ARTRosi O OSTEOARTRITE

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ARTRosi O OSTEOARTRITE
DEFINIZIONE
L’ artrosi o osteoartrite è una malattia ad evoluzione
cronica che si caratterizza, a grandi linee, da
alterazione delle cartilagini ialine articolari e della
matrice extracellulare (ECM), osteosclerosi, cisti
subcondrali, e osteofiti provocando dolore e
“insufficienza” articolare.
ARTROSI O OSTEOARTRITE
MALATTIE DELL’OSSO E DELLE CARTILAGINI
Dr Felice Galluccio
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INTRODUZIONE.
L’ artrosi o osteoartrite (OA) rappresenta una delle principali patologie dell’età adulta, si stima che in Italia
siano colpiti 4.000.000 di soggetti e i numeri sono sicuramente destinati a salire dato l’invecchiamento della
popolazione e i cambiamenti dello stile vita. Fra le malattie reumatiche è la prima per incidenza e la prima
tra le malattie dolorose ad elevato costo sociale. Nella popolazione over 65 anni è la prima causa di invalidità.
L’ artrosi è una malattia ad evoluzione cronica che si caratterizza, a grandi linee, da alterazione delle
cartilagini ialine articolari e della matrice extracellulare (ECM), dall’osteosclerosi, le cisti subcondrali e la
formazione di osteofiti che provocano dolore e infine “insufficienza” articolare.
Fino ad oggi classificata in primaria e secondaria, in base ad un concetto di prevalenza di malattia, oggi
l’artrosi può essere considerata un insieme eterogeneo di condizioni che, attraverso meccanismi
fisiopatologici non ancora del tutto noti, arrivano ad un quadro patologico e radiografico comune.
Tra i principali momenti patologici di questa malattia sono stati chiamati in causa la predisposizione genetica,
l’alterazione metabolica dei condrociti e della ECM e della loro interazione con l’ambiente articolare
(condrociti, sinoviociti e cellule del liquido sinoviale), dalle alterazioni dell’osso subcondrale e da fattori
meccanici e ormonali.
La cartilagine articolare, un tessuto altamente specializzato, è costituito principalmente da un reticolo di ECM
costituito prevalentemente da collageno e elastina, immerso in un gel a base di acqua e una miscela di
glicosaminoglicani e proteoglicani che rendono conto del 98% di questo tessuto. I condrociti, immersi in
questa particolare struttura, sono solo il 2% circa e la loro funzione è quella di produrre e mantenere la ECM.
La composizione della ECM garantisce pertanto le caratteristiche biomeccaniche delle cartilagini articolari
quindi l’alterazione di questo equilibrio innesca la perdita di funzione della cartilagine, come ad esempio la
resistenza alle forze compressive e l’integrità della superficie cartilaginea.
È ormai chiaro che la predisposizione e i polimorfismi genetici influenzino il fenotipo artrosico, come nel caso
di alcune localizzazioni quali la forma nodale delle mani o la gonartrosi, e che ci siano delle differenze
fenotipiche tra le etnie. Le forme di artrosi precoce e distruttiva è legato alla presenza di condrodisplasie da
mutazioni genetiche ed è più frequente in alcuni aplotipi relativi a specifici locus HLA del complesso maggiore
di istocompatibilità.
Dal punto di vista biomeccanico, le articolazioni sottoposte al maggior carico sia portante che funzionale
(come accade in alcune attività lavorative o sportive) sono quelle in cui il danno artrosico progredisce più
rapidamente. Le deviazioni dell’asse articolare (valgismo e varismo) sono legate ad una relativamente
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precoce artrosi compartimentale che mostra generalmente un’evoluzione clinica più rapida e meno
responsiva ai trattamenti rispetto alle altre articolazioni. Una spiegazione a questo evento possiamo
ritrovarla nella fisiologia del tessuto cartilagineo. La cartilagine si nutre quasi esclusivamente per diffusione
dal liquido sinoviale, dato che è praticamente sprovvista di vasi sanguigni, membrana basale e nervi. Quindi
risulta evidente che se i meccanismi di diffusione vengono interrotti si assista ad una degenerazione
inevitabile di questo tessuto. Il sovraccarico, sia esso intrinseco che estrinseco e intermittente (come i traumi)
è il responsabile principale delle microfratture cartilaginee e delle alterazioni strutturali della ECM. Recenti
studi hanno evidenziato che la ECM giochi un ruolo chiave nell’omeostasi cartilagine, essendo in grado di
stimolare la produzione dei componenti della matrice stessa o di stimolare il rilascio di citochine ad azione
pro infiammatoria.
