P.Mich. inv. 6222A e P.Oxy. LXVIII 4640 c. II: alcune osservazioni
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P.Mich. inv. 6222A e P.Oxy. LXVIII 4640 c. II: alcune osservazioni
«EIKASMOS» XV (2004) P.Mich. inv. 6222A e P.Oxy. LXVIII 4640 c. II: alcune osservazioni sull’argumentum (?) del primo Ippolito euripideo 1. L’attenzione per la trama del primo Ippolito euripideo si è ravvivata in coincidenza con la recente e recentissima edizione di due papiri, il P.Mich. inv. 6222A (Mertens-Pack3 454,11 [ca. II-III d.C.])1 e il P.Oxy. LXVIII 4640 c. II (I-II d.C.)2, che ne tramandano con ogni probabilità l’argumentum. Lo stato di conservazione dei tre principali frustuli papiracei del P. Michigan (frr. A, B, C), per non parlare di quello dei tre minori (Ba, Bb, D), è a dir poco precario, e per questo motivo gli ultimi editori del Kaluptovmenoç, F. Jouan e H. van Looy, hanno scelto 1 L’editio princeps è di G.W. Schwendner (Literary and Non-literary Papyri from the University of Michigan Collection, Diss. Michigan 1988, 24-29), che non ho potuto consultare; quindi W. Luppe, Die Hypothesis zum ersten Hippolytos (P.Mich. inv. 6222A), «ZPE» CII (1994) 23-39 e tav. Ia (= Luppe 1994, con ulteriori proposte di integrazione per il fr. B 5s. in Literarische Texte. Drama, «APF» XLIII/1, 1997, 96s. [= Luppe 1996]); Monique Van Rossum-Steenbeek, Greek Readers’ Digests? Studies on a Selection of Subliterary Papyri, Leiden-New York-Köln 1998, 195s. (= van Rossum-Steenbeek 1998; il testo è basato su quello di Luppe, ma l’ordine dei frammenti è mutato: A, C, B, cf. infra, n. 9); Euripide. VIII/2. Fragments (Bellérophon-Protésilas), texte ét. et trad. par F. Jouan et H. van Looy, Paris 2000, 235-238; W. Luppe, Nochmals zur Hypothesis des ersten Hippolytos, «ZPE» CXLIII (2003) 23-26 (= Luppe 2003; con nuove proposte e secondo il mutato ordine dei frammenti); W. Luppe, Die Hypothesis zum ersten ‘Hippolytos’. Ein Versuch der Zusammenführung des Michigan-Papyrus und des Oxyrhynchus-Papyrus, in Euripide e i papiri. «Atti del Convegno Internazionale, Firenze 10-11 giugno 2004», Firenze (in corso di stampa [= Luppe 2004]); infine Tragicorum Graecorum Fragmenta, V/1, ed. R. Kannicht, Göttingen 2004, 460-463 (II a + b), di cui mi sono potuto avvalere grazie alla cortesia di Giovanna Alvoni, quando questo articolo era in corso di stampa. 2 Monique van Rossum-Steenbeek, Hypotheses to a Theseus and Hippolytus?, in Oxyrhynchus Papyri, LXVIII, ed. with transl. and notes by N. Gonis, D. Obbink and P.J. Parsons, London 2004, 7-22, in part. 10-14 e 17-22 (= Van Rossum-Steenbeek 2004). Il papiro è di poco posteriore all’epoca (II a.C.-I d.C.) in cui furono composti gli argumenta papiracei di Euripide: nel medesimo convegno fiorentino, che ha ospitato la relazione di Luppe 2004, James Diggle (New light on the hypotheses) ha infatti persuasivamente confutato l’authorship di Dicearco di Messene (IV a.C.), mostrando l’indiscutibile frequenza in essi di determinate clausole ritmiche (riconducibili per lo più a – ∪ – | – – e – ∪ – –), non solo di periodo, ma anche di unità sintattiche di minor estensione. Tale fenomeno è tipico della prosa asiana e della scuola di Egesia di Magnesia (III a.C.); esso, insieme al fatto che i papiri delle uJpoqevçeiç datano a partire dal I a.C., induce a spostare in avanti la loro genesi rispetto all’opinione tradizionale. Non solo: Diggle dimostra come la determinazione delle clausole possa offrire all’editore un preziosissimo ausilio nella constitutio textus, in caso di luoghi incerti o lacunosi. Purtroppo i nostri papiri sono troppo malridotti per fare tesoro di questa scoperta, ma chi volesse procedere ora a un restauro testuale complessivo dovrebbe tenerne conto. 228 MAGNANI di recepire solo alcune delle estese integrazioni avanzate in più occasioni da Luppe, pur accettando l’idea di fondo alla base di tale ricostruzione. Nonostante le profonde lacune, grazie a questo primo papiro è stato possibile intravvedere lo sviluppo della trama, sicché colpisce che la sua pubblicazione sia stata in qualche caso o completamente trascurata3 oppure non considerata nella dovuta misura4. L’altra fondamentale acquisizione papiracea è rappresentata dal P.Oxy. 4640, che presenta due colonne di scrittura vergate lungo le fibre: la prima pertiene presumibilmente alla vicenda narrata nel Teseo di Sofocle o di Euripide; la seconda conserva la parte iniziale di 18 righi, il cui testo si sovrappone parzialmente a quello dei tre frammenti principali del P.Mich. inv. 6222A. Di per sé – nota la van Rossum-Steenbeek (2004, 11) – quanto si può leggere nella c. II del P.Oxy. (pp. 12-14 e 17-19) non sarebbe incompatibile con la trama dello Çtefanhfovroç. Decisivo, dunque, è il confronto con il P. Michigan, il cui testo, più completo, non può riguardare la vicenda dell’Hipp. II, e almeno per tre lezioni pressoché certe: fr. A 7 Qettaliv[ a (vel -li[kovç Kannicht), B 3 ~Ipp]oluvtou çtolhvn, 5 ka]luyavmenon (cf. infra, § 2). Anche l’ultimo rigo della c. I