Whistleblowing: il ruolo del lavoratore che segnala illeciti
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Whistleblowing: il ruolo del lavoratore che segnala illeciti
LavoroFisco.it, 15 febbraio 2015 Whistleblowing: il ruolo del lavoratore che segnala illeciti La legge 6 novembre 2012, n. 190, recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, recependo in Italia le indicazioni internazionali in merito al whistleblowing, ha introdotto le prime forme di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (penali e non) nell’ambito dei rapporti con la pubblica amministrazione di appartenenza. L’art. 54-bis, comma 1, del D.Lgs. n. 165/2001 stabilisce che, fuori dei casi di segnalazione volutamente calunniosa o diffamatoria, il lavoratore che denunci un illecito di cui ha avuto conoscenza in ragione della sua attività non può essere, per questo solo motivo, sanzionato, licenziato o sottoposto a misura discriminatoria. L’idea, nata nei paesi di common law, è quella che, per una migliore attività di prevenzione, le forme di controllo esterne all’azienda non siano sufficienti e che, quindi, una qualche forma di segnalazione dei reati proveniente dagli stessi dipendenti (i c.d. fischi) sia auspicabile e da tutelare. A dispetto di qualche accorgimento in materia di tutela della privacy, tuttavia, si è già avuto modo di sostenere la scarsa efficacia delle disposizioni di promozione e di tutela, con il conseguente scarso effetto concreto delle innovazioni normative proprio in ragione del rischio di ritorsione in cui può incorrere il lavoratore. I dubbi circa il reale anonimato, il rischio di compromettere il rapporto con i colleghi e lo stress di subire l’apertura di un procedimento disciplinare quale possibile reazione del collega denunciato (pur, alla fine, vedendo riconosciuta la legittimità della propria condotta) sono elementi che pongono seri ostacoli all’incisività della norma come, del resto, ampiamente dimostrato in questi ultimi anni. Qualche elemento nuovo, ad ogni modo, ha iniziato recentemente ad emergere. Onde sopperire a tali problematiche in assenza di un’ulteriore indicazione legislativa, un aiuto può rinvenirsi nei più recenti strumenti della tecnologia informatica. In questa prospettiva si segnala l’attivazione di una apposita piattaforma di internet da parte del Comune di Milano al fine di agevolare queste segnalazioni, con particolare riguardo ai fenomeni di corruzione. I dati automaticamente criptati dovrebbero garantire l’anonimato e la non rintracciabilità del computer di partenza della segnalazione e, al contempo, consentire agli organi preposti l’avvio delle dovute attività istruttorie. L’iniziativa è certamente condivisibile e adeguata a contrastare fenomeni – dalla corruzione alle meno gravi violazioni dei regolamenti e discipline degli enti – lesivi del buon andamento, della trasparenza e dell’imparzialità dei pubblici uffici, tutelati dall’art. 97 Cost. A prescindere dai risultati che potrà conseguire nei prossimi mesi detto strumento, sembra opportuno chiedersi se una soluzione possa avere qualche significato anche nelle aziende private. Nel settore privato già vige un ampio obbligo di informazione e segnalazione, al soggetto gerarchicamente superiore o delegato a tal fine e/o all’Organismo di vigilanza, a carico dei dipendenti che vengono in possesso di notizie relative alla commissione di reati (all’interno dell’ente) o comunque di “pratiche non conformi” alle norme di comportamento dell’ente stesso (ex pluribus, violazioni dei c.d. codici etici). Tale previsione rientra senza dubbio nel più ampio dovere di diligenza e fedeltà del lavoratore ex artt. 2104 e 2105 del codice civile ma detta segnalazione, proprio perché fondata su un’obbligazione contrattuale, rimane ex lege facoltativa come per tutti gli altri cittadini, con l’eccezione dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio. Si rinvengono, invero, parziali eccezioni, ad esempio, in materia prevenzionistica dove l’attenzione e l’aspettativa per la sicurezza propria ed altrui ampliano di molto i confini di una possibile responsabilità, anche penale, di tutti i lavoratori dell’impresa ma, in concreto, un vero mutamento delle prospettive a livello di enti privati si è avuto solo con l’introduzione dei modelli organizzativi e di gestione. Al fine di poter aspirare all’efficacia esimente del modello, infatti, è necessario prevedere e predisporre gli opportuni canali di comunicazione, affinché i soggetti che abbiano avuto percezione di condotte inopportune possano segnalarle in via costante e monitorata, nonché dotarsi di un organo indipendente ad hoc – l’Organismo di Vigilanza – destinato a valutarle. Ne discende l’importanza della segnalazione dei comportamenti contrari alla legge e dei regolamenti aziendali (c.d. whistleblowing) al momento della redazione dei modelli organizzativi, come puntualmente emerge dalle stesse Linee guida di Confindustria. Come negli enti pubblici, tuttavia, anche negli enti privati il problema rimane l’effettività. In questo senso, le disposizioni in merito alla riservatezza di chi segnala violazioni, al divieto di sanzioni disciplinari (salvo comprovata volontà calunniosa) e alla regolamentazione delle modalità attraverso cui è possibile adempiere a tale obbligo senza timore di ritorsioni, costituiscono valide fondamenta idonee ad evitare possibili abusi anche nei rapporti di lavoro privato ma non appaiono comunque risolutive. Proprio la varietà, in primis organizzativa e dimensionale, delle imprese rende non sempre compatibili nei rapporti di lavoro privato gli strumenti eventualmente introdotti nella pubblica amministrazione, e non solo dal punto di vista della sostenibilità economica. La stessa segnalazione compiuta attraverso una mail “segreta” può, quindi, essere una soluzione certamente utile se non già presente, ma è indubbio che non risulta l’unico strumento operativo possibile. Inoltre non può prescindere dalla predisposizione di un modello organizzativo e di gestione idoneo e correttamente attuato, “cucito” intorno alla specifica realtà aziendale. A livello di enti privati, permangono perplessità circa le modalità attraverso cui incardinare il whistleblowing – ancora definito dalle Linee Guida come il non entusiastico “fenomeno del riporto di rumor interni” (Linee guida Confindustria, aggiornate al 2014, p. 70) – nell’organizzazione aziendale; incertezze che denotano ancora dubbi circa la validità dell’istituto. Specie in aziende di piccole dimensioni un ricorso ad attività di report senza impostazione gerarchica sarebbe forse sufficiente nella generalità dei casi, ma – è bene precisare – difficilmente reggerebbe al vaglio di sindacabilità del giudice in sede di processo penale ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. In conclusione, gli strumenti adottati dagli enti pubblici non sempre devono e possono essere adottati dalle imprese private nello svolgimento della loro attività, tuttavia, l’obbligo di aggiornamento e di conformarsi alle migliori best practices sul mercato devono spingere le imprese stesse a tenerne conto e a valutarne l’utilità in relazione allo specifico “rischio reato” analizzato.