Lettere e Commenti - MUSE

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Lettere e Commenti - MUSE
Lettere e Commenti
La «zuppetta»/36
Cracker col latte
La «zuppetta»/42
Finiamola qui
V
o la zuppetta la faccio mettendo un paIsatonino
in una scodella piena di ottimo pasdi verdure. Non so esattamente quan-
olevo dire la mia sulla zuppetta. Mi
sono trasferito a Campodenno da Modena alcuni anni fa e ho mantenuto una
strana abitudine: la zuppetta nel caffelatte con i cracker salati.
Sembrerà strano, ma mi ricorda un tipico piatto ferrarese che mi piace molto:
il pasticcio di maccheroni, detto anche
«Cappello del Prete» per la sua forma. Il
ripieno è pastasciutta salata con tutti i
crismi, ma la crosta è pastafrolla dolce.
E il connubio è molto buono, anche se immagino sia strano per il palato tutto d’un
pezzo dei Trentini.
Augusto Pezzi - Campodenno
La «zuppetta»/37
Io bevo solo the
asta con questa zuppetta schifosa.
BPer
fortuna io bevo solo the.
Paola Sembenotti - Vigolo Vattaro
La «zuppetta»/
Niente numeri
gregio direttore, mi permetto disturE
barla per esprimere il mio vivo disappunto nel vedere che nella rubrica «Post@
per L’Adige», gli allucinanti interventi sulla «zuppetta» sono giunti a tutt’oggi
(21.05.07) al 35° e addirittura all’argomento è stata dedicata una intera pagina in
cronaca di Trento (19.05.07).
Forse ha ragione quel lettore che ha
ipotizzato si tratti di una burla, ma in ogni
caso non intendo entrare nel merito. Le
chiedo solo, direttore, come un quotidiano serio possa accettare una simile farsa, mentre tutto il pianeta Terra attraversa uno dei più gravi e drammatici periodi della Storia. Le rivolgo una preghiera:
per favore, se pubblicherà queste poche
righe (cosa di cui non dubito, essendomi
nota la sua correttezza professionale),
vorrei non apparisse con il numero progressivo che segnala tutti gli interventi
apparsi su questo tema. Grazie!
I più cordiali saluti.
Florestana Piccoli Sfredda - Rovereto
La «zuppetta»/39
Mi piace col brodo
Q
uando lo racconto ai miei amici credono che li prenda in giro, ma a me
fare la zuppetta con i biscotti nel brodo
caldo piace davvero tanto. Anziché «panada» dovrei chiamarla «frollada».
Nicola Verdi - Trento
La «zuppetta»/40
Per me è una burla
alve a tutto il giornale, volevo avverS
tire che ho sentito un programma su
RadioDeeJay che parlava, tra le altre cose, della «puccia» o «zuppetta» o «zuppata».
Ebbene, un ascoltatore ha chiamato da
Trani dicendo che questa moda è iniziata a Bari da una radio locale. Pare che alcuni giovani abbiano fatto uno scherzo
montando questa iniziativa che poi si è
diffusa a macchia d’olio in tutta Italia. Non
so se è vero, ma volevo avvisare i lettori.
Rino Giusti - Cavedago
La «zuppetta»/41
Con i «cuori»
V
orrei dire anch’io la mia sulla ormai
ben nota «zuppetta»: io al mattino mi
alzo con gli occhi socchiusi e l’alito fetido di batteri notturni, mi siedo sulla solita sedia e attendo i soliti 10 secondi finché mia madre Liviana non mi porta su
di un vassoio argentato la colazione: 7 biscotti a forma di cuore (come gli anni dell’amore) e la tazzona con la «zuppetta»:
solo in quel momento riprendo vita coi
vapori del latte caldo che mi rimettono
in circoplazione sangue e cervello: quindi sfodero la mia tattica da anni collaudata: getto i 7 cuori nella zuppetta e con un
cucchiaino in ferro mi butto a capofitto
alla loro ricerca e uno per volta li infilo in
bocca prima di sorseggiare celermente
la «zuppetta» e dirigermi alla fermata della corriera!
