Abstract per sito

Transcript

Abstract per sito
IX CONGRESSO NAZIONALE MEDICI IN FORMAZIONE SPECIALISTICA
IN MEDICINA FISICA E RIABILITATIVA
MARKER BIOUMORALI NELL’ANZIANO FRAGILE: CONFRONTO DOPO INTERVENTO ALL’ANCA IN
ELEZIONE VS POST-TRAUMATICO
Valentina Gariboldi, Marco Limonta, Elisa Gualandris, Cecilia Perin, Cesare Cerri
Università degli Studi di Milano-Bicocca
INTRODUZIONE
La fragilità è una situazione biologica età-dipendente caratterizzata da riduzione delle risorse e delle
capacità adattative, dovuta al declino di più sistemi fisiologici, determinante disabilità, rischio di
istituzionalizzazione e mortalità. Le problematiche inerenti la fragilità includono un’aumentata vulnerabilità
per eventi avversi, disabilità transitoria, involuzione multisistemica, transitori deficit nelle ADL ed elevato
rischio di deterioramento fisico e cognitivo. Diversi sono i fattori indagati come determinanti di questo stato,
utili nella definizione della prognosi del paziente. In questo studio è stato preso in esame il ruolo di stato
nutrizionale e indici di stato infiammatorio come parametri utili al riconoscimento del “fenotipo fragile”
all’interno di una popolazione sottoposta a intervento chirurgico d’anca, valutando la correlazione con la
presenza di evento avverso determinante il ricovero e deterioramento cognitivo.
MATERIALI E METODI
Sono state analizzate retrospettivamente le cartelle cliniche dei ricoveri del periodo 2011-2013, effettuati
presso gli Istituti Clinici Zucchi di Carate Brianza per riabilitazione a seguito di intervento chirurgico d’anca.
Sono stati inclusi pazienti di età >65aa al momento dell’intervento e distanza di tempo di quest’ultimo dal
ricovero in riabilitazione <30gg. Sono stati individuati due gruppi di pazienti, operati in urgenza e in elezione,
2
poi confrontati sulla base di prevalenza di decadimento cognitivo (test X ), valutazione nutrizionale (5 quesiti
2
tratti dal Mini NutritionalAssessment, test X ) e parametri ematochimici infiammatori e nutrizionali (test t). In
2
una seconda fase dell’analisi si è proceduto a un confronto dei risultati della valutazione nutrizionale (test X )
e dei parametri ematochimici tra pazienti con decadimento cognitivo e pazienti non affetti da decadimento
(test t).
RISULTATI
Sono state valutate 510 cartelle cliniche, di cui 277 soddisfacenti i criteri di inclusione. In 273 erano presenti
ematochimici completi all’ingresso, in 255 la valutazione nutrizionale. 167 pazienti sono stati operati per
frattura, 100 a seguito di processo degenerativo; nel primo gruppo 46 erano affetti da decadimento cognitivo,
nel secondo 3 (p<0,000). Non è stata trovata correlazione significativa tra i quesiti della valutazione
nutrizionale e l’appartenenza a uno dei due gruppi o differenze nei parametri ematochimici: solo il valore
medio di BMI è risultato diverso (22,955 vs 25,916, p<0,000). Il confronto tra affetti da decadimento cognitivo
vs non affetti non ha permesso di evidenziare differenze significative relativamente alla valutazione
funzionale e al BMI (23,205 vs 24,279, p=0.061); sono risultate diverse albuminemia (media 3,344 vs 3,518,
p=0,004) e PCR in ingresso (40,604 vs 29,193, p=0.033). La proteinemia era inferiore in soggetti con
decadimento moderato/grave rispetto a soggetti privi di deficit cognitivi (6,096 vs 6,302, p=0,0186).
CONCLUSIONI
Il declino cognitivo nell’anziano trova correlazione con l’aumentata vulnerabilità per gli eventi avversi, ciò
conferma l’importanza di un’attenta valutazione degli aspetti cognitivi del paziente fragile ai fini preventivi e di
cura. Di sicuro interesse è anche l’associazione, evidenziata dai dati di laboratorio, fra elevazione dei marker
di stato infiammatorio e problematiche definenti lo stato di fragilità, per le quali invece non è stato possibile
dimostrare una relazione con gli indicatori di stato nutrizionale.
HIP STRUCTURAL ANALYSIS (HSA) IN DONNE POST-MENOPAUSA CON STORIA DI FRATTURE
D’ANCA
Giovanni Cannaviello, Giovanni Iolascon, Raffaele Gimigliano
Scuola di specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa della Seconda Università degli Studi di Napoli
(SUN)
INTRODUZIONE
La frattura dell’estremità prossimale del femore, uno dei maggiori problemi sanitari, è correlata alla fragilità
ossea, a sua volta conseguenza di una diminuzione della massa e della qualità dell’osso. La Dual XRayAbsorptiometry (DXA) ci permette una quantificazione precisa ed accurata della massa ossea intesa
come densità minerale ossea (BMD). La qualità dell’osso non ha a tutt’oggi un gold standard di valutazione
strumentale. La Hip Structural Analysis (HSA) fornisce informazioni sulla geometria e quindi sulla struttura
tridimensionale dell’osso, partendo dall’elaborazione mediante specifico software dell’immagine DXA.
I parametri forniti da questa analisi sono strettamente correlati alla resistenza meccanica dell’estremo
prossimale di femore.L’obiettivo di questo studio è valutare le proprietà meccaniche del femore prossimale
mediante HSA in un gruppo di donne in post-menopausa con pregressa frattura dell’estremità prossimale di
femore in confronto a donne in post-menopausa non fratturate.
MATERIALI E METODI
Abbiamo analizzato una popolazione di donne di età superiore ai 60 anni, suddividendola in due gruppi:
donne con storia di frattura di femore, e un gruppo di controllo di donne in post-menopausa senza storia di
frattura di femore. In tutte le partecipanti è stata misurata la BMD con densitometria ossea (metodo DXA) ed
è stata effettuata una valutazione della geometria ossea mediante la HSA (eseguita nelle donne con
pregressa frattura sul femore controlaterale) e gli indici da essa esaminati: femoralstrengthindex (FSI), crosssectional moment of inertia (CSMI), cross-sectional area (CSA), sectionmodulus (Z) e buckling ratio (BR).
RISULTATI
2
Delle 64 donne in post-menopausa (con età media di 74,94 anni e BMI medio di 27,9 kg/m ), 26 con storia di
2
frattura di femore (con età media di 76,46 anni e BMI medio di 26,4 kg/m ) avevano una BMD media del
2
collo femorale = 0,703 g/cm ; le 36 donne considerate come controllo (con età media di 73,83 anni e BMI
2
2
medio di 28,9 kg/m ) avevano una BMD = 0,768 g/cm .
Alla HSA le donne con storia di frattura femorale avevano rispetto alle donne considerate come controllo
4
valori inferiori di tutti gli indici di resistenza femorale: FSI medio (1,37 vs 1,44), CSMI medio (9597,73 mm
4
2
2
3
vs 9652,06 mm ), CSA media (116,08 mm vs 119,83 mm ), sectionmodulus medio (512,41 mm vs 526,33
3
mm ). Il BR medio, indice di instabilità della corticale ossea, è risultato maggiore nelle donne con pregressa
frattura femorale (10,41 vs 10,14).
DISCUSSIONE
Osservando le differenze tra i due gruppi appare evidente come la frattura dell’estremo prossimale di femore
nelle donne in post-menopausa sia correlata anche alla geometria dell’osso. Pertanto questo studio valuta
nuove prospettive nella prevenzione delle fratture del femore prossimale, evidenziando la possibilità di
ottenere un maggior numero di informazioni sulle proprietà meccaniche dell’osso attraverso la HSA.
L’integrazione del dato densitometrico con i dati sulla distribuzione spaziale della massa ossea ottenuti dalla
HSA potrebbe essere utile per identificare i soggetti a rischio elevato di frattura d’anca.
CONCLUSIONI
I nostri risultati mettono in evidenza l’esigenza per la valutazione del rischio di frattura di un’analisi più
approfondita dell’estremo prossimale del femore, che tenga conto non solo del dato quantitativo fornito dalla
BMD, ma anche di parametri di tipo geometrico derivanti dalla HSA, utili per determinare la resistenza ossea.
LA RIABILITAZIONE DELLE FRATTURE VERTEBRALI DA FRAGILITA': ESPERIENZA DI UN
AMBULATORIO MULTIDISCIPLINARE
F. Falossi, C. Genovesi, I. Celauro, F. Papini, M. Scali, A. Menconi, G. Raffaetà (Pisa)
INTRODUZIONE
L’osteoporosi e le fratture vertebrali hanno un considerevole impatto sulla qualità della vita degli individui.
Questo è dovuto al dolore, alla limitazione delle attività e della partecipazione sociale e spesso ad un
alterato stato psicologico. Una delle conseguenze più frequenti di queste fratture sono le alterazioni
posturali. La cifosi toracica, la protusione della testa e nei casi più gravi la flessione delle ginocchia sono le
principali caratteristiche della postura flessa. Gli effetti di questa postura alterata sono soprattutto la
sintomatologia dolorosa legata ad un inappropriato allungamento muscolo-tendineo ed alla iperlordosi
compensatoria, nonché un alterato controllo dell’equilibrio statico e dinamico. Nonostante queste
conseguenze, gli effetti della postura sul livello di disabilità di queste persone sono scarsamente compresi.
Ad oggi c’è evidenza che le fratture vertebrali determinino alterazioni dell’equilibrio ma sono pochi gli studi
che hanno esaminato l’effetto che il grado di cifosi e il grado di postura flessa hanno su le alterazioni
dell’equilibrio in pazienti con osteoporosi. Lo scopo del nostro studio è valutare se il grado di postura flessa,
in una popolazione di pazienti osteoporotici con frattura vertebrale, sia una discriminante corretta nella
valutazione delle conseguenze sul controllo posturale e sul diverso grado di disabilità.
MATERIALI E METODI
Abbiamo esaminato 33 pazienti mediante scheda anamnestica, parametri ematici, scala VAS, scala Barthel,
CIRS, GDS forma breve, EQ-5D, test del cammino, BMI, parametri antropometrici e esame stabilometrico e
baropodometrico statico. I pazienti sono stati suddivisi in sottogruppi a seconda del grado di postura flessa
prendendo come parametro la distanza occipite-muro.
RISULTATI
Non abbiamo osservato nessuna differenza significativa tra i sottogruppi sia riguardo i parametri
stabilometrici che quelli clinici.
CONCLUSIONI
Il nostro studio dimostra che il livello di postura flessa sembra non essere una discriminante valida per
individuare persone con alterazioni dell’equilibrio ed alto grado di disabilità tra i pazienti affetti da fratture
vertebrali da fragilità. Sarebbe interessante approfondire gli studi su questa popolazione perché
consentirebbe di individuare con più precisione e precocemente quelle che sono le persone che necessitano
maggiormente di un trattamento fisioterapico. Inoltre potrebbe essere importante anche per sviluppare
protocolli di trattamento riabilitativi incentrati sul miglioramento del controllo posturale il più possibile mirati e
personalizzati.
IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO INTEGRATO ALLA TERAPIA FARMACOLOGICA CON ANTICORPO
anti-RANKL
C.Asaro, A.Palermo, L.Tumminelli, F.Culmone, L.Lauricella, D.Scaturro, G.Letizia Mauro
Università degli Studi di Palermo – U.O.C. di “Riabilitazione” - Direttore: Prof. Giulia Letizia Mauro
L’osteoporosi è un disordine scheletrico caratterizzato da una compromissione della resistenza dell’osso che
predispone ad un aumentato rischio di fratture. Le fratture da fragilità, soprattutto quelle vertebrali e del
femore prossimale, comportano gravi conseguenze sia a livello clinico individuale che sociale ed economico.
Lo scenario farmacologico per il trattamento dell’osteoporosi include numerosi farmaci fra cui
antiriassorbitivi, ormonali e osteoanabolizzanti. Nel tentativo di superare il problema della scarsa aderenza ai
farmaci antifratturativi sono stati identificati nuovi target terapeutici che hanno consentito la semplificazione
delle modalità di somministrazione e l’estensione dell’intervallo posologico. Fra i farmaci innovativi,
denosumab è un anticorpo monoclonale diretto specificatamente contro il RANKL, uno dei mediatori
principali dell’attività degli osteoclasti, essenziale per la loro formazione, attivazione e sopravvivenza. La
neutralizzazione del RANKL comporta la riduzione del riassorbimento osseo e l’incremento della massa
(corticale e trabecolare), del volume e della resistenza dell’osso.Il nostro studio ha valutato la riduzione del
dolore, l’incidenza di nuove fratture da fragilità, le eventuali modificazioni della BMD a livello lombare e
femorale e l’effetto sui marcatori sierici del turnover osseo, dopo 24 mesi di trattamento con denosumab.
Presso l’U.O.C. di “Riabilitazione” dell’A.O.U.P. “P. Giaccone”di Palermo sono stati sottoposti a trattamento
farmacologico con anticorpo monoclonale, tra Marzo 2013 e Marzo 2015, 54 donne affette da osteoporosi di
età compresa fra i 64 e i 82 anni (età media 73 anni). I criteri di inclusione considerati sono stati: almeno
una frattura vertebrale o di femore, valori di T-score (alla DEXA) minori di -4 o di -3 più un fattore di rischio
(familiarità per fratture da fragilità, AR e altre connettiviti, pregressa frattura osteoporotica al polso,
menopausa precoce, terapia cortisonica cronica).Tutte le pazienti hanno eseguito, oltre agli esami ematici e
delle urine di routine, il dosaggio dei seguenti markers sierici del turnover osseo: telopeptide-C terminale del
collagene di tipo I e fosfatasi alcalina isoenzima osseo, al tempo basale (T0), a 6 mesi (T1), 12 mesi (T2), 18
mesi (T3) e 24 mesi (T4); inoltre hanno effettuato DEXA lombare e femorale ed esame Rx grafico in 2P del
rachide dorso-lombare con conta morfometrica al tempo T0 e al tempo T4. Tutte hanno eseguito un
trattamento farmacologico che prevedeva una somministrazione sottocutanea di 60 mg di denosumab ogni 6
mesi e una supplementazione settimanale di 125 mcg di calcifediolo; 16 soggetti, che presentavano fratture
vertebrali sintomatiche, hanno associato alla terapia medica un progetto-programma riabilitativo
comprendente rieducazione funzionale e magnetoterapia.
Dall’analisi dei dati è emerso che denosumab ha ridotto il rischio di nuove fratture osteoporotiche e ha
determinato l'aumento della BMD a livello lombare e femorale. Inoltre abbiamo osservato, nei pazienti che
presentavano al momento dell’arruolamento un ipovitaminosi D, un rapido rientro nel range fisiologico e la
riduzione dei marcatori sierici di riassorbimento valutati, già dal tempo T1 e durante l’intero periodo di
studio. I soggetti infine sottoposti al trattamento riabilitativo hanno mostrato un netto miglioramento della
sintomatologia algica che e conseguentemente hanno mostrato una migliore qualità di vita rispetto alle
pazienti sottoposte alla sola terapia farmacologica.
Concludendo, Denosumab rappresenta un trattamento innovativo e promettente per l’osteoporosi. Il regime
di somministrazione sottocutaneo semestrale si è dimostrato efficace nell’aumentare la compliance con
conseguente miglioramento dell’efficacia terapeutica. L’associazione con il trattamento riabilitativo sembra
infine, relativamente ai dati disponibili, l’approccio più vantaggioso in termini di riduzione del dolore e di
qualità di vitadei pazienti.
VALUTAZIONE DELL’OUTCOME CLINICO E FUNZIONALE DOPO RIPARAZIONE CHIRURGICA DEL
TENDINE DEL BICIPITE BRACHIALE
Giumelli R.,Galuppo L., Calderazzi F., Ceccarelli F.,Costantino C. (Parma)
INTRODUZIONE
La rottura del tendine distale del bicipite brachiale è un evento la cui incidenza è di 0,9 -1,8 casi su 100.000
pazienti l'anno. Si verifica soprattutto in pazienti di sesso maschile tra 40 e 60 anni, quando si tenta di sollevare
un oggetto molto pesante e si esegue una contrazione eccentrica. La reinserzione del tendine distale alla
tuberosità radiale viene effettuato con suture standardizzate (Bunnell, Kessler o Krackow) o ancorette. Scopo dello
studio è valutare il recupero dell’arto operato in termini di prestazioni muscolari, mediante valutazioni clinicostrumentali.
MATERIALI E METODI
Sono stati valutati 15 pazienti maschi, destrimani, con rottura completa del tendine distale del bicipite brachiale,
con le scale QuikDASH (disabilità all’arto superiore), Bromberg and Morrey Rating System (funzionalità) e MEPI
(limitazioni durante le ADL). Inoltre è stata registrata la prestazione muscolare con il dispositivo MuscleLab. Dopo
aver definito il peso massimale sollevabile per ciascun arto superiore, abbiamoeffettuato 2 prove per entrambi gli
arti. Tra unaprova e l'altra è stato concesso un periodo di riposo di 10 minuti, perconsentire un adeguato recupero
muscolare ed evitare un eccessivo affaticamento che potesse alterarei risultati dei test. Si è registrato
bilateralmente con Linear Encoder (media di tre ripetizioni), la forza e la potenza massima espressa durante il
sollevamento di un peso sub massimale, la forza e la potenza massima e media espressa durante l’esercizio di
endurance eseguito con il 50% del peso massimale (n° ripetizioni in 60 s).
