L`UOMO? E` L`ESSERE CONDANNATO AD ESSERE LIBERO. TRA

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L`UOMO? E` L`ESSERE CONDANNATO AD ESSERE LIBERO. TRA
L’UOMO? E’ L’ESSERE CONDANNATO AD ESSERE
LIBERO. TRA LA COSCIENZA ED UN OGGETTO? UNA
DISTANZA INFINITA. L’INFERNO? SONO GLI ALTRI.
Introduzione a Jean Paul Sartre
Un altro illustre esponente dell'esistenzialismo è Jean Paul Sartre. E’ stato per decenni in
Francia - dal dopoguerra (ci riferiamo alla seconda guerra mondiale) fino alla sua morte del
1980 - il classico intellettuale di sinistra impegnato su vari fronti fino a diventare uno dei
leaders (anche se non più giovane) della contestazione che è divampata negli ultimi anni '60 e
primi anni '70. Tu forse chiederai come possano convivere in un intellettuale marxismo ed
esistenzialismo. Vero?
Certo: il marxismo non pensa al singolo, ma concentra il suo interesse alla liberazione del
proletariato sfruttato dal sistema capitalista, mentre l'esistenzialismo presta attenzione
esclusivamente al "singolo" (alla sua angoscia, alla sua progettualità).
E' vero che le due ottiche sono diverse - l'una concentrata sulla "classe", l'altra sul "singolo" - ;
si tratta, comunque, di due ottiche che in linea teorica e anche di fatto (Sartre non è il solo
esempio) possono convivere. Vedremo presto le ragioni.
Ti propongo, a questo punto, di immergerti in un pamphlet notissimo scritto da Sartre nel
1946: “L’esistenzialismo è un umanesimo” (cito l'edizione a cura di Franco Fergnani, Mursia).
Ti suggerisco di leggerlo: è breve, scritto in modo lucido ed efficace. Il suo è uno stile molto
diverso da quello di Heidegger (spesso ermetico, estremamente tecnico). Sartre - come forse
sai - è uno scrittore (oltre che filosofo): ha scritto di tutto - da romanzi a testi teatrali, da saggi
ad articoli.
Con questo testo (una versione lievemente modificata di una conferenza tenuta alcuni mesi
prima al Club Maintenant a Parigi), Sartre intende rispondere alle accuse provenienti da più
parti all'esistenzialismo ed in particolare all'esistenzialismo ateo. Quali le accuse? Di essere un
movimento che, grazie al suo pessimismo nero, conduce inevitabilmente all'inazione, al
quietismo. Di essere un movimento che, partendo dal cogito cartesiano, di fatto vede l'uomo
come isolato dagli altri. Di arrivare - una volta esclusi dei valori assoluti, eterni - a giustificare
tutte le idee "per cui ciascuno può fare ciò che vuole".
Cosa risponde Sartre? Afferma che l'anima dell'esistenzialismo è questa: l'esistenza precede
l'essenza. Cioè? Un oggetto fabbricato è "opera di un artigiano che si è ispirato ad un concetto
[...], ad una preliminare tecnica di produzione, che fa parte del concetto stesso". In altre
parole nel caso di un oggetto fabbricato "l'essenza - cioè l'insieme delle conoscenze tecniche e
delle qualità che ne permettono la fabbricazione e la definizione - precede l'esistenza" (pag.
47).
E' questa anche l'ottica del Dio cristiano che crea: Egli crea sulla base di un determinato
concetto, disegno, modello. Questo significa che - nella concezione cristiana - "l'uomo
individuale incarna un certo concetto che è nell'intelletto di Dio" (pagg. 48-49) . Una volta
eliminato Dio - conclude Sartre - nell'uomo l'esistenza precede l'essenza. Cosa ne dici?
Non mi convince: in Kant Dio è inaccessibile e comunque non è creatore, eppure esiste una
natura umana universale, cioè un’essenza umana che appartiene all'uomo in quanto uomo.
E' vero: pensa alle categorie, pensa alla legge morale comune a tutti gli uomini. Lo dice
espressamente anche Sartre. Sartre aggiunge che si tratta di una concezione presente anche
in Voltaire e in Diderot, una concezione che per lui non è coerente: una volta venuta meno
l'idea di un Dio creatore, l'esistenza dell'uomo precede l'essenza.
