Il furto al "self service"

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Il furto al "self service"
09.06.2010
Penale - Reati contro il patrimonio
Il furto al "self service"
di Scodnik Nicola
Avvocato
Tribunale di Bologna, in composizione monocratica, sentenza n. 835 del 23 marzo 2010, Giudice
Dott.ssa Paola Palladino
Delitti contro il patrimonio - Furto in esercizio commerciale - Sostituzione di etichette ed utilizzo
della cassa self-service - Astuzia idonea ad eludere la ordinaria vigilanza - Circostanza aggravante Configurabilità
(c.p. artt. 624, 625)
Integra la fattispecie delittuosa di cui all'art. 624 c.p., aggravata ex art. 625, n. 4, c.p., la condotta
dell'agente che al fine di impossessarsi di determinati beni dal valore non irrilevante (nella specie, un hard
disk e due casse per i-pod), provveda alla sostituzione delle etichette presenti su di essi con quelle relative
ad altri beni di valore irrisorio (nella specie, prodotti ortofrutticoli) ed a tal fine utilizzi la cassa self-service
dell'esercizio commerciale sottraendosi a qualsivoglia controllo.
Il fatto
A seguito di arresto in flagranza, l'imputato veniva tratto a giudizio con l'accusa di essersi impossessato di
alcuni apparecchi elettronici venduti all'interno di un ipermercato.
In specie, a seguito di segnalazione di allarme sonora di una cassa self service (cioè priva di personale
operante e regolata da un meccanismo di pagamento automatico), all'esito di regolare controllo da parte
degli addetti alla vigilanza dell'esercizio commerciale, il prevenuto risultava aver acquistato merce previa
sostituzione delle originarie etichette identificative della stessa con altre riferibili, invece, a prodotti di
modico valore.
Il Pubblico Ministero procedeva, pertanto, a contestare all'autore del fatto l'ipotesi di furto aggravato dalla
circostanza di cui all'art. 625, n. 4, c.p. per aver usato destrezza nella perpetrazione dell'illecito.
I motivi della decisione
Il Tribunale di Bologna ha ritenuto colpevole l'imputato, affermando, in parte motiva, che la sostituzione
delle etichette, unitamente alla scelta di utilizzare la cassa “self service”, integra la destrezza prevista
dall'art. 625, n. 4, c.p., giacchè astuzia idonea ad eludere l'ordinaria vigilanza ed essendo irrilevante che il
furto sia stato scoperto poco dopo la sua consumazione.
Poiché, inoltre, la sottrazione non è avvenuta sotto la vigilanza dell'offeso o di un suo incaricato, i quali
avrebbero potuto così bloccare l'azione criminosa, ma è stata interamente realizzata e scoperta
successivamente, seppur a brevissima distanza di tempo, reputa il Giudice che la fattispecie integri gli
estremi del reato consumato e non di un mero tentativo.
Da ultimo, il Tribunale esclude che il prevenuto abbia potuto agire in buona fede, poiché lo stesso, al
momento dell'accertamento, aveva già oltrepassato la barriera della cassa e si stava allontanando con la
merce senza averla, di fatto, pagata; se fosse stato in buona fede, una volta riscontrato alla cassa “self
service” che i beni non recavano le etichette originali (quantomeno, tenuto conto del diverso valore di
prezzo indicato), l'imputato non avrebbe portato a termine le operazioni di pagamento, ma si sarebbe
rivolto al personale dell'ipermercato.
Considerazioni
La pronuncia in esame presenta qualche profilo di criticità in ordine al corretto inquadramento della
ravvisata circostanza aggravante di cui all'art. 625 c.p.
Il Tribunale ha, invero, correttamente ricordato che trovano collocazione nell'ipotesi contemplata al n. 4
della norma (che contempla il c.d. furto con destrezza) tutti quei comportamenti connotati da particolare
agilità, sveltezza, callido artificio nonchè atteggiamenti, mosse o manovre particolarmente scaltre ed
ingannevoli, tali da eludere la pur vigile attenzione dell'uomo medio impedendogli di prevenire la
sottrazione delle cose in suo possesso opponendovisi tempestivamente ed in costanza del fatto, senza che
perciò possa assumere rilievo il fatto che la sottrazione sia scoperta anche subito dopo il suo avverarsi
(Cass. pen. Sez. V, 14.06.2004, n. 2664; Cass. pen., Sez. IV, 13.11.1998, n. 13491; Cass. Pen.,
3434/1999).