del P.Oxy. 4640 dovrebbe riguardare l’Hipp. I e conservarne il titolo: più che il poco che si legge (r. 19 ]toç e[), lo fanno pensare il fatto che prima e dopo questo rigo ve ne siano due ‘bianchi’, che questi miseri resti siano ‘centrati’ e che, al di sopra di essi, si notino uncini con funzione decorativa. Le varie integrazioni della van Rossum-Steenbeek al riguardo sono naturalmente exempli gratia: ~Ippovlu]toç (vel ~Ippovlutoç prw']toç) ej[gkaluptovmenoç (vel e{[teroç vel E[ujripivdou); oppure – ed è ciò a cui infine l’editrice tende con maggior convinzione – ~Ippovlutoç prw']toç, ej[keivnh d` hJ (vel ej[keivnou h{d`) ajrchv (vel uJpovqeçiç), cl. P.Oxy. 3652 II 16 Fr_[ivxoç prw'toç, ou| ajrchv. L’editrice trova da sé valide obiezioni alle prime sue proposte, ma anche quest’ultima non è a mio avviso del tutto convincente, né per ej [keivnh vel ej[ keivnou né per il parallelo con l’argumentum del primo Frisso, visto che in esso si legge con sicurezza solo il phi. Luppe, nel suo intervento più recente, approva ~Ippovlutoç prw']toç (cl. P.Oxy. 2455,267 = fr. 17 c. XIX Frivxoç de_uv_[ t]e_ r_[ oç), ma non E[ujripivdou, perché la menzione dell’autore 3 Ad es. da M.R. Halleran (Euripides. Hippolytus, Warminster 1995, 25), come fanno notare Jouan-van Looy, o.c. 235 n. 23. 4 È il caso del lavoro di Hanna M. Roisman, The veiled Hippolytus and Phaedra. Reconsideration of Hippolytus Veiled, «Hermes» CXXVII/1 (1999) 397-409, in part. 407-409, dedicato all’interpretazione dell’epiteto (kata)kaluptovmenoç e del plot del dramma: per tutta la questione, nonché per la cronologia relativa fra i due Ippoliti, rinvio al mio Le Fedre euripidee, in Fedra. Versioni e riscritture di un mito classico. «Atti del Convegno dell’AICC – Delegazione di Firenze (Firenze, 2-3 aprile 2003)», Firenze 2004 (in corso di stampa). Qui basti dire che la Roisman, sulla base dei frr. 433, 434 N.2 e di Hipp. 1009-1015, ipotizza che le avances di Fedra a Ippolito non fossero solo di natura erotica, ma implicassero un complotto per detronizzare Teseo, e che, soprattutto, Ippolito si sarebbe velato non tanto per la vergogna causata da tali profferte amorose, ma come conseguenza di un atto sessuale consumato con la matrigna. Per altre ricostruzioni dell’intreccio, cf. Jouan-van Looy, o.c. 226-234. P.Mich. inv. 6222A e P.Oxy. LXVIII 4640 c. II 229 presupporrebbe nel papiro «Inhaltsangaben zu verschiedenen Autoren» e propone ej[pigegrammevnoç (vel ej[pigevgraptai) kaluptovmenoç (vel katakaluptovmenoç), cll. arg. LAF Soph. OR 2s. Colonna oJ tuvrannoç Oijdivpouç ejpi; diakrivçei qatevrou ejpigevgraptai, Tr oJ tuvrannoç Oijdivpouç pro;ç ajntidiaçtolh;n tou' ejn tw'i Kolwnw'i ejpigevgraptai. Fra le proposte della van Rossum-Steenbeek, non mi sentirei di scartare ~Ippovlu]toç E[ujripivdou: il nome dell’autore compare in MPER III 32 dra'ma_ E_uj_[ r]i_p_(ivdou) prima del titolo Aujtovlukoç (cf. inoltre P.Oxy. 2256 fr. 2,1 Aijçcuvlo]u — , su cui CLGP 34ss.) Nel nostro caso esso si spiegherebbe proprio per— ché il precedente poteva essere l’argumentum del Teseo sofocleo5. Non vedo infatti motivo per opporsi così recisamente alla possibilità che questo P.Oxy. fosse un’antologia di uJpoqevçeiç di drammi sì eterogenei, ma tematicamente affini. Un caso come P.IFAO inv. P.S.P. 248 r. 3 b— Mhvdeia, h|ç ajrc[hv mostra come esistessero raccolte di argumenta caratterizzate almeno da questa seconda peculiarità6. A parte il fatto che la lettura di e[ è tutt’altro che nitida7, nei brandelli di fibra alla sua destra non si notano assolutamente tracce di scrittura, se non forse a una certa distanza, e talmente limitate da non meritare di essere registrate: forse sotto l’alpha di newtevran (c. I r. 17) e – ma un rigo più sotto – in corrispondenza del primo alpha del sovrastante qugatev_r _a (ibid.). Ammesso che tali labilissimi segni siano confermati da un esame autoptico, il primo di essi è alla medesima altezza dell’abbellimento che sovrasta e_, e potrebbe essere anch’esso parte di un uncino ornamentale; il secondo appartiene al rigo sottostante. Quindi, lo scriba ha posto al centro del r. 18 solo il titolo del successivo argumentum, cioè ~Ippovlu]toç, seguito da un ulteriore elemento decorativo; se leggiamo e_[ e non vogliamo tener conto dei pur minimi resti di fibra immediatamente contigui, dove appunto non si notano tracce di scrittura, il titolo potrebbe essere seguito davvero dal nome del poeta, presumibilmente abbreviato (cf. ancora MPER III 32). Infatti la lacuna a destra di e_[, a prescindere dai sullodati filamenti, si interrompe per poco in corrispondenza delle prime cinque lettere del sovrastante qugatev_r_ a, ma senza che nel papiro vi siano residui di scrittura: fino a questo punto la lacuna può averci sottratto al più cinque o sei lettere, quindi E[ujripivd(ou)8; non mi pare che vi sia posto per integrazioni quali ej[ pigegrammevnoç vel ej[ pigevgraptai kaluptovmenoç vel katakaluptovmenoç, sempre che siano pensate sullo stesso rigo dopo ~Ippovlutoç prw']toç (Luppe 2004). 