In piena sintonia con Heidegger Sartre dice che l'uomo "non è definibile in quanto all'inizio non
è niente. Sarà solo in seguito, e sarà quale si sarà fatto." (pag. 50). Non vi è "una natura
umana, poiché non c'è un Dio che la concepisca" (pag. 50). L'uomo "non è altro che ciò che si
fa" (pag. 51). Cosa ne dici?
Si tratta di una concezione che esalta al massimo l'uomo.
E' la convinzione di Sartre: è proprio perché nell'uomo l'esistenza precede l'essenza - è proprio
perché l'uomo è ciò che si progetta - che conferisce dignità all'uomo rispetto a qualsiasi
oggetto che invece è e basta.
Proprio perché l'uomo progetta se stesso, "è responsabile di quello che è" (pag. 52). Non solo:
è "responsabile di tutti gli uomini". Cosa ne dici?
Mi pare che Sartre esageri: come posso io essere responsabile degli altri se progetto la mia
vita e solo la mia vita? Un conto è la responsabilità del politico ed un conto quella di un singolo
uomo!
Così dice Sartre: "... non c'è un solo dei nostri atti che, creando l'uomo che vogliamo essere,
non crei nello stesso tempo una immagine dell'uomo quale noi giudichiamo debba essere". Ed
esemplifica: se "io sono operaio e scelgo di far parte del sindacato cristiano piuttosto di quello
comunista; e se con questa mia scelta voglio mostrare che la rassegnazione è, in fondo, la
soluzione che conviene all'uomo, che il regno dell'uomo non è su questa terra, io non metto in
causa solo il mio caso personale: io voglio essere rassegnato per tutti e, di conseguenza, il mio
atto ha coinvolto l'intera umanità" (pag. 54).
Ed è proprio perché si sente responsabile di quello che fa, anzi di essere di fatto un
"legislatore" non solo per sé, ma anche per l'intera umanità, che l'uomo prova l'angoscia. Cosa
dici?
Mi pare che anche qui Sartre esageri: ne conosco di persone che fanno le loro scelte senza
provare un minimo di angoscia.
Ne parla anche Sartre. Cosa ne dice? Che si tratta di persone in "malafede" nel senso che
nascondono l'angoscia a se stessi, la fuggono. E continua: colui "che mente e si scusa: non
tutti fanno così, è qualcuno che si trova a disagio con la propria coscienza, perché il fatto di
mentire implica un valore universale attribuito alla menzogna." (pagg. 56-57).
Ma l'angoscia - risponde Sartre all'accusa - non porta affatto all'inazione. Un esempio? Un
"capo militare si assume la responsabilità di un assalto e manda un certo numero di uomini alla
morte". Prova - eccome - l'angoscia, angoscia che, tuttavia, non gli impedisce di decidere.
"Se Dio non esiste tutto è permesso": così scrive Dostoevskij. Per Sartre si tratta del punto di
partenza dell'esistenzialismo: tutto è lecito, non esistono valori universali (checché ne dicesse,
ad esempio, lo stesso Voltaire), neanche il valore dell'onestà. L'uomo non trova nessuna tavola
di valori "in un cielo intelligibile": l'uomo è "abbandonato" non avendo nessun punto di
appoggio. I valori se li deve creare lui. L'uomo, in altre parole è condannato ad essere libero,
"è condannato in ogni momento a inventare l'uomo" (pag. 64). Cosa ne dici?
Mi sembra forzato dire che l'uomo è "condannato" ad inventarsi: non è esaltante la tesi
secondo cui è l'uomo stesso l'artefice del suo futuro, del suo se stesso?
Un'opinione legittima. Sartre vede la libertà da un altro punto di vista, il punto di vista della
"condanna": le cose già sono (sono realizzate), mentre l'uomo è condannato ad inventare
sempre se stesso, ad inventarsi, tra l'altro, senza punti di riferimento.
