Propositi alti di vita pubblica 1 Tessalonicesi 4,9-12

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Propositi alti di vita pubblica 1 Tessalonicesi 4,9-12
Propositi alti di vita pubblica
1 Tessalonicesi 4,9-12
“Ora et labora” era il programma di vita sintetizzato da Benedetto da Norcia nel VI secolo
d.C. La regola benedettina è composta di preghiera e lavoro, come ritmo di una vita che
ha due priorità che reggono tutto: la preghiera a Dio per gli altri, il lavoro per gli altri alla
gloria di Dio. Se dovessi sintetizzare la tua regola di vita, le tue priorità di fondo, quali
sarebbero? Quale sarebbe la regola di Gianluca, la regola di Damaris, la regola di
Nazario? Proviamo a interrogare l’apostolo Paolo su questo punto. Da questo testo viene
fuori una regola che può essere sintetizzata così: “ama et labora”. Qui non è tanto la
preghiera quanto l’amore ad essere il dato qualificante della vita. L’amore fraterno, la
filadelfia (non il formaggio!), l’amore per i fratelli e le sorelle in Cristo. E poi c’è il lavoro, il
lavoro manuale, per provvedere a sé stessi e non essere di peso a nessuno.
Ama et labora, ama e lavora. Non è questo uno splendido programma di vita? Abbiamo
già visto come l’amore per Paolo sia una evidenza della crescita della vita cristiana. Se
una persona è viva nella fede, non è la conoscenza o l’attivismo il primo segnale della vita,
ma l’amore. Qui Paolo lo declina di nuovo come amore fraterno. Un amore esteso a tutti,
ma particolarmente denso e concentrato sulla comunità dei credenti. Da cosa si vede
l’amore? Da tre cose: dalla quiete che emana la tua persona, dalla laboriosità che
caratterizza la tua attività e dalla dignità nelle relazioni con tutti. Paolo disegna per i
cristiani a Tessalonica un profilo di vita pubblica che è consono alla fede cristiana. Questi
tre segni sono pubblici, cioè hanno a che fare con la vita di tutti i giorni, tra la gente e nella
città. Un cristianesimo di qualità ha sempre un profilo pubblico, cioè non riguarda solo la
tua vita spirituale o personale, ma impatta il modo in cui i singoli cristiani e la chiesa nel
suo insieme vivono nella città.
1. Promotori di quiete
La nascita della chiesa a Tessalonica era stata caratterizzata da turbolenze (Atti 17). Le
violente critiche rivolte a Paolo e a Giasone che lo aveva ospitato avevano creato una
sommossa popolare che era giunta all’attenzione dei magistrati. Per evitare che le cose
degenerassero Paolo e Sila avevano dovuto lasciare la città di notte. L’annuncio
dell’evangelo aveva creato sconquasso nella città. In un certo senso, ciò è inevitabile.
L’evangelo “disturba” l’equilibrio spirituale di una persona e di una comunità. La fede in Dio
soltanto è in contrasto con la fede negli idoli e il conflitto spirituale è inevitabile. Se questo
conflitto non si verifica è perché l’evangelo è così annacquato e diluito da non
rappresentare una minaccia per il sistema centrato sugli idoli. Così è anche per Roma. Se
l’evangelo che crediamo e viviamo non disturba nessuno, è perché è un evangelo
scadente, di bassa qualità, che non mette in discussione nessuno.
Detto questo, qui Paolo insegna ai cristiani ad essere promotori di quiete pubblica e di
pace nelle relazioni umane. Un conto è lasciare che l’evangelo faccia sorgere il conflitto
spirituale (cosa inevitabile), un altro è tenere comportamenti che siano caratterizzati da
rissosità, irrequietezza, scontrosità, spirito di vendetta. Cosa avrebbe fatto Giasone dopo
essere finito sulle prime pagine dei giornali ed accusato come traditore? Avrebbe fatto le
sue vendette? Si sarebbe comportato ripagando col male il male che aveva subito? La
comunità cristiana, così scioccata da quei fatti, avrebbe assunto un comportamento antisociale, sospettoso, chiuso, litigioso?
No, i cristiani devono essere promotori di pace, operatori di quiete pubblica. Che il vangelo
faccia il suo corso e attizzi il suo fuoco, ma non deve essere il nostro comportamento a
fomentare inutili conflitti. Roma è una città molto irrequieta dove il tasso di litigiosità è
altissimo. Ci sono persone che già alla mattina presto hanno i nervi a fior di pelle. Molti
condomini vivono liti annose, il traffico è nevrotico, la vita pubblica è fonte di continui
scontri. La vita sociale è sempre sull’orlo di scoppiare. Saremo noi del tutto dentro questo
clima di nervosismo urbano o saremo noi persone che, in pace con Dio, vivono in pace
con gli altri?