5 Ipotesi peraltro ammessa dalla van Rossum-Steenbeek, l.c. Cf. van Rossum-Steenbeek 1998, 17: l’indicazione numerica non può che riferirsi all’«order based on the contents of the hypotheses»; nei rr. 1s. vi era forse la conclusione delle Peliadi euripidee (ma questa è mera supposizione). Vd. inoltre P.Oxy. 2734 e Antonietta Porro, in CLGP 212ss. 7 Dalla foto non si evincono tracce di quella che dovrebbe essere la parte inferiore della lettera, anche se ciò che si vede sembra appartenere indubitabilmente a un epsilon. 8 Anche se non sarebbe subito comprensibile il perché di tale abbreviazione (preesistenza della lacuna?). 6 230 MAGNANI Il confronto fra i due papiri, compiuto in prima istanza dalla van RossumSteenbeek e ora rivisto da Luppe durante il recentissimo convegno fiorentino, ha indotto non solo a stabilire una differente sequenza dei frammenti del P. Michigan (A, C, B)9, ma anche a completare alcune lezioni e quindi a confutare o confermare le precedenti proposte di Luppe. Ci soffermeremo in séguito (infra, § 2) su alcune porzioni di testo; prima credo sia opportuno presentare quanto si legge nei due papiri (in evidenza le lezioni comuni a entrambi)10. P.Mich. 6222A Fr. A . . . ]nep_eç _ [ ]uça de; lo[ ej] zhvthçe[ ]n t; ucei'n v oujk h[ ]e_mfanh[ ]qein ajpo[ ]Qettali[ ] _l_ion en[ ]k_e twn k[ ]lamoiç[ ]encar[ . . . 5 10 1 ej ]nep_eçe_ [n 9 8 ] _aion en[ 10 qa]l_avmoiç[ Van Rossum-Steenbeek 1998, 16: «the order of the fragments and the reconstruction of the play provided by Luppe, who published the papyrus, need revision: an overlap with an unpublished Oxyrhynchus papyrus demonstrates that Luppe’s fr. C should precede fr. B. The new papyrus provides us with the beginnings of eighteen lines, which is however not enough to form a complete picture of the course of events». 10 Riproduco il testo critico del P.Oxy. 4640 II secondo van Rossum-Steenbeek 2004, 13s., del P.Mich. inv. 6222A secondo TrGF V/1 461-463 (= Kannicht); i due editori stampano i testi dei due papiri senza grosse divergenze, e hanno potuto profittare l’uno del lavoro dell’altra ancora quando le due edizioni erano in itinere. Per l’edizione diplomatica di P.Oxy. 4640 II cf. van Rossum-Steenbeek 2004, 12; per il P. Michigan, vd. Luppe 1994, 23-25. Assai più creativo rispetto alla collega, Luppe offre fin dal suo intervento del 1994 un restauro testuale pressoché completo, che può tuttavia risultare condizionante. Per questo preferisco registrare in apparato soprattutto le sue divergenze di lettura (secondo Luppe 2003 per il P. Michigan, secondo Luppe 2004 per il P.Oxy. 4640 II), riservandomi di discutere le sue proposte di integrazione più avanti (cf. infra, § 2). P.Mich. inv. 6222A e P.Oxy. LXVIII 4640 c. II 231 C 5 10 15 . . . ]n kai; taç[ ]parqenwn_[ ]on kai; bo_h[ Tr]o_izh'n_[ a g]enom[e] oJ Qhçeu;ç p_i_ç_t_[ ] _ [ _ _] kata; tou' paid[o;ç ]w_ ni: kai; met` ouj pol[u; ka]taxi_wvçaç aujto;[ _ ] m[ to;]n ajçebhvçanta tw[ ] t; w'n d` ~Ippo lv uvtou douvlwn en_[ iJ] p_ p_o _[ _] _ _ _[ _ _] _[ _ ]o_ç_[ ] _toç _[ ]leu _ _[ ]rit[ ] _ t _[ . . . 3 ]on kai; boh[11 4s. [eijç de; Tr]o_izh'n_a_ [g]enovm[e-|noç 6 ]t_[ _] k_ata; tou' paid[o;ç 7 Poçeid]w'ni: kai; met` ouj polu; _ [ 8 ka]taxiwvçaç aujto;ç_ m[e;n 11 ] _po _ _ _ _[ _ _] u_[ _( _) ] _o_ç_[ 12 ]n_toç_ [ 13 ejkev]leuçe[(n) 15 ]e_i;_ th_[ B 5 11 . . . ]a[ ] _izwn [ _ _ ] _[ _] _[ ~Ip]p_oluvtou çtolh;n [ ]l_ian ejkevleuçe[ ka]luyavmenon to _[ ] t; qv _ iaç kaq_ivçai lh[ ]ç ajlhqh' tw'n p[ e[l]egcon genome[n ] hJ me;n_ F_aivdra [ Il numero del rigo è 4 in Luppe 2003, 24, che vede sopra l’alpha di taç i resti di una lettera e quindi attribuisce al fr. C 16 righi, non 15 (come ancora van Rossum-Steenbeek 2004). Lo stesso dicasi per il fr. C, al cui inizio Luppe fa precedere il fr. Ba ]d_e e_[. 232 MAGNANI 10 tei 15 . ]n ejzhvqer]av p wn ]neatou[ ]eçqai m]etano] _na_ a[ . . 1 ] _l_[ 4 ]l_ian Kannicht : ]n_ian Luppe 9 ] hJ me;n Faivdra [ 15 ] _na _( _) a[ 5 ka]luyavmenon tou;_[ ç Ba . . ]de _[ . . . . Bb . . . ] _[ ] _oçk_[ ]u_çpl[ ]n_h_[ . . . D . . . ] _a _[ ] _en _[ ]a_i_tou_[ . . . P.Oxy. 4640 II . . . . . margo t_wn katevçfax[ . . . . 8 e[l]e_gcon genome[- 233 P.Mich. inv. 6222A e P.Oxy. LXVIII 4640 c. II 5 10 15 caravxaça pa_r _ _ _[ ~Ippoluvtou d _ [ meta; bivaç to _[ parqenwn _ _ _[ pleivonoç gei _[ piçteuvçaç a[ kai; me·ta‚t` ouj_ p_[olu; to; n ajçebhvç_a_[ nta leipomen[ pon ejkevl [euçe _obon ap[ _id` ajpotuc[ l_e_uçen tou[ q_[ iv]çai lhm[ legcon wn[ ej _zhvtei p _[ _ _troç _[ . . . . . . . ejkev-] ka-] e[-] . . 