Prova Italiano Classi V (A.S. 2011/2012) - "E. Fermi"
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Prova Italiano Classi V (A.S. 2011/2012) - "E. Fermi"
TIPOLOGIA B - REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE” (puoi scegliere uno degli argomenti relativi ai quattro ambiti proposti) CONSEGNE Sviluppa l’argomento scelto o in forma di «saggio breve» o di «articolo di giornale», utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del «saggio breve» argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’«articolo di giornale», indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo. B 1) AMBITO ARTISTICO-LETTERARIO ARGOMENTO: IL PREMIO NOBEL: IL CONTRIBUTO DEI LETTERATI ALLA CIVILTÀ DEI POPOLI Documenti 1) T. S. Eliot, dal Discorso per il premio Nobel (1948) La poesia di solito è considerata la più “locale” di tutte le arti. La pittura, la scultura, l’architettura, la musica, possono essere fruite da tutti coloro che vedono o ascoltano. Ma il linguaggio, soprattutto quello della poesia è cosa ben diversa. Potrebbe sembrare che la poesia separi le genti anzichè unirle. Ma d’altro canto, dobbiamo ricordare che, mentre il linguaggio costituisce una barriera, la poesia stessa ci dà una ragione per cercare di superare tale barriera. Amare la poesia che appartiene a un’altra lingua è amare la comprensione del popolo a cui quella lingua appartiene, una comprensione che non possiamo ottenere in nessun altro modo. Noi possiamo pensare del resto alla storia della poesia in Europa, e alla grande influenza che la poesia di una lingua può esercitare su un’altra. Dobbiamo ricordare l’immenso debito che ogni poeta degno di considerazione ha nei confronti dei poeti di altre lingue diverse dalla sua. Possiamo considerare che la poesia di ogni paese e ogni lingua declinerebbe e sparirebbe se non fosse nutrita dalla poesia in lingue straniere. Quando un poeta parla alla propria gente, parlano anche le voci di tutti i poeti di altre lingue che lo hanno influenzato. E allo stesso tempo egli stesso sta parlando a più giovani poeti di altre lingue e questi poeti trasferiranno su di sè qualcosa della sua visione della vita e qualcosa dello spirito del suo popolo. In parte attraverso tale influenza su altri poeti, in parte attraverso la traduzione, che dev’essere anche una sorta di riscrittura delle sue poesie da parte di altri poeti, in parte attraverso i lettori della sua lingua che non sono poeti, il poeta può contribuire alla comprensione tra i popoli. Nel lavoro di ogni poeta ci sarà molto che può riguardare solo quelli che abitano nella stessa regione o parlano la stessa lingua del poeta. Tuttavia ha senso la frase “La poesia d’Europa” e ha senso anche la parola “poesia” in tutto il mondo. Penso che nella poesia popoli di paesi diversi e lingue diverse – sebbene in apparenza ciò avvenga attraverso una piccola minoranza in ciascun paese – acquisiscano una comprensione reciproca gli uni degli altri, che, anche se parziale, è tuttavia essenziale. E io ho ritengo che il Premio Nobel, quando è dato a un poeta sia in primo luogo il riconoscimento del valore sopra-nazionale della poesia. Per fare questa affermazione è necessario, di tanto in tanto, insignire del Premio Nobel un poeta. E io sono qui, davanti a voi, non per i miei propri meriti ma come un simbolo, per una volta, del significato della poesia 2) S. Quasimodo dal Discorso per il premio Nobel, Il poeta e il politico (1959) Ci può essere un coordinamento fra il politico e il poeta? Forse dove esistono delle società in formazione, ma mai sul piano della libertà assoluta. Nel mondo contemporaneo il politico assume vari aspetti, ma non sarà mai possibile un accordo col poeta, perché uno si occupa dell’ordine interno dell’uomo e l’altro dell’ordinamento dell’uomo… 3) E. Montale, dal discorso per il Premio Nobel (1975) [quando] il premio Nobel sarà centenario, solo allora potrà