Si può obiettare che il singolo, nel momento in cui deve fare una scelta impegnativa, può
chiedere consiglio ad altri e questo - in qualche misura - lo aiuta nella scelta stessa. Sartre
risponde che in questo modo si sposta solo il problema, lo si sposta a livello della scelta del
tipo di consigliere: "se siete cristiani, penserete di consultare un prete. Ma ci sono preti
'collaborazionisti", preti 'attendisti', preti della Resistenza. Quale scegliere? E se un giovane
sceglie un prete della Resistenza o un prete collaborazionista, ha già deciso il genere di
consiglio che riceverà." (pag. 70). Cosa ne dici?
Sartre non dà il dovuto peso al background di un individuo: se uno sceglie un tipo di
consigliere invece di un altro, lo fa perché vive in un particolare ambiente culturale che
determina quella determinata scelta.
Forse non hai torto: lo stesso Sartre, ad un certo punto, prenderà le distanze dalla concezione
originaria di libertà assoluta, incondizionata per approdare ad una libertà "condizionata” dalla
situazione.
Sartre ribadisce la totale responsabilità dell'uomo il quale non può scusarsi dicendo che si
comporta in un certo modo perché è vile, quasi che la viltà sia qualcosa che lo determina: se
uno è vile "è così perché coi suoi atti si è dato la forma di vile" (pag. 80).
Veniamo all'accusa di concepire l'uomo come isolato dagli altri uomini. Sartre dice che è vero
che l'esistenzialismo parte dalla certezza del "cogito" (certezza di fronte alla quale gli oggetti
appaiono probabili), ma che è anche vero che a differenza di Kant egli è convinto che l'uomo
scopre se stesso scoprendo gli altri io: l'individuo "si rende conto che non può essere niente
[...], se gli altri non lo riconoscono come tale" (pag. 85). Cosa ne dici?
Vedo una profonda sintonia col Mit-sein di Heidegger. Si tratta, tuttavia, di una tesi che non mi
convince: come è possibile che appaiono gli altri "io", se la coscienza (cioè l'"io") è un fatto
privato?
Si tratta del classico approccio che abbiamo visto, ad esempio, in Cartesio, un approccio che
possiamo chiamare gnoseologico.
Veniamo all'accusa secondo cui l'esistenzialismo arriverebbe a dire che ognuno può fare ciò che
vuole. Sartre precisa che l'individuo, è vero, "sceglie senza riferirsi a valori prestabiliti, ma è
ingiusto tacciarlo di capricciosità" (pag. 92). Aggiunge che bisogna paragonare "la scelta
morale alla costruzione di un'opera d'arte". Si è forse - si domanda - rimproverato a un artista
che fa un quadro di non ispirarsi a regole stabilite a priori"? (pag. 93). Chiarisce inoltre che
anche l'esistenzialista è in grado di giudicare: non tutto per lui, ha lo stesso valore. Cosa ne
dici?
Non vedo come l'esistenzialista possa giudicare: come può farlo se non esistono parametri
(criteri) assoluti?
Sartre non la pensa cosi'". Questo è quanto scrive: "Se abbiamo definito la condizione
dell'uomo come una libera scelta, senza scuse e senza aiuti, chiunque si rifugi dietro la scusa
delle sue passioni, chiunque inventi un determinismo è un uomo in malafede" (pagg. 96-97).
Sartre risponde anche all'accusa secondo cui per gli esistenzialisti i valori non sono cose serie
in quanto è l'uomo che li sceglie. Come? Così dice: ... siccome ho soppresso Iddio padre, è pur
necessario qualcuno per inventare i valori. Bisogna prendere le cose come sono. E d'altra
parte, dire che noi inventiamo i valori non significa altro che questo: la vita non ha senso a
priori" (pag. 104). Cosa ne dici?
Non mi convince affatto: qui siamo sulla stessa lunghezza d'onda di Nietzsche e sappiamo
benissimo che fine ha fatto il super-uomo, o come lo si chiama oggi "oltre-uomo"!
E' vero che siamo sulla stessa lunghezza d'onda di Nietzsche. Che fine ha fatto il super-uomo?