RISULTATI
Abbiamo confrontato le medie dei valori ottenuti tra l’arto sano e quello operato considerando statisticamente
significativo un valore di p<0,005. La differenza delle medie tra arto lesionato e arto sano relativamente al peso
massimo sollevato è risultata statisticamente significativa a favore dell’arto sano (p:0,006). Nelle prove di forza
massimale, forza media ed integrale espressa durante l’esercizio di endurance, la differenza è risultata
statisticamente significativa a favore dell’arto sano, con valori rispettivamente di p:0,010, p: 0,04, p: 0,006. Anche
nelle prove di forza massimale e media espresse durante l’esercizio sub massimale, la differenza registrata è stata
statisticamente significativa (p: 0,046, p: 0,010). Per quanto riguarda il recupero funzionale, il valore medio dello
score nella QuickDASH nell’arto operato è stato 3,41(score 0–100 con incremento progressivo rispetto alla
disabilità); il valore medio nel MEPI è stato 93 indicando un recupero della funzionalità eccellente (score 0-100,tra
90-100:recupero eccellente);nel Bromberg and Morrey rating system il punteggio era 90,86 indicando un buon
recupero funzionale (massimo recupero di funzionalità 100/100).
CONCLUSIONI
Possiamo concludere che in relazione agli outcomes considerati, i pazienti arruolati nel nostro studio, non abbiano
totalmente recuperato la forza media e massimale nelle prove di endurance e di esercizio sub massimale. La
potenza espressa negli stessi test sembra invece essere recuperata, così come la funzionalità dell’arto superiore.
Da questa osservazione nasce la necessità di elaborare un protocollo riabilitativo specifico al fine di ottenere il
recupero funzionale e della forza muscolare pre-lesionale.
I BISOGNI RIABILITATIVI DEI PAZIENTI OPERATI PER TUMORE MUSCOLO-SCHELETRICO:
RISULTATI DEL PROGETTO ON-REHAB
Parisini Federica, Mariani Elisabetta, ErfeDelayonSilayan, Colangeli Marco, Ferrari Stefano, Manfrini Marco,
Springhetti Isabella, Benedetti Maria Grazia
Scuola di Medicina Fisica e Riabilitativa dell’Università di Bologna.
INTRODUZIONE
I tumori maligni primitivi dell’apparato muscolo-scheletrico rappresentano una malattia rara che colpisce
principalmente l’osso in accrescimento. Grazie all’attuale combinazione tra trattamento chirurgico e
chemioterapico, associata ai miglioramenti ottenuti in ambito diagnostico, la sopravvivenza dei pazienti affetti
da tale patologia è notevolmente aumentata. Tuttavia, un elevato numero di pazienti, per lo più di giovane
età, sopravvive con una disabilità legata allo stesso tumore o al trattamento perseguito. Lo scopo di questo
lavoro è pertanto quello di individuare i bisogni riabilitativi dei pazienti affetti da tumori maligni primitivi
dell’osso.
MATERIALI E METODI
Sono stati reclutati 29 pazienti con diagnosi di tumore primitivo dell’osso. Con questionari miratie condivisi
nell’ambito del Progetto On-Rehabsono stati indagati i seguenti ambiti: demografico, oncologico, psicologico
e riabilitativo. 29 pazienti sono stati valutati nell’immediato post-operatorio, 25 pazienti a distanza di 6 mesi
ed 11 pazienti a 10-12 mesi dall’intervento.
RISULTATI
Il questionario BFI (Brief Fatigue Inventory) ha registrato un valore medio di 4.27, 2.57, 2.28 rispettivamente
nella prima, seconda e terza valutazione. Secondo la Scala Numerico Analogica (VAS) il valore medio del
dolore è risultato 3.31 alla prima valutazione, 0.52 alla seconda e 1.09 all’ultima. Il questionario McGill per il
dolore è stato compilato in 15 pazienti alla prima valutazione ed in 2 pazienti alla terza (riportando
rispettivamente i valori 7.33 e 1.5 per la componente sensitiva, 1.67 e 12.5 per la componente emotiva). La
necessità del controllo del dolore è stata maggiore durante il primo ricovero ed ha richiesto l’impiego di
analgesici nel 75.8% dei casi. Il supporto riabilitativo ha riguardato essenzialmente l’aspetto neuromotorio
(miglioramento del ROM, rinforzo muscolare, ricondizionamento globale, coordinazione segmentale, esercizi
per equilibrio e adattamenti posturali) e il miglioramento dell’autonomia domestica ed extradomiciliare.
Durante il primo ricovero, è stato rilevato anche il bisognodi un intervento in ambito assistenziale
(counselling, cura della persona) ed occupazionale (prescrizione di ausili od ortesi e reinserimento sociale e
lavorativo). Lo score ottenuto con il questionario EORTC, riguardante la qualità di vita, è progressivamente
aumentato durante le tre valutazioni (rispettivamente 48.80, 71.42 e 82.14). Il valore ottenuto con il PDI
(PsychologicalDistress Inventory) è stato rispettivamente 26.23, 21.75 e 23.6, mentre i risultati del CNA
(CaregiverNeedsAssesment)sono stati 32.69, 27.95 e 31.7 rispettivamente alla prima, alla seconda e alla
terza valutazione.
CONCLUSIONI
I dati raccolti forniscono informazioni importanti riguardo i principali bisogni riabilitativi dei pazienti trattati in
seguito a diagnosi di tumore dell’apparato muscolo-scheletrico. In particolare, tali bisogni si possono cosi
sintetizzare: necessità di rieducazione neuromotoria, di recupero autonomia domiciliare ed extra-domiciliare,
di appropriato controllo del dolore, in particolare nel periodo post-operatorio, d’ intervento in ambito
assistenziale, di supporto psicologico ed occupazionale (attività personali, lavorative, scolastiche e sociali).
L’identificazione di tali aspetti può garantire un approccio migliore a questa categoria di pazienti, grazie alla
possibilità di definire percorsi riabilitativi mirati.
EFFICACIA A LUNGO TERMINE DEL TRATTAMENTO INFILTRATIVO CON DIFFERENTI
FORMULAZIONI DI ACIDO IALURONICO NELLA TENDINOPATIA DELLA CUFFIA DEI ROTATORI
Frizziero Antonio, Vittadini Filippo, Gasparre Giuseppe, Nogara Matteo, Masiero Stefano
U.O.C. Riabilitazione Ortopedica, Azienda Ospedaliera – Scuola di Medicina Fisica e Riabilitativa, Università
di Padova
INTRODUZIONE
La patologia della cuffia dei rotatori rappresenta una delle più comuni cause di spalla dolorosa ed
ècaratterizzata da diversi gradi patologici che vanno dalla sofferenza tendinea fino alle lesioni parziali o
complete dei tendini, fra cui il più rappresentato è il sovraspinato. Tali condizioni si associano nella gran
parte dei casi anche a borsite sub-acromiale e tenosinovite del capo lungo del bicipite omerale. Nonostante
sia principalmente determinata dal sovraccarico funzionale, vi è un crescente interesse verso le possibili
correlazioni con sottostanti patologie endocrine e metaboliche come squilibri ormonali tiroidei ed estrogenici,
il diabete e l'ipercolesterolemia. Il sintomo più frequenti della tendinopatia della cuffia sono il dolore, nelle
sue più diverse e tipiche manifestazioni e il conseguente deficit funzionale.Sono stati proposti dagli autori
molteplici approcci terapeutici ma ancora non esiste un condiviso consenso sulle modalità di trattamento.
Fra tutti le iniezioni intra-articolari con corticosteroidi, ancora molto utilizzate, data la loro efficacia sul dolore
a breve termine, presentano importanti effetti indesiderati che ne limitano l’utilizzo a lungo termine. E’ di
recente introduzione nella pratica clinica della spalla dolorosa il trattamento infiltrativo con acido ialuronico,
tuttavia non ci sono ancora evidenze sulla sua efficacia a lungo termine. Inoltre esistono differenti
formulazioni di questo dispositivo, che si differenziano principalmente nel peso molecolare e nella
concentrazione.
Lo scopo del nostro studio è stato quello di comparare l’efficacia clinica a lungo temine di due diverse
formulazioni di acido ialuronico entrambe addizionate a 0,5 cc di triamcinoloneacetonide.
MATERIALI E METODI
Sono stati reclutati 55 pazienti con spalla dolorosa da tendinopatia della cuffia dei rotatori e randomizzati in
singolo-cieco in due gruppi di 27 e 28 pazienti. Tutti i pazienti inclusi dovevano soddisfare tutti i criteri di
inclusione ed esclusione. Il Gruppo A di 28 pazienti è stato sottoposto ad un ciclo di 3 infiltrazioni di Hyalgan
® (500-730 kDa) con l'aggiunta di 0,5 ml di triamcinoloneacetonide. Il Gruppo B di 27 pazienti è stato
sottoposto ad un ciclo di 3 infiltrazioni di Sinovial ® (800-1200 kDa) con l'aggiunta di 0,5 ml di
triamcinoloneacetonide. Le infiltrazioni sono state eseguite tutte dallo stesso operatore esperto mentre i
questionari sono statisomministrati da un altro operatore che non era a conoscenza del gruppo di inclusione
del paziente. Il grado di dolore e la funzionalità articolare sono stati valutati mediante i questionari DASH e
Constant-Murley. Tutti i parametri sopra indicati sono stati valutati prima del ciclo infiltrativo, al termine del
trattamento infiltrativo (V1) e a 4 (V2), 12 (V3), 24 (V4), 52 settimane (V5) dall'ultima infiltrazione.
RISULTATI
I dati emersi sulla riduzione del dolore edil recupero funzionale valutati con scala DASH e ConstantMurleysono risultati statisticamentesignificativi in entrambi i gruppi al termine del ciclo infiltrativo (p < 0.05), a
4 settimane (p < 0.05), a 12 settimane e a 52 settimane rispetto al baseline (p<0.05). Non sono staterilevate
differenze statisticamente significative nella comparazione tra le due formulazioni di acido ialuronico clinica
dell’AI con basso PM rispetto all’AI ad intermedio PM in tutte le valutazioni effettuate durante il follow-up
(IC:95%; α=0.05). Le medie delle scale DASH e Constant rilevate in V4 e V5 confrontate in parallelo
mostrano che nel Gruppo B vi è una differenza statisticamente significativa tra i punteggi rilevati in V4 e
quelli rilevati in V5 nella scala DASH (p= 0.0250; m= -8.9, IC= 95%) e nella scala Constant (p< 0.0001; m=
9.0, IC= 95%), mentre nel Gruppo A una differenza statisticamente significativa tra V4 e V5 nella scala
Constant (p=0.0202; m= 7.2, IC= 95%) ma non significativa per la valutazione effettuata mediante scala
DASH (p=0.1969; m=-5,IC=95%).
CONCLUSIONI
Entrambe i trattamenti risultano efficaci nel diminuire rapidamente il dolore e conseguentemente nel
recupero funzionale sia nel breve periodo che ad 1 anno di follow-up. L’associazione con
triamcinoloneacetonide ha permesso di limitare gli effetti collaterali dei corticosteroidi, esaltando le proprietà
dell’acido ialuronico a lungo termine. I dati emersi suggerirebbero l'utilità della ripetizione dei cicli infiltrativi
con AI in pazienti affetti da tendinopatia della cuffia ogni 6 mesi al fine di mantenere e migliorare
ulteriormente la prognosi clinica del paziente affetto da spalla dolorosa prima della ricomparsa della
sintomatologia.
TERAPIA INFILTRATIVA ECOGUIDATA CON ACIDO IALURONICO NEL TRATTAMENTO DELLA
RIZOARTROSI DI GRADO MEDIO. CONFRONTO TRA DIVERSI PROTOCOLLI DI TRATTAMENTO
Simona Pascali, Donatella Caccia, Enrico Bruno, Valerio Pasini, Mario Vetrano, Maria Chiara Vulpiani,
Vincenzo Maria Saraceni.
Medicina Fisica e Riabilitativa Facoltà di Medicina e Psicologia Sapienza Roma.
INTRODUZIONE
L’artrosi trapezio-metacarpale (TM) rappresenta una condizione caratterizzata da dolore alla base del
pollice, instabilità, deformità e limitazione della funzionalità della mano. La gravità dell'artrosi TM viene
valutata radiograficamente dalla classificazione di Eaton-Littler (E-L). Gli effetti della terapia infiltrativa con
HA dipendono dalle proprietà viscoelastiche dell’HA iniettato, conseguenza del PM utilizzato. Sono descritti
effetti viscoinduttivi per i preparati a basso PM e viscosupplementativi per quelli ad alto PM.
Scopo dello studio: Valutare gli effetti su dolore e funzionalità di tre protocolli di infiltrazione ecoguidata di HA
a livello della TM differenti per PM dell’HA utilizzato e per numero di infiltrazioni eseguite, in pazienti affetti
da rizoartrosi di grado II secondo E-L.
Tipo di studio: Studio Prospettico Randomizzato
MATERIALI E METODI
Da Gennaio 2012 a Marzo 2013 sono stati reclutati 30 pazienti consecutivi, con artrosi sintomatica da
almeno 6 mesi, grado II di E-L, limitazione funzionale nelle AVQ, dolore pari a 5 secondo la scala VAS.I
pazienti sono stati assegnati in maniera casuale a uno dei 3 gruppi di trattamento: Gruppo A: 5 infiltrazioni di
HA PM 500-730 KDa 1 ml (1 infiltrazione a settimana per 5 settimane); Gruppo B:3 infiltrazioni (1 a
settimana) di HA PM 2.800 KDa 1 ml; Gruppo C:1 infiltrazione di HA PM 500-730 KDa 1 ml. Tutte le
infiltrazioni sono state eseguite con ecoguida. Per la valutazione clinica e funzionale sono state utilizzate:
VAS, DASH score, DASH work, Kapandji, Grind Test. Tutte le valutazioni sono state effettuate prima del
trattamento (T0), dopo 1 mese (T1), 3 mesi (T2) e 5 mesi ( T3).
Analisi Statistica:Per le variabili continue, i gruppi sono stati confrontati attraverso l’analisi della varianza con
il post hoc, come appropriato. Per le variabili non continue è stata utilizzata la Kruskal-Wallisanalysis,
seguita dal confronto post-hoc con il Mann-Whitney U-test. La Friedmananalysis è stata utilizzata per il
confronto withingroup.
RISULTATI
I tre gruppi di pazienti, ad una prima valutazione pre-trattamento, risultano omogenei riguardo tutti i
parametri da noi analizzati (VAS, Kapandji, Grind Test, DASH score, DASH work). In tutti i gruppi sono stati
evidenziati miglioramenti statisticamente significativi nelle diverse scale di valutazione ai vari follow-up
rispetto al valore pre trattamento. Non sono state trovate differenze statisticamente significative sul dolore e
sull’articolarità all’analisi statistica intergruppo. Per quanto riguarda la funzionalità della mano, sono state
trovate differenze significative solo tra i due gruppi a basso PM.
CONCLUSIONI
Il trattamento di viscosupplementazione nell’artrosi TM di medio grado determina ottimi risultati in termini di
riduzione del dolore a breve termine e miglioramento della funzionalità. Questi benefici persistono fino al
quinto-sesto mese post trattamento, non sono state riportate differenze significative di efficacia in base al
numero di sedute effettuate, consigliamo di effettuare un’unica infiltrazione. Inoltre, l’utilizzo dell’ecoguida
permette una più precisa localizzazione.
CONDROTOSSICITA’ DEI FARMACI NELL’INFILTRAZIONE INTRA-ARTICOLARE
Serenella Bacciu, Alberto Migliore, Calogero Foti.
Scuola di Medicina Fisica e Riabilitativa c/o Università di Roma, Tor Vergata.
La condrotossicità dei farmaci utilizzati per l’infiltrazione intra-articolare può essere espressa perlopiù in
termini di tossicità sulle cellule cartilaginee (vitalità o mortalità dei condrociti) o come alterata sintesi delle
proteine della matrice cartilaginea (specialmente collagene di tipo II e proteoglicani). Sostanze iniettive intraarticolari comunemente utilizzate per il loro effetto analgesico, antiinfiammatorio o rigenerativo sono i
cortisonici, gli anestetici locali, gli acidi ialuronici, l’ ozono, il PRP (plateletrich plasma), le cellule staminali e
altri svariati medicaldevices (arnica, bifosfonati, glucosamina etc.). Meno utilizzati sono invece i FANS.