2 pa_r_h_ _[ 5 parqenw'noç_ _[ ] p_[6 pleivonoç vel plei'on o}ç Kannicht gein_[ ajp[ 13 ç_i d` 17 ejzhvtei pa_[ 18 _a _t _roç _[ 12 f]ovbon La van Rossum-Steenbeek (2004, 19) sottolinea come «the regular overlapping and non-overlapping lines show the line-lenghts of 4640 to have been much longer than those of P.Mich.» e, presumendo che il testo dell’argumentum sia, in sostanza, il medesimo, ipotizza che la lunghezza di rigo in P.Oxy. 4640 II fosse di 55-70 lettere ca., quella del P. Michigan, duce Luppe, della metà (27-32 ca.). L’unica variante testuale interessa P.Oxy. 4640 II 16 e[-]|legcon wn[, dove il P.Mich. 6222A fr. B 8 ha e[l]egcon genome[n-. Ne conseguirebbe che «we may have to deal with two differently transmitted versions of the same story about Hippolytus with similar phrasing in some parts and different phrasing elsewhere». La van Rossum-Steenbeek tenta conseguentemente una ricomposizione dei due testi, sovrapponendo al P.Oxy. 4640 II i tre frammenti principali del P. Michigan (A 9-11 ~ II 1s., C ~ II 4-12, B 1-11 ~ II 12-18). Tale operazione (cf. p. 20) porta l’editrice a escludere sì un buon numero delle integrazioni di Luppe, ma anche a confermarne altre (e.g. Luppe 2003, 24 a C 6s. p_i_ç_t_[ euv-|çaç). Il testo del P.Oxy. 4640 II, come detto, viene a offrire la parte iniziale dei righi, mentre quello del P. Michigan si dispone alla sua destra. Luppe 2004 evince da tale sovrapposizione, nella quale il testo di P.Oxy. ‘affiora’ ogni due righi del P. Michigan, che tra i frr. A e C di quest’ultimo debbano mancare all’appello due righi completi12 e che gli ultimi due del fr. C e i primi due 12 A patto che sopra il r. 1 del fr. C vi sia davvero la traccia di una lettera. 234 MAGNANI del fr. B facciano parte dei medesimi due righi. A differenza della van RossumSteenbeek, Luppe dapprima sovrappone il testo di P.Oxy. al P. Michigan e, come al solito, presenta una ricostruzione completa. Quindi procede con l’operazione inversa, operazione dalla quale risulterebbe che i due papiri conservano due redazioni diverse del medesimo testo. Non solo: i righi dovevano essere di 49-55 lettere, non 55-70, come per la van Rossum-Steenbeek. Benché la prima editrice adoperi ogni cautela nell’esibire la propria sovrapposizione, per Luppe «ein solcher Text kann nicht existiert haben». A mio parere, indurrebbero a pensarlo proprio le altre uJpoqevçeiç papiracee raccolte in van Rossum-Steenbeek 1998: in nessuna di esse si hanno colonne di 55-70 lettere per rigo; semmai, in media si arriva alla metà, ovvero all’ampiezza calcolata per i tre frammenti maggiori del P. Michigan. Ciò vale non solo per le uJpoqevçeiç letterariamente affini al nostro testo («‘Tales from Euripides’» o «‘narrative hypotheses’»)13, ma anche per ogni altra tipologia: argumenta menandrei, omerici, Mythographus Homericus etc. Tuttavia, anche un’ampiezza quale quella calcolata da Luppe (49-55 lettere per rigo) non ha paralleli; e se esaminiamo la c. I del P.Oxy. 4640, si fa molta fatica a ipotizzare più di 45 caratteri (e.g. I 8). In definitiva, aporie di tal fatta sconsigliano una ricostituzione troppo definita del layout e del testo di P.Oxy. 4640 II sulla base del P. Michigan (e vice versa). È però innegabile che il testo del primo affiori in quello del secondo un rigo sì e uno no14, e che vi sia una sola varia lectio (P.Oxy. 4640 II 16 e[- ]|legcon wn[, P.Mich. 6222A fr. B 8 e[l]egcon genome[n-), per la quale si potrebbe pensare con la van Rossum-Steenbeek semplicemente a un «different phrasing» (relativa al posto di una secondaria participiale?). Se dunque non si può giungere a una convicente sovrapposizione fra i due papiri, non è però improprio giustapporne le reliquie testuali, redazionalmente assai simili, e provare a immaginare quale dovesse essere il contenuto dell’uJpovqeçiç (?) del primo Ippolito. 2. Una considerazione preliminare, piuttosto ovvia: a prescindere dalla larghezza delle colonne, questa uJpovqeçiç doveva essere piuttosto lunga, e ciò non stupisce, perché tale caratteristica è propria delle narrative hypotheses, in cui non mancano cospicui addenda rispetto al materiale drammatico, a sua volta non sempre fedelmente rispettato15; ed è quello che dobbiamo presumere sia accaduto anche in questo caso. Grosso modo, van Rossum-Steenbeek e Luppe concordano riguardo al contenuto: a partire da P.Mich. 6222A (fr. A 1-5), si narrava di Fedra innamorata del 13 Rispettivamente G. Zuntz, The Political Plays of Euripides, Manchester 1955, 135s. e van Rossum-Steenbeek 1998, 1s. n. 4. 14 Unica probabile eccezione, i dissestatissimi righi 2-5 del fr. C. Per quanto concerne la fine del fr. A e l’inizio del C, cf. supra, n. 11. 15 Su tutto ciò, cf. van Rossum-Steenbeek 1998, 4ss. P.Mich. inv. 6222A e P.Oxy. LXVIII 4640 c. II 235 giovane figliastro16, dei suoi sforzi infruttuosi per sedurlo, forse della paura che la tresca diventasse palese (A 5 ]e_mfanh[); il successivo Qettali[ al r. 7 fa pensare all’assenza di Teseo da Trezene (cf. C 4s.) e al suo soggiorno presso l’ospite tessalo Piritoo (cf. Ov. Her. 4,107-112)17. In questa parte della vicenda viene in soccorso il P.Oxy. e scopriamo che ci doveva essere stata un’uccisione: ]k_ e-|twn kateçfax[ (P.Oxy. 4640 II 1 + P.Mich. 6222A fr. A 9); qui è plausibile l’integrazione di Luppe 2004 oij] k_e-|tw'n katevçfax[e (oij ]k_etw'n iam Schwendner : katevçfax[e(n) vel [-an van Rossum-Steenbeek 2004, 21). Ma chi uccide chi? Luppe 2004 pensa che sia Fedra a uccidere un servo, evidentemente