Birrificio “Tennent`s tavern” Pagani (SA)

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Birrificio “Tennent`s tavern” Pagani (SA)
Birrificio “Tennent’s tavern”
Pagani (SA)
La prima operazione, nel processo di produzione della birra, è quella di macinazione
del malto. I chicchi di cereale vengono trattati in un apposito mulino che provvede a
frantumarli in maniera grossolana.
Segue poi la miscelazione del malto con l’acqua. Questa, dopo essere stata
convenientemente addolcita, ossia privata della maggior parte dei sali di calcio e
magnesio mediante resine a scambio ionico1, viene caricata nel tino di ammostamento e
riscaldata a circa 50 °C. Una volta giunta a tale temperatura, all’acqua viene aggiunto il
malto macinato. Il rapporto tra le quantità d’acqua ed di malto utilizzate dipende dal
tipo di birra che si intende ottenere. Per una “doppo malto”2 esso è di circa 2.35, vale
a dire 800 litri / 340 kg, mentre per una birra “normale” il quoziente acqua / farina
può arrivare fino a 3, ossia circa 700 litri di acqua per 240 kg di farina.
La fase di miscelazione dura all’incirca 10’, durante i quali la temperatura viene
mantenuta a 50-51°C tenendo in agitazione la sospensione di cereale macinato ed
acqua. A questo punto inizia la fase più importante e delicata dell’intero processo,
quella di ammostamento, o saccarificazione. Durante questa operazione l’amido del
malto viene idrolizzato, ossia scisso, in zuccheri più semplici ad opera degli enzimi3,
sostanze anch’esse presenti nel chicco di malto. L’ammostamento è una fase essenziale
in quanto i lieviti non sono in grado di fermentare l’amido. Esso infatti, pur essendo
uno zucchero (polisaccaride), ha una molecola troppo complessa perché le cellule di
lievito possano attaccarla e nutrirsene. L’ammostamento viene fatto riscaldando
progressivamente la sospensione di malto ed acqua fino ad una temperatura massima
di 78 °C. Durante il riscaldamento la miscela viene mantenuta per intervalli di tempo
determinati, le cosiddette “soste”, a temperatura costante per consentire agli enzimi
di esplicare la loro opera demolitrice. La durata delle soste e la temperatura a cui
vengono effettuate condiziona in maniera rilevante il gusto del prodotto che si andrà
ad ottenere.
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Oltre che essere potabile, infatti, l’acqua utilizzata deve possedere un grado di durezza modesto, per evitare che a causa della
presenza di carbonati e bicarbonati, il pH sia più o meno alcalino. Infatti, se il valore del pH supera 7, l’acqua non è idonea alla
produzione di birra, perché l’alcalinità incide sfavorevolmente sul processo di saccarificazione dell’amido; inoltre la coagulazione
delle sostanze proteiche, nella operazione di ebollizione, è incompleta e la successiva chiarificazione del mosto diviene più
difficile.
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Ricordiamo che, secondo la legislazione italiana (DM 1354/62), la birra si classifica in : 1) normale, avente grado saccarometrico
non inferiore ad 11 (un grado saccarometrico in volume equivale ai grammi di estratto, ossia di sostanze disciolte compresi gli
zuccheri, contenuti in 100 ml del mosto da cui è stata preparata la birra); 2) speciale, con grado saccarometrico non inferiore a
13; 3) doppio malto non inferiore a 15; 4) analcolica non inferiore a 3 e non superiore a 8.
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Gli enzimi sono sostanze di natura proteica che costituiscono dei catalizzatori biologici. Essi, cioè, sono in grado di accelerare la
velocità di una reazione chimica e di ritrovarsi inalterati alla fine del processo. Nel malto sono presenti svariati tipi di enzimi, tra
i più importanti vi sono: 1) enzimi amilolitici (α-amilasi e β-amilasi) responsabili della degradazione dell’amido in destrine e
maltosio; 2) enzimi proteolitici (proteasi e peptidasi) che decompongono le proteine presenti in polipeptidi e amminoacidi; 3)
enzimi lipolitici (lipasi) che decompongono i grassi del germe in glicerina ed acidi grassi; 4) enzimi (fitasi) che degradano i
composti fosforganici (essenzialmente la fitina), liberando acido fosforico, sostanza essenziale nel processo fermentativo, ed
abbassando il pH.
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Nella figura riportata è rappresentato un tipico diagramma di ammostamento4.
Terminata l’operazione, la sospensione viene travasata5, tramite una pompa, in un altro
tino dove avviene la filtrazione, ossia la separazione dei residui insolubili, le
cosiddette “trebbie” (costituite dalla parte corticale del chicco di malto), dal liquido
zuccherino, chiamato “mosto”. Alla base del tino vi è un doppio fondo costituito da un
retino di acciaio che consente di trattenere le trebbie mentre il mosto chiarificato
fuoriesce all’esterno. Si noti come quest’ultimo non venga aspirato, ma decanti per
gravità attraversando lo strato di trebbie già depositatesi, strato che provvede ad
una filtrazione naturale del mosto stesso6. All’uscita dal tino di filtrazione, il mosto
viene nuovamente pompato nel tino di ammostamento per la successiva fase di cottura.