Attualmente non esistono linee guida sul management dei farmaci intra-articolari, ma solo raccomandazioni
di società mediche internazionali che appaiono comunque contradditorie. Una visione più uniforme su ciò
che attualmente è lo stato dell’arte sulla condrotossicità farmacologica ce l’hanno data trials clinici in vitro e
in vivo (sugli animali e sull’uomo) e studi sistematici comparativi e non, sui farmaci iniettivi intra-articolari. Ne
è risultato che esistono evidenze scientifiche di condrotossicità dose e tempo dipendente di cortisonici,
anestetici locali e FANS. Riguardo gli altri farmaci e medicaldevices, in letteratura non abbiamo riscontrato
prove scientifiche di tossicità cartilaginea. Probabilmente ulteriori trials randomizzati controllati sono
necessari per valutarne e confrontarne l’efficacia e la sicurezza. Infine, possiamo affermare che un uso
razionale dei farmaci intra-articolari potenzialmente condrotossici con dose e tempo di somministrazione
prestabiliti o con l’ausilio di particolari drug delivery systems, ne migliora l’efficacia e ne aumenta la sicurezza
per il paziente.
STUDIO RETROSPETTIVO SULLA TALALGIA INFERIORE NEL CALCIATORE E PROPOSTE DI LINEE
GUIDA DI TRATTAMENTO
Saggini R.,Capogrosso F. , Carmignano S.M., Ancona E., Barassi G., Bellomo R.G.
Scuola di Medicina Fisica e Riabilitativa – Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara
I piedi rappresentano la struttura portante del corpo per tutta la vita e nelle più diverse circostanze. Sono
esposti a continui e prolungati stress, di solito fisiologici, che sono facilmente assorbiti senza conseguenze
per la loro struttura, adeguatamente adattato per dissipare forze nella reazione di vincolo suolo piede.
Questo assorbimento si verifica anche, entro determinati limiti, per i carichi eccedenti quelle normali, data la
grande riserva funzionale. Tuttavia, quando il carico supera la resistenza dei tessuti del piede, dovuti a
microtraumi ripetuti, possono verificarsi lesioni di gravità variabile, che vanno dai fenomeni reattivi alla
rottura. La caratteristica fondamentale di tutti questi eventi è che sono sempre accompagnati da dolore. Dato
l'alto numero di strutture algo-sensibili nel piede, come ossa, periostio, articolazioni, cartilagini, sinovia,
legamenti, tendini, capsule, fascia, muscoli, vasi, nervi, talvolta in stretta connessione tra loro, è facile capire
come il dolore possa essere il sintomo comune e unico nell’esordio della patologia. Va inoltre notato che
varie patologie metaboliche (iperuricemia, diabete), degenerative (osteoartrite), reumatiche (acute e
croniche), così come l'osteoporosi, possono influenzare funzionalmente e strutturalmente i piedi, causando
dolore di varia intensità.
Obiettivo dello studio: mettere in evidenza le diverse eziologie e aspetti fisiopatologici della talalgia inferiore
nei calciatori e individuare i metodi di riabilitazione specifici per ogni eziologia.
Disegno: Studio retrospettivo
E’ stata studiata la prevalenza e le caratteristiche del dolore al tallone inferiore in 1473 pazienti, di cui 960
inclusi, dal 1992 al 2012 di età compresa tra i 18 e i 43 anni. I soggetti sono stati classificati in base al
disturbo dominante diagnosticato mediante esame clinico obiettivo, test funzionali ed esami strumentali; il
dolore soggettivo è stato valutato con scala VAS (Visual Analogue Scale), la disabilità con scala FADI
(piede e della caviglia Disability Index) e la disabilità dovuta ad un eventuale dolore lombare con
OswestryDisability Index. Ogni paziente è stato trattato con protocolli specifici per l’eziologia del disturbo.
Dall’analisi retrospettiva possiamo evidenziare come l’eziologia della talalgia inferiore possa essere
classificata in cause meccaniche, neurologiche, traumatiche e reumatologiche di cui quelle più frequenti
sono: da compressione del nervo surale, da compressione del nervo abduttore del V dito, da atrofia e
infiammazione del batuffolo adiposo, da fascite plantare inserzionale, da lesione da stress dello sperone
calcaneare, da frattura da stress del calcagno, da sperone calcaneare.
L’analisi dei risultati ottenuti nei vari anni di intervento mettono in evidenza un miglioramento in percentuale
maggiore alle scale di valutazione e agli esami strumentali dei pazienti trattati negli ultimi dieci anni, grazie
all’implementazione delle energie fisiche evolute e delle possibilità tecnico-diagnostiche.
Secondo quanto osservato nel presente studio e considerato il progresso tecnologico raggiunto negli ultimi
anni e le evidenze maturate con la nostra esperienza, proponiamo delle linee guida per un approccio
terapeutico integrato specifico per ogni categoria eziologica di talalgia inferiore.
VALUTAZIONE DI EFFICACIA DEL TRATTAMENTO COMBINATO CON PRP E RIABILITAZIONE
NELLA TENDINOPATIA ACHILLEA
G. Gays, A. De Marchi, E. Cenna, G. Massazza
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università di Torino
INTRODUZIONE
L’obiettivo del lavoro è stato studiare le modificazioni ecografiche e clinicheindotte da un trattamento con
PRP, in combinazione con un percorso riabilitativo, nella tendinopatiaachillea cronica.
MATERIALI E METODI
Sono stati considerati 24 casi (16 uomini e 8 donne, età 43-73 anni) di tendinopatia monolaterale, refrattaria
a terapie farmacologiche (FANS e infiltrazioni steroidee) e fisiche e caratterizzata all’esame ecografico da
ispessimento e/o perdita del normale pattern fibrillare della porzione intermedia del tendine. Tutti i pazienti
sono stati sottoposti, prima del trattamento e a sei mesi dal termine (post-trattamento), al seguente
protocollo: i) valutazione del dolore con le seguenti scale: item “Pain” della scalaWOMAC (WP) e item “Pain”
della scala EQ-5D-3L (EQP), ii) valutazione della qualità della vita con scala EQ-VAS; iii) indagine ecografica
con studio Power Doppler per la valutazione di spessore e vascolarizzazione del tendine. Sono state
effettuate tre infiltrazioni ecoguidateintratendinee, a distanza di due settimane l'una dall’altra, con preparato
PRP (contenuto di piastrine in ogni inoculo: 6 ± 2 milioni). Il progetto riabilitativo ha previsto riposo
funzionaledurante il periodo degli inoculi e nei 15 giorni successivi, seguito da fisioterapia (mobilizzazione
attiva e passiva, idrochinesiterapia, stretching) a carichi crescenti e ripresa dell’attività sportiva dopo 3 mesi
dall’ultimo inoculo. L’analisi statistica è stata condotta con t-test per dati appaiati.
RISULTATI
Lo spessore del tendine nel pre-trattamento (post-trattamento) è risultato inferiore a 7 mmin 1(2) paziente,
compreso tra 7 e 10 mm in 14 (18) pazienti, compreso tra 11 e 15 mm in 6(4) pazienti, maggiore di 15 mm in
3 (0) pazienti. L’indagine Power Doppler nel pre-trattamento (post-trattamento) non ha rilevato segnali
vascolari intratendinei in 15 (16) pazienti, 1 o 2 piccoli vasi erano evidenti in 3 (6) pazienti, mentre una ricca
vascolarizzazione era evidente in 6 (2) pazienti. Il valore medio ± DS del dolore valutato con scala WPnel
pre-trattamento (post-trattamento) è risultato 6.7 ± 3.6 (1.9 ± 2.3). Il dolore valutato con scala EQP nel pretrattamento (post-trattamento) è risultato assente/lieve in 1 (17) paziente, discreto in 15 (6) pazienti, severo
in 8 (1) pazienti. Il valore medio ± DS di qualità della vita valutata con scala EQ-VASnel pre-trattamento
(post-trattamento) è risultato 59.2 ± 17.4 (84.6 ± 13.9). Tutte le variazioni pre- vs post-trattamento nelle
medie dei valori WP, EQP, EQ-VAS sono risultate statisticamente significative(p<0,005).
DISCUSSIONE
Il trattamento della tendinopatia achillea con inoculi di PRP combinati ad un percorso riabilitativo ha prodotto
miglioramenti ecografici e clinici in termini diriduzione dello spessore tendineo,riduzione della ipervascolarizzazione tendinea (in un sottogruppo di pazienti), riduzione del dolore e miglioramento della qualità
della vita. Lo specifico progetto riabilitativo adottato durante e dopo il trattamento infiltrativo ha certamente
contribuito al conseguimento di un buon risultato clinico ed ecografico. Sono necessari ulteriori studi per la
codifica di approcci riabilitativi personalizzati in funzione della risposta clinico-ecografica alla terapia
infiltrativa.
PROGETTO EUROPEO CLOUD-SME: ANALISI CLINICO-FUNZIONALE INTEGRATA AD UN
INNOVATIVO SISTEMA A SCANSIONE PER LA PRESCRIZIONE E VALUTAZIONE DI PLANTARI SU
MISURA IN LAVORATORI METALMECCANICI CON PATOLOGIE DA SOVRACCARICO
C. Provenzale, G. Lullini, P. Caravaggi, M. Ortolani, A. Giangrande, L. Berti
Laboratorio di Analisi del Movimento Istituto Ortopedico Rizzoli
Università di Bologna
INTRODUZIONE
Nel settore industriale le patologie da sovraccarico degli arti inferiori e gli infortuni sul lavoro sono frequenti.
Dai dati INAIL emerge che ogni anno si verificano circa 700.000 infortuni, tra questi il 15% coinvolge il
distretto piede- caviglia. Ciò rappresenta un’importante spesa economica e sociale. Da qui nasce la
necessità di prevenzione mediante l’utilizzo di scarpe antinfortunistiche. Tali calzature apportano indubbi
benefici, ma non sono scevre da criticità: presentano una suola rigida ed un puntale che esercita pressione
sull’avampiede. Ciò può comportare l’insorgenza di metatarsalgie, tallodinie, fenomeni infiammatori,
callosità. E’ possibile compensare tali problematiche mediante l’utilizzo dei plantari, che agiscono riducendo
le forze e le pressioni a livello plantare e migliorando la stabilità posturale.
MATERIALI E METODI
Il Progetto Europeo Cloud-SME ha come obiettivo la realizzazione di una piattaforma virtuale, alla quale
possano collegarsi computer e dispositivi di studi e centri specializzati, per la condivisione dei dati. La prima
fase del progetto ha previsto la creazione di un plantare personalizzato adatto al file di layout della calzatura
antinfortunistica, mediante la rilevazione dell’impronta plantare tramite scanner 3d e trasmissione dati
attraverso tecnologia Cloud alla casa produttrice. E’ stata stipulata una collaborazione con l’azienda
metalmeccanica Bonfiglioli che produce motoriduttori. Hanno preso parte al progetto le sedi di Calderara di
Reno e Vignola, dove ci siamo recati per reclutare i lavoratori. Sono stati valutati 40 soggetti volontari
mediante anamnesi, esame obiettivo, podoscopia e baropodometria. Tra questi sono stati selezionati 15
soggetti che nell’ultimo mese avevano lamentato disturbi da sovraccarico a livello degli arti inferioi. Tramite
scanner 3d, provvisto di membrana elastica, è stata acquisita l’impronta plantare in correzione. I dati
acquisiti sono pervenuti in tempo reale, mediante tecnologia Cloud, alla casa produttrice che si è occupata
della realizzazione dei plantari su misura. La seconda fase del progetto ha previsto l’analisi comparativa del
plantare personalizzato, realizzato mediante la piattaforma Cloud-SME ed altri 2 tipi di plantare: il plantare
rimovibile già presente nelle calzature ed un plantare prefabbricato standard. Presso il Laboratorio di Analisi
del Movimento dell’Istituto Ortopedico Rizzoli sono stati eseguiti l’esame clinico, la valutazione del comfort e
l’analisi baropodometrica. Tutta la procedura è stata svolta in cieco ed in maniera randomizzata. La
valutazione clinica è stata eseguita con il Manchester Oxford FootQuestionnaire: costituito da 16 domande
che esaminano il dolore, problematiche inerenti le interazioni sociali, problemi nel cammino e nella stazione
eretta. Per la valutazione baropodometrica è stato utilizzato il sistema a soletta PEDAR (Novel). E’ stato
chiesto ai soggetti di eseguire un percorso che riproduceva le normali attività svolte nella sede di lavoro con
ciascuno dei 3 plantari. Sono state valutate le variabili: picco di pressione, pressione media, integrale
pressione-tempo. Il comfort è stato valutato mediante una scala analogica visiva, validata in letteratura.
RISULTATI
Il punteggio medio del questionario è stato di 28,1 punti +/- 11,9 su 64. Il dominio più interessato è risultato
essere quello riguardante il dolore. Dall’analisi baropodometrica i valori mediani del picco di pressione
durante il cammino normale e dell’integrale pressione-tempo durante la salita delle scale del plantare
personalizzato, sono risultati rispettivamente 279 e 127 KPa, minori rispetto agli altri 2.La media della scala
VAS, che indagava il comfort è risultata: 50,7 % per il plantare personalizzato, 55,3% per il rimovibile e
50,2% per il prefabbricato.
CONCLUSIONI
La progettazione su Cloud si è dimostrata una metodica efficiente, economica, rapida e ripetibile. A parità di
comfort, il plantare personalizzato realizzato mediante la piattaforma Cloud-SME si è dimostrato
indubbiamente più vantaggioso rispetto agli altri dal punto di vista baropodometrico, in quanto ha ridotto le
aree di sovraccarico. In futuro si auspica la possibilità di utilizzare dati funzionali, unitamente a quelli
morfologici, allo scopo di migliorare ulteriormente i risultati ottenuti.
BIBLIOGRAFIA
Marr SJ & Quine S. OccupMedOxfEngl 1993
Sobel E et al JAPMA 2001
Jefferson JR Workplace Health Saf 2013
EFFETTO DELLO STRETCHING DEGLI ISCHIO-CRURALI SUL RITMO LOMBO-PELVICO IN PAZIENTI
AFFETTI DA LOMBALGIA CRONICA
1
1
1
1
1
Balsamo F , Chorna L , Monteleone S , Abbamonte M , De Bernardi E ,
2
1,2
Nola E , Dalla Toffola E
1
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa. Dipartimento di Scienze Clinico-Chirurgiche, Diagnostiche e Pediatriche,
Università degli Studi di Pavia
2
S.C. Riabilitazione Specialistica. Dipartimento di Medicina Diagnostica e dei Servizi, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia
Nella flessione anteriore il complesso lombo-pelvico ha un range medio di 110°, di cui 40° a carico della
componente lombare e 70° a carico delle coxo-femorali. Nei soggetti con lombalgia cronica è nota
un’alterazione del ritmo lombo-pelvico. E’ stata documentata una correlazione tra lombalgia e retrazione
degli ischio-crurali, in quanto determinante un’ulteriore riduzione dell’ampiezza di movimento delle coxofemorali ed un’accentuazione dell’overloading lombare. Ad oggi, scarsa è la Letteratura che ha valutato
l’effetto dello stretching della catena muscolare posteriore sul ritmo lombo-pelvico in soggetti affetti da
lombalgia cronica. Scopo del lavoro è di valutare il ROM (range of movement) del rachide lombare e delle
coxo-femorali, misurati in gradi di valore massimo e medio, in soggetti affetti da lombalgia cronica
recidivante, durante il movimento di flessione anteriore pre e post-trattamento riabilitativo comprendente
stretching degli ischio-crurali (IC).
Dal luglio 2014 al luglio 2015, presso il Servizio Ambulatoriale di Riabilitazione Specialistica del Policlinico
San Matteo di Pavia, sono stati reclutati 39 soggetti, di cui 24 F (60%), età media 48±11 anni, altezza media
170±10cm, BMI compreso tra le fasce normopeso e sovrappeso, tutti con storia di lombalgia cronica da
almeno un anno. I criteri di esclusione: età <18 anni, precedenti interventi neurochirurgici ed ortopedici a
carico della colonna ed arti inferiori, patologie a carico del SNC, psichiatriche o decadimento cognitivo,
episodi di lombalgia acuta nella settimana precedente all’inizio del trattamento. Per tutti i Pazienti è stato
stilato un Progetto riabilitativo comprendente controllo della sintomatologia dolorosa e miglioramento del
controllo posturale in stazione eretta e seduta, attraverso un trattamento fisiochinesiterapico di gruppo
composito comprendente lo stretching degli IC. Il trattamento è stato svolto in dieci sedute, con cadenza
giornaliera, per 30 min/die.
Il range di movimento articolare è stato misurato con inclinometro bimanuale wireless di TrackerFreedom®;
secondo le linee guida dell’American MedicalAssociation (AMA) i sensori sono stati posti all’altezza di L1 e
sul sacro. La retrazione degli IC è stata determinata, con paziente supino, misurando l’angolo di flessione
residua del ginocchio alla fine di un’estensione passiva ad anca flessa di 90°. Misurazioni effettuate alla
prima ed ultima seduta di trattamento, da due operatori addestrati.
All’inizio del trattamento sono stati rilevati: retrazione IC medio a dx 28±10°, a sx 28±9,5°; ROM coxofemorale massimo 49±14°, medio 48±13°; ROM rachide lombare massimo 44,76±11,6°, medio 41,8±11,54°.