a conoscenza dell’intrigo amoroso (e{n[a | de; çuneidovta tw'n eJauth'ç oiJ]ketw'n kat-|evçfax[en), e questa era una delle possibilità contemplate dalla van Rossum-Steenbeek (2004, 22 ad l.): Fedra uccide o fa uccidere un servo che tenta di mandare all’aria i suoi piani o che è coinvolto nel tentato stupro di cui verrà accusato Ippolito. Non si dovrebbe trattare invece del suicidio di Fedra e perché in Hipp. I ella metterebbe fine ai propri giorni solo dopo che Ippolito si è rivelato innocente (quindi alla fine del dramma), e perché in B 9 ] hJ me;n_ F_aivdra [ dovrebbe farci dedurre, secondo Luppe, che l’eroina è ancora viva (per quanto tale menzione potrebbe spiegarsi altrimenti: resoconto, discorso riportato, etc.). Dei vari loci similes addotti dall’editrice per (kata)çfavzw vel -çfavttw, P.Oxy. 2455,293 (= arg. Phoe. 14 Diggle) è utile se si suppone un suicidio; arg. Tro. 8 Diggle riguarda invece l’uccisione rituale di Polissena sulla tomba d’Achille; solo arg. Hec. 15 Diggle pertiene a un omicidio (dei figli di Polimestore, ma per vendetta), ma allora sarebbe stato meglio indicare il precedente (rr. 5s.) Polumhvçtwr de; oJ tw'n Qraikw'n baçileu;ç e{na tw'n Priamidw'n Poluvdwron e[çfaxe (katevçfaxe Agx). Non possiamo escludere, in linea di principio, che si trattasse di un’uccisione sacrificale (di un animale) o che Ippolito, in fuga concitata dai qavlamoi dopo la tentata seduzione della matrigna, avesse ucciso involontariamente uno dei servi accorsi alle grida della padrona. Dato che poco prima, in A 7s., si parlava di Teseo in Tessaglia, soggetto di ]k_e-|twn katevçfax[e potrebbe anche essere il re ateniese, andato poi in fuga o in esilio dopo tale atto; ma è improbabile che la sua visita a Piritoo avesse altra motivazione dalla fortissima amicitia a cui allude Ov. Her. 4,110s. Quindi, in A 10 ]lamoiç[ permette almeno due possibili completamenti: qa]l_avmoiç (Luppe 2003, 24), i.e. le stanze di Fedra (dove ella avrebbe lasciato la devltoç [Luppe 2004]: A 10s. aujth; de; ejn toi'ç qa]lavmoiç ó [tw'/ Qhçei' devlton katevlipen]), o ka]lavmoiç (van Rossum-Steenbeek 2004, 21, Kannicht), lo strumento scrittorio con cui la devltoç sarebbe stata incisa (cf. A 11). Ma perché menzionare i kavlamoi grafei'ç? A favore invece della prima opzione sta [Apollod.] Epit. I 18 kataçcivçaça [scil. Faivdra] ta;ç tou' qalavmou quvraç kai; ta;ç ejçqh'taç çparavxaça: questi qavlamoi 16 Luppe 2003, 23 e 2004, ad A 1s.: [qeaçamevnh de; to;n neanivçkon ej]nevpeçe[n | [eijç ejpiqumivan. Si potrebbe anche pensare a un giro testuale un poco differente: e.g. [e[rwç de; ~Ippoluvtou (vel tou' paido;ç) th'i Faivdrai ej ]nevpeçe[n | [deinovç (cf. e.g. Hipp. 41). 17 Connessione tra il primo Ippolito e Ovidio già in Barrett (Euripides. Hippolytos. Ed. with Introd. and Comm. by W.S. B., Oxford 1964, 32). 236 MAGNANI saranno quelli dell’incontro tra Fedra e Ippolito, non dove viene ritrovata la devltoç (come invece immagina Luppe 2004). In A 11 ]encar[ e in II 2 caravxaça pa_r _ _ _[ fanno pensare all’incisione della tavoletta (cf. Plut. Par. min. 314b 1s. [scil. Faivdra] … ejpiçtola;~ ejcavraxe), e in effetti ciò che segue potrebbe essere la descrizione del suo contenuto, che Luppe – partendo da una lettura più completa di II 2, ovvero caravxaça pa_r_ h_ _[ 18 – così dipana: Fedra accuserebbe Ippolito di averla aggredita quando si trovava (parh'ç[qai) ai piedi della statua di Artemide o di Atena; a fatica ella si sarebbe rifugiata presso l’altare del Partenone della dea (C 2 + II 5 ] parqenwn_ [)19, con il volto graffiato e la veste lacerata. Quel che P.Oxy. 4640 II 3s. restituisce, cioè ~Ippoluvtou d _[ e meta; bivaç to _ [, sembra confermare per lo meno che nella devltoç si parlasse di Ippolito e di un atto di violenza. Quanto a C 2 + II 5 e all’ipotesi che si menzionasse il Partenone di Artemide, l’iconografia mostra in molti episodi del mito una statua o un santuario di Artemide20, e sarebbe peraltro sufficiente la parodo dell’Hipp. II a mostrare l’importanza dell’aspetto virginale21 nel culto trezenio della dea (e.g. v. 66 kallivçta [scil. “Artemiç] polu; parqevnwn). A mio avviso merita attenzione Hesych. e 7316 L. eujw'pi: Ou\piç qea; parqenikh; ejn Troizh'ni. Esichio prende le mosse da Callim. H.Dian. 204s. Ou\pi a[naçç` eujw'pi faeçfovre, kai; dev çe keivnhç / Krhtaeveç kalevouçin ejpwnumivhn ajpo; nuvmfhç: l’iperborea Upis22 è fra le cinque eJtai'rai predilette da Artemide (vv. 189-224) e condivide con la dea l’epiclesi di Dictinna. Ma per quel che qui interessa, Upis è nello stesso inno callimacheo – e altrove – epiteto di Artemide efesina23. La glossa esichiana potrebbe provare l’esistenza a Trezene di un Partenone, inti18 Van Rossum-Steenbeek 2003, 21, ad l.: pa_r_a_i_q_[. In P.Oxy. 4640 II 5 Luppe 2004 arriva a leggere parqenw'noç_, anche se la zona mediana del presunto omicron è svanita e della lettera successiva poco si può dire, se non che avesse forma circolare. La van Rossum-Steenbeek offre nel commento tre possibilità: a) parqevnwi (agg. o sost. maschile, riferito forse a Ippolito) noe- vel noq- vel noo- vel noç-; b) parqevnwn seguito da altre due lettere; c) parqenw'noç, ma detto del luogo ove dimora Fedra. A giudicare dalla foto, la lettura più corretta mi sembrerebbe essere parqenw'no_ _ [. Kannicht (ad II a c. II 5 [p. 461, in adp.]) propone ora e.g. parqevnwn ej_ç_q _[ht- vel parqenw'no_ç_ . (cf. schol. T Hom. Il. IX 668b Erbse per il singolare e, per la prima proposta, [Apollod.] Epit. I 18). 