SERENDIPITA` Il mio modo di essere counselor

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SERENDIPITA` Il mio modo di essere counselor
SERENDIPITA’
Il mio modo di essere counselor
La visione casuale di un film mi fece “scoprire” il termine Serendipity, da quel momento, erano circa
dieci anni fa, la curiosità, un forte desiderio di conoscere il suo significato, mi hanno mosso attraverso un
viaggio personale “conoscitivo” e “riflessivo” che si è rivelato via via sempre più positivamente
sorprendente. All’epoca non pensavo ancora che sarei diventata un counselor mentre la “serendipità”
riusciva già a descrivere un certo mio modo di pensare e di affrontare molte esperienze della vita. In
quel tempo infatti non solo ero “in viaggio” ma come “I tre principi di Serendippo” della antica novella,
non avevo chiare le mete e tuttavia non perdendo di vista la strada “quella della conoscenza” e
valorizzando ogni cosa, ho scoperto ciò che via via sarebbe diventato ad esempio, il mio nuovo
inaspettato itinerario professionale. La serendipità infatti già operava, perché ricordo,
come mi
meravigliavo, mi lasciavo stupire dalle continue e numerose inaspettate scoperte e mentre mi muovevo
mi spostavo verso nuove direzioni. Era come essere al timone di una barca a vela quando ci si muove in
sintonia con il vento per non perdere l’andatura.
Per chi non la conosce, la novella racconta di tre principi che vengono cacciati dal padre, un grande e
potente re, il quale ritrovandosi tre figliuoli maschi, coltissimi perché educati dai più grandi saggi del
tempo, ma privi però di un'esperienza altrettanto importante di vita vissuta, aveva deciso, per provare
oltre la loro saggezza anche le loro attitudini pratiche, di mandarli via dal regno, perché andando a
vedere il mondo potessero imparare con l'esperienza quello che già sapevano sul piano della conoscenza.
Durante il loro viaggio i tre fanno diverse scoperte, grazie al caso e alla loro sagacia, di cose che non
stavano cercando, divenendo i consiglieri di un potente imperatore di un importante regno.
Se oggi cercate che cosa significa “Serendipità” troverete che si tratta di un neologismo che vuole
comprendere determinate esperienze, famosa l’affermazione di un ricercatore biomedico americano che
la definisce così: « la serendipità è la felicità di cercare un ago in un pagliaio e trovarci la figlia del
contadino. » E’ infatti un elemento consapevole ed importante della ricerca scientifica, quante scoperte
sono avvenute mentre si stava ricercando altro? Un illustre clinico la ritiene una capacità, quella “di
cogliere e interpretare correttamente un fatto rilevante che si presenti in modo inatteso e casuale nel
corso di un’indagine scientifica diversamente orientata. E cita l’esempio di Fleming e della penicillina”.
Insomma è il fare una scoperta quando le ricerche non sono orientate verso quella scoperta. Wikipedia la
descrive come una sensazione di quando si trova qualcosa di imprevisto cercando altro. C’è chi la pensa
una filosofia, “La serendipità indica la casualità felice, il dono di trovare cose "belle e buone" anche senza
averle mai cercate e la capacità di trasformare in "belle e buone" le cose che non lo sono. Possedere
questo dono non solo aiuta a far andare a posto le cose, ma insegna ad amare e ad accettare la vita”.
Socrate diceva "Una vita senza ricerca non è degna d'essere vissuta". Ma la bellezza sta nel fatto che ciò
che si cerca è per lo più ignoto. E quando scopri qualcosa di incredibile che non avevi immaginato né
calcolato sul tuo percorso, c'è quella vocina dentro che ti dice, complice, "Hai visto? Non me la sono fatta
scappare". E' il sentimento comune di chi vive la propria vita con presenza, che coglie le possibilità
infinite e meravigliose che ci sono offerte senza accecarsi su se stesso o su un obiettivo opaco.
Vi ho parlato finora della serendipità perché essa mi ha portato ad essere questo counselor e a pensare
in questo modo la mia relazione con l’altro, come ad un viaggio che si fa insieme, in cui ciascuno è
principe, ciascuno si muove e cerca, dove le conoscenze non bastano, in cui pur immaginando delle
mete, degli obiettivi, si rimane autenticamente aperti e soprattutto liberi di cogliere il valore di ogni
esperienza che non corrisponderà mai alle originarie aspettative, di ogni indizio che ci porterà alla
scoperta della realtà dell’altro e nostra. Questo implica fiducia nella vita, speranza, capacità di abbandono
e, al tempo stesso, disponibilità ad effettuare delle scelte e ad assumersi-responsabilità.
Così, come quando si è insieme sullo stesso sentiero, avendo compreso che il principale compito di ogni
essere umano è quello di perseguire la propria evoluzione e di sostenere quella degli altri, si può
semplificare l’idea di ricerca, accordando il cuore e la mente ad ogni refolo di conoscenza che il mondo
“sconosciuto” dell’altro ci offre, perché solo lì possiamo trovare e scoprire.
Quando siamo molto giovani, rispondiamo con freschezza ad ogni nuovo stimolo, perché non abbiamo
nulla nella nostra vita con cui paragonarlo. Diventando adulti, spesso smettiamo di rispondere in modo
nuovo e creativo alle nuove esperienze e iniziamo a reagire sulla base di abitudini e di condizionamenti.