La resa del processo di filtrazione (che dura circa 60’) è intorno ai 500 litri di mosto
chiarificato (le trebbie trattengono quasi 300 degli 800 litri di acqua iniziali).
Pertanto, per diluire il mosto stesso ed estrarre le sostanze zuccherine residue
contenute nelle trebbie, queste ultime subiscono due lavaggi successivi, nello stesso
tino, con 300 e 250 litri di acqua calda, lavaggi della durata di 30’ ognuno. Al termine
del processo di filtrazione e lavaggio trebbie, nel tino di ammostamento saranno stati
trasferiti circa 1000-1050 litri di liquido pronti per la cottura.
Questa operazione consiste nel portare all’ebollizione (per circa 90’) il mosto ed ha
vari scopi, primo fra tutti la sterilizzazione del medesimo per rendere più favorevole
l’ambiente allo sviluppo dei lieviti che saranno aggiunti in seguito. Con l’ebollizione
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In esso sono distinguibili 6 soste. La prima (10’ a 51 °C) è la cosiddetta sosta acida, durante la quale si ha l’abbassamento del pH
del mosto grazie all’azione della fitasi che degrada la fitina (sale insolubile contenuto nei semi di molti cereali) liberando acido
fosforico e mio-inositolo, vitamina del gruppo B utile nelle fasi di sviluppo del lievito. La seconda sosta (6’-7’ a 54 °C) è detta di
peptonizzazione in quanto vengono degradate le proteine ad opera degli enzimi proteasi (o proteinasi) e peptidasi con formazione
di prodotti azotati ad alto (polipeptidi, peptoni) e basso (amminoacidi) peso molecolare necessari per la stabilità della schiuma,
pienezza del gusto e nutrizione dei lieviti. La terza sosta (30’ a 61 °C) è quella di saccarificazione vera e propria. A questa
temperatura è attiva la β-amilasi che degrada l’amido formando maltosio, zucchero semplice a basso peso molecolare. La quarta
(20’ a 68 °C) è anch’essa una sosta di saccarificazione durante la quale sono attive contemporaneamente la α-amilasi e la βamilasi. La prima attacca l’amido formando prodotti ad alto peso molecolare chiamati “destrine” che vengono poi scissi dalla
seconda in maltosio. La quinta (20’ a 72 °C) è una sosta di destrinizzazione nella quale è attiva solo la α-amilasi per cui l’amido
residuo viene degradato a destrine, zuccheri non fermentiscibili, responsabili del sapore dolce e della corposità del gusto della
birra. L’ultima breve sosta, la sesta, (5’ a 78 °C) è detta di chiusura e serve a degradare gli ultimi granuli di amido rimasti ad
opera della α-amilasi, prima che l’operazione di ammostamento sia terminata.
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Per impedire la formazione di sacche d’aria nel condotto di scarico del tino di filtrazione, prima del travaso il fondo di questo
viene riempito con un certo quantitativo (90-100 litri) di acqua tiepida.
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Ciò è ottenuto interponendo, tra tino di filtrazione e pompa di aspirazione, un serbatoio polmone (della capacità di circa 7 litri)
che alternativamente si riempie (per gravità) e si svuota (per l’aspirazione della pompa).
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inoltre si ha la coagulazione delle proteine e l’inattivazione degli enzimi che così
cessano di agire sulle grosse molecole di zucchero ancora presenti, le cosiddette
“destrine”. Pertanto questi zuccheri, anch’essi non fermentiscibili come l’amido, non
subiranno ulteriori trasformazioni e rimarranno in soluzione contribuendo a dare alla
birra il sapore e la corposità che la caratterizza.
L’aggiunta del luppolo7, che avviene durante la cottura sotto forma di pallets, ha
proprio lo scopo principale di controbilanciare il sapore dolce delle destrine e fornire
il profumo tipico di questa bevanda sfruttando le sostanze amaricanti e aromatiche8
che esso contiene.
Al termine della cottura, i solidi in sospensione nel mosto (costituiti da proteine
coagulate e residui di luppolo, le cosiddette “trebbie del luppolo”) devono essere
separati, ciò che viene effettuato tramite una particolare centrifugazione del mosto,
operazione denominata whirlpool.
Essa consiste nel pompaggio ad alta velocità del mosto all’interno di un terzo tino,
chiamato appunto whirlpool (termine che significa vortice, in inglese). L’ingresso del
mosto viene fatto avvenire tangenzialmente alla parete laterale del tino in modo che
esso acquisti un moto rotatorio vorticoso che porti, per forza centripeta, i solidi
sospesi ad agglomerarsi sul fondo, al centro del recipiente.
