I DISTURBI SPECIFICI DELL` APPRENDIMENTO: DSA LE PROVE

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I DISTURBI SPECIFICI DELL` APPRENDIMENTO: DSA LE PROVE
I DISTURBI SPECIFICI DELL’ APPRENDIMENTO: DSA
LE PROVE NEUROPSICOLOGICHE PER I DISTURBI DELL’APPRENDIMENTO.
Partendo dal criterio della discrepanza è importante, ai fini diagnostici, che il clinico utilizzi test
standardizzati, per indagare sia il funzionamento cognitivo generale, che l’abilità specifica
parzialmente compromessa. Per deficit di una specifica abilità s’intende che il punteggio ottenuto
dal soggetto ai test sia inferiore a 2 deviazioni standard, oppure al Vº percentile rispetto ai
dati del campione normativo.
Per la prestazione alle prove che misurano il funzionamento intellettivo generale, deve risultare
entro i limiti della norma e dunque non essere inferiore a 1 deviazione standard rispetto alla
media del campione normativo.
PROVE DI LETTURA E SCRITTURA.
Uno dei principali strumenti per la valutazione in Italia, delle abilità di lettura nei soggetti in
età evolutiva è la batteria MT (Cornoldi, Colpo, Gruppo MT, 1981). Questa Batteria Misura la
velocità e correttezza della lettura, e si rivolge ai bambini della prima elementare fino alla terza
media. Per i ragazzi dai 13-16 anni è disponibile un test specifico: le Prove avanzate MT di
comprensione nella lettura (Cornoldi, Pra Baldi, Rizzo, 1992).
La valutazione del tipo di disturbo di lettura, può essere condotta mediante la batteria per
Dislessia e Disortografia evolutiva (Sartori, Job, Tressoldi, 1995), che esplora le capacità di lettura
e scrittura, attraverso una serie di prove per le diverse componenti cognitive, implicanti nella
decodifica del linguaggio scritto, ma senza indagare la comprensione di brani di testo.
La correttezza ortografica, invece, è indagata dalla batteria di Tressoldi Cornoldi (2000), che
include compiti di dettato di brani e frasi con parole omofone, prove di scrittura spontanea e
velocità della scrittura.
LE PROVE DI CALCOLO.
Le prove EMME + (Soresi, Corcione, 1992), sono le più utilizzate per valutare il livello di
prestazione delle abilità di calcolo del bambino della scuola elementare (prevede vari sub test).
Tali prove consentono di ottenere una misura del livello d’abilità raggiunto, ma non forniscono
informazioni circa i deficit specifici di apprendimento. Per questo il processo diagnostico deve
essere completato attraverso l’utilizzo di strumenti che consentono di tracciare un profilo
diagnostico preciso del soggetto. È possibile utilizzare la batteria della valutazione delle abilità
matematiche (Rossi, Malaguti 1996), che esamina la prestazione del soggetto in diverse abilità, la
Batteria ABCA, il Test delle Abilità di Calcolo aritmetiche (Lucangeli, Tressoldi, Fiore 1998).
Questa batteria, consente di formulare una diagnosi più approfondita del disturbo, grazie al
riferimento esplicito a un modello neuropsicologico. La verifica della prestazione del soggetto
sarà basata, non solo sull’analisi quantitativa, ma anche su quella qualitativa degli errori.
Valutando l’accuratezza e la velocità, in prove di denominazione e uso dei simboli aritmetici,
ordinamento dei numeri, inserimento di simboli (maggiore, minore e uguale), confronto (visivo e
uditivo), di quantità e identificazione del valore posizionale. Valuta, inoltre, sei abilità implicate
nella produzione dei numeri, attraverso i compiti di enumerazione indietro, dettato di numeri,
tabelline, conteggi, incolonnamento e recupero di combinazione tra numeri.
LE PROVE PER LE ABILITA’ VISUO SPAZIALI.
Il processo diagnostico per i disturbi evolutivi non verbali deve verificare, tra l’altro, la
discrepanza tra abilità linguistiche (conservate) e visuo spaziale (compromesse), attraverso la
somministrazione di scale d’intelligenza di WESCHLER (1974; 1997). L’indagine delle abilità
visuo spaziale, può essere approfondita, principalmente, attraverso le prove visuo-costruttive:
Figura di Rey e il test Visual-Motor Integration o VMI (beery, buktenica, 2000) e le prove di
memoria a breve termine visuo-spaziale. Quest’ultime hanno dimostrano che il deficit di questa
abilità costituisce una caratteristica centrale della sindrome non verbale, in grado di spiegare
molte difficoltà incontrate in varie materie scolastiche. Per questo, la valutazione della memoria a
breve termine visuo-spaziale, risulta cruciale ai fini della diagnosi di sindrome non verbale.