Gianluigi Tomasini - Calceranica
ti secondi servono per il migliore risultato e nemmeno se riesco a finire di mangiarla.
Dimenticavo. Tutto questo mentre mi
trovo ricoverato in ospedale a seguito di
un alquanto impegnativo intervento chirurgico. Facciamo conto di chiudere qui
questa stupida storia della zuppetta, che
c’è gente che non ha a disposizione gli ingredienti per farsene una. E l’Adige non
dovrebbe lasciare arrivare fino a questo
limite un simile dibattito.
Enzo Fumanelli
La «zuppetta»/43
È invidia del pene
a rubrica della posta diventa ogni giorL
no più esilarante! È sempre stata la
mia lettura preferita, ma ora sta superando ogni aspettativa. Il fantastico fenomeno della zuppetta meriterebbe una tesi
di laurea in scienze della comunicazione.
La signora Destrani (già l’improbabile cognome è uno spasso) è stata, o stato, strepitosa/o.
L’alluvione di risposte mi ha divertito
assai, ma la cilegina sulla torta è rappresentata dal vostro articolo in prima, con
tanto di interviste ai «trentini che contano». E che dire poi del dottor Carrozzini,
che come il più stereotipato degli strizzacervelli si è avventurato in una esilarante comparazione tra sesso e zuppetta. Ho una morosa veneta, e quando le ho
fatto leggere l’articolo si è quasi strozzata per le risate. Quando è riuscita a riprendere fiato non ha perso occasione per
chiedermi se noi trentini non abbiamo
niente di meglio da pensare. Subito dopo
ha avanzato un’ipotesi interessante: secondo lei, le donne che fanno la zuppetta con i frollini e se ne stanno a guardare
il cedimento e conseguente collasso strutturale del biscotto mascherano in realtà
un irrisolto problema di invidia del pene.
Michele Sala - Pergine
Con quella lettera
io non c’entro
n relazione alla lettera pubblicata sulItatel’Adige
il 20 maggio dal titolo «Non spunel piatto», in cui si cita la signora
Mara Zanella, dipendente del Comune di
Trento, il sottoscritto Francesco Faravelli chiarisce di non essere il signor F. F. che
ha scritto la lettera firmandola con le sole iniziali.
Per il futuro invito l’autore della lettera a firmare con nome e cognome, per evitare problemi e spiacevoli equivoci.
Francesco Faravelli
La «scimmia nuda»/1
Domande di bimba
opinione riportata a pag. 55 dell’AdiL
’
ge del 18 maggio a firma Francesco
Agnoli è dotta e condivisibile anche se in
qualche passaggio poco comprensibile
per chi non si sia addentrato specificamente nella materia. Mi riferisco all’opinione sulla «scimmia nuda». Sono d’accordo con chi scrive e faccio mie, per lo
meno in parte, le sue argomentazioni molto ben esposte ed altrettanto logiche.
Narro ora, molto pedestremente, un
episodio che ha avuto come protagonista una mia nipotina di quasi 9 anni di età
che ho accompagnato alla mostra circa
un mese fa.
Lei era molto compresa - sta studiando l’homo sapiens - era munita di macchina-foto digitale di sua mamma e scattava fotografie per la sua maestra di terza elementare.
È una bambina intelligente, per sua fortuna, mi sembra. Ha visitato la mostra,
ha fotografato, ha visto e «capito» quanto c’era da capire, per lo meno in parte.
Quanto a me, non ancora a livello di pensiero ma quasi come fastidiosa sensazione, vi era nella mostra qualche cosa che
non mi convinceva del tutto. Lei, contentissima di quanto aveva visto e fotografato ad un certo punto, verso la fine ha
chiesto: «ma allora, cosa ha fatto Dio?».
Con grande sangue freddo, ammirata
perché certe domande la sua nonna se le
F
are cultura oggi, o meglio divulgare le iniziative collegate alla cultura, significa anzitutto creare le
condizioni affinché ogni proposta o progetto possano trovare quella diffusione e quella fruibilità che ne giustifichino non solo l’investimento economico,
ma anche il grado di valorizzazione
che l’opera merita.