Se ti riferisci ad interpretazioni di stampo nazista, sappi che si tratta di strumentalizzazioni del
pensiero di Nietzsche (così, almeno, sostiene la recente critica). Così scrive Sartre: "Prima che
voi la viviate, la vita di per sé non è nulla, sta a voi darle un senso, e il valore non è altro che il
senso che scegliete" (pag. 104).
Così Sartre chiude il libro: ... l'esistenzialismo è un ottimismo, una dottrina d'azione, e solo per
malafede - confondendo la loro disperazione con la nostra, - i cristiani possono chiamarci
'disperati'" (pag. 109).
Ti ho introdotto a Sartre in modo soft presentandoti un pamphlet chiaro, scritto in modo
semplice. Il capolavoro filosofico di Sartre "L'essere e il nulla" (1943), invece, è di tutt'altro
taglio. In esso il linguaggio è talvolta estremamente tecnico: dietro vi sono in particolare
Husserl, Heidegger e lo stesso Hegel. E poi vi è molta astrattezza. Non ritengo opportuno
analizzarla con te nei dettagli come abbiamo fatto con "L'esistenzialismo è un umanesimo".
Vedrò di puntualizzare in qualche misura l'originalità del pensiero di Sartre rispetto a quello di
Heidegger.
Cos'è l’"essere"? L'essere è ovunque, contro di te, attorno a te, ti assedia. Qualcosa di
massiccio, di pervadente. E di gratuito: è lì, senza senso, senza una spiegazione. E' ciò che
"è". E dire che è ciò che è, non è un'ovvia tautologia. E' un problema centrale. Cosa ne dici?
Che le cose non abbiano senso, non abbiano una spiegazione non mi convince affatto: sia
l'approccio religioso che quello scientifico spiegano - eccome - l'esistenza delle cose,
dell'universo.
Sei proprio certo che la scienza sia in grado di spiegare in ultima analisi perché vi è il mondo e
non invece il nulla? Per Sartre ciò che "esiste" non ha alcuna necessità: da qui la sua gratuità,
da qui la "nausea" (vedi l'omonimo romanzo).
Questo essere (contingente, gratuito) è chiamato da Sartre, con una terminologia hegeliana,
"essere in sé". Ma non vi è solo l'essere in sé: esiste la "coscienza" (chiamata "essere per sé").
Tra la coscienza (l'uomo) ed un oggetto vi è, per Sartre, una distanza infinita: il “per sé” è la
condizione per cui appare l'essere. Per Sartre non vi è dubbio: il cogito cartesiano è il
fondamento stesso dell'essere. La coscienza non è una monade chiusa, ma è coscienza di
qualcosa (l'essere) che non è coscienza. La coscienza, quindi, è nel mondo. E', però,
radicalmente diversa dalle cose.
Proprio perché la coscienza "non" si identifica con l'essere in sé che si presenta come un "dato"
e proprio perché la coscienza, essendo "presenza" alle cose, ha la possibilità di attribuire ad
esse dei significati, Sartre chiama la coscienza "Nulla" (in quanto "non è il dato" e in quanto è
una "potenza nullificatrice" del puro dato nel senso che conferisce ad esso dei significati,
significati che esso non ha di per sé). E proprio perché la coscienza è "nulla", è progetto,
libertà, trascendenza (vedi Heidegger e "L'esistenzialismo è un umanismo"). L'uomo è
mancanza, bisogno mai soddisfatto). Da qui l'incompiutezza dell'uomo, da qui l'infelicità come
strutturale alla coscienza.
Il cogito non solo non è chiuso al mondo, ma non è neanche chiuso agli altri. Per Sartre
l'esperienza degli altri è precedente ogni teoria gnoseologica. Nel momento in cui io vedo un
uomo, non posso sapere se questi si distingue dagli altri oggetti, ma nel momento in cui
questo uomo mi "guarda" e io mi sento guardato, non posso avere alcun dubbio sull'esistenza
di un altro io: proprio perché io sono guardato, sono un "oggetto" di fronte ad un "soggetto".
E' da qui che nasce il "conflitto". Anzi è lo stesso "essere per gli altri" (vedi la terminologia
heideggeriana) è conflittuale. "L'inferno" - Sartre mette in bocca ad un personaggio di 'A porte
chiuse' - sono gli altri". Cosa ne dici?