Il mosto, definitivamente chiarificato, attraversa uno scambiatore di calore a piastre,
dove subisce un raffreddamento mediante acqua gelida fino alla temperatura di circa
12-14 °C, ed è immesso nel fermentatore dove, grazie ai lieviti aggiunti, avverrà la
fase successiva del processo: la fermentazione alcolica. Durante questa fase, i
microrganismi unicellulari che costituiscono il lievito trasformeranno gli zuccheri
semplici (principalmente maltosio), prodottisi durante l’ammostamento, in alcool e
anidride carbonica. La quantità di lievito aggiunta (sotto forma di sospensione liquida)
dipende dal grado zuccherino, mediamente essa è di circa 10 litri ogni 1000 litri di
mosto9.
La durata del processo fermentativo dipende principalmente dalla quantità di zuccheri
presenti. In generale, per una birra normale, occorrono circa 7 giorni perché la
trasformazione dello zucchero in alcool sia più o meno completa, mentre ci vogliono
circa 15 giorni affinché lo stesso processo si esaurisca per una doppio malto.
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Il luppolo viene aggiunto in quantità e tempi variabili a seconda del prodotto desiderato. Ad esempio, nel caso di birra doppio
malto, si aggiungono circa 1.05 kg di luppolo (per 1000 litri) in due tempi: 30’ dopo l’inizio della cottura e 30’ dopo la prima
aggiunta. Per la birra normale invece, si addizionano 1.3 kg di luppolo in tre tempi: all’inizio dell’ebollizione, dopo 30’ e 30’ dopo la
seconda aggiunta. Nel caso della birra weiss, si aggiungono 800 g di luppolo in due tempi: all’inizio e dopo 20’.
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Queste sostanze sono costituite da un olio essenziale, responsabile del profumo e dell’aroma, e da resine, cui è dovuto il sapore
amaro. Il primo è formato da una miscela decisamente complessa di oltre 200 componenti diversi. Le resine sono costituite invece
da 4 frazioni delle quali solo la prima, denominata frazione α o acidi amari α, è quella più importante. Tale frazione ha, come
componente principale, l’umulone o acido α-lupulinico che, con l’ebollizione, si trasforma in isoumulone, il vero agente amaro
caratteristico.
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Ricordiamo, per inciso, che l’industria birraia utilizza decine (se non centinaia) di ceppi diversi di lievito, tutti appartenenti al
genere Saccharomyces. Tutte queste diverse specie possono essere classificate in due grandi gruppi: lieviti a bassa
fermentazione (i più comuni, utilizzati per la produzione delle birre lager o pilsener) e lieviti ad alta fermentazione (molto meno
diffusi, utilizzati per la produzione delle birre inglesi (ale, stout, porter, ecc.) e di alcune birre tedesche (weiss, kölsch, alt, ecc.).
La differenza principale tra i due gruppi sta nella temperatura di lavoro. I primi, infatti si riproducono e fermentano i liquidi
zuccherini, a temperature inferiori ai 10-12 °C, mentre i secondi lavorano a temperature comprese tra i 15 ed i 20-25 °C.
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Il fermentatore è costituito da un serbatoio aperto contenente una intercapedine
(detta “camicia”), posta nella parete esterna, in cui circola acqua gelida per il controllo
della temperatura. La trasformazione dello zucchero in alcool è infatti un processo
esotermico (ossia avviene con sviluppo di calore) durante il quale la temperatura del
mosto tende ad aumentare. D’altra parte i lieviti richiedono, per il loro metabolismo,
una temperatura che non superi di molto i 10 °C. Per questo la refrigerazione del
mosto in fermentazione è essenziale per il corretto andamento del processo.
Quando il contenuto zuccherino del liquido in fermentazione si è convenientemente
abbassato, la birra (perché ormai così può essere chiamata) viene separata dai lieviti
decantati sul fondo e travasata in un serbatoio chiuso detto di maturazione dove la
temperatura viene ulteriormente diminuita fino quasi a 0 °C. Qui, in un tempo variabile
da 5 settimane (birra normale) a 3 mesi (birra doppio malto), avviene la
trasformazione della piccola percentuale di zuccheri residui e la birra prende corpo
migliorando, affinandole, le proprie caratteristiche organolettiche di gusto e profumo.
L’anidride carbonica che si sviluppa in questa fase rimane intrappolata all’interno del
serbatoio e si scioglie nella birra donando a questa la caratteristica frizzantezza.
Durante il periodo di maturazione viene effettuato un altro travaso, per separare la
posa sedimentata, prima del travaso definitivo nel serbatoio finale che alimenta il
dispositivo di spillamento.
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