Tutto ciò rientra nell’ambito della cosiddetta «industria della cultura», su
cui da alcuni decenni è in atto nel nostro Paese, ma non solo, un dibattito
complesso per ampiezza e per articolazione. Con questo dibattito oggi è più
che mai necessario confrontarsi, soprattutto quando venga coinvolta su
un tema di questa rilevanza un’intera
comunità. Il confronto in atto anche
nella nostra provincia sul futuro della
politiche culturali deve dunque partire da qui, da questi presupposti.
Il concetto di industria della cultura, tanto avversato negli scorsi decenni e giudicato da alcuni come una sorta di mistificazione di massa della società capitalistica, è diventato oggi la
carta vincente di molte realtà che hanno saputo sfruttare la maggior capacità di reazione e di domanda della gente a questo nuovo tipo di offerta. La stessa espressione «industria culturale»
ha perso la carica polemica originaria
e ha acquisito un valore descrittivo, di
«etichetta» comprensiva, che l’accomuna ad altre offerte del territorio. Questo vale a maggior ragione in una provincia piccola come la nostra, dove le
iniziative culturali, pur pregevoli ed
originali, rischiano di confondersi nella quotidianità «del fine a se stesso»,
se non vengono ricondotte ad un’unica sintesi. Si tratta di una serie di considerazioni che, a mio parere, la commissione legislativa - che proprio in questi giorni sta affrontando i disegni di
legge sulle politiche culturali in provincia di Trento - non può ignorare. Del resto, il recente viaggio in Spagna che la
commissione ha compiuto, e che è servito per mettere a confronto esperienze diverse in tema di offerta culturale,
ha dimostrato come solo attraverso
un’azione coordinata e sinergica si riesca a fare di più eventi un «sistema»:
in una parola, creare i presupposti per
avviare un nuovo modello di sviluppo
sociale ed economico.
Dalle visite ai sistemi museali di Bar-
è poste solo quando frequentava già il Liceo Prati, ho risposto: Dio ha fatto tutto,
ha diviso la terra dalle acque, creato gli
uccelli dell’aria ed i pesci del mare, gli elefanti, i leoni, le scimmie e infine l’uomo.
Non ho ritenuto spiegarle che in Africa,
da una parte della falesia e/o delle alture
le scimmie si sono «forse» evolute e dall’altra parte sono rimaste scimmie.
Ho detto che Darwin avrà senza dubbio le sue ragioni e non le ho certo detto
che quel signore lì si è limitato all’evoluzione fisica e non ha pensato all’evoluzione del cervello inteso non come organo
ma come sistema psichico. Le ho detto
che stavamo nel campo dell’immanenza
- del terra a terra - e che la trascendenza
che affronterà da grande, almeno io lo
spero, è altra, incomprensibile e misteriosa cosa.
In ogni caso le ho detto di vivere tranquilla, senza porsi troppe domande. Mi
è sembrato un miracolo che una bambina così piccola si ponesse certe domande ed ho ringraziato il dio delle scimmie
per aver trovato una risposta rassicurante.
Però, Santo Dio, non mi sembra giusto
che una bellissima mostra come «la scimmia nuda» sia scivolata in un campo non
squisitamente scientifico, se così si può
dire.
Non mi sembra giusto che la materia
della mostra possa ingenerare dei dubbi
«da adulti» nei bambini, prima del tempo,
così come non mi sembra giusto che in
un futuro, magari alle scuole medie, in
un’età difficile, un qualsiasi insegnante
poco attento ai diritti dei suoi alunni, possa essere tentato di indottrinarli, anche
se in perfetta buona fede. In due parole,
non mi sembra giusto far percorrere ai
bambini, in formazione, una strada che
potrà non essere la loro. Sia chiaro, non
mi schiero né con chi nega l’evoluzione,
né con chi l’afferma. Dico solo che ci vorrebbe maggiore leggerezza e forse maggiore attenzione nel trattare simili argomenti.