farsi un completo bilancio di quanto la Fondazione Nobel e il connesso Premio abbiano contribuito al formarsi di un nuovo sistema di vita comunitaria, sia esso quello de Benessere o del Malessere universale, ma di tale portata da mettere fine, almeno per molti secoli, alla multisecolare diatriba sul significato della vita [...] Mi chiedo se è giustificata la convinzione che lo statuto del premio Nobel sottende; e cioè che le scienze, non tutte sullo stesso piano, e le opere letterarie abbiano contribuito a diffondere o a difendere nuovi valori in senso ampio « umanistici». La risposta è certamente positiva. Sarebbe lungo l’elenco dei nomi di coloro che avendo dato qualcosa all’umanità hanno ottenuto l’ambito riconoscimento del premio Nobel. Ma infinitamente più lungo e praticamente impossibile a identificarsi la legione, l’esercito di coloro che lavorano per l’umanità in infiniti modi anche senza rendersene conto e che non aspirano mai ad alcun possibile premio perché non hanno scritto opere, atti e comunicazioni accademiche e mai hanno pensato di « far gemere i torchi » come dice un diffuso luogo comune. Esiste certamente un esercito di anime pure, immacolate, e questo è l’ostacolo (certo insufficiente) al diffondersi di quello spirito utilitario che in varie gamme si spinge fino alla corruzione, al delitto e ad ogni forma di violenza e di intolleranza. Gli accademici di Stoccolma hanno detto più volte no all’intolleranza, al fanatismo crudele, e a quello spirito persecutorio che anima spesso i forti contro i deboli, gli oppressori contro gli oppressi. Ciò riguarda particolarmente la scelta delle opere letterarie, opere che talvolta possono essere micidiali, ma non mai come quella bomba atomica che è il frutto più maturo dell’eterno albero del male. [...] Nel mondo c’è un largo spazio per l’inutile, e anzi uno dei pericoli del nostro tempo è quella mercificazione dell’inutile alla quale sono sensibili particolarmente i giovanissimi. In ogni modo io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà. 4) C. Simon, dal discorso per il Premio Nobel (1985) Le parole posseggono quel prodigioso potere di accostare e confrontare ciò che, senza di esse, resterebbe sparso nel tempo degli orologi e nello spazio misurabile. 5) H. Pinter, dal discorso per il Premio Nobel (2005) Quando guardiamo dentro a uno specchio noi pensiamo che l’immagine di fronte a noi sia fedele. Ma muoviamoci di un millimetro e l’immagine cambia. Noi stiamo in effetti assistendo a un infinito gioco di specchi. Ma a volte uno scrittore deve rompere lo specchio – perché è dall’altra parte di quello specchio che la verità ci fissa. Io credo che nonostante gli enormi ostacoli che esistono, la risoluta, costante, tenace determinazione intellettuale di definire, come cittadini, la reale verità delle nostre vite e delle nostre società è un compito decisivo che incombe su noi tutti. Esso infatti è vincolante. Se una tale determinazione non si incarna nella nostra visione politica, non avremo nessuna speranza di ripristinare ciò che per noi è così prossimo ad essere perduto – la dignità dell’uomo. B 2) AMBITO SOCIO-ECONOMICO ARGOMENTO: L’uomo e gli animali Documenti 1) Le piante esistono per gli animali, e gli animali esistono per l'uomo (...). Poiché la natura non fa nulla che sia imperfetto o inutile, ne consegue che ha fatto gli animali per l'uomo (Aristotele, Politica, IV sec. a. C.) Se qualcuno sostenesse che, non diversamente che i frutti della terra, il dio ci ha dato anche gli animali per il nostro uso, è comunque vero che, sacrificando esseri viventi, si commette contro di loro un'ingiustizia, perché si fa rapina della loro vita.... Si può dire che anche alle piante rubiamo qualcosa; ma questo furto non è commesso contro la loro volontà. Esse lasciano cadere i frutti anche se non le tocchiamo; e la raccolta dei frutti non comporta la distruzione delle piante, come