In Italia, Cornoldi e colleghi hanno approfondito lo studio della memoria a breve termine visuo
spaziale nei bambini, formalizzando una batteria di prove con un test di primo livello, per uno
screening iniziale (Spam di Cifre per la memoria a breve termine verbale e il test di Corsi, per
la valutazione visuo-spaziale), un test di secondo livello, per ottenere un profilo preciso delle
abilità visuo-spaziale del bambino, qualora ci sia una discrepanza tra le due prove, deficitaria nel
test di Corsi. Tali prove sono state selezionate, in base ad un modello cognitivo della MBT visuospaziale (Cornoldi, Vecchi 2003), che prevede una distinzione tra processi diversi, in funzione sia
del tipo di materiale da elaborare (materiale visivo e spaziale), che del tipo di elaborazione
cognitiva passiva (mantenimento in memoria d’informazioni) e attiva (monitoraggio e
manipolazione delle informazioni).
INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO DEI DSA.
Per una diagnosi accurata il clinico deve escludere la presenza di danni sensoriali, deficit
neurologici o disturbi emotivi gravi, che possono spiegare la difficoltà di apprendimento del
bambino. Il secondo passo è la somministrazione di prove formalizzate, che consentano di
verificare se i deficit individuati corrispondono a una condizione di rilevanza clinica. Dopo aver
stabilito se un bambino è effetto da un disordine neuropsicologico specifico, sarà possibile
procedere a un’analisi delle caratteristiche qualitative del disturbo, mediante test
d’approfondimento.
INQUADRAMENTO DEI DISTURBI DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA.
Secondo la prospettiva neuropsicologica cognitiva, che fa riferimento al Modello di lettura a
Due Vie, l’analisi quantitativa e qualitativa degli errori, consente di distinguere le diverse
forme di dislessia e disortografia evolutiva.
Le dislessie evolutive, secondo i modelli cognitivi, presentano:
1. un’alterazione del funzionamento della via fonologica, che si associa a un quadro
evolutivo di dislessia fonologica;
2. una compromissione della via di lettura lessicale è all’origine della dislessia
superficiale.
Un deficit dell’elaborazione semantica, in combinazione con un danno fonologico, è all’origine
della dislessia profonda.
È la dislessia più rara in età evolutiva ed è descritta, soprattutto, in bambini effetti dalla Sindrome
di Williams: raro disordine genetico, associato a un’alterazione del cromosomo 7, è caratterizzato
dal punto di vista cognitivo, da un grave deficit dell’elaborazione spaziale e specifiche difficoltà
verbali, che si manifestano con errori semantici in prove di lettura, denominazione e comprensione
verbale.
Una lettura per la via lessicale, senza accesso al sistema semantico (via lessicale diretta), è
responsabile invece dell’iperlessia.
La dislessia fonologica (presente soprattutto nei bambini di lingua inglese) e superficiale (nei
bambini di lingua tedesca e italiana), sono invece le più diffuse e studiate in età evolutiva.
LE TAPPE DELL’APPRENDIMENTO DELLA LETTURA:
Tenendo conto delle tappe dell’apprendimento della lettura: la fase logografica, dove i bambini
cominciano a riconoscere un numero limitato di parole in base alla loro forma; la fase alfabetica,
che ha inizio con la scolarizzazione ed è caratterizzata dall’acquisizione delle regole di
conversazione grafema- fonema e infine la fase ortografica, dove il bambino sviluppa
un’elaborazione globale o lessicale delle parole (Frith, 1985). Tenendo conto di queste fasi, alcuni
autori sostengono che in un bambino di lingua italiana, un disturbo di tipo fonologico potrebbe
prevalere nelle prime classi della scuola elementare e intorno ai 10 anni diventerebbe un disturbo di
tipo superficiale (Zoccolotti 1997). Le caratteristiche cliniche, infine, della dislessia superficiale, in
lingue definite trasparenti come l’Italiano, sono: difficoltà di lettura di parole irregolari, con
prevalenti errori di accentazione di parole polisillabiche e deficit di comprensione di omofoni. Nel
caso delle lingue trasparenti un indice centrale, per valutare la capacità di lettura è la rapidità,
mentre nel caso delle lingue opache è più importante l’accuratezza. Bisogna comunque sottolineare
che sebbene siano descritti casi selettivi di dislessia fonologica e superficiale, esiste un notevole
numero di bambini in cui il disturbo di lettura è di tipo misto, presentando aspetti di entrambi i casi
clinici.
La dislessia evolutiva, secondo un modello neurofisiologico, non è dovuta al malfunzionamento
di meccanismi di elaborazione centrale della lettura, ma a deficit attentivi o percettivi di
elaborazione “periferica” dello stimolo. Si è dimostrato, in bambini con dislessia, un deficit del
Sistema Visivo Magnocellulare (Sistema M): il difettoso funzionamento del sistema M, sembra
essere associato all’incapacità di leggere le non parole (dislessia fonologica), piuttosto che le parole
irregolari (dislessia superficiale), interferendo specificamente con il funzionamento della via
fonologica e in ultimo, con lo sviluppo dei processi fonologici (Cestnick, Coltheart, 1999).
