la nostra storia

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la nostra storia
LA NOSTRA STORIA
Fare impresa significa possedere un insieme di valori tecnici, economici, umani
e sociali, con cui dare concretezza alle capacità creative. L’AITI, l’Associazione
delle industrie attive nel Cantone Ticino con un potenziale di oltre 16’000 posti
di lavoro e fatturati superiori ai 14 miliardi di franchi svizzeri, sostiene gli
imprenditori, le imprese e i collaboratori nella creazione di una ricchezza utile,
non effimera né fine a se stessa, risultato di impegno giusto e meritevole di
attenzione.
L’industria ticinese ha operato nel corso degli ultimi vent’anni in un quadro di
profondi cambiamenti. La riorganizzazione della produzione e l’introduzione del
progresso tecnico hanno contribuito ad elevare il grado di competitività delle
imprese industriali associate all’AITI, la cui maggioranza è attiva sul mercato
mondiale. Grazie alla sua posizione strategica fra le due aree economicamente
forti di Zurigo e della Lombardia, il cantone Ticino offre un ambiente ideale per
lo sviluppo dell’attività imprenditoriale.
La Politica industriale di AITI si pone quale obiettivo la crescita, quantitativa e
qualitativa, del tessuto industriale cantonale e lo sviluppo di nuove imprese,
grazie alla salvaguardia e al miglioramento della competitività del territorio che
passa attraverso una snella regolamentazione statale, presenza di personale
qualificato e flessibilità nel mercato del lavoro, moderne vie di comunicazione,
disponibilità di capitali e di energia a prezzi concorrenziali, adeguate politiche
fiscali, accesso all’innovazione e al trasferimento delle tecnologie, rigoroso
rispetto delle persone e dell’ambiente.
ANNI '60, ANNI DI BOOM ECONOMICO
Quando nacque nel 1962 l'Associazione industrie ticinesi aprivano in media due
nuove aziende a settimana e gli operai di fabbrica in Ticino erano uguali a quelli
di Ginevra, circa 27’000, con la non trascurabile differenza che all'epoca la città
sul Lemano contava 60’000 abitanti in più del nostro Cantone. Il boom
economico fu così prepotente e fragoroso che dal 1950 al 1963 il numero delle
fabbriche ticinesi salì da 450 a 675 unità, polverizzando ogni record a livello
nazionale. Tutto questo dinamismo imprenditoriale, reso possibile dall'enorme
ricorso alla manodopera estera, coinvolse e non lasciò indifferente chi mosse i
primi passi all'interno dell'Associazione, tanto da spingerlo fin da subito a
rimarcare l'importanza di un'industria di qualità raggiungibile attraverso una
migliore formazione professionale e un'adeguata programmazione economica
cantonale.
13 LUGLIO 1962, NASCE L'AITI
La prima scintilla ufficiale scoccò il 1° giugno 1962, davanti a un 43enne Guido
Locarnini, allora cronista dell'agenzia di stampa "Corrispondenza politica
svizzera" (CPS). Pochi giorni dopo, il 22 giugno, lo stesso gruppo di economisti
e industriali – tra cui Luigi Giussani, Carlo Viscardi, Walter Ambrosetti, Fausto
Cattaneo, Carlo Bordoni, Riccardo Tenconi, Cesare Bertoglio e Francesco
Antognini – ha la folgorazione decisiva che si concretizzerà pochi giorni dopo, il
13 luglio con l'assemblea costitutiva. Quel gruppo d’industriali aveva una
convinzione ben precisa. In Ticino sarebbe dovuta nascere un'associazione
economica, da affiancare alla Camera di commercio, con il ritmo e l'onda di
lavoro tipici degli industriali. Era insomma necessario un ente in grado di
amalgamare quella parte d’industria ticinese che, per l'ampiezza raggiunta, era
sensibile a problemi talvolta molto diversi da quelli che interessavano altre
aziende artigianali del Cantone. L'intuizione si rivelò vincente. Il 13 luglio 1962,
33 aziende suggellano a Lugano la nascita dell'AITI.