2. Esempi di laboriosità
Ama et labora. Qui entriamo proprio nella regola di vita che Paolo insegna ai cristiani.
L’amore è centrale, ma anche il lavoro lo è. La qualità della vita cristiana si vede da come
uno lavora. C’erano due ostacoli al lavoro a Tessalonica. Uno era il giudizio negativo,
tipico della cultura greca, nei confronti del lavoro manuale. Questo era considerato l’attività
degli schiavi e soggetto quindi a spregio e denigrazione. Non così per la fede cristiana. Il
lavoro, anche quello con le mani, è una benedizione a cui i cristiani devono dedicarsi con
tutto loro stessi per la gloria di Dio e per provvedere ai propri bisogni. Dio ci ha dato la
testa, il corpo, le mani per lavorare, imitandolo. Qualsiasi lavoro lecito glorifica Dio ed è
una chiamata santa. Lavorando tra loro e con loro notte e giorno, Paolo aveva dato un
esempio da imitare (2,9).
Il secondo ostacolo al lavoro era interno al cristianesimo stesso. Come spiegherà nella
sezione successiva (4,13-18), la chiesa aspettava la seconda venuta di Gesù come se
fosse imminente, qualcosa che sarebbe accaduta di lì a qualche settimana, qualche mese,
massimo un anno. L’attesa della fine di tutto poteva spingere qualcuno a dire: “che senso
ha lavorare quando tra poco tutto finisce?”. La tentazione era quella di mollare il lavoro
subito. Paolo qui previene questo pericolo, insistendo che i cristiani sono coloro che
lavorano sempre, anche se sanno che siamo negli ultimi tempi. Una frase attribuita a
Martin Lutero bene illustra questo insegnamento: “Se il Signore tornasse domani, oggi
pianterei un albero”. Non è questo meraviglioso? La fede spinge al lavoro, alla laboriosità,
all’operosità. L’attesa della seconda venuta non inibisce il lavoro, ma lo stimola. Non
siamo salvati per opere, ma rispondiamo alla salvezza ricevuta con il lavoro. Qualunque
lavoro lecito è una benedizione. I cristiani sono quelli che lavorano, lavorano bene, e
lavorano in modo fruttuoso.
Roma non ha una buona performance sul piano della produttività del lavoro. La presenza
di molti uffici pubblici ha reso i ritmi del lavoro molto rilassati e poco efficienti. Vogliamo
essere promotori di un’etica del lavoro che onora il lavoro, ogni tipo di lavoro, vivendolo
come un campo di servizio per la gloria di Dio e il bene del prossimo? Vogliamo essere
cristiani operosi, efficienti e responsabili? Questo è un segno dell’amore per Dio. Ama et
labora.
3. Seminatori di dignità
Promotori di quiete, esempi di laboriosità e, per finire, seminatori di dignità. Il profilo
pubblico dei cristiani deve essere caratterizzato dalla dignità della vita e della persona che
vive la fede in Cristo. Paolo dice che il cammino cristiano verso quelli di fuori è tale se
percorre la strada della dignità (v. 12). Qui la dignità è associata al non dipendere in modo
assoluto ed irresponsabile dagli altri. Ciascuno, lavorando con le proprie mani, dovrebbe
essere messo nella condizione di condurre una vita degna. Non vuol dire essere ricchi e
avere un tenore elevato di vita. Significa vivere in modo da non creare dipendenze e
scandali, in modo indolente e pigro, passivo e parassitico.
I credenti sono persone vive. Vive spiritualmente, vive umanamente, vive socialmente. È
un brutto segno quando le vite dei cristiani sono spente, ripiegate su loro stesse, prive di
passioni e di visione. Il profilo pubblico della fede rivela la qualità della vita cristiana di una
persona e di una comunità.
Dio non li ha salvati per farli scappare da Tessalonica o per vivere in modo spento. Questi
cristiani non devono fuggire, fare vendette o vivere al ribasso. Devono essere
proattivamente impegnati nella testimonianza di un evangelo della fede, dell’amore e della
speranza. L’unica fede, il solo amore, la vera speranza che cambia la vita. Così è anche
per noi. Dio non ci ha chiamati per subire Roma soltanto, ma per re-imparare a vivere qui
secondo l’evangelo di Cristo e per sperare in un tempo di riforma secondo il suo evangelo.
Lui non ha dato la sua vita per soffocare la vita, ma per riaccenderla della passione giusta
e santa. Quella passione giusta e santa che ha messo nei cuori di tutti quelli che credono
in Lui. Sei tu fra questi? Promuovi la pace, lavora con impegno, vivi con dignità e il fuoco
dell’evangelo si spanderà intorno a noi, grazie a Dio e per la sua gloria!
Leonardo De Chirico