Le dislessie evolutive, nell’ipotesi fonologica, condividono con il Sistema M, l’idea che il deficit
fonologico sia alla base della difficoltà di lettura, ma nega che il danno primario sia rappresentato
da un deficit percettivo/attenzionale, dovuto ad un danno primario di un sistema preposto
all’elaborazione fonologica e localizzato in corrispondenza delle regioni temporo-parientali; causato
da alterazioni genetiche (Ramus, 2004). Questa interpretazione della dislessia poggia su dati che
dimostrano prestazioni deficitarie dei soggetti con dislessia, sia in compiti di discriminazione dei
fonemi che in compiti di consapevolezza fonemica (es. indicare con quale lettera inizia la parola
“casa” oppure dire la parola formata dalle lettere c,a,s,a).
INQUADRAMENTO DEI DISTURBI DEL CALCOLO.
Il modello cognitivo del calcolo, costruito da McCloskey, Caramazza, e Basili (1985), a partire
dall’osservazione di pazienti adulti con lesioni celebrali, prevede un organizzazione modulare della
cognizione numerica. Tale modello è stato, in seguito utilizzato, per interpretazione dei disturbi del
calcolo nel bambino ed ha consentito di individuare tre principali forme di discalculia evolutiva:
1. Dislessia per cifre: deficit nell’identificazione e recupero delle singole cifre (errori
lessicali), durante il compito di lettura e scrittura di numeri, ma con un risparmio
dell’elaborazione sintattica;
2. Discalculia procedurale: difficoltà nell’utilizzo di procedure di calcolo (ex incolonnamento
o riporto);
3. Discalulia per i fatti aritmetici: deficit selettivo nell’acquisizione dei fatti numerici, in cui
sia l’elaborazione dei numeri, che la conoscenza delle procedure di calcolo risultano
risparmiate. Molto spesso il disturbo è associato a disturbi della lettura/scrittura, in questo
caso il disturbo del calcolo è caratterizzato dalla difficoltà a eseguire le moltiplicazioni e
imparare le tabelline. L’ipotesi è che questa discalculia sia legata a una compromissione
della memoria a breve termine o all’elaborazione fonologica che interferirebbe con la
costruzione di una rappresentazione mentale, mediata da competenze verbali, dei fatti
numerici. Questo spiega la frequente associazione tra disturbi evolutivi del calcolo e del
linguaggio scritto, entrambi riconducibili a una disfunzione delle aeree parietali (giro
angolare), dell’emisfero sinistro. Questo sarebbe distinto da quello in cui il disturbo del
calcolo si presente insieme con il deficit dell’elaborazione- visuo spaziale.
Se il disturbo evolutivo del calcolo è associato a un deficit dell’elaborazione visuo spaziale,
la discalculia si caratterizza da una difficoltà ad eseguire i calcoli come le sottrazioni che
non possono essere eseguiti attraverso strategie verbali di recupero dei fatti numerici (come
per le moltiplicazioni), ma richiedono piuttosto un confronto di quantità numeriche. Questa
forma di discalculia, sembrerebbe legata ad una disfunzione delle aeree parentali, soprattutto
di destra, localizzate in corrispondenza del solco intraparietale. L’associazione tra la
discalculia e le aree parietali è stata proposta da vari studi di neuro immagine funzionale
(Dehaene et al., 2003).
LE PROVE NEUROPSICOLOGICHE PER L’ANALISI DELLE ABILITÀ DI LETTURA.
Le prove di lettura per l’età evolutiva, deve accertare se le abilità di lettura di un bambino sono o no
adeguate per la sua età cronologica. Errori sistematici alle prove di lettura ad alta voce (di lettere,
sillabe, parole, non-parole e frasi), inserite in qualunque esame del linguaggio, sono infatti
sufficienti a diagnosticare la presenza di una dislessia acquisita.
Per approfondire la diagnosi del tipo specifico di disturbo della lettura, è necessario somministrare
delle prove per la diagnosi neurolinguistica. A questo scopo, lo studio delle abilità di lettura ad alta
voce, oltre a raccogliere un sufficiente “corpus” di errori per permettere l’analisi, deve verificare il
possibile effetto di una serie di variabili sulla prestazione. Il dato d’interesse è costituito,
soprattutto, dal confronto delle prestazioni di uno stesso soggetto nella lettura di stimoli diversi,
piuttosto che dal confronto di quel soggetto con un campione normale.