Alda Rimer
l’intervento
Dal viaggio
in Spagna
una lezione
sulla cultura
di
GIORGIO CASAGRANDA
cellona, Bilbao e Madrid sono emerse
tre condizioni che ritengo fondamentali per creare anche sul nostro territorio un «sistema culturale», capace di
garantire una benefica ricaduta anche
sotto il profilo economico e sociale: per
fare, cioè, della cultura un’industria.
La prima risiede in quella che potremmo definire l’unitarietà dell’intervento. Si tratta in sostanza di ricondurre ad un unico centro di coordinamento tutte le offerte culturali che si manifestano sul territorio, attraverso un
piano di investimenti e di iniziative capace di mettere in rete le singole proposte e strutture sparse in Trentino: tutto questo può così dar vita ad un sistema museale diffuso che, facendo leva
su alcuni grossi centri, si articola poi
in unità decentrate. Un esempio di questo sistema è rappresentato per l’appunto da Bilbao, dove la coraggiosa riconversione, anche urbanistica, di una
città industriale a «città della cultura»
ha prodotto un’articolazione sul territorio di unità culturali collegate fra loro, in grado di presentare un’offerta
culturale di alto livello, tale da coinvolgere e dare lavoro a oltre 4000 persone. La seconda condizione è rappresentata dal coinvolgimento del privato in
una logica di sussidiarietà, nella quale cioè l’operatore culturale, turistico
e ambientale giocano la stessa partita,
coordinando l’offerta culturale con
quella delle strutture turistico- ricreative e delle risorse naturali. L’esperienza spagnola e di Barcellona in particolare (non a caso, oggi ribattezzata «città della conoscenza») rappresenta un
La «scimmia nuda»/2
Lo spirito umano
ingrazio i curatori della mostra «La
RDavvero:
scimmia nuda».
li ringrazio di cuore, soprattutto per la strabiliante notizia che il dna
della scimmia è di fatto uguale a quello
dell’uomo (al 98%). Questa, infatti, è la
«prova provata» che l’uomo è diverso dalla scimmia (e che è diverso è un’evidenza) non per fattori fisici (sempre di cellule e molecole si tratta!) ma spirituali.
Grazie. Quel «98%» è la prova che c’è
qualcosa nell’uomo di irriducibile ad
aspetti fisici. E questo lo desideriamo tutti: chi di noi vorrebbe essere uguale in
tutto ad una scimmia?
Pierina Camin - Villamontagna
La «scimmia nuda»/3
Come con Galilei
rancesco Angoli non ha gradito la riF
sposta del comitato scientifico della
mostra «la scimmia nuda» alle critiche
mosse dall’associazione Libertà e persona, e torna all’attacco con una serie di argomentazioni che mi riportano a settant’anni fa.
Come quella per cui nessuno «può sostenere la propensione delle scimmie a
distinguere tra bene e male». Cosa che
sembra ovvia: solo che il concetto di bene e di male non è poi così chiaro e univoco. Tanto per fare un esempio, ridurre
persone in schiavitù rientra oggi nella categoria del «male», ma non era così non
solo nell’antichità. Non devono averlo
considerato «male» nemmeno i gesuiti
che introdussero l’impiego di schiavi africani in America Latina, né i proprietari
delle piantagioni degli Stati Uniti, dove la
schiavitù è stata regola fino a 150 anni fa.
Se anche per noi il concetto di bene e di
male è così incerto e mutevole a seconda dei tempi e delle popolazioni, che sen-
martedì
22 maggio 2007
55
esempio di intelligente sinergia fra offerta turistica di massa e turismo d’elite. Il viaggiatore diventa in questo modo un «consumatore pensoso», in cui
il senso della scoperta, della conoscenze e della curiosità vengono appagati.