Alla fine del trattamento sono stati misurati: retrazione IC medio a dx 15±11°, a sx 16±11°; ROM coxo-
femorale massimo 52,2±12,86°, medio 51,9±13,18°; ROM rachide lombare massimo 39,74±12,6°, medio
38,48±12,63°.
Tutti i pazienti selezionati hanno tollerato bene gli esercizi, senza episodi di riacutizzazione della
sintomatologia algica. Alla fine del trattamento è stato rilevato miglioramento significativo del dolore lombare
(p<0,0001), riduzione della retrazione degli ischio-crurali bilateralmente, aumento dell’escursione dell’anca
rispetto a quella del rachide lombare (rapporto valore medio ROM rachide/coxo-femorali pre 0,9, post 0,7). E’
in corso la rilevazione di un gruppo controllo sottoposto a trattamento fisiochinesiterapico che non prevede
esercizi di rilasciamento degli ischio-crurali.
EFFETTI DEL TRATTAMENTO COMBINATO DI RADIOFREQUENZA RAFFREDDATA E
FISIOCHINESITERAPIA IN PAZIENTI CON GONARTROSI GRAVE NON OPERABILE
Scalisi E, Amico V, Bettoni E*, Torrisi S,Mariconda C*, Cioni M
*Struttura Complessa di Recupero e Rieducazione Funzionale - Presidio Sanitario Gradenigo – Torino
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica eRiabilitativa– Dip. Scienze Biomediche e Biotecnologiche,
Università degli Studi di Catania
INTRODUZIONE
La gonartrosi è una patologia cronico-degenerativa che coinvolge tutte le componenti articolari. Il dolore e la
limitazione funzionale conseguenti a gonartrosi determinano una significativa disabilità, una riduzione della
qualità di vita e un aumento del rischio di comorbilitàin circa il 10% della popolazione di età superiore ai 55
anni. Il goldstandardterapeutico nella gonartrosi grave è l’intervento chirurgico di sostituzione protesica,
talvolta controindicato a causa della complessacomorbilità, dell’età avanzata o di una grave obesità.
Un’opzione terapeutica alternativa è rappresentata dalla neurolisi con radiofrequenza dei nervi genicolati.
Questo trattamento di elettroterapia antalgica è in grado di interrompere le vie nocicettive di trasmissione del
dolore attraverso l’ablazione delle terminazioni nervose periferiche sensitive del ginocchio. La denervazione
si ottiene applicando onde elettromagnetiche con voltaggio controllato tramite un ago elettrodo su un target
definito.
Recentemente si è sviluppata una nuova tecnica, la radiofrequenza raffreddata, che consente di
incrementare il rilascio di energia e il tempo di esposizione, evitando il surriscaldamento eccessivo del
tessuto e producendo un’area lesionale nettamente maggiore rispetto alle radiofrequenze standard.
Obiettivo dello studio: Valutare l’efficacia di un trattamento combinato di radiofrequenza raffreddata e
fisiochinesiterapia, in termini di controllo del dolore e miglioramento della funzionalità articolare in pazienti
con gonartrosi gravenon operabile.
SOGGETTI E METODI
Trattasi di uno studio osservazionale prospettico aperto iniziato nel gennaio 2014 e ancora in corso.
Tutti i partecipanti vengono sottoposti a trattamento di neurolisi dei genicolati mediante radiofrequenza
raffreddata e a successivo programma riabilitativo. Sono inclusi nello studio pazienti affetti da gonartrosi
grave, certamente chirurgica, ma non operabile. Conditio sine qua non per l’indicazione all’utilizzo della
neurolisi con radiofrequenza è un painrelief> 50% al blocco diagnostico anestetico. L’intera procedura viene
condotta sotto guida fluoroscopica nelle proiezioni antero-posteriore e laterale. Il target anatomico è
rappresentato dai nervi genicolato supero-mediale, supero-laterale e infero-mediale. Si procede con
l’inserimento dell’ago-elettrodo e, una volta verificata la corretta posizione,introdotta la sonda collegata al
generatore di radiofrequenze.Il campo elettrico è erogato per 180secondi e la temperatura tissutale non
supera i 60°C. Segue breve ciclo di kinesiterapia e counselling. Il dolore e la funzionalità del ginocchio sono
valutati con scale standardizzate e validate,NRS, DN4, KOOS, Oxford Knee Score e Lequesne Index,
l’articolarità del ginocchio tramite misurazione del ROM.Il follow-up si estende dal tempo 0 (prima del
trattamento), a 4 (T1), a 12 (T2), a 24 (T3) e a 48 (T4) settimane dal trattamento.
RISULTATI
Dall’analisi preliminare dei dati ottenuti sin qui, si può dire che dopo 4 settimane dal trattamento con RF si è
avuto un marcato miglioramento all’NRS, al DN4 e al Lequesne Index. I miglioramenti si sono mantenuti
anche a distanza di 24 settimane. Nei pazienti con comorbidità non si sono evidenziati miglioramenti
significativi alle scale KOOS e Oxford Knee Score.
DISCUSSIONE
I dati preliminari sono incoraggianti esovrapponibili ai risultati sinora pubblicati dalla letteratura
internazionale, in termini di riduzione del dolore, ripristino della mobilità articolare e miglioramento della
qualità della vita a breve termine. Non sono descritte complicanze. L’utilizzo di una innovativa elettroterapia
antalgica a somministrazione percutanea integrata in un progetto riabilitativo sembrarappresentare l’unica
alternativa terapeutica efficace in pazienti affetti da gonartrosi grave non operabile.
ULTRASUONI TERAPEUTICI: DALLA QUANTIFICAZIONE DEGLI EFFETTI BIOLOGICI SU PHANTOM
ALLA VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA TERAPEUTICA NELLE PATOLOGIE DI SPALLA
E. Lioce,C.Guiot, M. Novello, G. Massazza
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università di Torino
INTRODUZIONE
L’ampio utilizzo degli ultrasuoni (US) all’interno dei percorsi riabilitativi, a tutt’oggi non ancora supportato da
chiare evidenze scientifiche,comporta la necessità di approfondire gli studi in questo campo, al fine di poter
utilizzare in sicurezza gli apparecchi US fisioterapici, e di proporre ai pazienti un trattamento fisioterapico e
riabilitativo appropriato ed efficace. Scopo dello studio è stato di valutare gli effetti di US in vitro e in vivo.
MATERIALI E METODI
Studio in vitro: caratterizzazione e valutazione degli effetti fisici (termici e meccanici, mediante l’utilizzo di
sonde termiche e nanobolle cariche di ossigeno) degli US terapeutici su phantoma base di agar che
simulano i tessuti articolari umani. Esposizione dei phantom a US con diverse modalità e frequenze (3 MHz1 MHz, onda continua-pulsata, manipolo fisso-a massaggio), simulando trattamenti reali, della durata di 5
minuti ciascuno.
Studio in vivo. Valutazione di efficacia del trattamento riabilitativo con US in combinazione con ciclo di
kinesiterapia in 10 pazienti con patologie non chirurgiche di spalla (tendinopatia della cuffia dei rotatori,
impingement sub-acromiale, borsite). Sono state condotte 10 sedute di terapia a US, a cadenza giornaliera,
con parametri e durata (5-10 minuti) personalizzati in base alle caratteristiche cliniche e costituzionali del
singolo paziente. Sono stati valutati prima dell’inizio del trattamento e al termine del ciclo di trattamento:
VAS, DASH, Constant Score, score ecografico (attribuzione di un punteggio in base alla presenza di
versamento articolare, tenosinovite, borsite).
RISULTATI
Studio in vitro: gli effetti termici degli US sui phantomsono risultati fortemente influenzati sia dai parametri
che dalle modalità di utilizzo degli US.
Studio in vivo: sono stati ottenuti i seguenti valori medi pre- vs post-trattamento: VAS: 7,4 vs 2,1; DASH: 78
vs 46; Constant Score: 45 vs 72; score ecografico: 4,3 vs 2,9.
Tutte le variazioni pre- vs post-trattamento nelle medie dei parametri considerati sono risultate
statisticamente significative (p<0.05).
CONCLUSIONI
Questo è il primo studio in cui l’analisi degli effetti di US su phantom sia stata utilizzata per definire quali
parametri e modalità di trattamento selezionarenei pazienti, al fine di indurre gli effetti termici desiderati e i
miglioramenti clinici attesi. I risultati ottenuti dallo studio in vivo necessitano di ulteriori approfondimenti su
più ampia casistica di pazienti, ma evidenziano l’efficacia del trattamento combinato con US e kinesiterapia
nel management delle patologie non chirurgiche di spalla.
TENDINITI CALCIFICHE DELLA CUFFIA DEI ROTATORI TRATTATE CON TERAPIA CON ONDE
D’URTO: MONITORAGGIO RADIOLOGRAFICO PER L’IDENTIFICAZIONEDI DI FATTORI
PROGNOSTICI DI DISINTEGRAZIONE
A. Notarnicola, C. Margiotta, A. Lopopolo, R. Lerario, F. Romano, M. Megna, B. Moretti
Scuola di specializzazione in medicina fisica e riabilitazione dell'Università di Bari
INTRODUZIONE
La terapia con onde d'urto è utilizzata nel trattamento di tendiniti calcifiche della cuffia dei rotatori.Questa
indicazione è avvalorata dall'ipotesi che le calcificazioni vengano distrutte in seguito altrattamento.
MATERIALI E METODI
Il campione in esame è composto da centosettantaquattro pazienti con tendinite calcifica della spalla,valutati
prima e dopo terapia con onde d'urto attraverso una classificazione radiografica tramite le scaledi Gartner
and Heyer, Bosworth e Molè.
RISULTATI
Tre mesi dopo la terapia con onde d'urto abbiamo osservato nel 36.8% dei pazienti la scomparsa
dellecalcificazioni, nel 21.8% una riduzione delle loro dimensioni e nel 41.4% calcificazioni con
caratteristicheinvariate rispetto all'inizio del trattamento. La valutazione statistica della classificazione
radiograficaprima del trattamento rivela un aumento nella frequenza di scomparsa delle calcificazioni di
grandidimensioni (p=0.004). Evidenzia un aumento di calcificazioni invariate alla fine del trattamento quando
ildeposito calcifico è del tipo I nella scala di Gartner (p=0.001) o del tipo B nella scala di Molè (p=0.001).
Ilmodello di regressione multivariata rivela che la probabilità di scomparsa delle calcificazioni aumentacon
l'età (p=0.011), per dimensioni intermedie (p=0.001) e per calcificazioni del tipo A nella scala di Molèprima
del trattamento (p=0.043).
DISCUSSIONE
I risultati di questo studio suggeriscono che l'aspetto radiografico delle calcificazioni tendinee della cuffiadei
rotatori può influenzare l'effetto distruttivo della terapia con onde d'urto.
CONCLUSIONI
Queste informazioni potrebbero aiutarci a definire i tempi di trattamento e la scelta terapeutica per
ognipaziente.
ASSOCIAZIONE DELLA rTMS (REPETITIVE TRANSCRANIAL MAGNETIC STIMULATION) ALLA
TERAPIA ROBOTICA DELL’ARTO SUPERIORE IN PAZIENTI AFFETTI DA STROKE CRONICO
Cerverizzo E, Milighetti S, Miccinilli S, Di Bella F, Morrone M, Magrone G, Simonetti D, Zollo L, Guglielmelli
E, Capone F, Di Pino G, Ranieri F, Florio L, Di Lazzaro V, Sterzi S
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa Università Campus Bio-Medico di Roma
INTRODUZIONE
Lo stroke determina un'alterazione dell'equilibrio cerebrale interemisferico, con riduzione dell'inibizione
dell'emisfero sano da parte dell'emisfero leso e aumento dell'inibizione dell'emisfero leso ad opera
dell'emisfero sano. Sulla base della teoria della “competizione inibitoria interemisferica”, vari studi si sono
avvalsi di tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva nel tentativo di ripristinare l’equilibrio
interemisferico nell'eccitabilità della corteccia motoria primaria dopo ictus con coinvolgimento della funzione
motoria. Una possibilità promettente consiste nel combinare la stimolazione cerebrale con il trattamento
riabilitativo, nel tentativo di potenziare i fenomeni adattativi di plasticità cerebrale rendendo i circuiti neuronali
maggiormente responsivi alle modificazioni indotte dal protocollo riabilitativo. La Theta BurstStimulation
(TBS) si è rivelata in grado di indurre delle modificazioni dell'eccitabilità che perdurano per un tempo
1
maggiore dopo il termine della stimolazione . Una modalità di applicazione della TBS prevede l’uso di un
paradigma di stimolazione inibitorio (cTBS) sull’emisfero ischemico, che, attraverso l’azione omeostatica
sulla plasticità sinaptica, riducendo l’eccitabilità della corteccia motoria lesionata facilita e/o accelera i
2
processi di recupero indotti dalla riabilitazione . Il presente studio si propone di valutare l’effetto
dell’associazione della cTBS con la terapia robotica sul recupero motorio dell’arto superiore nei pazienti
affetti da esiti di stroke.
MATERIALI E METODI
Studio pilota randomizzato in doppio cieco su 17 pazienti affetti da deficit motorio dell’arto superiore in esiti
di stroke, suddivisi in due gruppi: un gruppo (N=8) al quale è stata applicata la cTBS Real prima del
trattamento robotico ed un gruppo (N=9) sottoposto a rTMSSham prima del trattamento. La terapia robotica,
effettuata con ausilio del robot planare InMotion2 (MIT-MANUS) per il trattamento del distretto spalla-gomito,
prevedeva l’esecuzione di tre sessioni di 320 movimenti punto-punto robot-assistiti, intervallate da sessioni
di valutazione senza assistenza del robot, per 10 sedute consecutive. La valutazione prima del trattamento
(T0) comprendeva la somministrazione di scale di valutazione della spasticità (ModifiedAshworth Scale) e
della funzionalità (Fugl-MeyerAssessmentUpperExtremity (FMA-UE)) di arto superiore, Barthel Index, NIH
Stroke Scale, e la registrazione delle performance cinematiche dell’arto superiore mediante piattaforma
robotica InMotion2. La valutazione con FMA-UE e robot veniva poi ripetuta al termine del trattamento (T1), e
a distanza di 1 mese (T2) e 3 mesi (T3). La stimolazione cerebrale è stata effettuata con protocollo theta
burststimulation (TBS), costituito da treni molto brevi di stimoli (tre impulsi a 50 Hz) a bassa intensità (80%
della soglia motoria) e frequenza (5 Hz). Sono stati considerati eligibili al trattamento pazienti con lesione di
sola natura ischemica isolata, con un valore di ModifiedAshworth Scale <3 e di Fugl-Meyer ≥3. Sono stati
esclusi dallo studio soggetti con deformità cronica dell’arto paretico, paralisi completa e flaccida dell’arto
superiore, grave eminattenzione, pacemaker o stimolatore cerebrale, anamnesi di epilessia o altre
controindicazioni alla TMS.
GLI OUTCOMES A BREVE TERMINE IN PAZIENE AFFETTI DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE:
ANALISI DEL PERCORSO RIABILITATIVO E DELLA COMPLESSITA’ CLINICA
1
1
2
1
1
1
1
Picone A. , Piro R. , Lanzillo B. , Mazzuoccolo G. , Raiano E. , Cimino P. , Chirico V.A. ,
1
ServodioIammarrone C.
1
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli studi di Napoli “Federico II”
2
Istituto Scientifico di Telese Terme dell'IRCCS Fondazione Maugeri
Lo studio presentato analizza e discute il percorso riabilitativo, la complessità clinica e gli outcomes a breve
termine in pazienti affetti da grave cerebrolesione acquisita di tipo traumatico e non (GCA-TCE e GCA-nT),
trattati con riabilitazione intensiva presso l’Istituto Maugeri di Telese Terme nella decade 2004-2014. Nella
casistica presentata (466 pazienti), concordemente con la letteratura vi è una predominanza di maschi nelle
GCA-TCE e una parità tra maschio e femmine nelle GCA-nT, che peraltro sono più frequenti (68,4%) con
prevalenza etiologica dell’accidente cerebrovascolare (ACV, 45% dei pazienti). Dall’analisi dei risultati si
evince che l’outcome migliore è correlato alla precocità della presa in carico riabilitativa e in particolare alla
minore durata dell’intervallo di tempo tra l‘evento iniziale ed il ricovero nella riabilitazione intensiva (IE-R).