Anziché scoprire il nuovo, lo associamo al vecchio e così reagiamo non all’esperienza presente ma ai
nostri ricordi o a esperienze simili passate.
Secondo la prospettiva rogersiana l’empatia o la comprensione empatica consiste nella percezione
corretta dello schema interpretativo del cliente. Percepire in modo empatico vuol dire rilevare e
comprendere il mondo soggettivo dell’altro. Il counselor deve essere in grado di “sentire” i sentimenti del
cliente, per esempio la confusione, l’insicurezza, la paura o la gioia, “come se fossero suoi, senza però
mai confondere con essi i propri sentimenti, le proprie insicurezze, le proprie paure, le proprie gioie. Il
counselor capace di empatia muove dall’intenzione autentica di comprendere l’altro nella sua propria
lingua, di pensare con le sue parole, di scoprire il suo universo soggettivo per cogliere il significato che la
situazione ha per lui. E questo per me avviene, se ci pensiamo in viaggio, come i tre principi di
Serendippo1, pieni di conoscenze ma vuoti di esperienze, perciò capaci e liberi di cogliere quanto più
possibile l’esperienza dell’incontro con l’altro e di lasciarci da essa sorprendere e guidare.
La novella dei tre principi di Serendippo la racconto spesso ai miei clienti prima di iniziare il nostro
viaggio, come la metafora del nostro umano “cammin facendo”.
Se vuoi saperne di più, di cosa mi occupo e come lavoro, ti invito a dare un’occhiata al mio sito:
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Nel paese di Serendippo, un grande e potente re, nominato Giaffer, il quale ritrovandosi tre figliuoli maschi, coltissimi
perché educati dai più grandi saggi del tempo, ma privi però di un'esperienza altrettanto importante di vita vissuta,
decise, per provare, oltre alla loro saggezza, anche le loro attitudini pratiche, di cacciarli dal regno: "Deliberò, per farli
compiutamente perfetti, che andassero a vedere del mondo, per imparare da diversi costumi e maniere di molte
nazioni con l'esperienza quello che colla lezione de' libri, e disciplina de' precettori s'erano di già fatti padroni".
Durante il loro viaggio i tre fanno diverse scoperte, grazie al caso e alla loro sagacia, di cose che non stavano
cercando.
Da poco giunti nel Paese di Bahrām, "potente imperatore", i principi si imbattono in un cammelliere, disperato perché
ha perduto il proprio animale. I tre pur non avendolo visto, dicono al poveretto di averlo incontrato "nel cammino,
buon pezzo a dietro". Per assicurare il cammelliere gli forniscono tre elementi: il cammello perduto è cieco da un
occhio, "gli manca uno dente in bocca" ed è zoppo. Il buon uomo, ripercorre a ritroso la strada ma non riesce a
ritrovare l'animale.
Il giorno seguente, ritornato sui suoi passi, incontra di nuovo i tre giovani e li accusa di averlo ingannato. Per
dimostrare di non aver mentito i tre principi aggiungono altri tre elementi.
Dicono: il cammello aveva una soma, carica da un lato di miele e dall'altro di burro, portava una donna, e questa era
incinta. Di fronte a questi particolari, il cammelliere dà per certo che i tre abbiano incontrato il suo animale ma, vista
la ricerca infruttuosa, li accusa di avergli rubato il cammello.
I nobili singalesi, imprigionati nelle segrete dell'imperatore Bahrām, affermano di aver inventato tutto per burlarsi del
cammelliere ma le apparenze li inchiodano e sono così condannati a morte perché ladri. Fortunatamente un altro
cammelliere, trovato il cammello e avendolo riconosciuto, lo riconduce al legittimo proprietario. Dimostrata in tal modo
la propria innocenza, i tre vengono liberati non senza una adeguata spiegazione di come abbiano fatto a descrivere
l'animale, senza averlo mai visto.
I tre rivelano che ciascun particolare del cammello è stato immaginato, grazie alla capacità di osservazione e alla
sagacia. Che fosse cieco da un occhio era dimostrato dal fatto che, pur essendo l'erba migliore da un lato della strada,
era stata brucata quella del lato opposto, quello che poteva essere visto dall’unico occhio buono dell’animale. Che
fosse privo di un dente lo dimostrava l'erba mal tagliata che si poteva osservare lungo la via. Che fosse zoppo, poi, lo
svelavano senza ombra di dubbio le impronte lasciate dall'animale sulla sabbia. Sulla spiegazione del carico i tre
dissero di aver dedotto che il cammello portasse da un lato miele e dall'altro burro perché lungo la strada da una
parte si accalcavano le formiche (amanti del grasso) e dall'altro le mosche (amanti del miele); aveva sul dorso una
donna perché in una sosta il passeggero si era fermato ai lati della strada a urinare, e questa urina era stata odorata
da uno dei principi per curiosità, venendo egli "assalito da una concupiscenza carnale" che può venire solo da urine di
donna, aveva dedotto che il passeggero doveva essere di sesso femminile. Infine la donna doveva essere gravida,
perché poco innanzi alle orme dei piedi c'erano quelle delle mani, usate dalla donna per rialzarsi a fatica visto "il carico
del corpo".
Le spiegazioni dei tre principi stupiscono a tal punto Bahrām, , che decide di fare dei tre dei tre giovani sconosciuti i
propri consiglieri. I tre principi in incognito offrono così i loro servigi all'imperatore, salvandogli anche la vita
risolvendo situazioni difficili o prevedendo il futuro.