20 Cf. P. Linant De Bellefonds, Hippolytos I, in LIMC V/1 (1990) 447s., 461. 21 Sul quale cf. W. Burkert, La religione greca di epoca arcaica e classica, seconda ed. it. con aggiunte dell’Autore a c. di Giampiera Arrigoni, Milano 2003, 299ss. 22 Cf. Callim. H.Del. 292, schol. ad l. Pf. e il commento ad l. di Mineur (Callimachus. Hymn to Delos. Introd. and Comm. by W.H. M., Leiden 1984, 231s.). Vd. inoltre Hdt. IV 35, Nonn. D. V 488-490, LXVIII 331ss. 23 Cf. Callim. H.Dian. 240 (e schol. ad l. Pf. Ou\pi: Ou\piç ejpivqeton `Artevmidoç: h] para; to; ojpivzeçqai ta;ç tiktouvsaç aujthvn, h] para; th;n qrevyaçan aujth;n Ou\pin h] dia; taç ~Uperborevouç kovraç, Ou\pin, ~Ekaevrghn, Loxwv, a}ç ejtivmhçen `Apovllwn kai; “Artemiç: kai; ajpo; me;n th'ç mia'ç Ou\piç hJ “Artemiç, Loxivaç de; kai; ~Ekavergoç ejk tw'n loipw'n oJ `Apovllwn ~ Et. M. 641,54 s.v. Ou\piç); inoltre Antim. fr. 99,2 Matth., Alex. Aet. fr. 4,5 Magnelli, forse Euphor. fr. 103 Powell (ma vd. infra, n. 24), schol. Lycophr. 936 Scheer (Upis come epiteto di Artemide presso i Traci); in Palaeph. De incred. 31,25 (p. 46,10 Festa) l’epiteto Upis era attribuito ad Artemide dai Lacedemoni. 19 P.Mich. inv. 6222A e P.Oxy. LXVIII 4640 c. II 237 tolato a Upis o ad Artemide-Upis24; e a questo edificio farebbe riferimento il testo dell’uJpovqeçiç. A tal proposito, interessante è lo schol. PQT Hom. Od. V 121 touvtou [scil. `Wrivwnoç] ga;r ejraçqei'ça hJ ~Hmevra h{rpaçen ajpo; Tanavgraç eijç Dh'lon, e[nqa th;n ajmallofovron Ou\pin [= Euphor. fr. 103 Pow.] ijdw;n hjqevlhçe biavçaçqai. ejf` w|i ojrgiçqei'ça hJ qeo;ç ajnairei' aujto;n, wJ" Eujforivwn dhloi'. Dunque esisteva una tradizione secondo la quale Upis25 avrebbe subìto a Delo un tentato stupro da parte di Orione; a maggior ragione, nella vicenda adombrata dalla nostra uJpovqeçiç, quale miglior rifugio per Fedra del Partenone di Artemide-Upis, per convincere tutti della propria buona fede? Non si tratta forse della divinità a cui è dedito Ippolito e che non può non essere sensibile verso le donne che hanno subito violenza?26 Proseguendo, C 3 ]on kai; bo_h[ riguarderà una richiesta di soccorso, rivolta con ogni probabilità a Teseo. L’eroe torna a Trezene – dove si svolgeva l’azione drammatica, proprio come nello Çtefanhfovroç27 – e presta fiducia alla moglie, maledicendo Ippolito (C 4-6 + II 5s., cf. van Rossum-Steenbeek 2004, 21 ad 7), che morirà in esilio; quindi (C 7-9 + II 8s.), non molto tempo dopo, Teseo decide di mettere in discussione le accuse di Fedra (Luppe 2004, ma qui il testo sopravvissuto è minimo) contro l’empio Ippolito (C 9 + II 9 to;]n ajçebhvçanta tw[). La narrazione dell’uJpovqeçiç concerne ora uno dei servi di Ippolito (C 10 ] t; w'n d` ~Ippo lv uvtou Per una discussione approfondita su Upis/Opis, sulle sue identificazioni (Artemide, Ecate, Nemesi) e sulle varie attestazioni letterarie, cf. il commento di Magnelli ad Alex. Aet. 4,5 (Alexandri Aetoli testimonia et fragmenta, introd., ed. critica, trad. e comm. a c. di E. M., Firenze 1999, 198s.), Vian, ad Nonn. D. LXVIII 331-334 (Nonnos de Panopolis, Les Dionysiaques, XVIII [Chant XLVIII], texte ét. et trad. par F. V., Paris 2003, 164s.), Burkert, o.c. 215s. e n. 22. Vd. ancora, per Artemide-Upis, TAM V 620,1 (Lyd., N.E. Daldis: Poyrazdamlari). 24 G. Radke (RE IX A 1, 1961, 927 s.v. Upis 1) non credeva invece che anche a Trezene Upis potesse essere epiteto di Artemide, almeno solo sulla base della non dimostrata relazione fra Upis e l’ou[piggoç, tradizionale inno trezenio ad Artemide (cf. schol. Ap. Rh. I 85 Wendel, Athen. Epit. II 2,127, XIV 619b, Poll. I 38,2, IV 53,7, etc.). Radke notava poi la glossa esichiana, ma senza poterne trarre particolari insegnamenti, dal momento che la leggeva secondo l’errato testo schmidtiano, i.e. eujwvpion: pura; parqenikh; ejn Troizh'ni: «euwpion: pura parqenikh H : La, turbas dedit gl. Wpi anassa olim huic adiuncta» (Latte II 240, in adp.; riguardo alla problematica glossa w 267 Schm. «Wpi a[naçça: pura; [Palmer : purra; ms.] provquroç [proquvroiç Bergk], pu'r pro; tw'n qurw'n, cf. Magnelli, o.c. 198 e n. 184). 25 Secondo E. Magnelli (Spigolature callimachee, «A&R» n.s. XL, 1995, 106 n. 18), in Euforione si tratterebbe dell’iperborea, non di Artemide. Su Orione e la tentata violenza contro Artemide, cf. il comm. ad Eur. Ion 1153 di M. Pellegrino (Euripide. Ione, introd. trad. comm. a c. di M. P., Bari 2004, 298). 