Il valore della comunicazione.

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Il valore della comunicazione.
Il valore della comunicazione.
La necessità di comunicare è una caratteristica propria dell'uomo, perché noi
siamo, come qualche studioso ci ha definiti, “animali sociali”. E' sin dall'età
della pietra che l'uomo ha cercato l'approccio con i suoi simili, prima con
gesti poi con parole: il linguaggio è una capacità innata dell’uomo.
Sicuramente i modi di comunicare sono cambiati molto e cambieranno
ancora, ma la voglia di comunicare sarà sempre la stessa e non si esaurirà
mai.
La Comunicazione quindi non è solo un processo di trasmissione delle
informazioni ma significa mettere in comune, è il mezzo che permette di
entrare in relazione con gli altri ed esistono diverse forme di comunicazione:
Verbale
linguaggio con parole e frasi, metafore, esempi
Non verbale linguaggio che si manifesta attraverso i segnali del corpo,
postura,gesti,sguardo,colori
Praticamente non si può non comunicare in una relazione perché ogni
comportamento è già comunicazione e ogni comunicazione ha due aspetti:
di contenuto (quello che si dice) e di relazione (come lo si dice, a chi, in
quale contesto relazionale). Si comunica con il linguaggio, con la mimica,
con il tono della voce, con la gestualità, con le cose che si fanno, con tutto
il comportamento. Il colore e la foggia degli abiti, la postura, la gestualità, le
espressioni facciali dicono su di noi come le parole. Anzi più che le parole,
visto che appena il 7% della comunicazione è di tipo verbale. Capita
quotidianamente che parliamo a qualcuno e lui guarda da un’altra parte
oppure si dialoga con tono lento e pacato e l’altro replica ad alta voce,
parlando a raffica, o ancora qualcuno durante un colloquio si avvicina e noi
prendiamo le distanze: queste sono scene di ordinaria incomunicabilità,
segnali non verbali che pregiudicano il rapporto e lo compromettono.
I nostri sensi infatti raccolgono infaticabilmente informazioni su ciò che ci
circonda: esse vengono elaborate in un battito di ciglia e la conclusione
decide sulla fiducia da concedere o da negare all’altro. Naturalmente questo
processo risente della cultura e degli apprendimenti individuali e si aggancia
alla preistorica esigenza di riconoscere l’altro come amico o nemico, per
risolvere situazioni di minaccia o di pericolo incombente.
Perciò il semplice fatto di essere ascoltati da qualcuno ci da la forza di
accettare situazioni inaccettabili o confuse perché non siamo da soli a
doverle dipanare. Se vogliamo ascolto quindi dobbiamo imparare ad
ascoltare e occorre innanzitutto porsi in empatia con l’altro.
Scegliere le parole adatte.
Nella comunicazione le frasi da semaforo rosso sono quelle che evocano un
senso di inferiorità in chi ascolta. Conservarle incautamente prepara
l’insuccesso della comunicazione.
Per esempio dire:
-“Ora ti spiego io” è come dire all’altro che le sue conoscenze o, peggio, le
sue capacità intellettuali, sono inadeguate e insufficienti, lo valutiamo e lo
correggiamo dandogli un brutto voto;
-“Se ti ritrovi in questa situazione è colpa tua” fa trasformare il “maestro”
addirittura in giudice colpevolizzante, fa sentire l’altro meritevole di una
punizione;
-“Se sto così è colpa tua” è l’astuzia di chi si finge vittima onde prevaricare
sul presunto carnefice, un fare leva sulla propria difficoltà per sottomettere
l’altro e ottenere qualcosa;
-“Bisogna farlo perché è giusto così” affida la prevaricazione a un
sottinteso primato morale, si pensa di avere l’autorità di distinguere il bene
dal male;
-“Eppure ti avevo avvertito” fa arrivare in chi ascolta la constatazione che
si presume in lui un orizzonte limitato: non è stato accorto nel valutare le
conseguenze del suo agire e nel dare ascolto ai consigli altrui;
“Lo faccio perché sei tu, altrimenti…” significa presumere che l’altro si
debba sentire in debito, usiamo l’altro per gratificarci pensandoci generosi e
disinteressati;
“Sta tranquillo me ne occupo io” comunica un messaggio che ratifica
incapacità o inadeguatezza, è l’adulto costretto a sostituirsi al bambino,
sottolineiamo l’handicap piuttosto che mobilitarne le risorse;
“Vorrei essere d’accordo con te, però…” trasmette un malcelato disprezzo:
si pensa che l’altro abbia opinioni palesemente insostenibili.
