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pagina 16 • 27 novembre 2010
MobyDICK
il paginone
Libertino per vocazione, mago e millantatore, colto
e intraprendente, ironico e spavaldo, filosofo e massone.
Prima di consegnarsi alla scorta di quaranta arcieri
che erano andati ad arrestarlo, volle fare una toeletta
completa da cui uscì rivestito di trine e sete,
come se andasse a uno sposalizio. Una biografia
(di Emilio Ravel) ci restituisce tutti i colori dell’uomo
e del suo tempo. Un tempo in attesa del “nuovo”…
di Mario Bernardi Guardi
P
ar di vederlo Missèr Grande, il capo della polizia veneziana, quando, all’alba
del 26 luglio 1755, bussa
alla porta di Giacomo Casanova
che dorme il sonno dei giusti (si
fa per dire) dopo essersi sollazzato fino a tarda notte. Par di vederlo, tutto fiero di fare il suo dovere
- e soprattutto di farlo andando
ad arrestare quell’impenitente libertino, baro, scroccone e framassone - con una scorta di quaranta arcieri e con un mandato di
cattura spiccato nientemeno che
dal Tribunale dell’Inquisizione di
Stato. Svegliato all’improvviso,
Giacomo appare frastornato: ma,
mentre Missèr Grande sequestra
un bel po’ di libri proibiti sparsi
per la casa, ecco che recupera il
sangue freddo, chiedendo di poter fare una toeletta completa.
Anche se è mattina presto, qualcuno in giro c’è sempre, e lui ha
Sospirò il fascinoso Giacomo,
passando il Ponte dei Sospiri? E a
quali speranze si aggrappò quando, scaricato a Palazzo e precisamente alle Fondamenta delle Prigioni, il «Circospetto», e cioè il
Segretario del Consiglio dei Dieci, «con cipiglio professionale e scandendo bene
le parole in italiano
anziché nel consueto veneziano, declamò: “È quello.
Mettetelo in prigione”»? Povero
Giacomo: col suo
pennacchio bianco
scomparve
dentro una cella
nera, nera. Collocata
sotto il tetto di piombo
del Palazzo e mentre gli
facevano festa «topi grandi come
conigli» insieme a «un esercito di
pulci che sarebbero stati i suoi al-
folle il prigioniero o il suo progetto». Così si legge in L’uomo che
inventò se stesso.Vita e commedia di Giacomo Casanova (La Lepre Edizioni, 350 pagine, 22,00
euro), una biografia che è qualcosa di più di una biografia perché
l’autore, Emilio Ravel (nome d’arte di Emilio Raveggi, giornalista, autore televisivo e soprattutto senese
della contrada
della Selva), riesce, con eleganza, ironia e complicità, non solo a
renderci intimi di
Casanova ma a
farci entrare in quel
Settecento, in quella
Venezia e in quell’Europa, dove, per molti, «dolcezza di
vivere» e «caccia alla felicità»
erano, al tempo stesso, una bella
Figlio di una commediante e forse di un aristocratico,
si sentiva ai margini della sua classe naturale
da cui aveva ereditato i gusti. Che non poteva
però esibire come marchio di appartenenza
un’immagine da difendere. Così,
si riveste «di tutto punto con trine
e sete come se andasse a uno sposalizio» e «all’ultimo indossa un
mantello di seta cruda e si mette
in testa un cappello gallonato alla
spagnolesca e sormontato da una
corona bianca». Adesso è pronto
e può salire in gondola. Prima di
raggiungere i Piombi, a Palazzo
Ducale, c’è però una sosta a casa
di Missèr Grande, il quale offre
cortesemente un caffè al suo illustre prigioniero, dopodiché lo rinchiude a chiave in una stanza per
quattro ore, in attesa dell’ulteriore destinazione.
legri compari per quindici mesi».
Nessuno, per tutto quel tempo, «si
degnò di dirgli perché fosse stato
arrestato. Non ci furono interrogatori, né processo.