26 Tra l’altro, Euphor. fr. 105 Powell testimonia di un tentato stupro di Tizio proprio ai danni di Artemide. Di un qualche significato sarà anche la storia di Euopis in Parthen. Narr. am. 31: ella, figlia di Trezene (sic), va in moglie allo zio paterno Timite; dopo che il consorte ha scoperto il suo amore incestuoso per il padre, si impicca: cf. O. Höfer, LM III/1 (1897-1902) 929s. s.v. Opis 4, anche in relazione alle menzionate glosse esichiane. 27 Fino all’edizione del P. Michigan si pensava che il Kaluptovmenoç fosse ambientato ad Atene: cf. Barrett, o.c. 11. 238 MAGNANI douvlwn en_[), che secondo Luppe assumerà un ruolo assai importante nella vicenda. Purtroppo a P.Oxy. 4640 II 10-13 non sembra corrispondere nulla del P. Michigan, se non C 13 ]leu _ _[ rispetto a II 11 -pon ejkevl[euçe: qualsivoglia tentativo di integrazione risulta, in questa pericope più che altrove, ipotetico28. Poi qualcuno, con ogni probabilità Teseo, ordina (B 4 ]l_ian ejkevleuçe[ + II 14 -l_e_uçen tou[) a un altro personaggio29 di compiere un’azione che ha per oggetto la veste di Ippolito (B 3 th;n ~Ip]p_oluvtou çtolhvn), ad es. di indossarla; costui, dopo essersi velato gli occhi, prenderebbe posto presso l’eJçtiva (Luppe 2003, 23s. integra come segue: B 5s. ka]luyavmenon tou;_[ç | [ojfqalmou;ç ejpi; th'ç eJç]tivaç kaqivçai), in attesa di Fedra, per carpirle con l’inganno una piena confessione (nella ricostruzione di Luppe cit.: B 6-8 lh[|-yovmenon para; Faivdra]ç ajlhqh' tw'n p[e-|ri; tou' e[rwtoç aujth'ç e[l]e_gcon). In questo frangente il P.Oxy. conferma l’esistente ma non colma nessuna lacuna: II 14-16 ka-]|q_[iv]çai lhm[30 e[-]|legcon wn[. Le integrazioni di Luppe persuadono, anche se sulle prime ejpi; th'ç eJç]tivaç kaq_ivçai fa sorgere qualche dubbio. Una prima questione nasce dall’edizione diplomatica del P. Michigan (Luppe 1994, 24 e comm. ad l., 29s.), dalla quale consta che alla r. 7 ]tivaç ha in realtà t sovrascritto su di una lettera non più leggibile (probabilmente q); secondo Luppe dovrebbe trattarsi di un’autocorrezione del copista e tale è anche il parere della van Rossum-Steenbeek. Piuttosto, la nostra parafrasi presuppone una costruzione di kaqivçai con eJpiv e l’accusativo, che ci attendiamo con questo verbo (e consimili), soprattutto nel caso di supplici che si rifugiano presso altari o presso le dimore di un qualche augusto protettore: cf. Thuc. I 136,3 oJ de; [scil. Qemiçtoklh'ç] th'ç gunaiko;ç [scil. tou' `Admhvtou tou' Moloççw'n baçilevwç] iJkevthç genovmenoç didavçketai uJp` aujth'ç to;n pai'da çfw'n labw;n kaqevzeçqai ejpi; th;n eJçtivan (e LSJ9 698, s.v. eJçtiva, nonché schol. B [Parmeniscus] Med. 264 Schwartz, menzionato da Kannicht cit. 463, in adp. ad II b 32). Tipicamente euripideo (e.g. HF 48, Ion 6 [e comm. ad l. di A.S. Owen, Oxford 1939, 68], 1317) e della tragedia è l’accostamento di verbi come kei'çqai, çth'nai, h|çqai, qavççein e appunto kaqivzein con l’accusativo semplice, laddove «in der Prosa steht gewöhnlich ejn c. dat.» (Kühner-Gerth I 313s.). I luoghi, non frequenti, in cui kaqivzw intransitivo si costruisce con ejpiv e il genitivo (o il dativo: cf. LSJ9 854, s.v., II), sono quelli in cui l’enfasi dell’azione verbale risiede sul luogo di approdo della medesima, più che sul movimento per raggiungerlo, e sulla successiva stasi: cf., per esempi di «prägnante Konstruktion bei Präpositionen», Kühner-Gerth I 540ss. Pur senza voler esigere nulla di troppo da un testo malridotto e di caratura letteraria presumibilmente modesta, la rarità della locuzione ejpi; th'ç eJç]tivaç kaq_ivçai colpisce: tra i pochissimi paralleli che si possono addurre, è curioso che uno si trovi nelle Narrationes amatoriae di Partenio, a proposito dell’adultera Neera, che dopo aver tradito il marito, il milesio Ipsicreonte, con il fraterno (di lui) amico, il nassio Promedonte, 28 Luppe 2004: «Als Hippolytus aus Scham schweigt, fordert alsdann Theseus besagten Sklaven zur Aussage auf. Dieser aber zögert aus Furcht, den wahren Sachverhalt zu nennen». 29 Forse un giovane, se integriamo in B 5 con Luppe 2003, 24 [qeravpontav tina nea]n_ivan ejkevleuçe[n. Ma Kannicht (già ap. van Rossum-Steenbeek 2004, 21, ad 14) legge ]l_ian. 30 Il lh[yovmenon di Luppe a B 6 non è affatto escluso dal lhm[ del P.Oxy. (scil. lhm[yovmenon), come alla fine ammette la stessa editrice. P.Mich. inv. 6222A e P.Oxy. LXVIII 4640 c. II 239 fugge sull’isola per timore del consorte, e iJkevtiç proçkaqivzeto ejpi; th'ç eJçtivaç th'ç ejn tw'/ prutaneivw/ (18,3). Assai più interessante è lo schol. Genev. Il. XXIV 480 Nicole wJç d` o{tan a[ndra: e[qoç h\n toi'ç palaioi'ç to;n ajkouvçion fovnon ejrgaçavmenon feuvgein ejk th'ç patrivdoç kai; paragivneçqai ei[ç tinoç ajndro;ç plouçivou kai; kaqivzein ejpi; th'ç eJçtivaç çugkekalummevnon kaqarçivou deovmenon31. In stretta connessione con la similitudine omerica, l’e[qoç di cui si parla nello scolio riguarda un supplice, autore di un omicidio involontario, che si rifugia nella casa di un uomo abbiente e, precisamente, presso l’eJçtiva, coperto da capo a piedi, in attesa dei riti di purificazione. Tale e[ q oç potrebbe avere qualcosa in comune