MANIFESTAZIONI CLINICHE.
L’ artrosi si caratterizza per quattro principali manifestazioni cliniche: il dolore, la rigidità e l’impotenza
funzionale, le alterazioni strutturali anatomiche e l’evolutivilità.
Il dolore è il sintomo cardine dell’artrosi e generalmente è la prima manifestazione clinica di malattia, anche
se spesso è preceduto dalle alterazioni strutturali già visibili radiologicamente.
Il dolore dell’artrosi rispecchia generalmente la dominante predominante eziopatogenica che sottende il
quadro di malattia:
1. dolore da carico, dove predominano le componenti meccaniche;
2. dolore da avvio, esprime generalmente aumento dell’attrito articolare. È di breve durata e si risolve
con il movimento;
3. dolore a riposo o notturno, esprime generalmente l’attivazione flogistica, sia articolare che peri
articolare.
È importante, nei pazienti artrosici con dolore a riposo, indagare la causa dell’attivazione flogistica, perché il
controllo della sintomatologia o la possibilità di rallentare l’evoluzione clinica dipenderà molto da questo
fattore. Non è raro infatti riscontrare nel liquido sinoviale di questi pazienti cristalli di idrossiapatiti e/o di
pirofosfato diidrato di calcio che si legano generalmente a forme a rapida evoluzione. Altre cause di dolore a
riposo, di più o meno facile riscontro diagnostico, sono le pliche sinoviali, i corpi liberi intra-articolari, le
condromatosi e le osteocondriti, i difetti della superficie e l’edema dell’osso subcondrale, tutte condizioni in
grado di alimentare e mantenere la cascata flogistica. Generalmente la risposta ai FANS, come indicato nelle
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principali linee guida di trattamento dell’artrosi, è solo parziale o non soddisfacente, dando ragione
dell’esistenza di meccanismi alternativi quali la flogosi neurogena, la sensitivizzazione periferica e poi
centrale, e molte altre che tuttavia non sono state del tutto chiarite. Il dolore infine può essere provocato
dall’eccessivo affaticamento muscolare (da rigidità articolare e ipotrofia dei muscoli adiacenti), dalle
contratture di difesa, dallo stiramento o compressione sui tronchi nervosi adiacenti le articolazioni.
CLASSIFICAZIONE E VARIANTI DI MALATTIA.
La definizione delle varianti dell’artrosi è molto difficile anche perché, fino ad oggi, non sono del tutto chiare
quali siano le caratteristiche più importanti su cui basare tale distinzione. La recente letteratura e le
conoscenze acquisite negli ultimi anni, sembrano definire queste varianti come gli estremi di uno spettro
eterogeneo di manifestazioni della stessa malattia. Gli studi genetici hanno fornito e forniranno maggiore
chiarezza sulla variabilità fenotipica dell’artrosi.
I quadri attualmente meglio definiti che differiscono dall’andamento classico della artrosi sono: artrosi
nodale e la forma erosiva delle mani, coxartrosi o gonartrosi rapidamente progressiva, artrosi neuropatica e
la iperostosi scheletrica idiopatica diffusa (DISH).
Artrosi nodale
ed
erosiva
della
mano. Le
articolazioni
più
frequentemente colpite sono le interfalangee distali (IFD), quelle
prossimali (IFP) e della trapezio-metacarpale (TMC). Le forme nodali e
la forma erosiva hanno un carattere ereditario e colpiscono
maggiormente le donne in età menopausale (10:1). La forma nodale si
caratterizza per dolore e tumefazione delle interfalangee con
comparsa dei noduli di Heberden (IFD) e di Bouchard (IFP). Con il
passare del tempo il dolore recede, assumendo un carattere
altalenante, lasciando la tumefazione articolare, spesso deformità e
possono comparire cisti mucinose. L’OA erosiva è la forma
rapidamente
progressiva
che
coinvolge
le
IFD
e
IFP
e
radiograficamente si osservano grandi cisti iuxta-articolari, rapida
diminuzione della rima articolare, erosione della limitante subcondrale, danno epifisario, appiattimento dei profili articolari fino ad arrivare, in alcuni casi, all’anchilosi.