Tale intervallo nel 68,5% dei pazienti supera i 30 giorni, comportando maggiori complicanze (soprattutto
piaghe da decubito) e peggiori esiti funzionali valutati alla scala DRS. Le forme traumatiche sono quelle
caratterizzate da un IE-R più breve (inferiore a 30 giorni) con migliore outcome funzionale e minore durata
media del ricovero (DDR). L’analisi di regressione lineare ha fatto evidenziare che l’intervallo IE-R svolge un
ruolo importante come fattore predittivo per la durata del ricovero (DDR) che risulta direttamente
proporzionale alla lunghezza del IE-R. Questi dati, sovrapponibili a quelli riportati in letteratura1,2,
confermano la necessità di accelerare la dimissione dai reparti per acuti e avviare precocemente il paziente
alla riabilitazione post-acuta in modo da ridurre la disabilità e le complicanze all’ammissione e di
conseguenza la durata del ricovero nelle strutture di riabilitazione intensiva, alla quale spesso si correla un
maggiore insorgenza delle POA. Altri dati importanti ricavati dallo studio riguardano la minore disabilità
cognitivo-motoria dei pazienti avviati precocemente alla riabilitazione intensiva con conseguente
anticipazione dello svezzamento dai presidi utilizzati per la instabilità clinica e quindi del raggiungimento
della autonomia respiratoria, nutrizionale e sfinterica. È altresì evidente nello studio che i pazienti con GCA
di natura vascolare hanno una età più avanzata, condizioni cliniche più gravi alla dimissione, più
complicanze, maggior numero di decessi e peggiori outcomes funzionali. Questi esiti più sfavorevoli negli
accidenti cerebrovascolari sono chiaramente influenzati dall’età più avanzata dei pazienti e dalla presenza di
comorbidità età-correlate.
Monitoraggio cardio-respiratorio di una popolazione di persone con lesione midollare cronica:
impatto dell’esercizio fisico.
S. Cattaruzzi, C.Stefan, C. Siciliano, E. Dotta, E. Bizzarini, L. Murena
Università degli Studi di Trieste
Questo studio, condotto c/o l’Ist. di Medicina Fisica e Riabilitazione di Udine, ha voluto verificare l’impatto
dell’esercizio fisico su una popolazione di soggetti con lesione midollare cronica attraverso la rilevazione dei
parametri di performance cardiovascolare, respiratoria e di capacità di lavoro muscolare prima e dopo un
programma di attività fisica costante durato circa 6 anni. Un confronto tra gli effetti di un training costante e
quelli di un atteggiamento sedentario in persone con lesione midollare ha completato lo studio,
avvalorandone i risultati. Come evidenziato in Letteratura, gli esercizi riabilitativi nel soggetto mieloleso non
sono sufficienti a mantenere la fitness cardiovascolare e risulta quindi di estrema importanza associare a
quello riabilitativo un programma di attività fisica costante, che contrasti le problematiche indotte
dall'inattività.
La lesione midollare è tra le più importanti cause di mortalità e disabilità nel mondo e l’OMS ne stima 15-45
nuovi casi per milione di abitanti, con un recente aumento dell’età media di insorgenza (40 anni), della
frequenza dell'eziologia non traumatica e dell’aspettativa di vita di questi pazienti. E' da sottolineare, inoltre,
che i soggetti con spinalcordinjury (SCI) presentano una più alta incidenza di patologie cardiovascolari.
Le lesioni midollari causano un’importante compromissione dei sistemi sensitivi, motori e neurovegetativi al
di sotto del livello lesionale con conseguenti perdita del controllo del simpatico sulla funzione
cardiovascolare e respiratoria, disturbi della termoregolazione, insorgenza di ipotensione ortostatica e
disreflessiaautonomica. La gravità di queste alterazioni varia in dipendenza dal livello lesionale, ma nel
complesso risultano compromesse le capacità omeostatiche ai cambiamenti indotti dall’attività fisica dei
sistemi cardiovascolare, respiratorio, muscoloscheletrico, metabolico e strutturale. Nello studio sono stati
inclusi 29 atleti (25 M e 4 F) con età media 48,24 anni e BMI medio 22,5; 13 atleti presentano una lesione
sopra D6 e 16 sotto D6, con un'eziologia post-traumatica in 28 casi su 29. Tutti gli atleti hanno una lesione
completa grado A dell’ASIA impairment scale ad eccezione di 3 che presentano lesione incompleta ma
incapacità alla deambulazione. Tutti gli atleti osservati (10 ciclismo, 8 basket, 7 tennis, 2 vela e 1 nuoto)
sono stati sottoposti a visita d’idoneità sportiva agonistica annuale, secondo i protocolli del DM della Sanità
del 4 Marzo 1993; è stata effettuata una valutazione clinica (anamnesi ed esame obiettivo) integrata con
ECG a riposo, stress-test con armoergometro, spirometria, esami ematochimici (profilo lipidico, glucidico,
funzionalità renale ed esame urine) ed esami specialistici integrativi (ecocardiogramma). I parametri
considerati sono stati registrati in una prima e in una seconda valutazione, ripetuta dopo circa 6 anni.
Nell’analisi statistica è stata effettuata, sia alla prima che alla seconda valutazione, una regressione multipla
con variabile dipendente VO2max e con variabili indipendenti età, BMI, livello lesionale, età della lesione, ore
di esercizio fisico settimanale.Alla prima valutazione abbiamo verificato una correlazione tra VO2max e livello
lesionale, mentre alle seconda valutazione abbiamo registrato una correlazione positiva con le ore di
allenamento settimanali (p=0,0018) e con il BMI (p=0,04). Dai dati statistici ottenuti, in contrasto con quanto
segnalato in letteratura per i soggetti mielolesi, è risultato che nessuno dei nostri atleti ha manifestato una
patologia cardiovascolare nel periodo di osservazione. E' stato inoltre rilevato che i valori di colesterolo
totale, HDL, trigliceridi e glicemia, fattori maggiormente incidenti sulle problematiche CV, si sono mantenuti
controllati nel range di normalità. Tra I e II valutazione è stato evidenziata la conservazione di un BMI
costante nel tempo, di un grado moderato di allenamento (circa 3 volte/settimana) e di livelli pressori entro il
range fisiologico. Il confronto dei parametri spirometrici mostra un mantenimento dei valori registrati. Il test
da sforzo, alla II valutazione evidenzia un modesto decremento del VO2max, associato ad una riduzionedella
potenza al test massimale, dato peraltro atteso in considerazione dell’incremento dell’età anagrafica dei
soggetti valutati, ma si riscontra un decremento inferiore nelle persone con livello lesionale al di sopra di D6,
ossia i soggetti più compromessi sembrano trarre maggior beneficio dall’esercizio fisico costante. . Il
confronto con i soggetti sedentari ha evidenziato negli atleti valori di BMI inferiori e valori medi al test da
sforzo più elevati relativamente a potenza erogata, VO2max e FC massima.
In conclusione, l’esercizio fisico continuo nel tempo e di grado moderato nei soggetti con SCI cronica risulta
di fondamentale importanza come intervento terapeutico per il mantenimento della fitness cardiovascolare,
come misura riabilitativa e come motivo di aggregazione sociale, determinando il miglioramento della
capacità aerobica, della risposta cardiovascolare e del lavoro muscolare.
VALUTAZIONE
ELETTROMIOGRAFICA
DELLAPOSIZIONE
DI
MASSIMO
ALLUNGAMENTO
DI UN MUSCOLO RETRATTO SULL’ ATTIVITA’ MOTORIA VOLONTARIANELLA PARESI SPASTICA
1,2
1
3
3
Costantino C. , Balugani M. , Alrahoomi A , Gracies JM
1
Scuola di specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa – Università degli Studi di Parma
2
Direttore Scuola Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa - Università degli Studi di Parma
3
Service de Rééducation Neurolocomotrice, Hôpitaux Universitaires Henri Mondor, Université Paris-Est,Créteil
INTRODUZIONE
Nella paresi spastica il movimento attivo è limitato principalmente da tre fattori: la paresi del muscolo agonista, la
retrazione del muscolo antagonista e l’iperattività muscolare di tipo spastico, soprattutto la co-contrazione spastica.
Questo fenomeno è causato da una alterazione del comando motorio discendente e consiste nella contrazione anomala
del muscolo antagonista durante l’attivazione volontaria del muscolo agonista, in assenza di uno stiramento fasico dei
muscoli coinvolti. Lo studio si propone di verificare l’influenza del grado di stiramento muscolare sulla paresi e sulla cocontrazione spastica a livello di una coppia di agonisti-antagonisti. Il gomito rappresenta un ottimo modello in quanto
permette di valutare gli effetti reciproci tra agonisti-antagonisti (bicipite e tricipite) durante contrazioni isometriche
massimali in flesso-estensione, esercitando un diverso grado di stiramento muscolare a seconda della sua posizione.
MATERIALI E METODI
Sono stati selezionati diciotto soggetti sani (età 47±10) e quindici emiparetici (età 42±16). Per ogni paziente è stata
determinata l’ampiezza dell’estensione e della flessione lenta passiva massimale di gomito (Xv1). I soggetti hanno
effettuato una contrazione isometrica massimale in flessione e poi in estensione di gomito della durata di 5 secondi, a
gomito flesso ed in seguito a gomito esteso, garantendo la stabilità dei segmenti attraverso uno strumentario apposito.
Tramite elettrodi di superficie è stata registrata l’attività dei muscoli bicipite e tricipite brachiale, al fine di determinare per
ogni muscolo l’ampiezza media del segnale rettificato (AMR) durante il picco massimo di reclutamento dell’agonista su
un intervallo di 500ms nella posizione gomito flesso (AMRago500F) e gomito esteso (AMRago500E). Inoltre è stato
determinata l’ampiezza media del segnale rettificato (AMR) per il muscolo antagonista, durante i 5 secondi di
contrazione isometrica (VRMantago5). Sono stati quindi ricavati i seguenti indici:1) il coefficiente di sensibilità allo
stiramento (CSS) del reclutamento muscolare agonista, indice dell’impatto dello stiramento muscolare sul reclutamento
dell’agonista,
calcolato
come
(AMRago500F-AMRago500E)/AMRago500F;
2) l’indice di cocontrazione (ICC), calcolato per ogni posizione del gomito, come rapporto tra il reclutamento del muscolo
antagonista (VRMantago5) e il reclutamento massimo dello stesso muscolo come agonista (VRMago500). Sono stati
quindi confrontati gli indici per l’arto superiore dominante dei soggetti sani e l’arto paretico e non paretico dei soggetti
emiparetici.
RISULTATI
Alla valutazione segmentaria è stata rilevata una riduzione del range di movimento passivo (Xv1) del bicipite brachiale,
che è risultato in media 175±11° (estensione di gomito lenta passiva massimale; coefficiente di retrazione, 2.7%),
mentre per quanto riguarda il tricipite brachiale il range di movimento è risultato nella norma, in particolare 163±7°
(flessione di gomito lenta passiva massimale, non retrazione). Il CSS non è risultato essere significativamente diverso da
0 nei soggetti sani e nell’arto non paretico. Nell’arto paretico, invece, il CSS per gli estensori di gomito è risultato 21±10%, rispetto a -4±7% per l’arto non paretico (p<0.05). L’ICC del bicipite brachiale in posizione gomito flesso per i
soggetti sani, per l’arto non paretico e per l’arto paretico dei soggetti emiparetici è risultato rispettivamente
0.15±0.11[95%CI, 0.05-0.26], 0.20±0.21[0.08-0.31] e 0.48±0.31[0.36-0.59] (confronto tra gruppi p<0.0001), mentre l’ICC
in posizione gomito esteso è risultato rispettivamente 0.26±0.20[95%CI, 0.12-0.38], 0.29±0.25[0.15-0.43] e
0.67±0.35[0.53-0.81], (confronto tra gruppi p<0.0001; gomito flesso vs esteso p=0.013). L’ICC del tricipite brachiale in
posizione gomito flesso per i soggetti sani, per l’arto non paretico e per l’arto paretico dei soggetti emiparetici è risultata
rispettivamente 0.10±0.05[95%CI, 0.03-0.17], 0.15±0.10[0.07-0.23] e 0.26±0.24[0.18-0.34] (confronto tra gruppi
p=0.011), mentre l’ICC in posizione gomito esteso è risultato rispettivamente 0.12±0.06[95%CI, 0.03-0.21],
0.15±0.08[0.06-0.25], e 0.38±0.32[0.28-0.48], (confronto tra gruppi p<0.0001;gomito flesso vs esteso NS).
CONCLUSIONI
Nell’emiparesi, la posizione gomito esteso causa un deterioramento del comando motorio attivo sia a livello dell’agonista
che dell’antagonista, riducendo il reclutamento volontario dei motoneuroni agonisti, fenomeno definito come paresi
sensibile allo stiramento (stretch-sensitive paresis), e aumentando le cocontrazioni dell’antagonista. L’esplicazione della
fisiopatologia del fenomeno descritto esula dall’obiettivo dello studio. Tuttavia è possibile ipotizzare a livello dei muscoli
flessori, maggiormente retratti, un fenomeno di reclutamento delle fibre afferenti ad alta soglia.
“CONDIZIONAMENTO SENSORIALE” NELLA RIABILITAZIONE DEL CAMMINO NEL MORBO DI
PARKINSON: RISULTATI A BREVE TERMINE
G. Valeno, J. L. De Sanctis, L. Stuppiello, A. Santoli, M. Panunzio, A. Santamato, P. Fiore, M. Ranieri
(Foggia)
Scuola di specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa di Foggia
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni si sono ampliate le ricerche relative all’impiego degli stimoli sensoriali durante la
riabilitazione motoria dei pazienti affetti da patologie del Sistema Nervoso Centrale. In particolare, numerosi
autori hanno osservato come la presenza di cues esterne, visive ed uditive, riducono le difficoltà dei pazienti
nell’iniziare e mantenere un set motorio.
Scopo del presente studio è valutare l’efficacia a breve-medio termine del “condizionamento sensoriale” in
un gruppo di soggetti affetti da Malattia di Parkinson.
MATERIALI E METODI
Dieci pazienti (M:F=6:4) di età compresa tra 61 e 80 anni (età media 70,5 anni), affetti da morbo di
Parkinson in buon compenso farmacologico (stadio 1-2,5 Hoehn&Yar) sono stati sottoposti a valutazione
clinica con scale di valutazione e test: PDQ 39, UPDRS, Berg Balance Scale, FoGQuestionnaire, test dei 10
metri al baseline (T0), immediatamente alla fine del trattamento (T1) e a 30 giorni dalla fine del trattamento
(T2). Ogni paziente ha effettuato un ciclo di 5 sedute a settimana per 1 ora/die per un totale di 20 sedute.
Accanto a tecniche tradizionali di mobilizzazione attiva e passiva, esercizi di rinforzo muscolare e di
coordinazione motoria, sono state utilizzate strategie di cueing visive, uditive e tattili. L’esecuzione degli
esercizi è stata scandita e facilitata nella ritmicità da un Metronomo e da stimoli acustici collegati mediante
un auricolare bluetooth, sono stati creati circuiti con stimoli luminosi e materiali di diverso colore e
consistenza (tappetini, tavolette, nastri, palle, ecc.).
RISULTATI
Al termine del trattamento riabilitativo si è registrato un miglioramento nella velocità del cammino, nello
starter, nell’equilibrio e nella qualità della vita dei soggetti in esame.
CONCLUSIONI
In accordo con la letteratura, i dati ottenuti dal presente studio hanno confermato l'efficacia dell’uso di
informazioni sensoriali esterne “cueing” nei protocolli ditrattamento riabilitativo. Tuttavia, mancano ulteriori
dati che ne confermino l’efficacia a lungo termine di tale tecnica.
STUDIO OSSERVAZIONALE PER LA VALUTAZIONE DELL’OSSERVAZIONE TRA LA SINDROME DI
PISA E I DISTURBI DI CONTROLLO POSTURALE, DELL’EQUILIBRIO E DELLA DEAMBULAZIONE NEI
PAZIENTI AFFETTI DA MALATTIA DI PARKINSON
Elisabetta Verzini, Christian Geroin, Nicola Smania, Michele Tinazzi, Eleonora Dimitrova,
Federica Bombieri, Francesca Nardello, Federico Schena, Marialuisa Gandolfi.
Università degli Studi di Verona (Verona)
Nei pazienti con malattia di Parkinson (PD) è stata riportata esservi un’alterata percezione della verticalità in
concomitanza con una compromissione del sistema propriocettivo e disturbi dell’integrazione sensorimotoria,
tuttavia ciò rimane ancora da chiarire nei pazienti con Sindrome di Pisa (PS). Lo scopo di questo studio è
stato quello di valutare come un disallineamento posturale nei pazienti con PD/PS possa influire
negativamente sul controllo posturale, dell’equilibrio, sull’integrazione sensorimotoria e nella deambulazione.