Effetto delle variabili linguistiche sulla lettura
L’esame della lettura ad alta voce utilizza una varietà di stimoli diversi che possono influenzare
la prestazione, per studiare sistematicamente sia l’effetto della lunghezza dello stimolo sulla
lettura, sia l’effetto delle variabili linguistiche: stato-lessicale (parole- non parole); frequenza
d’uso, classe grammaticale (sostantivi/aggettivi/verbi/funtori), concretezza/astrattezza e regolarità
(accentazione piana/sdrucciola).
Due sono le fonti principali di liste di stimoli: il libro di Sartori sulla lettura (1984) e la batteria
per l’analisi dei disturbi afasici (Miceli, 1994), un esame del linguaggio costruito di prospettiva
cognitivista.
Per completare l’esame della lettura, si somministrano una serie di Prove complementari di
lettura, compiti che prevedono la lettura senza produzione ad alta voce della risposta, per verificare
le abilità di elaborazione delle sequenze di grafemi in maniera indipendente dai difetti della
produzione orale, che spesso sono associati alla dislessia (generalmente prevedono risposta si/no o
risposte con indicazione). Queste prove complementari permettono di verificare l’elaborazione
visiva delle lettere, il riconoscimento delle parole e la comprensione delle parole.
Una prima serie di prove, comprendono l’elaborazione visiva delle singole lettere (Sartori, 1984).
Per verificare il corretto riconoscimento delle parole, indipendentemente della loro comprensione e
della lettura ad alta voce, si può adottare un paradigma di decisione lessicale, in cui si somministra
al paziente una lista di parole e non-parole e per ogni stimolo viene chiesto se si tratta di una parola
esistente o meno. Per questo si possono utilizzare liste che contengono parole e non parole di
lunghezza e complessità bilanciata (Miceli et al., 1994; Sartori, 1984).
Un altro test è quello della comprensione di omofoni (Sartori,1984),per il riconoscimento visivo
di una parola.
Per esaminare la capacità di comprensione della lettura, che non richiedono la lettura ad alta voce
si possono impiegare vari compiti, il primo e più immediato è il riconoscimento figura-parola,
scritta tra vari distrattori.
Un’altro consiste nella decisione semantica, in cui il soggetto deve decidere tra in una lista di
parole lette, se ognuna di esse corrisponde ad un essere vivente, o una lista di soli animali
(chiedendo al soggetto di decidere se ognuno di essi ha quattro zampe), oppure una lista di soli
oggetti inanimati. Un altro compito per valutare la capacità di comprensione della lettura, ricorre
alle associazioni contestuali, dove si chiede al soggetto di indicare quale di due parole ha una
relazione semantica con lo stimolo: ad es. si può chiedere di associare lo stimolo “piramidi” ad una
delle parole. “palme” e “abeti” (Gamboz et.al., 2009).
INQUADRAMENTO DIAGNISTICO DEI DISTURBI DI LETTURA.
Le prime classificazioni cliniche distinguevano i disturbi di lettura in funzione dei deficit cognitivi
associati:
1. Alessia afasica, frequentemente associati a lesioni delle aree parentali e temporali
dell’emisfero sinistro.
2. Disturbi di lettura associati ai disturbi di scrittura, ma senza grossolani disturbi
linguistici, Alessia con agrafia, indici di lesioni parietali sinistre e a volte associata alla
sindrome di Gerstmann (disorientamento destra/sinistra; agnosia digitale, discalculia);
3. Disturbi selettivi della lettura, Alessia pura, legati a lesioni del lobo occipitale di sinistra.
4. Alessia
da
eminegligenza,
associazione
dei
disturbi
di
lettura
con
deficit
dell’esplorazione visiva. In questo caso i pazienti non sono in grado di leggere
correttamente la metà degli stimoli che compare nella parte negletta dello spazio
(generalmente sinistra), e sono affetti da lesioni nell’emisfero destro.
Questa classificazione ha un valore clinico e orientativo, ma non tiene conto delle differenze
quantitative e il tipo di errori commessi dai pazienti nella lettura ad alta voce e nelle prove
complementari, dato fondamentale per riscontrare o meno la dislessia.
Dislessia centrale e Dislessia periferica
Nelle Dislessie periferiche, il deficit cognitivo è legato ai primi stati dell’elaborazione
dell’informazione visiva e non alle caratteristiche linguistiche dello stimolo, mentre nel caso delle
Dislessie centrali, si può immaginare che il deficit intervenga nel corso dell’informazione
linguistica della sequenza di lettere da leggere, proprio perché le variabili linguistiche
influenzano la prestazione del paziente.