LA FELICITÀ DI LUIGI GIUSSANI
"Quando 6 mesi or sono abbiamo creato questa Associazione, neppure i più
ottimisti fra noi pensavano a una così larga adesione". Il 31 gennaio 1963 è un
giovedì. Fa freddo, ma il primo presidente dell'AITI, il direttore della Monteforno
di Bodio, Luigi Giussani sembra non sentirlo. Sta parlando davanti alla prima
assemblea ufficiale dell'AITI. E il tono è accaldato. "Oggi, con soddisfazione,
possiamo constatare che ben 45 industrie hanno capito la necessità e l'urgenza
di questa nostra unione". Con questa partecipazione che abbraccia quasi tutte
le maggiori industrie del Cantone, continuava Giussani "siamo legittimati a
presentarci davanti all'autorità e al Paese come rappresentanti di quella
produzione industriale che in definitiva è la colonna vertebrale dell'economia
ticinese". Due anni dopo, nel 1964, felicitandosi del raggiungimento di un
accordo sui salari d'uso nella metallurgia, Giussani osservava come anche i
sindacati parevano aver riconosciuto l'importanza del colloquio e della reciproca
comprensione.
LO STATO? SIAMO TUTTI NOI
Legò il suo nome a quello della Linoleum di Giubiasco, poi diventata Forbo, di
cui fu per diversi anni direttore, in seguito Roberto Zoelly se ne ritornò nella
Svizzera interna, da dove era venuto. Prima però, in qualità di presidente
dell'AITI dal 1966 al 1968, non mancò di sottolineare agli industriali ticinesi
l'importanza di un dialogo aperto e costruttivo con lo Stato. "È nostro dovere
collaborare al massimo con lo Stato per aiutarlo a non sbagliare, mettendogli a
disposizione per quanto ci concerne e siamo chiamati a farlo, la nostra
esperienza. Perché ricordiamoci: in fondo lo Stato siamo tutti noi e tutti noi
abbiamo lo Stato che ci meritiamo". Non meno importanti furono i suoi
interventi sulla programmazione economica del Cantone. "I sussidi statali per
favorire nuove industrie andrebbero indirizzati verso industrie appartenenti a
settori non ancora esistenti nel nostro Cantone o verso industrie che si
insediano in regioni bisognose di sviluppo economico".
CLASSE INDUSTRIALE, QUESTA SCONOSCIUTA
Furono anni di boom economico, certo, i primi anni '60 del Novecento, ma
anche anni in cui "si fece più evidente la carenza della classe industriale ticinese
nel necessario colloquio con l'Ente pubblico, il quale da tempo invece era
influenzato nelle sue scelte di politica economica, dall'esistenza di forti e
organizzati sindacati operai". È lucida e al tempo stesso impietosa l'analisi che
Roberto Zoelly, presidente dell'AITI dal 1966 al 1968, fa della nascita dell'AITI
e dei motivi che hanno indotto un gruppo di industriali a riunirsi in
un'associazione di categoria. Compito non facile quest'ultimo, annota Zoelly, in
quanto si trattò di "amalgamare il più solidamente possibile il nuovo nucleo e
nel contempo estenderlo alla maggior parte delle imprese industriali ticinesi che
avessero i requisiti richiesti dal nostro statuto sociale". L'impressione è che
furono centrati entrambi gli obiettivi, visto che l'Ente pubblico dimostrò
apertura al dialogo e nel 1969 gli aderenti all'AITI erano già saliti a 62.