E’ stato condotto uno studio osservazionale trasversale su 10 soggetti affetti da Malattia di Parkinson con
Sindrome di Pisa (PD/PS) (età media: 64.4, DS: 11.36, H&Y stage < 4), 10 soggetti affetti da Malattia di
Parkinson senza Sindrome di Pisa (PD) (età media: 72.1, DS: 6.06) e 10 soggetti sani equiparabili per età
(età media: 68.7, DS: 8.38). Tutti i soggetti sono stati sottoposti ad una valutazione con la pedana
stabilometrica statica (SA), al Sensory Organization Balance Test (SOT), alla Berg Balance Scale (BBS) e
ad un’analisi dei parametri spaziotemporali della deambulazione con GAITRIte System. Alla BBS non erano
presenti differenze statisticamente significative tra i gruppi (PD/PS vs. PD vs. controlli). La SA effettuata con
occhi aperti ha mostrato differenze significative nello spostamento del Centro di Pressione (CoP) in direzione
mediolaterale nei confronti tra PD/PS vs. PD (p=0,017) e PD/PS vs controlli (p=0,020), nella velocità di
spostamento del CoP in direzione anteroposteriore PD/PS vs. controlli (p=0,01) e mediolaterale PD/PS vs.
controlli (p=0,014), lunghezza del CoP PD/PS vs. controlli (p=0,02). La SA ad occhi chiusi ha mostrato
differenze significative nello spostamento del CoP in direzione mediolaterale PD/PS vs. PD (p= 0,006) e
PD/PS vs. controlli (p= 0,028), velocità del CoP in direzione mediolaterale PD/PS vs controlli (p=0,040). I
confronti nella SOT e nell’analisi della deambulazione non hanno mostrato differenze statisticamente
significative tra i gruppi PD/PS vs. PD vs. controlli. Conclusioni: I pazienti con PD/PS mostrano maggiori
difficoltà ad ottenere un adeguato allineamento posturale con la gravità rispetto ai soggetti sani della stessa
età e pazienti affetti da solo PD. Pazienti con PD/PS mostrano una significativa asimmetria del CoP e
maggiori oscillazioni del CoP. Un adeguato riallineamento posturale e un allenamento dell’equilibrio
potrebbero essere elementi essenziali per la riabilitazione dei pazienti con PD/PS.
TRATTAMENTO INTEGRATO DELLA SPASTICITÀ CON TOSSINA BOTULINICA E ONDE D’URTO NEL
PAZIENTE AFFETTO DA PARALISI CEREBRALE INFANTILE: STUDIO PILOTA RANDOMIZZATO
CONTROLLATO.
Picelli A., La Marchina E.,Gajofatto F., Vangelista A., Filippini R., Pontillo A., Ferrari F., Verzini E., Corradi J., Smania N.
Scuola di specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli studi di Verona
La spasticità è uno dei maggiori disordini motori nei pazienti con Paralisi Cerebrale Infantile (PCI).
L’infiltrazione muscolare di tossina botulinica rappresenta attualmente la prima scelta per il trattamento
1
farmacologico della spasticità focale . Tra le terapie non farmacologiche recentemente è stata proposta e si
sta diffondendo l’applicazione di onde d’urto focali (OU), i cui meccanismi d’azione ed effetti tissutali sul
2
muscolo spastico non sono ancora completamente noti .
Scopo del presente studio pilota randomizzato controllato è quello di valutare mediante analisi ecografica e
clinica l’efficacia dell’associazione di tossina botulinica e OU nel trattamento della spasticità in pazienti con
PCI.
Sono stati inclusi 10 pazienti con PCI spastica di età compresa tra i 3 ed i 18 anni. Sono stati considerati
come criteri di esclusione l’assunzione di antispastici orali, eventuali trattamenti con tossina botulinica nei 6
mesi precedenti e trattamenti con blocchi nervosi o procedure chirurgiche funzionali agli arti affetti nei 12
mesi precedenti l’inizio dello studio. Tutti i soggetti reclutati sono stati trattati con infiltrazione di tossina
botulinica tipo A (OnabotulinumtoxinA) a livello dei muscoli spastici; a seguire tutti i pazienti hanno effettuato
un ciclo di fisioterapia. I soggetti appartenenti al gruppo di studio sono stati inoltre sottoposti a 3 sedute di
OU a livello della muscolatura infiltrata (1 a settimana per 3 settimane consecutive, da quella successiva
all’inoculazione). I pazienti sono stati valutati prima del trattamento (T0) e ad un mese dall’inoculazione di
tossina botulinica (T1) mediante outcome ecografici (ecogenicità muscolare valutata alla scala di Heckmatt e
indice percentuale di durezza misurato all’elastosonografia) e clinici (Scala di Ashworth modificata e scala di
3
Tardieu) .
Per valutare l’omogeneità dei gruppi a T0 e per eseguire i confronti tra gruppi T1-T0 è stata effettuata
un’analisi statistica non parametrica mediante il test di Mann-Whitney. Ai fini analitici si è deciso di valutare
separatamente i diversi gruppi muscolari appartenenti allo stesso gruppo di trattamento, per un totale di 30
gruppi muscolari esaminati (15 per gruppo di trattamento).
Alla valutazione T0 non sono state rilevate differenze significative tra il gruppo di studio e quello di controllo.
Alla valutazione T1 sono state osservate differenze statisticamente significative tra i due gruppi per quanto
riguarda l’indice percentuale di durezza ed il punteggio alla scala di Ashworth modificata: il gruppo di studio
ha mostratorispetto al gruppo di controllo una riduzione significativamente maggiore della spasticità misurata
alla scala di Ashworth e dell’indice di durezza della muscolatura spastica misurato all’elastosonografia.
Nessun paziente ha abbandonato lo studio e non si sono verificati eventi avversi.
Le OU extracorporee rappresentano un trattamento della spasticità sicuro, non invasivo e ben tollerato nei
pazienti con PCI. Esse sembrano agire migliorando le proprietà reologiche del muscolo spastico (che la
scala di Ashworth, rispetto a quella di Tardieu, non è in grado di scorporare dalla “componente neurologica”),
rappresentando una strategia ottimale in combinazione con l’infiltrazione di tossina botulinica e le
fisiochinesiterapia poiché, agendo queste metodiche su componenti fisiopatologiche differenti, possono
sommare i loro effetti con un risultato significativo nel ridurre la spasticità
IL RUOLO DEL TRATTAMENTO INTEGRATO IN SOGGETTI AFFETTI DA ESITI DI ICTUSCEREBRALE:
L’ESPERIENZA DI UN CASE REPORT DI TRATTAMENTO PER LA SPALLA DOLOROSA
DELL’EMIPLEGICO
A. Modenese, P. Zuccher, M. Gandolfi, F. Giarola, P. Lamberti, A. Picelli, N. Smania.
Scuola Medicina Fisica e Riabilitazione, Università degli Studi di Verona
La presenza di sintomatologia dolorosa a livello del distretto di spalla rappresenta una frequente
complicanza post ictus, sia in fase acuta e/o cronica. È riportato che dal 22% al 55% dei soggetti con esiti di
ictus presenta tale disturbo e ne condiziona negativamente lo stato funzionale del paziente e la qualità di
vita.
Il meccanismo patogenetico della spalla dolorosa nel paziente emiplegico è multifattoriale e dal punto di
vista prognostico, è importante che vi sia un corretto approccio integrato da parte sia del terapista della
riabilitazione, che di tutte le figure (sanitarie e non).
Sebbene la spalla dolorosa abbia un impatto socio-economico significativo, in letteratura ci sono dati
contrastanti per quanto riguarda la gestione nella pratica clinica.
Lo scopo del presente studio è descrivere l’efficacia di un trattamento combinato (trattamento convenzionale
da parte del terapista, TENS, elettroagopuntura) sulla riduzione del dolore e conseguente miglioramento
della qualità di vita.
G. G., di 63 anni, affetto da emiparesi sinistra da ictus emorragico capsulo-lenticolare destro,
successivamente al periodo di ricovero in Stroke Unit, è stato accolto presso la nostra UOC di
Riabilitazione(all’ingresso in reparto NIHSS pari a 16).
Dall’ingresso in reparto e 7 giorni dall’episodio ictale, è comparsa una sindrome dolorosa spalla-mano. Il
paziente ha lamentato dolore alla spalla emiplegica (Numeric Rating Scale NRS 8/10) con impaccio nella
gestione quotidiana delle ADL e compromissione del sonno.
Per le successive 8 settimane è stato eseguito un programma di trattamento integrato: nelle prime 4
settimane il paziente è stato sottoposto a fisiochinesiterapia quotidiana con esercizi passivi ed attivi-assistiti
da parte del terapista (2 volte/die), igiene posturale ed elettroterapia antalgica quotidiana (TENS). Nelle
successive 4 settimane si è inoltre associato il trattamento di elettroagopuntura (2 sedute/settimana). Per
quest’ultima tecnica sono stati seguiti i seguenti parametri: frequenza di 3-5 Hz, corrente continua; punti di
agopuntura utilizzati 4 GI collegato con 11 GI e 9 IT con 15 GI. Per il controllo farmacologico del dolore il
paziente ha assunto Paracetamolo al bisogno. Il dolore è stato valutato mediante l’utilizzo della scala NRS
con cadenza settimanale ed è stato monitorato la quantità di analgesici assunti/die.Nelle prime 4 settimane
di trattamento il dolore riferito alla scala NRS si è mantenuto con un valore medio di 6,75 (rispettivamente 7
alla fine della prima, seconda e terza settimana di trattamento, 6 al termine della quarta). Nelle successive
quattro settimane, con l’integrazione dell’elettroagopuntura, si è assistito ad un miglioramento significativo
del dolore riferito dal soggetto (valore medio di NRS pari a 3). Si è inoltre osservato una riduzione
complessiva del numero di analgesici assunti. Il soggetto ha riferito minor difficoltà nell’esecuzione di ADL
richiedenti l’arto superiore affetto; alla dimissione il dolore riportato è stato di NRS pari a 2.
L’approccio integrato, con trattamenti convenzionali e non, si è dimostrato efficace nel ridurre la
sintomatologia dolorosa di spalla e nel migliorare la qualità di vita dei soggetti affetti a ictus; in particolare
l’elettroagopuntura sembra aver apportato una riduzione significativa del dolore.Questo può avere
implicazioni nella ricerca in campo riabilitativo, ponendo attenzione a tale disturbo invalidante che limita la
partecipazione e l’esecuzione delle attività quotidiane dei soggetti.
VALIDITA’ DELL’IMPIEGO DI UN DISPOSITIVO PNEUMATICO PRECOCE PER CONSENTIRE UNA
RAPIDA RIPRESA DELLA DEAMBULAZIONE NEI PAZIENTI ONCOLOGICI AMPUTATI DI ARTO
INFERIORE
Giorgi Federica, Fusai Francesca, Di Gianni Laura, Parisini Federica, Zati Alessandro, Benedetti Maria
Grazia
Scuola di Medicina Fisica e Riabilitativa dell’Università di Bologna
INTRODUZIONE
Questo è il primo studio italiano di fattibilità dell’uso del dispositivo pneumatico precoce con aspetti
innovativi, sviluppato grazie alla collaborazione tra RTM e IOR, per la deambulazione nel post-operatorio ei
pazienti amputati di arto inferiore per cause oncologiche. La protesi in oggetto è stata realizzata in modo tale
da essere adattabile immediatamente al paziente: circonferenza del moncone, lunghezza arto, varo/valgo
del piede.
MATERIALI E METODI
Allo stato attuale sono stati reclutati 14 pazienti sottoposti ad intervento di amputazione di arto inferiore: 7 a
livello trans-femorale (gruppo I), 5 trans-tibiale (gruppo II), 2 esclusi dallo studio per non aderenza al
protocollo. Dalla 4° giornata post-operatoria, alla rimozione dei drenaggi, al programma riabilitativo standard
si sono associati la rieducazione alla deambulazione con protesi pneumatica ed controllo del dolore
mediante blocco nervoso periferico continuo e medicazione della ferita chirurgica ogni tre giorni..
I follow-up sono stati eseguiti in 3 tempi diversi con specifici test e valutazioni.
RISULTATI
In tutti i pazienti si è osservata una regolare cicatrizzazione della ferita chirurgica
- Buon recupero del ROM (Range of Motion) articolare che si è mantenuto costante o è incrementato a T2
nei due gruppi.
- Efficace controllo del dolore, registrando un passaggio del valore medio della VAS (Visual Analogic Scale)
da 2,4 a 0,8 da T1 a T2 nei pazienti trans-femorali e da 2 a 1,2 nei trans-tibiali.
- In entrambi i gruppi esaminati al T1 e al T2 è risultata una riduzione temporale nell'esecuzione del percorso
del 10 MWT (10 MetersWalking Test) rispettivamente da 39” a 16” per i pazienti del gruppo I e da 32” a 20”
per il gruppo II.
- Evidenziato un miglioramento della performance funzionale tra T1 e T2 in entrambe i gruppi nella scala
MSTS (MusculoskeletalTumor Society Test): nel gruppo iI punteggio rispettivamente da 60 a 45; nel gruppo
II da 69 a 60.
- La scala PEQ-ms (Prosthesis Evaluation Questionnairemobility scale) ha evidenziato un andamento
tendenzialmente positivo in entrambi i gruppi. Tutti i pazienti sono stati soddisfatti del trial eseguito con il
dispositivo pneumatico (3,5 al T1 e 5,9 al T2 per il gr. I; 4,6 al T1 e 6,9 al T2 per il gr.II).
- La valutazione della qualità di vita con SF 36 ha evidenziato come in entrambi i gruppi i valori della
componente mentale si sia avvicinato maggiormente alla media della popolazione sana rispetto ai valori
della componente fisica. I valori sono stati: gruppo I, componente mentale=50 e componente fisica=36.
Gruppo II, c. mentale 54 e c. fisica 40 (essendo il valore di riferimento della popolazione sana= 50 per
entrambe le componenti).
CONCLUSIONI
Dai test e dalle valutazioni cliniche effettuati è emersa la fattibilità del percorso riabilitativo precoce con la
protesi pneumatica innovativa; in particolare, la compliance dei pazienti è stata elevata senza eventi
avversi. I buoni risultati in termini di controllo del dolore, articolarità, performance di cammino ed equilibrio si
sono accompagnati alla normale cicatrizzazione della ferita chirurgica e ad una facile protesizzazione
definitiva. Lo studio pone le basi per l’introduzione routinaria del protocollo riabilitativo della
protesipneumatica precoce innovativa nel paziente amputato di arto inferiore.
STUDIO RETROSPETTIVO SU DONNE AFFETTE DA INCONTINENZA URINARIA DA SFORZO:
EFFICACIA DEL TRATTAMENTO E FOLLOW-UP A 5 E 10 ANNI
Dotta E., Carlet D., Stefan C., Murena L., Gattinoni F.
Scuola di specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa Università di Trieste
L’incontinenza urinaria da sforzo (IUS) è una patologia che affligge milioni di donne in tutto il mondo,
compromettendone in modo più o meno significativo la qualità della vita. Sono stati pubblicati numerosissimi
studi che attestano l’efficacia della riabilitazione perineale nel trattamento della IUS, tuttavia meno è stata
indagata l’efficacia del trattamento nel lungo termine.
L’obiettivo di questo studio è valutare l’efficacia nel lungo termine della riabilitazione perineale in donne
affette da IUS genuina confrontandone gli outcome a distanza di 5 e 10 anni, stimare l’aderenza delle
pazienti all’autotrattamento domiciliare, valutare l’esistenza di una correlazione tra l’esecuzione degli esercizi
perineali e gli esiti a distanza di anni, stabilire la quantità di esercizio e le motivazioni necessarie al
mantenimento dei risultati.
Lo studio è di tipo osservazionale retrospettivo. E’ stato somministrato per via telefonica un questionario a 75
pazienti con diagnosi di IUS genuina che hanno effettuato un ciclo di riabilitazione perineale 5 o 10 anni fa. I
dati ottenuti sono stati descritti attraverso calcoli di statistica descrittiva e interferenziale.
Da questo studio emerge che più della metà delle pazienti abbandona l’autotrattamento dopo qualche mese
per stanchezza o pigrizia, mentre il restante 43% lo porta avanti sempre. Quando il trattamento conservativo
della IUS ha successo nel breve termine, 6 donne su 10 mantengono o migliorano i risultati raggiunti nel
lungo termine, sia dopo 5 che dopo 10 anni. L’efficacia al follow-up è correlata alla condotta che assume la
paziente nei confronti dell’autotrattamento. Le pazienti che eseguono gli esercizi per sempre e regolarmente
hanno un’ottima probabilità di mantenere e addirittura migliorare nel tempo la funzionalità del proprio
pavimento pelvico, mentre quelle che non svolgono gli esercizi tendono ad avere una riacutizzazione dei
sintomi.
Potrebbe essere utile indagare se una o più sedute di richiamo possano stimolare le pazienti a riprendere i
contenuti del trattamento e a riaccendere la motivazione ad eseguire gli esercizi al fine di promuovere una
migliore qualità della vita.
VALUTAZIONE DEL LINFEDEMA IN UNA PAZIENTE OPERATA DI VULVECTOMIA RADICALE E
LINFADENECTOMIA BILATERALE: PRESENTAZIONE DI UN CASO CLINICO
Anita Sommella, Francesca Gimigliano, Raffaele Gimigliano
Seconda Università degli Studi di Napoli
INTRODUZIONE
Il carcinoma vulvare rappresenta il 5% di tutti i tumori della sfera genitale femminile, con un’incidenza di 1 su
100 mila abitanti in Europa. La terapia d’elezione, di tipo chirurgico, prevede l’ablazione della massa
tumorale e dei linfonodi annessi. Una delle complicanze post-chirurgiche più diffuse è l’insorgenza del
linfedema agli arti inferiori.
