come scrivere di tutto ciò?
Come un cieco, per dar voce all’indicibile ho cercato
di appoggiarmi ovunque.
Alla riserva senza fondo della vita d’amore condivisa, ai momenti indelebili della malattia, al baratro spalancato dalla morte.
Alle letture già amate, alle nuove che ho incontrato
e che parlavano di stati molto affini. Alla poesia, alla
pittura, alla musica.
Alle esperienze di viaggi in paesi lontani, o a frammenti di altri viaggi nelle profondità della psiche.
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Maria Luisa Algini
Pur sapendo che ogni lutto è “unico”, perché tocca
il cuore e l’identità di chi resta, è un libro scritto nella
speranza possa essere utile:
a chi vive questo oscuro dolore, senza forse riuscire
a darvi parola;
a chi vuol accostarsi a una condizione umana che
non risparmia nessuno. Che, in vario modo, tocca a tutti.
Tardi o inaspettatamente presto.
Brahms, nel Requiem tedesco, il requiem “semplicemente umano” della consolazione:
“Insegnaci, Signore, che una fine ci deve appartenere”.
Tutti i riferimenti bibliografici e le citazioni sono
nel capitolo “Appunti bibliografici”.
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