LA SORPRESA DELL'EXPORT
Non sono solo gli Stati Uniti ad affascinare gli industriali dell'AITI che il 15
settembre 1970 compiono un viaggio di studio negli USA "per permettere ai
soci un confronto con una realtà tanto decantata in Europa". È tutto l'export a
incuriosire. Nel 1970, il terzo presidente dell'AITI, il presidente della Fabbrica
Tabacchi Brissago, Giuseppe Bonzanigo si sofferma proprio sull'export parlando
all'assemblea. "Lentamente, ma costantemente la nostra industria,
specialmente nei settori dei metalli e delle macchine, ma anche in quello del
tessile, dell'abbigliamento, delle materie plastiche, si sta sganciando dalla
dipendenza del mercato indigeno e procede su vie proprie, portando il nome del
Ticino in molti mercati esteri". Ed è sempre l'estero, questa volta declinato nella
sua manodopera, a catturare le attenzioni dell'AITI di quegli anni. "Il forte
aumento della manodopera estera confinante – dice Bonzanigo anticipando il
tema del frontalierato – è una conseguenza diretta dei provvedimenti restrittivi
che hanno colpito quella dimorante".
AMBIENTE: QUANTI PRECONCETTI
I luoghi comuni fanno fatica a essere sconfitti e cancellati. Come quello che
immagina l'industria indifferente ai problemi ambientali. In realtà, già nel 1971,
Cesare Bertoglio, proprietario delle omonime Officine di Viganello, in qualità di
presidente dell'AITI dimostra al riguardo una sensibilità moderna e attuale. "La
protezione dell'ambiente, possiamo dirlo in buona coscienza – affermava
Bertoglio davanti all'assemblea di quell'anno – non lascia indifferente il mondo
industriale. L'industria, a volte purtroppo senza conoscenza di causa, è spesso
indicata quale maggiore colpevole degli inquinamenti dell'acqua e dell'aria".
Noi, continuava Bertoglio, "riconosciamo la nostra parte di responsabilità e
siamo disposti ad accollarci gli oneri che ci spettano, ma non riteniamo di dover
essere i soli a sopportare le conseguenze di una situazione venutasi a creare in
seguito all'evoluzione della nostra società".
ANNI '70, ANNI DI CRISI ECONOMICA
"È stata come la crescita di un bambino che divenuto adolescente, sente il
bisogno di rafforzare il proprio fisico". Così il presidente dell'AITI nominato nel
1971, il direttore della Società elettrica sopracenerina Giovan Battista
Pedrazzini, descrive "il processo di consolidamento del tessuto industriale
ticinese" che si abbatté nei primi anni '70 sul settore. Pedrazzini non poteva
saperlo, ma tutto il decennio fu di crisi per il secondario che in totale in Ticino
perse 8’000 posti di lavoro. "Il quadro generale poco ottimistico – sottolineava
però Pedrazzini – più che suscitare eccessivi timori, deve richiamare a un certo
realismo. Il problema non è forse quello di sapere se il Cantone, tenuto conto
dei suoi limiti geografici e demografici, sia andato oltre le sue capacità
produttive, ma di realizzare se non sia giunto il momento di guardare
all'aspetto qualitativo più che quantitativo dello sviluppo economico in ogni
settore". Tutto questo, laddove possibile, senza ricorrere a sacrifici per il
personale.
RECESSIONE SÌ, MA NEL RISPETTO DEL DIALOGO SOCIALE
Entrando in contatto forse per la prima volta negli anni '70 con un processo di
consolidamento e ristrutturazione della propria industria, il settore
imprenditoriale rappresentato dall'AITI si augurava che questa riorganizzazione
potesse avvenire "senza conseguenze negative per i lavoratori, che realizzando
il prodotto del coraggio, dell'iniziativa e della creatività degli imprenditori –
osservava Giovan Battista Pedrazzini – hanno contribuito a formare l'attuale
struttura industriale del nostro Cantone". Visto il clima incandescente che si
sarebbe innescato con i sindacati, l'AITI rimarcava attraverso le parole del suo
presidente dell'epoca Pedrazzini, che "nessun rinnovamento sociale è possibile
unicamente con la sovversione, ma il progresso avviene sempre nel rispetto
della vera democrazia, che si esercita nello scontro e nell'incontro delle idee,
tese però a realizzare un miglioramento della continuità".