con il plot e con l’epiteto kaluptovmenoç, anche perché il supplice è çugkekalummevnoç, così come l’ignoto complice di Teseo, che si vela il volto. Van Rossum-Steenbeek (2004, 22 ad 14) afferma che, se B 5 ka]luyavmenon si riferisce al sottotitolo dell’Hipp. I, ne consegue che le interpretazioni tradizionali (cf. supra, n. 4) non sono più sostenibili: ovvero, «denn es ist nicht von Hippolytos die Rede, der sich verhüllt, sondern von einem Mann, der die Verhüllung als Mittel der Verstellung als Hippolytos benutzt. Der sich verhüllende Hippolytos ist also ein falscher Hippolytos, während mit ~Ippovlutoç oJ çtefanivaç bzw. ~Ippovlutoç çtefanhfovroç der ‘wirkliche’ gemeint ist» (Luppe 1994, 38). Ma il senso del titolo dovrebbe essere allora Ippolito velato32, ovvero Il falso Ippolito, proprio perché non è il vero Ippolito che si vela. Per accettare invece il luppiano «‘Sich verhüllender Hippolytos’» dovremmo convenire che in realtà i Beititel non abbiano pretese di esattezza ma definiscano per antonomasia un dramma, quasi a prescindere dal titolo principale33. Sia come sia, il velo serviva 31 Il cod. Genevensis 44 (sec. XIII) contiene scolî delle famiglie h e D e una parafrasi (ed. J. Nicole, Genevae 1891). Lo stesso commento è poi nello schol. D Il. XXIV 480 van Thiel, con alcune lievi divergenze e, secondo me, un erroneo oijkivaç per eJstivaç: e[qoç h\n para; toi'ç palaioi'ç to;n ajkouvçion fovnon ejrgaçavmenon feuvgein th'ç patrivdoç kai; paragivneçqai ei[ç tinoç oijkivan ajndro;ç plouçivou, kai; kaqivzein ejpi; th'ç oijkivaç sugkekalummevnon kaqarçivwn deovmenon. Van Thiel tiene infatti conto del Genevensis 44 (G) nella constitutio textus degli scholia D, ma il testo di G sembra superiore in questo caso non solo per la v.l. eJstivaç, ma anche per l’omissione di oijkivan nella precedente locuzione paragivneçqai ei[ç tinoç ajndro;ç plouçivou. A parte l’inconsistenza dell’espressione kaqivzein ejpi; th'ç oijkivaç, la menzione dell’eJçtiva è sostenuta, credo, dallo schol. vet. a.1 (T) a.2 (b) Il. XXIV 480-482 Erbse, che pur con altre parole spiega allo stesso modo la similitudine omerica: in a.1 è il fugavç tiç foneuvç che parakavqhtai th'i eJçtivai, in a.2 è Priamo (che invece non fa nulla di ciò nel testo omerico). 32 Un senso passivo di kaluptovmenoç non convince tuttavia la van Rossum-Steenbeek, anche se qui sarebbe l’unico che ci attenderemmo (benché più con kekalummevnoç che con il presente); i testimoni non aiutano al riguardo (Poll. IX 50 kaluptovmenoç, schol. EG Theocr. 2,10c Wendel katakaluptovmenoç [kaluptovmenoç KA]). Per altri personaggi drammatici ‘velati’ o ‘incappucciati’, cf. G. Agosti, Prometeo incappucciato (Aristoph. Av. 1496), «AION(filol)» IX/X (1987/1988) 37-41. 33 Essi non si riferiscono di per sé al clou drammatico, semmai a un elemento di spiccata novità rispetto alla tradizione: cf. al proposito A. Sommerstein, The titles of Greek dramas, «SemRom» V/1 (2002) 1-16. Ad es., con çtefanivaç vel çtefanhfovroç si alludeva alla scena dei 240 MAGNANI a nascondere la vera identità di chi indossava l’abito di Ippolito; giunto al cospetto di Fedra34, quale motivo potrà aver avuto il finto Ippolito per giustificare di fronte all’eroina e al pubblico il volto coperto, se non il proprio status di supplice, bandito dal padre dopo un tentativo di stupro e forse un omicidio, anche se involontario? Da quanto segue nei due papiri, si può dedurre ancor meno35. Possiamo immaginare, ma non di più, un probabile tentativo di Fedra di nascondere la verità (B 9s. + II 17); un servo (B 11), probabilmente il complice di Teseo, svela infine la propria identità e informa Fedra della morte di Ippolito: costei, sconvolta dalla notizia, confessa il proprio inganno e si uccide. Teseo, troppo tardi, cambia la propria idea sul figlio (B 14 m]etano-). Al di là di ogni considerazione sulla ricostruzione testuale, il possibile sviluppo drammatico del primo Ippolito che sembra risultare da questi papiri appare di per sé sorprendente, per una tragedia in genere e per un dramma del primo Euripide in particolare. Stupisce anche che di episodi quali l’iniziale assassinio nel palazzo o, soprattutto, l’incontro fra Fedra e il falso Ippolito non ci parlino né le fonti letterarie né quelle iconografiche. Anche questa constatazione muove a cautela nel ritenere tout court il testo di P.Mich. inv. 6222A e di P.Oxy. LXVIII 4640 c. II come l’argumentum dell’Hipp. I. Senza remore, credo, lo si potrà annoverare fra le narrative hypotheses. MASSIMO MAGNANI vv. 73ss., che non è propriamente centrale nell’economia del dramma, ma è quella in cui Ippolito si presenta per la prima volta in scena. 34 Luppe non avanza ipotesi riguardo alla divinità, a cui sarebbe consacrato l’altare (Artemide?). Tuttavia, non possiamo escludere che si tratti dell’eJstiva all’interno del palazzo di Pitteo (ciò naturalmente sia detto per l’uJpovqeçiç, non per il dramma). 35 Per un’ipotesi ricostruttiva, rimando a Diggle ap. van Rossum-Steenbeek 2004, 22, ad 17 e a Luppe 2004.