Classificazione delle dislessie periferiche
La lettura dei pazienti con dislessia periferica,è influenzata solo da variabili legate alla
conformazione fisica (tipicamente, la lunghezza), ma non alle caratteristiche linguistiche dello
stimolo. Tra questo tipo di dislessia sono incluse tre variabili:
1) Dislessie da eminegligenza spaziale: gli errori sono dovuti a omissioni o sostituzioni di
lettere secondo una caratteristica disposizione spaziale; tendono ad alterare o ignorare la
parte iniziale (eminegligenza sinistra, più comune) o la parte finale (eminegligenza di destra,
più rara), degli stimoli. Molto spesso il disturbo di lettura si associa ad altre manifestazioni
di eminegligenza spaziale, ma può presentarsi anche isolatamente.
2) Dislessia attenzionale: si tratta di un disturbo raro, caratterizzato dall’incapacità di leggere
le parole se sono presentate insieme ad altre parole. Gli errori sono di tipo visivo, a volte vi è
la tendenza ad invertire tra loro le lettere.
3) Dislessia lettera per lettera: elevato numero di errori visivi, lettura lenta, faticosa e
monotona, che può attribuirsi a un difetto funzionale a livello del riconoscimento o
dell’identificazione delle lettere, che impedisce l’appropriata attivazione del riconoscimento
visivo delle parole. Quanto più lungo è lo stimolo, tanto più impiega a leggerlo anche oltre
10 sec. e tanto più numerosi sono gli errori visivi: effetto della lunghezza sui tempi e sul
numero degli errori. L’accuratezza invece, non è influenzata dalle variabili linguistiche
(leggono allo stesso modo parole e non-parole, parole ad alta e bassa frequenza d’uso e
parole di tutte le classi grammaticali. Un ultimo effetto di queste difficoltà è un deficit nella
comprensione del testo. Alcuni, inoltre, falliscono nelle prove complementari di lettura che
esplorano l’elaborazione visiva delle singole lettere. In genere la dislessia lettera per lettera,
non si accompagna ad altri deficit dell’elaborazione del linguaggio e particolarmente a
deficit nella scrittura (es. scrivono correttamente, ma poi non riescono a leggere quello che
hanno scritto). Questa dislessia rappresenta il quadro neurolinguistico, che corrisponde
alla sindrome clinica dell’alessia pura, cioè la selettiva difficoltà di lettura, in assenza di
disturbi afasici o di scrittura. Dejerine, nel 1892, l’ha definita cecità verbale, per lesioni nel
lobo occipale di sinistra.
Classificazione delle dislessie centrali
Le Dislessie centrali implicano un deficit nell’elaborazione linguistico dello stimolo. In pazienti
con questo tipo di Dislessie, la lettura è influenzata dalle variabili linguistiche (stato lessicale,
frequenza, classe grammaticale, regolarità), comprendono quattro sindromi:
1. Dislessia superficiale: presenta una difficoltà nel leggere le parole irregolari ed errori di
regolarizzazioni. Facile da diagnosticare nelle lingue “opache” come l’inglese, nell’italiano
che è una lingua “trasparente”, l’errore più evidente sta nel posizionare l’accento in modo
sbagliato. I pazienti si comportano come se fossero incapaci di riconoscere, a prima vista le
parole e leggessero ogni stimolo applicando correttamente le regole di traduzione grafemafonema. Le prove complementari di lettura, sono efficaci per dimostrare il deficit del
riconoscimento visivo delle parole: i dislessici superficiali falliscono nella comprensione di
omofoni, ma alcuni fanno errori anche nella decisione lessicale. Tutte le lettere sono lette
correttamente e gli unici errori consistono (in italiano), nell’errata accentazione. Le non
parole sono lette senza errori, quindi in maniera più corretta delle parole irregolari. La
dislessia superficiale si accompagna in genenre ad altri disturbi del linguaggio ed è correlata
a lesioni parieti-temporali sinistre.
2. Dislessia fonologica: i dislessici fonologici commettono molti errori nella lettura di non
parole, errori visivi e soprattutto lessicalizzazioni (leggono correttamente il 70%-90% delle
parole ma solo il 10%-20% delle non parole). Sembrano poter leggere meglio gli stimoli
famigliari, tanto da assimilare a stimoli conosciuti anche le non-parole, si interpreta come la
conseguenza di un deficit nella conversione grafema-fonema che rende obbligatorio il
ricorso alla lettura attraverso il riconoscimento visivo delle parole. Le prove complementari
(decisioni lessicali) confermano generalmente un efficace riconoscimento delle parole.
Questa dislessia si accompagna, generalmente, ad altri disturbi del linguaggio ed è correlata
a lesioni parieti-temporali sinistre.