Una scommessa che vedrebbe il Trentino particolarmente avvantaggiato, grazie alle risorse di cui disponiamo, a partire dalla risorsa ambientale. È risaputo però che l’offerta turistica oggi non
si esaurisce solo con la fruibilità delle
risorse ambientali, ma richiede strutture, iniziative e proposte (soprattutto
di tipo culturale) che rispondano alle
esigenze di un turista sempre più esigente, informato ed acculturato.
Una recente ricerca del Censis dimostra chiaramente che il nuovo consumo turistico non si è solamente esteso,
ma è divenuto trasversale, coinvolgendo l’arte, il patrimonio culturale, le tradizioni di un territorio.
C’è dunque una domanda di cultura
e di conoscenza che è propria di chi
viaggia e a cui va giustamente data risposta. Questo anche allo scopo di rendere il turismo non un semplice fatto
di «stare» su un territorio, ma un’occasione di arricchimento personale incanalato dentro proposte intelligenti, e
soprattutto sostenibili, per l’ambiente.
La terza considerazione, che è conseguenza delle precedenti, riguarda i
collegamenti. È impensabile oggi mettere in rete le iniziative culturali trentine in essere e quelle in via di definizione senza porre mano ad un sistema
di collegamenti, che consenta al viaggiatore di raggiungere comodamente e
in breve tempo i centri espositivi o coniugare l’offerta artistica e culturale
al turismo. Un esempio per tutti: Mart
e lago di Garda. Due realtà che, se ben
collegate, potrebbero aumentare di
gran lunga la loro forza attrattiva .
Le esperienze e le osservazioni compiute nella recente trasferta in Spagna
hanno contribuito ad arricchire il bagaglio culturale di tutti i componenti
della commissione, chiamati oggi a scelte di concretezza, pur nella consapevolezza che si tratta di un processo che
richiede pazienza, attitudine al confronto, maturazione graduale e ampie
intese.
GIORGIO CASAGRANDA
è capogruppo della Margherita
in Consiglio provinciale
so ha discutere se abbiano o non abbiano «propensione a distinguere fra bene e
male» le scimmie, secondo criteri che esse non conoscono, stabiliti da qualche
uomo? Oppure l’altra, quasi da manuale,
per contestare che la religione dominante nel mondo occidentale abbia sempre
sostenuto che l’uomo è separato dalla natura, se non al di sopra di essa (ma posso testimoniare che questo ci è sempre
stato insegnato nelle ore di religione dalle elementari in su: tutto il mondo vegetale e animale sarebbe stato anzi creato
apposta per l’uomo). L’uomo, dice Agnoli, è «fisicamente» parte della natura. Se
ne differenzia perché è anche essere spirituale, oltre che fisico. Che significa questo «differenziarsi» se non essere diverso, superiore, proprio per via della spiritualità? Del resto, non lo disse proprio
Dio all’uomo, quando ancora gli parlava
non per interposta persona, di assoggettare la terra, di «dominare» su tutti gli uccelli del cielo e sopra tutti gli animali che
si muovono sopra la terra (Genesi, 28)?
Ma la grave colpa della mostra, addirittura la sua pericolosità, starebbe per
Agnoli nel contrapporre scienza e fede,
malgrado l’esplicita dichiarazione dei curatori che la scienza non si occupa di questioni di fede, semplicemente perché ciò
che è oggetto di fede può solo essere creduto, non verificato. Agnoli non si accorge di essere lui a far nascere questa contrapposizione con l’implicita pretesa che
la scienza non debba arrivare a risultati
diversi da quelli proclamati dalla sua fede. È la stessa accusa mossa al Galilei,
che si salvò dal rogo sottoscrivendo una
dichiarazione con la quale ritrattava le
conclusioni dei suoi studi. La fede aveva
vinto, l’ordine era stato ristabilito. Solo
davanti al dilagare delle nuove scoperte
che confermavano inesorabilmente la validità di quelle scoperte la chiesa adattò
la fede alla realtà e dopo poco più di 350
anni chiese formalmente scusa per il proprio errore. Ma la voglia di sottomettere
la scienza alla propria «fede» evidentemente è rimasta.
Franco Valduga
C6121695
l'Adige