IL MONDO HA INGRANATO LA QUINTA
Se prima era un'impressione, ora è una certezza. Anche tra gli industriali
ticinesi. Il mondo è cambiato e per sempre. "I problemi sorgono molto più in
fretta, le conseguenze si sentono in modo più immediato e non si può più
attendere per approfittare delle esperienze degli altri e scegliere ciò che ci
conviene". Il sesto presidente dell'AITI, Franco Vannotti, è un ingegnere. Dirige
la fabbrica di cioccolato Stella di Lugano e, come tutti gli ingegneri, ha un senso
molto pratico delle cose. "In un mondo che cambia – dice Vannotti agli
industriali dell'AITI nel 1976 – sapremo superare la sfida se noi imprenditori
sapremo dare di più quantitativamente e qualitativamente nella piena
consapevolezza che non solo i posti dei nostri collaboratori sono in pericolo, ma
anche ciò che noi stessi abbiamo creato, la sopravvivenza delle nostre aziende".
LA PROMESSA DI UGO SADIS
Anche in passato non era raro che un Consigliere di Stato partecipasse alle
assemblee dell'AITI. Il primo fu addirittura nel 1963 il socialista Federico
Ghisletta. Memorabile fu anche la presenza nel 1967 di Bixio Celio che a
proposito del primo Piano finanziario nella storia del Cantone disse che "come
tutte le innovazioni, in questo meraviglioso Cantone, è stato accolto con un
arcobaleno di opinioni". Ciò nonostante quando nel 1977 il Consigliere di Stato
Ugo Sadis rivelò all'assemblea di credere che "il settore secondario dovrà
essere uno dei cavalli di battaglia della nostra lotta futura, cioè della nostra vita
futura: il che vuol dire: mantenere il comfort, mantenere il benessere e farlo
progredire", qualche industriale quell'anno avrà sicuramente gioito. Tanto più
che subito dopo Sadis si lasciò scappare la promessa, "ma, mi sento di poterla
fare, di tutelare lo sviluppo industriale, quello esistente e quello futuro".
LA SORDITÀ DEI POLITICI
Di fronte a un'autorità cantonale che aveva riconosciuto nell'AITI un ruolo non
solo economico, nel 1978 il Consigliere di Stato Flavio Cotti davanti
all'assemblea di quell'anno parlò di "funzione sociale dell'operatore economico".
Alla fine degli anni '70 l'Associazione scoprì di avere qualche difficoltà con la
politica e sindacati, poco inclini a considerare le difficoltà delle imprese, in quel
periodo confrontate con un aumento del prezzo delle materie prime, il
quadruplicamento del prezzo del petrolio e il fluttuare delle valute. "Alla
disponibilità dell'autorità ticinese ad ascoltare l'AITI e a comprendere le
difficoltà economiche – disse Erich Winzenried, direttore della Cartiera di Tenero
e presidente dell'Associazione dal 1977 al 1979 – si contrappone la sordità dei
politici, salvo poche eccezioni. Abbiamo cioè l'impressione che molti politici e le
organizzazioni sindacali non si rendano conto delle difficoltà incontrate dalle
industrie".
PERCHÈ I GIOVANI NON AMANO L'INDUSTRIA?
Attiva fin dalla fine degli anni '60 con l'organizzazione di corsi per operai, perito
aziendale e corsi per la professione di capo, nel 1980 l'AITI con Efrem Regazzi
in qualità di presidente provò profondo sconcerto nello scoprire dalle prime
statistiche dell'Ufficio cantonale per l'orientamento professionale che "circa 300
posti di tirocinio nel settore industriale e artigianale non sono stati occupati".
Da qui l'invito all'autorità di sforzarsi di più "nell'indirizzare i giovani verso le
professioni che hanno carenza di personale e verso un miglioramento del
tirocinio pratico". Con la consapevolezza, maturata già 31 anni fa, che "i giovani
di 15 anni preferiscono continuare gli studi verso professioni sovraffollate o
scegliere un tirocino nel settore del commercio, raramente possono venir
convinti che esistono in altri campi molte interessanti occupazioni che
assicurano un buon reddito e un avvenire sicuro".