Non riesco ad accettare questo pessimismo di fondo: perché mai Sartre, invece del conflitto
che vi può essere, non vede nell'"essere per gli altri" sentimenti di amore, di amicizia, cioè
tutto ciò che c'è di bello nel rapporto con gli altri?
Forse non hai torto. Sartre, tuttavia, non è che non consideri l'amore, l'amicizia, ma vede
questi sentimenti come dei modi per assoggettare l'altro a sé, per renderlo uno strumento per
il proprio interesse, il proprio soddisfacimento: nell'amore, quindi, ognuno vuol fare dell'altro
un "oggetto".
"L'essere e il nulla" ha provocato un vespaio di critiche a cui risponde con "L'esistenzialismo è
un umanismo" che ti ho anticipato. Ti presento ora l'altra grande opera di Sartre di respiro
filosofico: "Critica della ragione dialettica" del 1960. Sartre non parla più di una libertà
assoluta, incondizionata: l'uomo è condizionato dall'ambiente, dalle condizioni storiche, dalle
condizioni economiche. E' in questa ottica che si spiega l'adesione senza riserve al
"materialismo storico", la concezione filosofica di Marx. Cosa ne dici?
Riesco a vedere il collegamento col marxismo: infatti secondo l'ottica marxiana è vero che
sono gli uomini che fanno la storia, ma è anche vero che la fanno sulla base di circostanze
materiali, economiche, che sono precedenti ai singoli uomini. La stessa coscienza rivoluzionaria
non può maturare se non esistono le condizioni che Marx chiama "oggettive".
E' vero: per Marx lo stesso pensiero, la stessa filosofia, le stesse teorie politiche sono il riflesso
- in ultima analisi - delle condizioni economico-sociali del tempo.
Sartre sostiene che il marxismo - nonostante i suoi limiti - costituisce la filosofia del nostro
tempo. Cosa ne dici?
Mi pare che Sartre qui - se vogliamo essere generosi con lui - pecchi di ottimismo: come si può
parlare del marxismo come la filosofia del nostro tempo quando sappiamo cosa ha prodotto il
marxismo nei Paesi dell'Est?
La tua osservazione, in linea teorica, è pertinente. Sartre, comunque, è ormai lontano dalle
precedenti posizioni filosovietiche tanto più dopo l'invasione dei carri sovietici per reprimere la
rivolta ungherese (1956). Il suo socialismo non è quello burocratico, autoritario, alienante dei
Paesi dell'Est, ma un socialismo che si sposa con la libertà.
Sartre è lontano dalla concezione totalizzante del marxismo: per lui Marx (ed Hegel) va
coniugato con Kierkegaard, per lui cioè la storia non può che coniugarsi con l'individualità, la
soggettività. Kierkegaard ha valorizzato troppo il singolo a scapito dell'intersoggettività degli
uomini: occorre, quindi, andare oltre Kierkegaard. Ed occorre andare oltre sia Hegel che Marx
che hanno visto il tutto, la storia, la classe a scapito del singolo. Sartre usa parole di fuoco
contro il marxismo ufficiale dell'età staliniana e post-staliniana: lo accusa di violenza idealistica
della storia, dei fatti. Cosa ne dici?
Vi è qualcosa che non mi quadra: come fa Sartre a parlare di violenza "idealistica" del
marxismo, quando questo è una dottrina "materialistica"?
La tua osservazione è puntuale. Sartre vuol dire che l'intellettuale marxista ortodosso fa
violenza ai fatti in quanto li interpreta alla luce degli schemi del materialismo storico, di schemi
cioè… mentali. Per lui il marxismo ufficiale del tempo forza il significato dei fatti, si sbarazza di
particolari imbarazzanti, semplifica in modo grossolano i dati, fa cioè violenza all'esperienza
(una violenza "idealistica"). Sartre sottolinea il fatto che il marxismo ortodosso del tempo ha
stravolto lo stesso Marx che, nelle sue analisi storiche, ha prestato una grande attenzione non
solo alle strutture economico-sociali, ma anche alla specificità dei fatti, alla specificità dei
singoli uomini.