avviene per gli esseri viventi quando perdono la vita (Teofrasto, IV - III a. C.) 2) Gli scienziati (cartesiani) bastonavano i cani con la più assoluta indifferenza e si prendevano gioco di coloro che avevano compassione di queste creature pensando che sentissero dolore. Dicevano che gli animali non sono altro che orologi, che i lamenti con cui reagiscono alle percosse sono solo il rumore di una piccola molla che è stata sollecitata, e che nel loro corpo non c'è posto per i sentimenti. Essi immobilizzavano quei poveri animali su delle tavole di legno inchiodando le loro zampe e li vivisezionavano per poter osservare la circolazione del sangue che era allora oggetto di vivaci controversie (anonimo contemporaneo di Cartesio, riportato da Leonora Rosenfield in From Beast-Machine to Man-Machine, 1968) 3) [...] e l'uomo essendo il fine, non vi sono verso essi (gli animali) doveri diretti, ma solo doveri che sono doveri indiretti verso l'umanità. Poiché gli animali posseggono una natura analoga a quella degli uomini, osservando dei doveri verso essi osserviamo dei doveri verso l'umanità, promuovendo con ciò i doveri che la riguardano. (...). Chi perciò facesse uccidere il proprio cane, non agirebbe affatto contro i doveri riguardanti i cani, i quali sono sprovvisti di giudizio, ma lederebbe nella loro intrinseca natura quella socialità e umanità, che occorre rispettare nella pratica dei doveri verso il genere umano. Per non distruggerla, l'uomo deve mostrare bontà di cuore verso gli animali, perciò chi usa essere crudele verso di essi è altrettanto insensibile verso gli uomini (I. Kant, Fondamenti della metafisica dei costumi, 1797) 4) Verrà un giorno in cui il resto degli esseri umani potrà acquisire quei diritti che non gli sono mai stati negati se non dalla mano della tirannia. I francesi hanno già scoperto che il colore nero della pelle non è un motivo per cui un essere umano debba essere abbandonato senza protezione ai capricci di un torturatore. Si potrà giungere un giorno a riconoscere che il numero delle gambe, la villosità della pelle o la terminazione dell'osso sacro sono motivi insufficienti per abbandonare un essere sensibile allo stesso fato. Che altro dovrebbe tracciare la linea invalicabile? La facoltà di ragionare, o forse quella del linguaggio? Ma un cavallo o un cane adulti sono senza dubbio più razionali e più comunicativi di un bambino di un giorno, o di una settimana, o persino di un mese. Ma anche ammesso che fosse altrimenti, cosa importerebbe? Il problema non è: 'Possono ragionare?', né 'Possono parlare?', ma 'Possono soffrire?' (Jeremy Bentham, Introduction to the Principles of Moral and Legislation, 1789) 5) Ogni volta che uno sperimentatore sostiene che il proprio esperimento è abbastanza importante da giustificare l'uso di un animale, dovremmo chiedergli se sarebbe disposto a usare un uomo ritardato dal livello mentale simile a quello dell'animale che lui vuole usare. Se risponde di no, siamo autorizzati a ritenere che vuole usare un animale non umano solo perché dà minore valore agli interessi dei membri delle altre specie rispetto ai membri della propria, inclinazione che non può essere ammessa più di quanto non possano esserlo il razzismo o qualsiasi altra forma di discriminazione arbitraria. (...). Effettivamente l'analogia tra specismo e razzismo è valida sia in pratica che in teoria nel campo della sperimentazione. Lo spiccato specismo porta a dolorosi esperimenti su altre specie, con la scusa dei loro contributi alla conoscenza e della possibile utilità alla nostra specie. Lo spiccato razzismo ha portato a dolorosi esperimenti su altre razze, con la scusa dei loro contributi alla conoscenza e della possibile utilità per la razza di chi compie esperimenti. Sotto il regime nazista in Germania, quasi 200 dottori, alcuni dei quali eminenti nel mondo della medicina, presero parte a esperimenti su prigionieri