Rimase così, dimenticato, sotto
un soffitto che non gli permetteva
di stare in piedi, a sciogliersi come una candela incurvata dal caldo soffocante d’estate e a gelare
d’inverno, sempre col terrore di
essere stato murato là dentro a vita. La disperazione lo mise a tal
punto fuori di sé da fargli fantasticare nientemeno che un piano
di fuga. Difficile dire se fosse più
«scena illustrata» e un traguardo
da perseguire con ogni sforzo.
Dunque, questa Vita, che pure
non fa risparmio di passaggi e
paesaggi oscuri, e di ignominie,
violenze e truculenze in ordine
sparso; e che pure coglie, nel brillìo illuminista della ragione, dei
fecondi salotti intellettuali e della
dorata società tessuta di maliziose giostre d’amore, il paradosso
del diffuso occultismo e i segnali
di una marea montante di scontentezza, violenza e attesa del
«nuovo», che di lì a poco sarebbe
scattata per distruggere, nel santo nome degli oppressi, i privilegi
Venezia vista
da Canaletto
e, sopra il titolo,
da Pietro Longhi.
In alto a sinistra
il profilo di Casanova
e a destra i suoi luoghi:
il castello di Dux,
in Boemia, dove fu
bibliotecario,
il ponte dei Sospiri
e il carcere dei Piombi.
Sotto le locandine
di due celebri film:
il “Casanova”
di Fellini e di Hallström
anno III - numero 42 - pagina VIII
Being Giac
CASANO
dell’Ancien Règime e partorire i
fasti e i nefasti della nuova borghesia rampante: questa Vita, dicevamo, recupera, e la conversazione introduttiva con Ugo Gregoretti vale allo scopo, tutti i colori di un uomo e del suo tempo. Se
si preferisce, tutti i colori di un uomo che incarnò al meglio e al
peggio il suo tempo, in uno scialo
di mirabili effetti speciali e col
soffio della decadenza - sua e della società in cui visse - che già spirava un po’ovunque.
Ma torniamo al Casanova arrestato non si sa perché. In apparenza. Di perché, infatti, se ne trovano, e in abbondanza, quando
uno, dopo essere stato prete e soldato, avvocato e violinista, è ormai universalmente conosciuto
come seduttore impenitente (ma
sempre galante, sempre «innamorato»: Casanova, le centosedici donne che ammaliò col suo fascino le amò davvero e dunque,
nonostante tutto, non ha nulla a
che fare con un tipaccio alla don
Giovanni, sprezzante e crudele
«collezionista», come Da Ponte e
Mozart insegnano), libertino per
vocazione e scelta, spia e millan-
tatore, giocatore e baro, mago, occultista e massone, losco avventuriero e filosofo in odore di ateismo. Ora, è vero che quasi tutte le
donne, fossero dame d’alto rango, fascinose attrici, misteriose
avventuriere, umili ma procaci
servotte, si innamoravano di Casanova, ben volentieri lo accoglievano nel loro letto, lo coccolavano e, all’occorrenza, lo foraggiavano; ed è vero che il Nostro
godeva anche di autorevoli amicizie e protezioni maschili, come
il patrizio Matteo Giovanni Bragadin a cui Giacomo aveva salvato la vita e che aveva per lui l’affetto di un padre; ma è altrettanto
indubbio che non pochi aVenezia
ce l’avessero con quel «bastardo»
che si atteggiava a «gentiluomo».
Già, perché la madre di Giacomo
era la bellissima commediante
Zanetta Farussi, conosciuta come
la Buranella (da Burano veniva la
sua famiglia), che avrebbe avuto
illustri amanti in tutta Europa, tra
cui, pare, anche il principe di Galles, il futuro Giorgio II, «protettore degli artisti e soprattutto (sembrerebbe) delle artiste». Quanto
al babbo, diciamo così, «anagrafico», Gaetano Casanova, si tratta-