3. Dislessia profonda: si contraddistingue per la presenza di errori semantici nella lettura ad
alta voce di parole, presentando un’assoluta incapacità a leggere le non parole; leggono solo
gli stimoli conosciuti. Presenta una totale indisponibilità della conversione grafema-fonema
e un deficit delle connessioni con il sistema semantico. Per questo la lettura avviene sempre
attraverso il riconoscimento visivo delle parole, ma è anche gravata da una confusione tra
alternative semanticamente correlate. I dislessici profondi, sostituiscono una percentuale
variabile di parole presentate visivamente con altre a esse associate semanticamente (errori
visivi, morfologici e derivazionali). L’origine degli errori semantici può essere diversa nei
diversi pazienti e ciò è dimostrato dalle diverse prestazioni alle prove complementari che
esplorano la comprensione della lettura. Di regola la dislessia profonda, fa parte di un più
complesso disturbo del linguaggio, in seguito ad ampie lesioni parieti-temporali sinistre.
4. Dislessia diretta o iperlessia: non è un disturbo di lettura ad alta voce, ma piuttosto della
comprensione della lettura (riescono a leggere senza errori parole regolari e irregolari e
non parole, ma non ne comprendono il significato, fallendo nelle prove complementari di
comprensione); deficit attribuito alla mancata attivazione del sistema semantico, con il
ricorso al meccanismo di lettura lessicale diretta.
La dislessia fonologica e la dislessia profonda sono complementari, caratterizzandosi per il
risparmio della capacità di leggere stimoli conosciuti, con deficit della lettura di stimoli non
famigliari; la dislessia superficiale presenta la dissociazione opposta.
In termini neuropsicologici, questa doppia dissociazione ha confermato i modelli cognitivi della
lettura, elaborati all’inizio degli anni 60, dall’osservazioni su soggetti normali, confermando così la
validità dei modelli che proponevano l’esistenza di una doppia via di lettura: una via globale (o
lessicale), fondata sul riconoscimento globale e immediato degli stimoli familiari e una
fonologica(sub lessicale), fondata sulla traduzione automatica dei grafemi in fonemi.
I contributi cruciali degli studi Neuropsicologici, consiste nell’aver dimostrato che la presenza di
Due vie di lettura, rappresenta una vera legge del funzionamento del cervello e che le Due vie
possono essere lese indipendentemente l’una dall’altra.
La dislessia superficiale, infine, può considerarsi come la conseguenza di un selettivo danno della
“via globale” di lettura, mentre nella dislessia fonologica e profonda è la via “fonologica” ad
essere selettivamente danneggiata
Alla luce dei modelli cognitivi a doppia via, è stato poi possibile interpretare il comportamento dei
pazienti con dislessia profonda, assumendo che essi presentano oltre a un deficit della via
fonologica, anche una lesione a qualche livello dei meccanismi, che dopo il riconoscimento delle
parole, consentono l’attivazione delle conoscenze semantiche o dei meccanismi semantici che
guidano l’attivazione del lessico di uscita e la produzione orale.
La terza via
Lo studio Psiconeurologico, ha dimostrato inoltre l’esistenza di un processo che consente, in
maniera diretta, la produzione orale delle parole riconosciute senza necessariamente attivare
le conoscenze lessicali. Solo postulando l’esistenza di una Terza via di lettura lessicale diretta (o
lessicale non semantica), è stato possibile interpretare il comportamento dei pazienti con
iperlessia (disturbo evolutivo dell’apprendimento che si manifesta con la capacità di leggere ad alta
voce ma senza comprendere nulla di ciò che si è detto).
Alla luce di questa terza via, nel modello cognitivo (o modello a tre vie), la dislessia lettera per
lettera, va interpretata come dovuta a un deficit dei meccanismi di analisi visiva preliminari
all’elaborazione linguistica della lettura.
Il Modello cognitivo della lettura è oggi considerato ormai lo standard.
INQUADRAMENTO DIAGNOSTICO DEI DISTURBI DI SCRITTURA.
In passato si distinguevano i disturbi di scrittura secondo i disturbi cognitivi a essi associati:
1) Agrafia afasica: osservata nel contesto di un disturbo più complesso del linguaggio e legata
spesso a lesioni nell’ambito delle aree del linguaggio, fronto –parieto- temporali sinistre;
2) Agrafia visuo-spaziale: associata a deficit dell’esplorazione visiva da lesioni parietotemporali destre;
3) Agrafia motoria: associata a disturbi più generali del movimento, ad esempio, in corso di
sindrome extrapiramidale;
4) Agrafia associata ad alessia: legata a lesioni parietali sinistre;
5) Agrafia pura: molto rara dovuta a lesioni frontali o parietali sinistre;
6) Agrafia aprassica: forma di agrafia pura dove il paziente è incapace di tracciare
correttamente le lettere, in assenza di altri disturbi aprassici o della programmazione dei
movimenti.
Disgrafia periferica e Disgrafia centrale
Come per la Dislessia, anche per i disturbi della scrittura, si è affermato l’approccio cognitivo,
caratterizzato dall’analisi dettagliata degli errori di scrittura e delle prestazioni ai compiti
complementari.