MATERIALI E METODI
La paziente F.F, di anni 78, ipertesa e diabetica, in trattamento con ACE inibitori e ipoglicemizzanti orali, è
stata ricoverata presso il reparto di Ginecologia della S.U.N. e successivamente sottoposta a vulvectomia
radicale per carcinoma vulvare squamocellulare e linfadenectomia bilaterale. Nel decorso post operatorio la
paziente ha presentato l’insorgenza di linfedema agli arti inferiori.
RISULTATI
Oltre alla raccolta dei dati anagrafici, anamnestici ed antropometrici abbiamo raccolto i seguenti dati:
1. Stadio del linfedema di tipo II avanzato, secondo la classificazione proposta dall’International Society of
Lymphology (ISL);
2. Segno di Stemmer positivo bilateralmente
3. Misurazione delle circonferenze degli arti inferiori: base dita: 24,5 cm sin, 23 dx, caviglia 27,5 cm sin, 28
cm dx, 10 cm al di sotto del ginocchio (43,5 cm sin, 38,5 cm dx), 10 cm al di sopra del ginocchio (50 cm
sin, 45 cm dx) , 15 cm al di sopra del ginocchio 54 cm sin, 53,5 cm dx, radice della coscia 62,5 cmsin e
61 cm dx);
4. Esame bioimpedenziometrico totale: massa magra (FFM) 47,8 kg; massa grassa (FM) 28 kg; acqua
corporea totale 50,4%, acqua extracellulare 32%, acqua intracellulare 68%;
5. Esame bioimpedenziometrico segmentale. Arto inf. dx: acqua extracellulare 8,3%, acqua intracellulare
91,7%; arto inf. sin: acqua extracellulare 10,1% acqua intracellulare 89,9%;
6. Composizione corporea (analisi potenziata) mediante DXA: massa magra 43,068 g, massa grassa 41,5
g;
7. Scala VAS per il dolore: 8/10;
8. Questionario sulla qualità della vita nel linfedema (LYMQOL legscoringsystem): score 2,9/4 – qualità di
vita percepita 5/10.
CONCLUSIONI
La valutazione dei pazienti che presentano un linfedema dovrebbe essere comprensiva delle misurazioni
della composizione corporea mediante esame bioimpedenziometrico e densitometrico e comprendere un
questionario specifico sulla qualità di vita. Un protocollo di questo tipo dovrebbe essere sempre effettuato sia
nell’immediato post operatorio che nel successivo monitoraggio del trattamento riabilitativo e farmacologico.
In particolare la valutazione della composizione corporea fornisce dati aggiuntivi riguardanti la distribuzione
dei fluidi intracellulari, extracellulari e della massa magra e grassa.L’analisi segmentale nei distretti degli arti
inferiori evidenzia una marcata riduzione dei liquidi extracellulari bilateralmente ed una sostituzione con
tessuto fibroso in tale distretto. Tale valore è compatibile con lo stadio II avanzato di linfedema secondi i
criteri classificativi ISL.L’esame bioimpedenziometrico mostra risultati in parte sovrapponibili con l’esame
densitometrico pertanto può essere impiegato nelle fasi successive alla prima valutazione post-operatoria.
UTILIZZO DELLA STRUMENTAZIONE MYOTON NELLA VALUTAZIONE DELL’IPERTONO SPASTICO
DOPO TRATTAMENTO RIABILITATIVO CON ONDE D’URTO DEFOCALIZZATE IN PAZIENTI CON ESITI
DI PCI
G. Mazzuoccolo, E.Raiano, L. Liguori, P. Cimino, B. D’Antuono, B. Corrado, C. ServodioIammarrone
Scuola di specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli studi di Napoli “Federico II”
INTRODUZIONE
Tra le varie forme di PCI, la variante spastica rappresenta quella più frequente e si manifesta con l’abnorme
aumento del tono muscolare ed iperreflessia con comparsa di riflessi arcaici. L’ipertono muscolare
determina alterazioni circolatorie tali da generare affaticamento muscolare, ipostenia, dolore con variazione
delle proprietà reologiche del muscolo fino alla fibrosi.Le onde d’urto defocalizzate sono onde acustiche a
bassa pressione che, se applicate direttamente sul muscolo spastico, ne migliorano la
vascolarizzazione.L’equinismo costituisce una deformità spesso presente nei pazienti affetti da spasticità,
dei quali compromette la posizione statica ed ostacola la deambulazione.
Obiettivo: Valutare mediante l’utilizzo di strumentazione Myoton la variazione dell’ipertono spastico del
tricipite surale dopo trattamento con onde d’urto defocalizzate in bambini con esiti di PCI.
MATERIALI E METODI
15 pazienti (8F;7M), di età compresa tra i 5 e i 15 anni (età media di 8,6 anni), con diagnosi di emiparesi
spastica sono stati sottoposti a trattamento con onde d’urto defocalizzate; l’emilato sano è stato utilizzato
come controllo. Prima dell’inizio del trattamento ed al suo termine, sono stati valutati: pROMdell’articolazione
tibiotarsica, tono ed elasticità muscolare (mediante apparecchiatura Myoton) e scala di Ashworth modificata.
RISULTATI
Dopo il trattamento con onde d’urto defocalizzate, è stato registrato un miglioramento statisticamente
significativo dei valori di pROM della tibiotarsica dell’emilato affetto rispetto al pre-trattamento: equinismo in
posizione neutra= v.m.46° pre- vs. v.m. 38,67° post-trattamento [p=0.0326]; a ginocchio esteso, da 0,33°
(plantiflessione) nel pre- a 4,13° (dorsi flessione) nel post- [p=0,029]; a ginocchio flesso, da 5,33°
(dorsiflessione) nel pre- vs. 9,93° nel post-trattamento [p=0,0457]; ciò indica una riduzione dell’equinismo. Il
73% dei pazienti presentava una riduzione della spasticità valutata attraverso la MAS.L'analisi dei valori del
tono muscolare a livello del gastrocnemio dx, registrati mediante strumentazione Myoton, ha rilevato una
differenza statisticamente significativa [p=0.0382] tra la media dei valori del pre-trattamento e quella dei
valori registrati nel post- trattamento. La variazione dell'elasticità del muscolo tra il pre- e il post-trattamento
non risulta significativa [p=0.07>0.05], pur verificandosi una riduzione del decremento delle oscillazioni
smorzate da 1.13 a 0.89 indicativa di un miglioramento dell'elasticità muscolare.
CONCLUSIONI
L’utilizzo della strumentazione Myoton ha permesso di disporre di dati numerici e quindi oggettivi rispetto
alla sola valutazione clinica che hanno ulteriormente supportato l’efficacia delle onde d’urto defocalizzate nel
trattamento della spasticità
RAZIONALE DEL TRATTAMENTO RIABILITATIVO DOPO DISTACCO EPIFISARIO DEL GOMITO NEL
BAMBINO TRATTATO CON PINNING
Marani M., Orsini S., Fusaro I., Benedetti M.G.
Scuola di medicina Fisica e Riabilitazione dell’Università di Bologna
Dallo studio della letteratura i risultati del trattamento riabilitativo del gomito nel bambino dopo distacco
epifisario trattato con pinning sono sovrapponibili a 6 mesi-1 anno a quelli dei bambini che non hanno
effettuato la riabilitazione.
In questi lavori tuttavia il trattamento riabilitativo effettuato non è di tipo intensivo ma viene praticato in modo
saltuario e spesso non vengono descritte le metodiche utilizzate.Peraltro dagli studi risulta che nel breve
periodo il recupero dell’articolarità è migliore nei casi trattati con la rieducazione e che la prognosi non è
correlata al trattamento riabilitativo come nell’adulto ma dipende dall’età del bambino, dalla durata della
immobilizzazione: maggiore è il tempo di immobilizzazione, peggiore è la prognosi e la incidenza di rigidità;
secondo alcuni Autori inoltre anche la gravità del distacco influenza la prognosi. Dopo trattamento
conservativo per distacco epifisario il gomito è immobilizzato in apparecchio gessato per 3-4 settimane.
Durante questo periodo si consiglia di effettuare mobilizzazione della spalla e delle dita. Alla rimozione
dell’apparecchio gessato il bambino si consiglia un trattamento riabilitativo autogestito con esercizi effettuati
in modalità attiva.
Infatti da studi effettuati in bambini trattati conservativamente con pinninig il range of motion (ROM) in flessoestensione è uguale a quello del gomito controlaterale nel 94% dei casi a 6 mesi, nel 98% dei casi a 1 anno.
Occorre pertanto avvisare i genitori alla rimozione dell’apparecchio gessato che in questi casi il trattamento
riabilitativo non è necessario e che occorrono almeno tre mesi per ottenere un ROM funzionale e un anno
per un ROM completo.Infatti, come già affermava Blount W nel 1955, “ il bambino conosce istintivamente
meglio dei genitori, del fisioterapista e del medico quello che può fare senza recarsi danno ”, se lasciato a sé
recupererà nel minor tempo possibile.
A 2 mesi si può iniziare attività fisica per migliorare il ROM ottenuto in quanto a differenza dell’adulto questi
casi possono recuperare anche a un anno dal trauma.L’attività agonistica è procrastinata a quando il gomito
avrà recuperato il 90% del ROM. I bambini trattati conservativamente presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli per
distacco epifisario del gomito hanno effettuato alla rimozione dell’apparecchio gessato riabilitazione
autogestita attraverso l’esecuzione delle attività della vita quotidiana e l’attività fisica adattata preferibilmente
in acqua. Sono in corso le valutazioni dei risultati a 6 mesi e 1 anno per quanto riguarda il ROM in flessoestensione. Dalla valutazione dei casi trattati i risultati preliminari mostrano che il recupero del ROM in
flesso-estensione presenta un andamento analogo a quello riportato dai vari Autori con un recupero del
ROM completo nella quasi totalità dei casi a un anno dal trauma.
In considerazione dei risultati preliminari ottenuti e di quanto riportato in letteratura possiamo concludere che
il trattamento riabilitativo dopo distacco epifisario trattato conservativamente non va effettuato essendo il
bambino il “miglior rieducatore di sé stesso”. Qualora si instaurino situazioni di ritardo nel recupero del ROM
o siano presenti paralisi del nervo interosseo è necessario effettuare un trattamento riabilitativo che deve
essere gestito da un terapista esperto in riabilitazione pediatrica che lavori in un ambiente specifico per il
bambino, utilizzando oggetti idonei al trattamento.
IL RUOLO DELL’AGOPUNTURA NELLA RIABILITAZIONE DEL PAZIENTE SOTTOPOSTO A PROTESI
TOTALE DI GINOCCHIO
Torrisi S, Amico V, Correggia C*, Maero S*, Scalisi E, Mariconda C*, Cioni M
*Struttura Complessa di Recupero e Rieducazione Funzionale - Presidio Sanitario Gradenigo – Torino
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica eRiabilitativa– Dip. Scienze Biomediche e Biotecnologie,
Università degli Studi di Catania
INTRODUZIONE
Nella riabilitazione dei pazienti sottoposti a protesi totale di ginocchio (PTG) spesso l’ostacolo principale è
dato dal dolore e dalla rigidità. Numerosi studi hanno provato l’efficacia dell’agopuntura nel trattamentodel
dolore nella gonartrosi, ma è invece carente la letteratura sul suo ruolo nella riabilitazione dopo l’impianto
protesico.
Obiettivo:Provare l’efficacia dell’agopuntura nella riduzione del dolore, della rigidità, dell’edema del ginocchio
operato e nel favorire il recupero funzionale dei pazienti sottoposti a PTG.
MATERIALI E METODI
Tutti i pazienti sono valutati nella giornata pre-operatoria. La scala KOOS (Kneeinjury and
OstheoarthritisOutcome Score) ed il Time Up and Go testsono utilizzati come indici funzionali pre-operatori.
La valutazione del dolore avviene mediante la scala NRS (Numeric Rating Scale).Il ROM e la circonferenza
del ginocchio al margine superiore della patella misurano la rigidità e l’eventuale edema. I pazienti vengono
quindi assegnati con randomizzazione a blocchi e allocazione nascosta al gruppo “Controllo” od al gruppo
“Agopuntura”.In quest’ultimo gruppo, oltre alla terapia riabilitativa standard, i pazienti sono sottoposti, dalla
quinta alla ventesima giornata postoperatoria, a 3 sedute di agopuntura alla settimana. Il trattamento
prevede l’inserzione di aghi monouso sterili da agopuntura in sede adiacente e distale al ginocchio operato,
per una profondità indicativa di 0.5-1.0 cm, lasciati in situ per un tempo medio di 30 minuti; a metà della
seduta gli aghi vengono manualmente stimolati per rinnovare nel paziente una momentanea sensazione
locale di peso o di intorpidimento definita, nella letteratura classica di agopuntura, “De qi”. I parametri di
ROM, NRS e circonferenza vengono rivalutati in quinta, dodicesima e ventesima giornata postoperatoria.
Tutti i parametri somministrati in sede di valutazione pre-operatoria vengono rivalutati a due mesi
dall’impianto protesico. DISCUSSIONE
Il nostro studio è ancora in corso e, incrementando la casistica, mira a rafforzare i dati esigui presenti nella
letteratura internazionale riguardol’efficacia dell’agopuntura integrata nel trattamento riabilitativo postoperatorio; inoltre mira a creare un precedente nella valutazione riguardo il miglioramento del recupero
funzionale a lungo termine.
EFFICACIA DI
UN
TRATTAMENTO
COMBINATO
DI
AGOPUNTURA MANUALE
ED
ELETTROAGOPUNTURA CONFRONTATA CON ULTRASUONOTERAPIA NELL’EPICONDILITE
LATERALE: STUDIO PRELIMINARE, PROSPETTICO, RANDOMIZZATO
P. Castellazzi, P. Zuccher, N. Smania A. Picelli
Scuola Medicina Fisica e Riabilitazione, Università degli Studi di Verona
L’epicondilite laterale è una tendinopatia inserzionale a decorso acuto o cronico che colpisce l’inserzione
osteotendinea prossimale dei muscoli epicondiloidei. Sede delle principali alterazioni patologiche è l’origine
aponeurotica dell’estensore radiale breve del carpo (ERBC). La causa principale è l’uso eccessivo e stress
ripetitivi.
In letteratura sono descritti più di 40 differenti metodi di trattamento per l’epicondilite, anche se i risultati
presentati dai vari AA sono spesso discordanti ed incompleti. Non sono presenti reali linee di trattamento
standardizzate. I trattamenti includono: riposo, utilizzo di FANS, iniezione di corticosteroidi, onde d'urto
extracorporea, terapia laser a bassa frequenza, ultrasuonoterapia a contatto, fisioterapia, agopuntura e
chirurgia.
Il ricorso all’agopuntura per il trattamento del dolore muscolo-scheletrico sta aumentando negli ultimi anni,
con una maggiore considerazione sia da parte dei medici sia da parte dei pazienti. L’effetto più noto
dell’agopuntura è l’effetto analgesico. Ulteriori studi dimostrano che l’elettroagopuntura (tecnica mediante la
quale gli aghi vengono stimolati tramite l’utilizzo di un impulso elettrico) ha un’azione sul dolore
infiammatorio. L’elettroagopuntura blocca il dolore attivando una serie di sostanze chimiche bioattive
attraverso meccanismi periferici, spinali, e sopraspinali. Questi includono il rilascio di oppioidi endogeni, la
desensibilizzazione dei nocicettori periferici, la riduzione delle citochine proinfiammatorie periferiche e nel
midollo spinale, l’aumento dei livelli di serotonina e noradrenalina. Pochi studi e con numerosi limiti di
metodica analizzano l’efficacia dell’agopuntura sull’epicondilite laterale.
L’attenuazione del dolore si può ottenere anche mediante terapie fisiche. E’ stato dimostrato l'effetto positivo
a breve termine della terapia ad ultrasuoni, ma non vi sono prove sufficienti per quanto riguarda i loro effetti
a lungo termine.
Lo scopo del presente studio è quello di valutare l’efficacia e la sicurezza di uno schema combinato di
agopuntura manuale ed elettro-agopuntura nel trattamento dell’epicondilite laterale cronica confrontata con
ultrasuono-terapia a contatto. È stato effettuato uno studio clinico, randomizzato, in singolo cieco. Sono stati
arruolati 10 pazienti affetti da epicondilite laterale cronica, randomizzati in 2 gruppi di trattamento (5 pazienti
trattati con agopuntura; 5 pazienti trattati con ultrasuoni a contatto). I pazienti sono stati valutati prima del
trattamento (T0), immediatamente dopo il trattamento (T1), due settimane (T2) e quattro settimane (T3) dopo
il trattamento. Le scale di valutazione utilizzate sono state le seguenti: Visual Analogic Scale (VAS), Rated
Tennis Elbow Evaluation (PRTEE), DisabilityArmShoulderHandmesaure (DASH), forza di presa misurata
attraverso un dinamometro(GRIP TEST), versione coreana del EuroQol-5D (EQ-5D). In entrambi i gruppi si
è riscontrato un miglioramento in tutte le scale di valutazione somministrate, sebbene non statisticamente
significativo; la mancata significatività potrebbe essere legata alla scarsa numerosità del campione,
principale limite di questo studio.