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Come si fa invece ad avere una buona comunicazione con l’altro, da
semaforo verde? Occorre innanzitutto:
-valorizzare l’interlocutore,
argomentazioni;
riconoscendo
la
validità
delle
sue
-addurre le nostre ragioni perché ci rifletta e non per vincere nella
conversazione;
-confermargli il senso di un rispetto personale che prescinde da un eventuale
disaccordo sui contenuti;
Il non verbale
Abbiamo già detto che scegliere le parole adatte in una conversazione è
importante ma non sufficiente. Esse possono accompagnarsi ad una
gestualità, una postura, degli sguardi e dei toni di voce che sono altrettanto
decisivi nella buona comunicazione. Si possono definire diversi stili di
comunicazione.
Stile impositivo parole chiave: “Te l’avevo detto. Accade sempre la stessa
cosa. Ora è l’ultima volta” I gesti sono il pugno chiuso oppure la mano a
lama e l’ indice puntato, la postura del corpo è eretta, rigida. Lo stato
d’animo è che l’altro è un nemico, il tono è duro: ciò che dico non va
discusso, io cerco la vincita, non il dialogo.
Stile accomodante parole chiave: “forse possiamo trovare un accordo” I
gesti sono le palme delle mani in alto, mani a triangolo, abbraccio simulato,
la postura è lievemente curva verso l’altro, lo stato d’animo è di chi tende a
concordare, a immedesimarsi, il tono è piano, modulato, invita ad aprirsi.
Stile iperlogico: parole chiave: “analizziamo il problema” Il tono è medio, a
tratti si alza per dare enfasi, i gesti sono mani che disegnano parlando
cerchi, sfere, la postura è leggermente goffa, controllata, lo stato d’animo è
di chi è razionale, teso a convincere.
Stile appianatore: parole chiave: “è difficile separare il torto dalla ragione” I
gesti sono le palme rivolte verso il basso, in orizzontale, il tono è
rassicurante, fermo e dolce, rassicurante, quieto. la postura è armonica, lo
stato d’animo è costruttivo, di consapevolezza, di competenza.
Quali sono i limiti e le virtù di questi stili?
Quello Impositivo ha sicuramente i suoi limiti nella diffidenza e nella
chiusura verso le ragioni dell’altro, ha la sua virtù nella certezza e nella
sicurezza che infonde: ci sono momenti in cui occorre dare ordini,
l’impositivo offre un appiglio ad un gruppo indeciso o in dubbio.
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Quello accogliente ha i suoi limiti nella compiacenza che può indurre a
comportamenti lontani dal proprio pensiero e attuati solo per evitare
contrasti, ha la sua virtù nella disponibilità ad ascoltare le ragioni e i
sentimenti dell’altro, nel creare empatia.
Quello iperlogico ha i suoi limiti nel senso di freddezza e distacco che
trasmette all’interlocutore e ha il suo pregio nella obiettività che ispira il suo
ragionamento.
Quello appianatore ha i suoi limiti nell’iper-concretezza che a volte può
infastidire l’altro e il suo pregio nella autorevolezza che ispira con la sua
competenza.
Ora un accenno alle modalità, comuni a tutti coloro con cui comunichiamo,
di collegamento al mondo attraverso i cinque canali sensoriali: Noi
percepiamo la realtà che ci circonda attraverso i cinque sensi
vista,udito,odorato,tatto,gusto) e inviamo questa realtà all’inconscio
attraverso filtri o sistemi di rappresentazione (visione tunnel = noi vediamo
udiamo e percepiamo attraverso un tunnel che ci impedisce una visione più
ampia della realtà) Vi è la foresta del cercatore di funghi, del cacciatore, degli
innamorati, del fuggitivo, degli animali, del giorno, della notte … Questi canali
sono in continua attività, raccolgono milioni di informazioni al secondo,
tuttavia ogni essere umano ha un canale privilegiato di collegamento con il
mondo, conoscerlo favorisce l’empatia ed evita malintesi. Difficilmente
infatti il visivo sopporterà il contatto ravvicinato con uno estraneo al primo
incontro, il cinestesico potrà facilmente abbracciare ed esprimere cordialità
con gesti di accoglienza, l’olfattivo sarà molto attento agli odori dell’altro (è
il canale più intimo) e l’uditivo per esempio amerà concentrarsi nel suo
lavoro o nello studio con una musica di sottofondo. Perciò è importante
sapere che per esempio i visivi sono coinvolti da immagini, grafici, colori,
gli auditivi vogliono ascoltare parole, ricevere spiegazioni verbali, i
cinestesici rendono al meglio quando si sperimenta, ci si muove, si crea un
gruppo di lavoro. L’impiego esclusivo di un canale è come parlare un
linguaggio comprensibile ad alcuni e straniero per tutti gli altri.