ebrei, russi e polacchi (Peter Singer, Liberazione animale, 1987). B 3) AMBITO STORICO-POLITICO ARGOMENTO: Cittadinanza, quel diritto che ci rende più uguali DOCUMENTI 1. Stefano Rodotà, Cittadinanza, quel diritto che ci rende più uguali - Cittadini del mondo”, si diceva in un tempo neppure troppo lontano. Erano le persone che avevano abbandonato le chiusure territoriali, si proiettavano oltre i confini dello Stato nazione, non coltivavano legami esclusivi con culture autoctone. Una élite, certamente. Che tuttavia metteva in discussione una cittadinanza tutta risolta nel legame di sangue o nel nascere in un luogo determinato, lo jus sanguinis o lo jus soli, che imprigionavano ciascuno nella identità che lo faceva cittadino francese o italiano o tedesco e costituivano la condizione necessaria per il godimento dei diritti. Quando oggi parliamo di cittadinanza, e dei diritti che l’accompagnano, è piuttosto a quella logica più aperta e comprensiva che facciamo riferimento. La cittadinanza diventa così un’idea unificante, non lo strumento che distingue e divide le persone. Individua un patrimonio comune che appartiene a ciascun essere umano, «un crocevia di suggestioni variegate e complesse che coinvolgono l’identità politico-giuridica del soggetto, le modalità della sua partecipazione politica, l’intero corredo dei suoi diritti e dei suoi doveri» 1bis. Danilo Zolo, Quante sono le forme dell’appartenenza – La cittadinanza moderna si afferma come il contenitore di una serie tendenzialmente aperta di diritti soggettivi che possono essere fatti valere anche contro le autorità dello Stato. Sta qui il suo profondo significato filosofico e antropologico, che si ispira alla concezione illuministica e giusnaturalistica dell’individuo. Gli uomini sono esseri razionali, liberi, moralmente responsabili, eguali di fronte alla legge e indipendenti dal punto di vista economico. E i cittadini sono impegnati nella vita politica, ma nello stesso tempo, come sottolinea Benjamin Constant, sono gelosi guardiani della loro sfera privata contro l’intrusione del potere pubblico. 2. Jürgen Habermas Stato-nazione, multiculturalismo e globalizzazione Oggi, nel momento in cui lo statonazione si trova minacciato all’interno dall’esplosione del multiculturalismo e all’esterno dai problemi della globalizzazione, ci chiediamo se esista ancora - in ordine alla possibilità di coniugare “nazione dei cittadini” e “nazione etnica”, ordine giuridico e cultura popolare - un equivalente altrettanto funzionale. All’inizio, l’unità suggestiva di un popolo più o meno omogeneo era stata sufficiente per integrare culturalmente una cittadinanza definita in termini giuridici. In questo contesto la cittadinanza democratica poté fungere da “punto di raccordo” per responsabilità reciproche. Oggi invece constatiamo quotidianamente come le società pluralistiche si allontanino sempre più dal vecchio modello dello stato-nazione con popolazione culturalmente omogenea. Cresce continuamente la diversità tra forme di vita culturali, gruppi etnici, confessioni religiose, e immagini del mondo. Non esistono alternative a questo processo se non al prezzo normativamente insostenibile - delle pulizie etniche”. 3 Hannah Arendt. Cittadinanza e riconoscimento dell’identità La perdita della cittadinanza priva l’individuo, oltre che della tutela giuridica, della sua identità ufficialmente documentata. […] La disgrazia degli individui senza status giuridico non consiste nell’essere privati della vita, della libertà, del perseguimento della felicità, dell’uguaglianza di fronte alla legge e della libertà di opinione …, ma nel non appartenere più ad alcuna comunità di sorta, nel fatto che per essi non esiste più nessuna legge, che nessuno desidera più nemmeno opprimerli. […] Gli individui costretti a vivere fuori di ogni comunità sono confinati nella loro condizione naturale, nella loro mera diversità, pur