Gli errori di scrittura o Disgrafia, si possono distinguere in:
1. Le disgrafie periferiche: mostrano alterazioni solo nella risposta scritta, svolgendo
correttamente i compiti di spelling o composizione di lettere mobili; sanno come
dovrebbero scrivere lo stimolo, ma hanno un disturbo nella programmazione o nella
relazione dei movimenti grafici.
Le disgrafie periferiche si dividono secondo il tipo di errore:
•
errori grafemici, errori allo grafici, errori nella formazione delle lettere, sono compresi
nei quadri di agrafia pura o agrafia aprassica, secondo la classificazione clinica
•
eminegligenza: di sinistra se l’errore è confinato nella parte iniziale dello stimolo, o di
destra (molto raro), dunque finale degli stimoli. A volte presenta difficoltà nello spelling,
un’eccezione alla regola delle disgrafie periferiche questa, che indica come in questi pazienti
gli errori, non nascono durante l’elaborazione linguistica ma derivano da un disturbo
dell’esplorazione spaziale.
2. Le disgrafie centrali: i pazienti compiono lo stesso numero di errori indipendentemente
dalla modalità di produzione della risposta (produzione scritta, spelling o la composizione di
lettere mobili). La parte motoria della scrittura non genera in sé alcun disturbo particolare,
mentre risulta deficitario il modo in cui viene elaborata la risposta.
Esistono tre tipi di disgrafie equivalenti ai disturbi di lettura:
•
Disgrafia fonologica: caratterizzata da errori morfologici e derivazionali, dalla
sostituzione di funtori grammaticali e da lessicalizzazioni nella scrittura di non parole;
dissociazione tra scrittura di parole, relativamente conservata e delle non parole, molto
deficitaria.
•
Disgrafia profonda: presenta molti errori semantici in compiti di scrittura. Per
diagnosticare una disgrafia profonda, tuttavia, gli errori semantici sono prodotti, sia nel
compito di denominazione scritta di figure che nel dettato.
•
Disgrafia da deficit del buffer grafemico: non presenta paralleli tra disturbi di
lettura, trattandosi di pazienti che commettono, esclusivamente, errori grafemici con tutti i
tipi di stimoli e in tutti i compiti di scrittura: scrittura spontanea, copia, dettato, spelling o
la composizione di lettere mobili. In tutti i compiti i pazienti commettono errori che
violano le normali regole ortografiche, producendo un numero discreto di risposte
illeggibili (ex: tvloi per tavolo). La lunghezza dello stimolo influenza la prestazione:
maggiore è la lunghezza, maggiore sono gli errori.
Per la comprensione dei disturbi di scrittura, come per la lettura, il modello che si è affermato, è
il modello cognitivo, in grado di interpretare i diversi quadri disgrafici. Il modello prevede due vie:
una lessicale e una sub lessicale, attraverso cui è possibile ottenere la corretta sequenza di grafemi.
È presente una componente, non riscontrabile nella lettura, probabilmente un sistema di memoria
a breve termine, buffer grafemico, che mantiene attive e ordinate le rappresentazioni grafemi che,
per tutto il tempo che occorre a scriverle.
Un deficit di questo componente dovrebbe dar luogo proprio agli errori osservati come: inversioni,
omissioni, confusioni o inserzioni di grafemi che non rispettano necessariamente le regole
ortografiche.
OSSERVAZIONE CLINICA DEI DITURBI NEL CALCOLO.
I disturbi della capacità di elaborare numeri ed eseguire i calcoli si definiscono Acalculia, e sono
stati esaminati solo da un decennio accuratamente (perché generalmente accompagna altri disturbi),
con studi a orientamento cognitivo, hanno classificato gli errori di calcolo in:
1) Elaborazione delle singole cifre, con la possibile produzione di una cifra al posto di
un’altra: deficit nella confusione delle unità “lessicali”numeriche.
2) Elaborazione di numeri composti da più cifre; il paziente può sbagliare nel mettere in
rapporto le cifre tra di loro assegnando loro un posto sbagliato all’interno del numero, pur
producendo correttamente le singole cifre che compongono il numero (ex 30025 al
posto di 325; oppure 12 invece di 102): violazione delle regole sintattiche che metteono in
relazione tra loro le cifre
3) Interpretazione errata i segni aritmetici o eseguire un calcolo piuttosto che un altro.
4) Errori nell’applicazione delle procedure di calcolo.
Le prove Neuropsicologiche per analisi delle abilità di calcolo.
Le batterie tradizionali di uso clinico per valutare il sistema dei numeri e del calcolo prevedono non
solo l’esame delle capacità di eseguire le quattro operazioni fondamentali, ma anche l’esame di altre
abilità cognitive connesse alle computazioni numeriche.