CON SGRAVI FISCALI È MEGLIO
L'industria può essere aiutata anche con misure fiscali. Titolava press'a poco
così, nel febbraio 1984, un articolo de "Il Dovere", in cui, forse per la prima
volta in modo così perentorio, le industrie rappresentate dall'AITI
manifestavano il desiderio di ottenere maggiori agevolazioni fiscali a livello
cantonale. "Il nostro Cantone – dicevano le imprese nel 1984 – si trova infatti
ai primissimi posti nella graduatoria intercantonale sulle imposte gravanti le
persone giuridiche". Per potenziare e dare nuovo impulso a un tessuto che negli
anni '80, con 520 aziende industriali e 26’000 posti di lavoro rappresentava il
30% del PIL cantonale, l'AITI negli anni del suo 25° scoccato nel 1987
domandava all'Ente pubblico anche uno snellimento e un maggior
coordinamento degli uffici statali "preposti a esaminare e decidere le pratiche
inerenti alle più svariate fasi dell'attività imprenditoriale", auspicando nel
contempo "un alleviamento della doppia imposizione azienda/azionista e
maggiori possibilità di ammortamento".
ANNI '90, TORNA LA RECESSIONE
Il "Lunedì nero" dell'ottobre 1987 che mandò in frantumi le Borse mondiali era
passato da pochi mesi, quando, nell'aprile 1988, il direttore delle finanze della
Pharmaton (oggi Ginsana) Pietro Somaini, parlando davanti all'assemblea
dell'AITI in qualità di presidente, si augurò che un evento del genere non
ricapitasse di nuovo, pena la rovina dell'economia mondiale. Un Lunedì come
quello in effetti non ricapitò, ma la scure della crisi negli anni successivi si
abbatté comunque sull'economia europea, tant'è vero che gli addetti
nell’industria ticinese passarono da 34’000 nel 1990 a 24'000 nel 2000 e in una
decade nel ramo tessile a livello svizzero vennero soppressi 10’000 posti di
lavoro. "Le ferite provocate dalla recessione che si è abbattuta sul Ticino dal
1990 al 1993 – dirà più tardi Somaini – hanno lasciato segni profondi su diversi
rami merceologici della nostra industria". A soffrire più di tutti nei primi anni '90
fu la Monteforno di Bodio che chiuse nel 1994 dopo una parabola discendente
iniziata parecchi anni prima.
RICERCA E INNOVAZIONE LE ARMI MIGLIORI
"Per la nostra industria non è più sufficiente essere in grado di fornire prodotti
migliori rispetto alla concorrenza estera". È questa l'amara costatazione che il
decimo presidente dell'AITI Giancarlo Bordoni fa nel 1995 davanti agli
industriali riuniti in assemblea. "I mercati emergenti del Sud-Est asiatico e i
Paesi dell'Europa dell'Est – evidenzia l'allora direttore dell'oleificio Sabo di
Manno – hanno fatto passi da gigante nella qualità: i bassi costi di produzione
rendono i loro prodotti altamente competitivi e le loro economie di conseguenza
e in prospettiva più prospere delle nostre". Anche se "indebolita" e costretta ad
affrontare "difficoltà eccezionali", l'industria rappresentata dall'AITI in quel
periodo batterà il chiodo sull'importanza della ricerca e dell'innovazione,
tornando a rimarcare la necessità di una politica capace di sfruttare in modo
migliore le aree destinate all'industria, a tutto vantaggio, di un'utilizzazione
migliore del territorio a disposizione.