trovandosi nel mondo civile. Essi sono sottratti a quella tremenda livellatrice di tutte le differenze che è la cittadinanza; e poiché sono esclusi dalla partecipazione all’attività edificatrice degli uomini, appartengono alla razza umana allo stesso modo che degli animali a una determinata specie animale. (H. Arendt, Le origini del totalitarismo, 1951). HANNAH ARENDT 4. Ralf Dahrendorf. Identità e differenze. La cittadinanza definisce in forma pratica, quasi giuridica, ciò che tutti gli uomini hanno in comune, così che siano liberi di svilupparsi in tutta la loro diversità. Il terreno su cui gli uomini stanno in una società di cittadini è comune a tutti, ma la casa in cui vivono ha molti piani e appartamenti, e all’interno di questi, angoli e spigoli di vario tipo. (R. Dahrendorf, Cittadini maturi alla ricerca di un punto fermo, 1990 in La società riaperta, 2004). 5. Danilo Zolo. Cittadino e straniero nel mondo classico Sin dagli albori della civiltà, i gruppi umani organizzati hanno mostrato la tendenza a garantire la propria sicurezza separandosi dagli altri gruppi e tracciando dei confini fra “cittadini” e “stranieri”. E al proprio interno ciascun gruppo ha teso a darsi una struttura gerarchica, differenziando i poteri e le responsabilità collettive. La polis della Grecia classica è un esempio di questa duplice differenziazione. Il cittadino si oppone allo straniero, anche se non tutti gli stranieri sono eguali. I barbari - coloro che non sanno parlare - vengono distinti dagli elleni, che appartengono alla nazione greca avendo in comune lingua, religione e costumi. Il barbaro, non differenziandosi abbastanza per doti intellettuali e morali dall’animale, non può partecipare alla vita della città. L’elleno, invece, può farne parte, ma solo nella posizione discriminata del “meteco”. Egli non è un cittadino, come non lo sono le donne, i servi, gli schiavi, i poveri. La cittadinanza, sostiene Aristotele nel III libro della Politica, deve essere concesso soltanto ai maschi adulti e liberi: liberi anche nel senso che la libertà dal lavoro servile gli consente di partecipare all’ekklesia - l’assemblea nella quale si prendono le decisioni politiche fondamentali - , e di ricoprire le più alte cariche pubbliche, come quelle di giudice, magistrato, sacerdote. Non molto diversa è la concezione della cittadinanza romana in epoca repubblicana. Anche a Roma il cittadino si identifica con il maschio adulto che sia libero, e sia inoltre un pater familias che esercita la sua potestà sull’intero gruppo familiare, composto dalla moglie, i figli, i liberti, i clientes. Il civis romanus si oppone non soltanto allo straniero non residente, ma anche agli stranieri residenti, alle donne, ai figli, agli schiavi. 6. Danilo Zolo Cittadinanza universale e paure locali Oggi, agli inizi del terzo millennio, dopo la vittoria planetaria dell’economia di mercato, l’ottimismo socialdemocratico sembra aver perso vigore: i diritti sociali sembrano gradualmente smarrire i requisiti dell’universalità e dell’azionabilità giuridica. E non mancano autori che sostengono che i processi di globalizzazione, esautorando gli Stati di una parte rilevante delle loro prerogative, tendono a riservare ad essi la sola garanzia dell’ordine pubblico. In questo quadro anche lo Stato sociale tenderebbe ad assumere una prevalente funzione repressiva, divenendo uno “Stato penale”. Altri autori sottolineano la crescente tensione fra i diritti dei cittadini e le aspettative di masse crescenti di migranti che si accalcano ai confini dei paesi industrializzati alla ricerca di una vita migliore ed esercitano una irresistibile pressione per l’eguaglianza. Ed è la stessa nozione di cittadinanza che sembra sfidata dalla loro fondata richiesta di diventare cittadini pleno iure dei paesi dove vivono e lavorano. Si tratta di una sfida molto rischiosa perché la stessa dialettica di “cittadino” e “straniero” viene alterata da una pressione che indebolisce il senso di appartenenza e di identità collettiva e mette in crisi le strutture tradizionali dello Stato di diritto. La replica a queste rivendicazioni da parte degli Stati e delle popolazioni autoctone rischia di scrivere alcune delle pagine più crudeli e luttuose nella storia dell’Occidente. Ma la retorica cosmopolitica che plaude all’idea dell’estinzione degli Stati e al superamento dei valori della cittadinanza nella prospettiva di una governance mondiale non sembra offrire alcuna alternativa credibile e auspicabile. I documenti sono tratti da “Diario”, “La Repubblica” 15/8/2006 B 4) AMBITO TECNICO-SCIENTIFICO Argomento: Il cammino della scienza Documenti 1) IL buon vecchio Einstein si è salvato. La sua teoria della relatività, messa in forse dagli esperimenti del Cern sui neutrini veloci, si è salvata anch' essa. È stato infatti annunciato che le macchine usate per l' esperimento erano difettose. L' episodio ci permette di fare alcune considerazioni. La prima, anticipata di molti decenni dallo stesso Einstein, è che «la scienza non è una repubblica delle banane, in cui succedono rivoluzioni ogni sei mesi». Il pubblico si appassiona sempre ai cambiamenti epocali, ma forse nella scienza è più utile concentrarsi sugli aspetti ormai assodati, sui risultati acquisiti, che non sulle nuove idee che ancora attendono conferme e verifiche. La seconda considerazione è, però, che all' annuncio dell' esperimento il mondo intero si è coalizzato nel tentativo di comprendere quali sarebbero state le conseguenze teoriche e pratiche di una velocità superluminale dei neutrini. Articoli di giornale, discussioni sui blog, seminari di ricerca hanno rivisto i fondamenti della relatività di Einstein, mettendo a volte in luce aspetti nascosti o impostazioni innovative che un secolo di abitudine alla teoria avevano lasciato in ombra. In un' intervista al nostro giornale, pochi giorni dopo l' annuncio dei risultati dell' esperimento, il premio Nobel Shelly Glashow ha sottolineato quali sarebbero state le conseguenze d' una conferma dell' esperimento: conseguenze così in contrasto con il resto della fisica conosciuta, che costituivano quasi una confutazione per assurdo dell' esperimento stesso. Ma questi suoi contributi, insieme a quelli di molti altri, ci hanno comunque chiarificato che possiamo considerare la velocità della luce come un limite insuperabile,e possiamo continuarea usare la relatività come una teoria insostituibile. Gli occhi del mondo intero si concentrano ora, dopo l' ubriacatura dei neutrini, su altri esperimenti del Cern e di altri laboratori. In particolare, l' annunciata e probabile scoperta della cosiddetta «particella di Dio», così come dell' attesa, ma per ora ancora non verificata, esistenza di «particelle simmetriche». L' episodio dimostra comunque come la scienza contenga dentro di sé gli anticorpi per i propri possibili errori, e come in un breve volgere di tempo la comunità scientifica possa mettere proposte anche rivoluzionarie sotto il microscopio per verificarle o confutarle. E' in questo processo dialettico di dimostrazioni e refutazioni che si cela il segreto del successo della scienza.( Piergiorgio Odifreddi , La Vendetta Di Einstein , La Repubblica, 23 febbraio 2012 ) 2) “La scienza non posa su un solido strato di roccia. l’ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall’alto, giù nella palude, ma non in una base naturale o “data”; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare più a fondo le palafitte non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura.” (Karl Popper, La logica della scoperta scientifica, 1934) 3) “Sebbene il preconcetto e la resistenza all’innovazione possano impedire molto facilmente il progresso scientifico, la loro onnipresenza è tuttavia un chiaro sintomo delle caratteristiche dalle quali dipende la continua vitalità