In particolare quindi possiamo dire:
La vista è il senso più sollecitato nel nostro rapporto con il mondo, siamo
immersi nella profusione senza limiti del vedere. Normalmente la vista
placa l’inquietudine o circoscrive le minacce: la notte è perciò un mondo di
profonda ambiguità dove anche un rumore priva l’uomo di sicurezza.
Il tatto è il senso principale del corpo, percepiamo il mondo intorno a noi in
ogni parte del corpo e senza interruzione, anche durante il sonno. E’
possibile essere ciechi, sordi, muti e continuare a vivere, ma la scomparsa di
tutte le sensazioni tattili comporta la perdita dell’autonomia personale, la
paralisi della volontà che deve essere delegata ad altri.
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La scomparsa del tatto blocca la persona in un corpo pesante e inutile:
l’anestesia cutanea rende le membra di marmo e impedisce ogni movimento.
Si alleva un bambino non solo nutrendolo e occupandosi della sua igiene,
ma anche con la tenerezza, prendendolo in braccio, ispirandogli una fiducia
primaria nei confronti del mondo, che comincia già tra le braccia della
madre.
Il gusto è legato al cibo : mangiamo i nostri ricordi, perché ci danno
sicurezza, così conditi di quell’affetto e di quella ritualità che hanno
contraddistinto i nostri primi anni di vita. Poi interviene l’influenza dei pari
e dalla scuola in poi si amplieranno le proposte alimentari del gruppo
familiare. Attraverso il gusto distinguiamo ciò che è buono da ciò che non
lo è, è un modello di apprezzamento che riguarda in primo luogo gli
alimenti di base (riso, mais, patate) e i condimenti tipici (olio di oliva, burro
e panna, limone e origano, peperoncino e coriandolo, salsa di soia e
zenzero) La formazione del gusto si colloca all’incrocio tra dati biologici e dati
dell’educazione. Il gusto alimentare è un dato sociale e culturale, una
memoria in atto dell’infanzia, che la storia personale arricchisce di
sfumature. Salata è la paura… dolce è l’allegria … amaro è l’amore… acido
il coraggio … piccante la nostalgia
L’odore non lascia indifferente: è accolto bene o male e possiede
un’insolita forza Quando si viene colpiti da un odore questo può trascinare
con sé lontano nel tempo perchè è sempre intriso di affettività. Se è
associato a un episodio della propria storia, stimola la memoria. Gli odori
sgradevoli sono quelli dell’altro, non i propri.(ma noi siamo sempre l’altro
di qualcuno) Solo il nemico puzza (proverbio arabo)
L’udito rievoca la lingua materna che è la prima lingua straniera che
l’uomo impara e che fa subito sua. La parola della madre è il primo suono
che già in utero fa entrare il bambino nell’universo umano . C’è un
inquinamento acustico a cui ci siamo abituati: il sottofondo del traffico, dei
programmi televisivi, dell’incessante movimento delle persone ... Il rumore
esagerato isola, accentua l’aggressività e moralmente dispensa
dall’attenzione nei confronti degli altri.
Dio ha dato all’uomo due orecchie, ma una bocca sola perché possa sentire
il doppio di ciò che dice
Essenziale rimane LO SCOPO.
Nello scopo si esprime un insieme di valori ai quali si ispira chi sceglie di
dialogare: se a guidarci non è la competizione, l’ammaestramento a
primeggiare sull’altro, ma sono i valori della partecipazione, del rispetto e
della consapevolezza, allora ci sarà anche il desiderio di conoscere i propri
stili di comunicazione e di imparare a gestirli perché le possibilità per
comunicare efficacemente sono molteplici.
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