Benton (1936), ad esempio, proponeva di eseguire i seguenti test: giudizi di grandezza su coppie
di numeri; conteggio avanti e indietro fino a 20, giudizio di numerosità su insiemi di punti;
lettura, ripetizione, scrittura sotto dettato e su copia di numeri; operazioni aritmetiche orali e
scritte; prove di ragionamento aritmetico, memoria per cifre e calcoli.
Con lo sviluppo dell’approccio Cognitivo, ai disturbi di calcolo sono state sviluppate nuove
batterie di prove per un’analisi dettagliata delle diverse abilità implicate nell’elaborazione numerica
e nel calcolo. Una batteria è stata elaborata, in Italia, da Miceli e Capasso (1991) e comprende 5
parti:
1. Prove con stimoli non numerici (giudizio di numerosità su oggetti);
2. Giudizi di grandezza su stimoli numerici presentati per via visiva e uditiva
3. Prove di transcodifica o ripetizione
4. Lettura e scrittura di numeri in codice arabo e verbale
5. Riconoscimento uditivo e visivo di segni aritmetici
6. Prove di calcolo scritti e orali
Rispetto alle prove di vecchio stampo, questa batteria indaga sistematicamente i diversi aspetti
dell’elaborazione numerica e del calcolo, utilizzando un ampio numero di stimoli e valutando i due
tipi di codici numerici.
CLASSIFICAZIONE CLINICA DELLE ACALCULIE.
La classificazione clinica delle acalculie cui si fa più riferimento è quella proposta da Hécaen,
Angelergues e Houilllier (1961), che distinguevano 3 forme di disturbi acquisiti del calcolo in base
ai meccanismi ritenuti responsabili:
1) Alessia e Agrafia per numeri: acalculia associata a disturbi di lettura e scrittura nei
numeri. In passato si è parlato di acalculia afasica, ma è stato ripetutamente dimostrato
che, in realtà, non è necessaria la presenza di disturbi del linguaggio per determinare un
deficit nella capacità di leggere e scrivere numeri. Si riscontra in pazienti con lesioni
nell’emisfero sinistro e in particolare con lesioni del lobo parietale.
2) Acalculia spaziale: i pazienti non riescono ad allineare le cifre nel tentativo di eseguire le
comuni operazioni aritmetiche.
I pazienti hanno meno difficoltà nell’eseguire facili calcoli a mente, piuttosto che quelli
scritti, dimostrando una conservazione delle procedure di calcolo. L’acalculia spaziale è
associata spesso, ad Aprassia nell’abbigliamento, o Eminegligenza o Aprassia costruttiva.
Le lesioni sono localizzate nel lobo parientale destro.
3) Anaritmetica: è caratterizzata dall’incapacità di mettere in atto le corrette procedure di
calcolo, non secondaria ad altri disturbi cognitivi. Non commettono errori nella lettura o
nella scrittura dei numeri o nell’allineare le cifre; non hanno difficoltà nel contare in avanti o
indietro o apprezzare l’ordine di grandezza dei numeri. Anche in questa forma di acalculia,
le lesioni celebrali sono localizzate nel lobo parietale sinistro.
L’analisi dettagliata degli errori commessi dai pazienti con discalculia, ha permesso d’identificare i
seguenti deficit:
•
Deficit selettivi nell’interpretazione dei segni aritmetici
•
Deficit selettivi nella conoscenza dei fatti aritmetici, le operazioni e i problemi elementari
che possono essere risolti senza ricorrere a un vero calcolo.
•
Deficit selettivi nell’applicazione di procedure di calcolo (ad ex la sequenza di operazioni
che occorre per sottrarre moltiplicare e dividere numeri a più cifre).
Mc Closkey, Caramazza e Basili (1985), hanno proposto un modello cognitivo dell’elaborazione
dei numeri e del calcolo, che prevede due sistemi indipendenti per la comprensione e la produzione
dei numeri. All’interno di entrambi i sistemi, è prevista l’esistenza di componenti separate per il
codice verbale e quello arabo (per una trattazione dettagliata si rimanda a Miceli, Capasso, 1996).
Dr.ssa Ilaria Iannizzi
Riferimenti Bibliografici:
Grossi D. e Trojano L. (2011), Lineamenti di neuropsicologia clinica, Roma, Carocci Ed.
Miceli G.e Carpasso R. (1996), Il sistema dei numeri e del calcolo nella normalità e nella
patologia, in Denes F. e Pizzamiglio (a cura di), Manuale di Neuropsicologia, 2a ed., Zanichelli,
Bologna, pp. 769-809.
Stella G. (2000), Sviluppo Cognitivo, Milano, Bruno Mondadori Ed.
Per Approfondimenti:
Cornoldi C. (1999), Le difficoltà di apprendimento a scuola, Milano, Il Mulino.
Biancardi A. e Milano G. (2003), Quando un bambino non sa leggere, Milano, Rizzoli.