Da qui - secondo Sartre - l'esigenza di prestare attenzione alla specificità, alla singolarità. Da
qui il suo coniugare l'esistenzialismo col marxismo. E da qui il suo ricorrere alla psicoanalisi per
scoprire i processi interiori di un individuo. Non si può, ad esempio, vedere uno scrittore come
un prodotto delle condizioni economico-sociali del suo tempo: occorre andare oltre, scavare
nell'infanzia dello scrittore in questione, nei suoi processi di identificazione... Cosa ne dici?
Mi sorprende questo sposalizio tra marxismo e psicoanalisi: il marxismo non ha sempre visto la
psicoanalisi come piccolo-borghese, come uno strumento per reinserire nel sistema
capitalistico chi prova disagio in tale sistema?
E' vero che il marxismo ufficiale per molto tempo ha considerato la psicoanalisi come uno
strumento della borghesia per reinserire il "malato" nel sistema capitalistico. E' un fatto,
comunque, che oltre a Sartre vi sono altri intellettuali marxisti che hanno cercato di coniugare
marxismo e psicoanalisi: vedi, tra gli altri, Marcuse che negli anni '60 e '70 diventa negli USA
l'ideologo della contestazione al sistema.
In un'intervista precedente i primi due volumi di "L'idiot de la famille" usciti nel 1971 Sartre
così dichiara: "Il mio ideale è che il lettore possa, contemporaneamente, sentire, comprendere
e conoscere la personalità di Flaubert come totalmente individuale ma anche come totalmente
rappresentativa della sua epoca" (vedi l'introduzione a "Questioni di metodo" a cura di Franco
Fergnani, ed. Il Saggiatore, 1976). Sartre, quindi, si propone di rivitalizzare il marxismo (il
"materialismo storico") coniugandolo con l'esistenzialismo e con discipline (come la
psicoanalisi) che valorizzino l'individuo. Sartre, invece, considera del tutto privo di valore il
"materialismo dialettico" di Engels. Cosa ne dici?
Concordo con lui. Come si possono estrapolare dalla storia dell'uomo delle leggi per applicarle
alla natura? Non sarebbe ridicolo vedere i processi naturali, chimici come la "sintesi degli
opposti"?
E' proprio l'ottica di Sartre. Per lui il materialismo dialettico non è che un dogma, un'illusione,
l'illusione di scoprire una dialettica della natura.
Un cenno a Merleau-Ponty per un certo periodo amico di Sartre. Egli sottolinea fortemente la
tesi secondo cui non vi è mai un determinismo assoluto, come non vi è mai una libertà
assoluta, incondizionata (contro quanto sosteneva il primo Sartre). Stigmatizza poi
l'unilateralità del marxismo che gonfia il ruolo dell'economia e l'unilateralità della psicoanalisi
che enfatizza il ruolo della sessualità. Sostiene, poi, sempre contro il materialismo storico che il
mondo umano è un "sistema aperto e incompiuto", un mondo contingente.
Respinge, infine, l'interpretazione "causale" dei rapporti tra mente e corpo. Mente (o anima) e
corpo non sono cartesianamente due sostanze, due mondi, ma semplicemente livelli di
comportamento che hanno un diverso significato. Due livelli il cui rapporto - il rapporto tra ciò
che è inferiore (istinti... ) e superiore (processi psichici, mente) - non è di effetto e di causa,
ma è quello del parziale rispetto al totale. Cosa ne dici?
Non mi convince granché. Mi pare un modo elegante per sfuggire al dilemma
materialismo/spiritualismo, dilemma a cui non si può sfuggire: l'anima (la mente), infatti è
materia o spirito.
Un punto di vista - il tuo - legittimo. Effettivamente Merleau-Ponty rifiuta tale dilemma e quindi
non si riconosce né nel modello materialista né in quello spiritualista. Si tratta, per lui, di
categorie da superare. Per lui l'opposizione tra corpo e anima non è di tipo "sostanziale”, ma
"funzionale” e la funzione-corpo è subordinata all'anima, alla mente, alle scelte libere
dell'uomo.