della ricerca. Chiamerò tali caratteristiche, nel loro insieme, il dogmatismo della scienza matura… Non c’è bisogno di fare della resistenza o del dogma una virtù per riconoscere che nessuna scienza matura potrebbe esistere senza di loro. (T. Kuhn, La funzione del dogma nella ricerca scientifica, 1963) 4) Il comandar poi a gli stessi professori d'astronomia, che procurino per lor medesimi di cautelarsi contro alle proprie osservazioni e dimostrazioni, come quelle che non possino esser altro che fallacie e sofismi, è un comandargli cosa più che impossibile a farsi; perché non solamente se gli comanda che non vegghino quel che e' veggono e che non intendino quel che gl'intendono, ma che, cercando, trovino il contrario di quello che gli vien per le mani. Però, prima che far questo, bisognerebbe che fusse lor mostrato il modo di far che le potenze dell'anima si comandassero l'una all'altra, e le inferiori alle superiori, sì che l'immaginativa e la volontà potessero e volessero credere il contrario di quel che l'intelletto intende (parlo sempre delle proposizioni pure naturali e che non sono de Fide, e non delle sopranaturali e de Fide). Io vorrei pregar questi prudentissimi Padri, che volessero con ogni diligenza considerare la differenza che è tra le dottrine opinabili e le dimostrative; acciò, rappresentandosi bene avanti la mente con qual forza stringhino le necessarie illazioni, si accertassero maggiormente come non è in potestà de' professori delle scienze demostrative il mutar l'opinioni a voglia loro, applicandosi ora a questa ed ora a quella, e che gran differenza è tra il comandare a un matematico o a un filosofo e 'l disporre un mercante o un legista, e che non con, l'istessa facilità si possono mutare le conclusioni dimostrate circa le cose della natura e del cielo, che le opinioni circa a quello che sia lecito o no in un contratto, in un censo, in un cambio. Galileo Galilei, Lettera a Madama Cristina Di Lorena Granduchessa Di Toscana, (1615) 5) Vale la pena di mostrare , con uno specifico esempio, a che cosa Bachelrd intendeva quando parlava 1) di ostacoli epistemologici, 2) del distacco della scienza dal realismo del senso comune , 3) di una falsa continuità storica(fondata sull’uso delle stesse parole) . Fino all’ Ottocento appare del tutto evidente che per illuminare è necessario bruciare una qualche materia. Nella lampada elettrica a filo incandescente di Edison, al contrario, si tratta di impedire che una materia bruci. L’ampolla di vetro non serve a proteggere la fiamma dall’aria, ma a garantire il vuoto attorno al filamento. Le vecchie e le nuove lampade hanno una sola cosa in comune: servono a sconfiggere il buio. Possiamo designarle con lo stesso termine solo adottando questo punto di vista , che è il punto di vista della vita quotidiana. In realtà quel mutamento tecnico implica una complicata teoria della combustione , che ha a che fare con la altrettanto complicata storia della scoperta dell’ossigeno. (Paolo Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza 1997) TIPOLOGIA C - TEMA DI ARGOMENTO STORICO Ricostruite il quadro politico ed economico- sociale dell’Italia alla vigilia della prima guerra mondiale, soffermandovi sugli orientamenti del governo Giolitti, sulle scelte da esso compiute e sulle conseguenze che ne derivarono nella vita politica italiana di quegli anni. TIPOLOGIA D - TEMA DI ORDINE GENERALE La "leggerezza" dell'informatica. Riflessioni a margine del seguente testo: "è; vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è; il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d'elaborare programmi sempre più; complessi. La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d'acciaio, ma come bits (unità; minime) d'un flusso d'informazione che corre sui circuiti sotto forma d'impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono ai bits senza peso" (I.Calvino, Lezioni americane).