CON LA GLOBALIZZAZIONE NON SI SCHERZA
Il 2000 è l'anno che apre il nuovo secolo, ma è anche l'anno in cui la parola
globalizzazione inizia ad assumere i contorni che negli anni successivi la
renderanno molto celebre. "Chi si ostina a illudersi che la globalizzazione possa
essere sconfitta con un'autocratica chiusura nei confronti dei liberi mercati –
disse il presidente dell'AITI nominato nel 2000, l'ex direttore della Riri di
Mendrisio, Benedetto Bonaglia – prepara per tutta la comunità del paesello un
amaro risveglio". Per Bonaglia non ci sono alternative. "Dobbiamo imparare la
lingua di questa nuova economia e conservare il fascino dell'alpe per i momenti
di ristoro". Con una certezza, forse un po' amara. "Le imprese ticinesi –
aggiunge Bonaglia nel 2002, ultimo anno del suo mandato – non hanno
alternative: la loro sopravvivenza è legata alla loro capacità di esportare e
competere sul mercato mondiale, ciò che comporta fatica e obbliga a una
continua revisione dei prodotti, dei processi e dei servizi".
MATURI, MA NON IN DECLINO
Gli industriali ticinesi? "Continuano a fare il loro dovere". A esserne sicuro nel
2004, in piena crisi economica, è il penultimo presidente dell'AITI, l'ex direttore
della Inpharzam di Cadempino Paolo Fioravanti. "L'industria che si fa
rappresentare dall'AITI – spiega Fioravanti davanti all'assemblea – mantiene
complessivamente le sue posizioni, continua a impiegare cioè di più di 15’000
dipendenti e non ha visto scendere il suo fatturato". Tradotto, a subire la
recessione, è un'altra industria. Quella ticinese, sottolinea Fioravanti, "è adulta,
ma non matura, se per maturità si intende quella fase che precede e
accompagna il declino". Ecco perché "noi industriali allo Stato – aggiunge
Fioravanti – non domandiamo protezioni, ma semplicemente chiediamo che sia
fatto funzionare il mercato, con un giusto rapporto tra pubblico e privato, con
una pubblica amministrazione efficiente, con un peso di tasse e imposte in linea
con quello degli altri Paesi".
2004, NASCE AITI SERVIZI
Il suo logo nasce a matita su un blocco di carta, come tutte le operazioni ardite
e creative. Peccato che la nascita di AITI Servizi nel 2004 in seno
all'Associazione sia stata pensata e meditata a lungo. Almeno da 10 anni. Il
motivo? "Il mondo industriale più all'avanguardia – rileva il presidente dell'AITI
di quegli anni, Paolo Fioravanti – concentra sempre più le risorse interne sul
core business, delegando a esperti esterni le attività non strategiche". È quindi
ora che anche l'AITI abbia una sua società di servizi: AITI Servizi, appunto.
"Uno dei compiti fondamentali di un'associazione industriale – affermerà più
avanti Fioravanti – è infatti sempre stato e continuerà ad essere il dare un
supporto di servizi alle sue aziende associate". Da qui l'invito di Fioravanti, ma
non solo, agli industriali rappresentati dall'AITI di fare ricorso sempre più "alle
prestazioni della loro, sottolineo della loro, società di servizi".
L'AITI COMPIE 50 ANNI
È il 2009, l'AITI compirà 50 anni tre anni dopo, nel 2012. Ma Daniele Lotti,
direttore della Società elettrica sopracenerina, appena nominato presidente,
compie già un'operazione di riflessione che guarda al futuro. La mente corre a
quel 13 luglio 1962, quando un gruppo di industriali ticinesi creò l'AITI "per tutti
noi – afferma Lotti davanti all'assemblea che l'ha scelto quale 13° presidente –
per sostenerci in questo meraviglioso viaggio che è quello di creare valore
aggiunto, un valore aggiunto vero e concreto, fatto di prodotti che puoi toccare,
frutto dell'impegno di uomini e donne che ci mettono la loro passione e le loro
conoscenze". Come dire, sono passati 50 anni da quel 13 luglio 1962, ma la
scintilla che mosse i fondatori e animò negli anni successivi i presidenti
dell'AITI, non è invecchiata nemmeno di un secondo.