I risultati preliminari di questo studio mostrano un’efficacia dell’agopuntura nel dolore da epicondilite cronica
sovrapponibile a quello degli ultrasuoni a breve termine. Tale risultato potrebbe suggerire la necessità di un
numero maggiore di sedute agopunturali al fine di garantire la permanenza dell’efficacia analgesica a lungo
termine.
EFFICACIA, SICUREZZA E TOLLERABILITA’ DELLA TOSSINA BOTULINICA A NELLA PROFILASSI IN
PAZIENTI CON EMICRANIA CRONICA: UNO STUDIO ESPLORATIVO DI COORTE SU 52 PAZIENTI
J. Corradi, E. Verzini, M. Gandolfi, F. Marchioretto S. Tamburin, C. Geroin, F. Ferrari, A. Pontillo, N. Smania
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa, Università degli Studi di Verona
L’Emicrania Cronica (EC) è una patologia che colpisce circa il 2% della popolazione e costituisce la sesta
causa di disabilità e riduzione della Qualità di Vita a livello mondiale. Lo studio di fase III Phase 3
REsearchEvaluatingMigraineProphylaxis (PREEMPT) ha mostrato come la Tossina Botulinica di Tipo A
(OnabotulinumtoxinA) possa essere un trattamento efficace, sicuro e ben tollerato nella profilassi dell’EC.
Tale procedura, quindi, è entrata a far parte delle Linee Guida della Società Italiana per lo Studio delle
Cefalee (SISC) con livello di raccomandazione di tipo I per il trattamento dell’EC.Lo scopo dello studio è
valutare l’efficacia, la sicurezza e la tollerabilità del trattamento con tossina botulinica di tipo A in pazienti
adulti seguiti presso l’UOC di Neuroriabilitazione dell’ AOUI di Verona. I pazienti sono affetti da EC, definita
in base ai criteri della seconda edizione dell’International Classification of HeadacheDisorders (ICHD-II).
Sono stati arruolati nello studio 52 pazienti (età media = 45,66 anni; SD = 14,37; range = 18-87 anni) affetti
da EC. Tutti i pazienti hanno eseguito trattamento con tossina botulinica di tipo A secondo il protocollo
validato e standardizzato PREEMPT. I pazienti sono stati valutati alla settimana 0, 12 e 24 mediante diario
della cefalea, questionario anamnestico e valutazione della qualità della vita con questionario HIT-6. La
misura di outcome primaria è stata il numero di giorni liberi da attacchi di Emicrania (E). Le misure di
outcome secondarie sono state il numero di ore di E a settimana, la durata media degli attacchi, il consumo
di farmaci assunti (totali, triptani e non triptani) a settimana e la Qualità di Vita. Il trattamento con tossina
botulinica di tipo A è stato efficace nell’aumentare il numero di giorni liberi da attacchi di E (p=0,001), nel
ridurre il numero di ore di E (p=0,022) e migliorare la Qualità di Vita (p<0,001) in pazienti affetti da EC. Il
46% dei pazienti ha proseguito il trattamento, mentre il 54% non ha proseguito oltre il primo ciclo di
trattamento. Il gruppo di soggetti che ha sospeso il trattamento presenta una forma più severa di E, è
caratterizzato da un maggior numero complessivo di ore settimanali di E, da un numero di giorni liberi da
malattia minore e da una durata maggiore in termini di ore dei singoli attacchi e da un esordio
adolescenziale della patologia. 46 pazienti su 52 (88%) non ha mostrato effetti avversi e solo 6 pazienti su
52 (12%) ha riferito i seguenti effetti avversi: patologie oculari (6%), alterazioni muscolo-scheletriche intesa
come debolezza muscolare nei distretti infiltrati (4%) e dolore cutaneo (2%). Il nostro studio conferma i dati
presenti in letteratura, ma allo stesso tempo mette in evidenza come sia necessario studiare ulteriormente
l’andamento temporale della risposta terapeutica, soprattutto in pazienti con maggiore severità del disturbo,
ed individuare i fattori che possono influenzare tale risposta.
IL TRATTAMENTO RIABILITATIVO NELLA SINDROME POST-POLIO
Autori:M. Sallì,M.L.De Luca, C.Asaro, M. Chiappone, L.G.Tumminelli, G.Letizia Mauro
Università degli Studi di Palermo – U.O.C. di “Riabilitazione” - Direttore: Prof. Giulia Letizia Mauro
La sindrome post-polio (PPS) definisce i sintomi neuromuscolari che possono svilupparsi dopo un periodo di
stabilità funzionale in soggetti con pregressa poliomelite paralitica acuta. La prevalenza della PPS varia tra
25% e 74%. L’eziologia non è ancora nota,si ipotizza che le fibre muscolari vadano incontro ad una nuova
denervazione, per degenerazione distale degli assoni di estese unità motorie. I sintomi cardine della PPS
sono: astenia, debolezza muscolare lentamente progressiva, atrofia muscolare e dolore muscolo-scheletrico.
Possono essere presenti sintomi addizionali quali: intolleranza al freddo, iperidrosi, acrocianosi, dispnea
notturna, disfagia e disfonia. La diagnosi è basata sulla presenza di un disturbo del motoneurone che è
supportato da risultati neurofisiologici, con esclusione di altre patologie come cause dei nuovi sintomi
(sclerosi multipla, miopatie, tumori spinali, atrofia muscolare).
Presso l’U.O.C. di “Riabilitazione” dell’A.O.U.P. “P. Giaccone” di Palermo, sono stati reclutati 6 pazienti (4
uomini e 2 donne) di età compresa fra 43 e 59 anni (età media:50,3 aa) con anamnesi positiva di pregressa
poliomelite paralitica che presentavano sintomi compatibili con l’insorgenza di PPS quali debolezza
muscolare progressivamente ingravescente, difficoltà nella deambulazione, astenia e dolore muscoloscheletrico. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a visita fisiatrica presso il nostro ambulatorio e hanno
eseguito esame EMG che mostrava alterazioni di tipo neurogeno con segni direinnervazione e
denervazione. E’ stato stilato un progetto riabilitativo il cui obiettivo è stato valutare come un trattamento
personalizzato possa ridurre la sintomatologia algica, migliorare la forza muscolare e in ultima analisi la
qualità di vita.
Il progetto riabilitativo della durata di 2 mesi prevedeva un programma motorio consistente in cauto esercizio
terapeutico eseguito a cadenza trisettimale (stretching, esercizi di rinforzo muscolare e aerobici,
rieducazione respiratoria ed allineamento posturale) e un programma di terapia fisica per il trattamento del
dolore miofasciale che prevedeva 20 sedute a cadenza giornaliera di ultrasuonoterapia (manipolo mobile,
intensità 0,8 W/cm2 ad emissione pulsata per 10 minuti) e 12 sedute a cadenza trisettimanale di Laser Nd:
YAG (in modalità antalgica acuta 28 Joule per punto per 8 sec. per tre ripetizionie in modalità
decontratturante 42 Joule per punto per 12 sec per tre volte). Fattore chiave èstato quantificare l'intensità
dell'esercizio (2,5 MET) che deve essere progressivamente crescente, in maniera tale da evitare sia il
disuso che l’overuse dei muscoli indeboliti. Abbiamo invitato i pazienti a modificare lo stile di vita
privilegiando il risparmio energetico, alternando attività e riposo ed inoltreabbiamo prescritto, laddove non
fossero ancora in uso, ausili per la deambulazione.
Ai pazienti sono state somministrate le seguenti scale di valutazione: il Questionario Short Form(SF-12) per
indagare l’impatto funzionale sulla qualità di vita, l’FSS (FatigueSeverity Scale) per valutare il grado di fatica,
l’MRC (MedicalResearchCouncil) per valutare la forza muscolare nei gruppi muscolari coinvolti in maniera
eterogenea nei singoli pazienti alla visita basale (T0), dopo 1 mese (T1), a 2 mesi (T2) e al follow-up a 6
mesi (T3).
Dall’analisi dei dati si evince che i 4 pazienti che hanno aderito al nostro protocollo riabilitativo (drop-out di 2
pazienti per mancata compliance) hanno presentato un miglioramento significativo della forzamuscolare, una
riduzione della sintomatologia algica e dell’astenia.
In conclusione possiamo affermare che una rapida identificazione ed un adeguato trattamento del deficit
neuromuscolare, attraverso un presa in carico multidisciplinare, è fondamentale per garantire le funzioni e
una soddisfacente qualità di vita.
EPIDEMIOLOGIA DELLA DISABILITA’ E PERCEZIONE DELLA RIABILITAZIONE NEL DISTRETTO DI
SALUTE DI DSCHANG (CAMERUN)
1
4
4
2, 3
SanouSobze MARTIN ; Yannick AZEUFACK, MD ; Caterina ALBENSI, MD ; Raoul Guetiya WADOUM ,
1
1
1
1
1
Rachel MINDJOMO , Michelle SIPÉWO , Isabelle DJOUANA , Axel MBA , Elisabeth METOMO , Ivan
1
1
1
1
1
NKONE , Mireille NDONGO , Manjieli AWAWOU , Charleine TUIEDJO , James-Francis ONOHIOL , Bruna
1
1
2
4
DJEUNANG DONGHO , Pete Patrick NKAMEDJIE , Vittorio COLIZZI, MD ; Calogero FOTI, MD, FEBPRM .
1
Department of Biomedical Sciences, Faculty of Sciences, University of Dschang, Cameroon
Department of Biology, Faculty of Sciences, TorVergataUniversity, Rome, Italy
3
Department of Biochemistry, Faculty of Sciences, University of Dschang, Cameroon
4
Department of Clinical Sciences and Translational Medicine, TorVergataUniversity, Rome, Italy
2
Scuola di SpecializzazioneMedicina Fisica e Riabilitazione, Università di ROMA- Tor Vergata diretta dal Prof.
Calogero Foti
Questo studio cerca di valutare la percezione della disabilità motoria in Camerun, precisamente nel Distretto
Sanitario di Dschang, in relazione alle condizioni di vita delle persone con disabilità e alla loro necessità di
riabilitazione, mentre il governo del Camerun sta lavorando alla revisione della legge n. 83/013 del 21
luglio1983 (relativa alla tutela delle persone con disabilità), per adottare uno strumento che garantisca una
migliore protezione dei disabili e la promozione dei diritti umani di queste persone, nell’ottica di una loro
piena partecipazione alla vita della nazione e che consideri la necessità di formazione di professionisti della
riabilitazione che saranno d’aiuto nel recupero della salute e nel reinserimento sociale del disabile.
Lo studio si basa su un sondaggio condotto per un periodo di sette giorni (dal 7 giugno al 14, 2013), durante
il quale un questionario, che è stato il principale strumento per la raccolta dei dati, è stato somministrato,
dopo consenso informato, agli individui selezionati come potenziali partecipanti che avevano incontrato i
criteri di inclusione: essere in fase di disabilità motoria e vivere nel Distretto Sanitario di Dschang, qualunque
fosse la loro età o sesso. I dati hanno rivelato che la carenza di informazioni e conoscenze su questioni
cliniche, sociali e psicologiche connesse alla disabilità, in particolare nel contesto della famiglia e della
comunità, determina la persistenza di atteggiamenti che provocano gravi danni, consistenti principalmente
nella mancanza di sostegno e cure adeguata e nella segregazione dei disabili per nasconderli al mondo. A
causa di queste circostanze, oggi le persone con disabilità di vari tipi e gradi in Camerun, sperimentano una
condizione passiva e una situazione di dipendenza, emarginazione ed esclusione sociale.
Si può concludere quindi che le persone con disabilità motoria nel Distretto Sanitario di Dschang in Camerun
abbiano enormi difficoltà nella riabilitazione e incontrino molti problemi, in particolare durante il loro
reinserimento nel mondo del lavoro. Ciò sottolinea l'importanza della formazione, in questa realtà geografica,
di professionisti della riabilitazione che possano aiutare le persone con disabilità nel loro percorso riabilitativo
e nel successivo reinserimento sociale, il tutto nell’ambito di una generale necessità di ampliamento dell'area
della Medicina Fisica e Riabilitativa nel Sistema Sanitario Pubblico.
INFLUENZA DI DIFFERENTI SOSTANZE INIETTATE ENDOARTICOLARMENTE SUI PARAMETRI DEL
CONTROLLO PRPRIOCETTIVO E DEL CONSUMO METABOLICO IN SOGGETTI OSTEOARTROSICI
(DATI PRELIMINARI)
1
1
1,2
1,3
Reggiani A , Camerino N ,Dalla Toffola E ,Bejor M
1
Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitativa. Dipartimento di Scienze Clinico-Chirurgiche, Diagnostiche e Pediatriche,
Università degli Studi di Pavia; 2S.C. Riabilitazione Specialistica. Dipartimento di Medicina Diagnostica e dei Servizi, Fondazione IRCCS
Policlinico San Matteo, Pavia; 3Fondazione Don Carlo Gnocchi ONLUS, Centro Medico"Santa Maria alle Fonti”, Salice Terme, Pavia
L’osteoartrosi del ginocchio è una patologia disabilitante molto diffusa caratterizzata da una progressiva
degradazione della cartilagine articolare e da fasi “infiammatorie” in genere associate a importante
sintomatologia algica. La riduzione della disabilità associata prevede opzioni tese al controllo del dolore, al
miglioramento dell’escursione articolare e dell’attività muscolare intesa sia in termini di forza espressa che di
resistenza allo sforzo (livello di esercizio sostenibile).
L’intervento farmacologico associato ai programmi riabilitativi individuali può prevedere l’utilizzo di diverse
sostanze e di differenti vie di somministrazione. Il presente lavoro valuta preliminarmente come la
somministrazione intraarticolare di corticosteroidi (C+L) e composti ialuronati (Ac.Jal.), previa selezione dei
pazienti secondo quanto previsto dalle linee guida Cochrane, possa influire su alcuni parametri importanti
per la stesura dei pri. I pazienti oggetto del presente studio, condotto secondo quanto previsto dalla
dichiarazione di Helsinki, sono stati arruolati in base a: riscontro radiografico di gonartrosi con grado di
deterioramento articolare 2/3 secondo Kellgren e Lawrence ed 1 o 2 secondo Ahlbäck, presenza di gonalgia
soggettiva a riposo con punteggio VAS >3. I pz. sono stati suddivisi in 2 gruppi sulla base di un indicatore
non soggettivo del livello di dolore rappresentato dal consumo di FANS od altri analgesici nelle 4 settimane
antecedenti l’arruolamento. Il gruppo a basso dolore (2 assunzioni settimanali o meno/17pz.) è stato
sottoposto ad un ciclo di 3 infiltrazioni con jaluronato sale sodico 1.6%; il gruppo con dolore più elevato (da 3
a più assunzioni settimanali/13pz.) è stato sottoposto ad un ciclo di 3 infiltrazioni con metilprednisolone
acetato 40 mg/mL +lidocaina cloridrato 10 mg/mL. Per tutti i soggetti, prima e dopo il ciclo, sono stati valutati
i seguenti parametri: dolore soggettivo (scala VAS), stato funzionale (scala di Lequesne), numero di passi e
consumo di Calorie e METs (mediante strumentazione Armband® indossata per 3 gg consecutivi per
almeno 12 ore) e controllo dell’equilibrio monopodalico (mediante strumentazione Fisiotools® Balance test
TtApp). Le differenze tra i valori rilevati prima e dopo ciclo infiltrativo e tra i due gruppi sono state valutate
con il software statistico MiniTab17®.
La distribuzione normale dei campioni è stata verificata con il metodo Anderson-Darling; le differenze tra lato
e prima e dopo trattamento nelle stesse persone sono state valutate con t-test per dati accoppiati, le
differenze tra i 2 gruppi trattati con C+L o con Ac.Jal. sono state verificate con il test Mann-Whitney corretto.
Entrambi i preparati somministrati intrarticolarmente, risultano significativamente efficaci sia nel
miglioramento dei parametri funzionali sia nel controllo del dolore soggettivo. Differenze percentuali
significative prima e dopo il trattamento si hanno nell’indice funzionale di Lequesne (-25,95% per il gruppo
C+L e -28,99% nel gruppo JAL) e nella VAS (-34,85% nel gruppo C+L e -61,54% nel gruppo JAL). Anche il
numero di passi e le calorie consumate risultano significativamente aumentati. Il consumo di METs è
aumentato ma si attesta sempre attorno ai valori basali. L’equilibrio monopodalico non appare modificato né
prima né dopo il trattamento, né tra l’arto trattato e quello non trattato. Le differenze riscontrate vanno
tuttavia considerate alla luce del fatto che il gruppo trattato con solo JAL era rappresentato dai soggetti
“bassi consumatori” di FANS (ed infatti la media della VAS è significativamente inferiore a quella del gruppo
“alti consumatori”) e quindi partiva da valori funzionali migliori. Entrambe le terapie sembrano risultare
efficaci nel migliorare la compliance del paziente nei riguardi dell’esercizio terapeutico.