La destrezza, pertanto, consiste in una particolare abilità dell'agente, tale da menomare apprezzabilmente
la capacità difensiva e la vigilanza del proprietario della cosa, comunque esse si prospettino nel momento
di commissione del fatto e, quindi, anche laddove si traducano in una custodia precaria (Cass. pen. Sez. V,
23.03.2005, n. 1526).
Proprio per questo, ci pare, tuttavia, che la fattispecie sottoposta all'esame del Tribunale di Bologna denoti
un diverso comportamento dell'agente, pur sempre sanzionato all'interno dell'aggravante in esame, ma
caratterizzato da una condotta posta in essere mediante violenza sulle cose (art. 625, n. 2, c.p.).
E ciò sul presupposto che le etichette apposte sugli oggetti esposti nei grandi magazzini sono strumento
materiale atto a garantire, tra l'altro, una più efficace difesa del patrimonio; in quanto tale, la sua
manomissione, finalizzata al furto dell'oggetto, non può che concretizzarsi in un comportamento “violento”
sul bene in questione, il cui ripristino richiede un'attività più o meno complessa.
I Giudici del Supremo Collegio hanno, per esempio, ravvisato l'aggravante di cui all'art. 625, n. 2, c.p. nello
strappo dei presidi magnetici inseriti su alcuni capi di merce offerti in vendita nei grandi magazzini e
destinata ad attivare i segnalatori acustici ai varchi d'uscita, poiché essa costituisce mezzo di difesa
approntato per quegli oggetti maggiormente esposti al rischio di essere prelevati dai banchi, senza essere
presentati alla cassa per il pagamento (Cass. pen. Sez. V, 14-01-1993, n. 2433).
Peraltro, ai fini della configurabilità dell'aggravante in esame, non è necessario che la violenza venga
esercitata direttamente sulla res oggetto dell'impossessamento, ben potendosi configurare quando venga
posta in essere nei confronti anche di uno strumento materiale inserito sulla merce offerta in vendita (Cass.
pen., Sez. IV, 16-01-2004, n. 7235).
In questo senso, rimuovere l'etichetta identificativa del bene sostituendola con altra, è azione che,
principalmente, incide sul bene, giacché ne modifica le caratteristiche oggettive, laddove, viceversa, la
condotta di “destrezza” è comportamento che opera, primariamente, sulla persona del derubato e non
sull'oggetto dell'impossessamento.
E ciò in quanto tale comportamento è mirato all'approfittamento di una qualunque situazione di tempo e di
luogo idonea a svisare l'attenzione della persona offesa, distogliendola dal controllo e dal possesso della
cosa (Cass. pen. Sez. III, 01-10-2007, n. 35872; Sez. I, 25-3-1998, n. 3763).
Tanto è vero che ai fini dell'aggravante di cui al n. 4 dell'art. 625 c.p. è sufficiente che l'agente tragga
vantaggio da un generico contesto, soggettivo od oggettivo, che risulti favorevole per eludere la normale
vigilanza dell'uomo medio ed è, pertanto, sufficiente che l'atteggiamento posto in essere sia idoneo ad
attenuare la normale attenzione della parte lesa nel mantenere il controllo ovvero la vigilanza sulla cosa,
rientrando nel concetto di destrezza qualsiasi modalità dell'azione furtiva idonea a non destare l'attenzione
suddetta (Cass., Sez. V, 2.12.2005, n. 44018; Sez. V, 7.4.2005, n. 12974).
In conclusione, dunque, l'impostazione più corretta e maggiormente aderente al tessuto normativo,
suggerisce di assumere il fatto portato al giudizio del Tribunale di Bologna in un'ipotesi di furto, aggravato
dall'uso di violenza sulle cose.
La Cassazione ha pubblicato in casi simili
in collaborazione
con LEX24
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