Coxartrosi e gonartrosi rapidamente progressiva. Le forme rapidamente destruenti della coxofemorale e del
ginocchio rientrano tra le forme di artrosi atrofica (non si assiste radiograficamente allo slargamento dei capi
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articolari e alla formazione osteofitaria) e si presentano
generalmente con una sintomatologia dolorosa particolarmente
accentuata e si accompagnano spesso a sinovite marcata, rapida
condrolisi o a condrocalcinosi. Si assiste pertanto a due forme
distinte, artrosi rapidamente distruttiva o artrite da microcristalli
che induce artrosi destruente, anche se non ci sono tuttavia
acquisizioni scientifiche che ci diano una chiara definizione. Nel
caso della presenza di cristalli è comunque necessario indagarne le
possibili
cause
di
deposito,
quali
l’iperparatiroidismo,
ipotiroidismo, ipomagnesemia e emocromatosi.
Osteoartrosi neuropatica o di Charcot. La denervazione delle
articolazioni o la perdita di sensibilità possono portare a sviluppare una
forma di OA rapidamente destruente e caratterizzata da abbondante
neoformazione ossea. Questi quadri si associano spesso con alcune
malattie quali gli stadi avanzati di sifilide (ginocchia), la siringomielia
(spalla) e, il più frequente in assoluto, con la neuropatia diabetica
(piede). Per alcuni autori, anche l’artropatia destruente di spalla da
idrossiapatiti (spalla di Milwaukee) può essere considerata una variante di questa condizione.
Iperostosi scheletrica idiopatica diffusa (DISH). Si caratterizza per la
calcificazione e ossificazione diffusa dei legamenti, prevalentemente
anterolaterali vertebrali, con formazioni di entesofiti a ponte e osteofiti di
grosse dimensioni che portano ad una netta riduzione dei movimenti fino
all’anchilosi. Possono essere coinvolte anche le articolazioni periferiche, che
mostrano la formazione di osteofiti o di speroni ossei e la calcificazione
dell’inserzione dei legamenti (entesopatia). Si associa alla malattia
dismetabolica e sembra che vi sia un legame con l’aumento delle
concentrazioni plasmatiche di insulina e di ormone della crescita.
CARATTERISTICHE PER SEDE ANATOMICA.
Gonartrosi. Tra le articolazioni periferiche è la più frequente e tende ad essere bilaterale. In fase precoce i
sintomi sono dolore d’avvio e dopo attività fisica. Il quadro si può complicare con valgismo o varismo che
incidono su uno dei compartimenti articolari (mediale per il varismo, laterale per il valgismo) oppure con
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l’interessamento di tutta l’articolazione. Spesso si accompagna a versamento articolare e sinovite. Nelle fasi
avanzate il dolore si accompagna ad ipotrofia muscolare, debolezza, decondizionamento e contrattura in
flessione.
Omartrosi. L’artrosi della spalla è quasi sempre post-traumatica o secondaria a displasia, artrite,
osteocondromatosi e osteocondrite, necrosi della testa omerale o rottura della cuffia dei rotatori. Si può
sviluppare anche nelle varie forme di instabilità della spalla. Una lesione a tutto spessore cuffia dei rotatori
determina risalita della testa omerale, instabilità, conflitto acromiale e successiva artrosi. Nella artrosi
glenoomerale, si osservano dolore e limitazione ai movimenti, soprattutto di rotazione esterna e di
abduzione, ipotrofia del muscolo deltoide e dei muscoli della cuffia dei rotatori.
Artrosi del gomito e del polso. Sono forma piuttosto rare che colpiscono generalmente i soggetti che
svolgono lavori pesanti o con attrezzi vibranti o sono di origine post traumatica (es. pseudo artrosi dello
scafoide). In genere si associano alla riduzione dei movimenti ma la funzione viene di solito ben compensata
dai distretti adiacenti.
Artrosi del piede e della caviglia. Entrambe riconoscono generalmente una origine secondaria da anomalie
congenite (es. piede piatto) o post traumatiche (es. fratture malleolari). Non è raro infatti riscontrare lesioni
dei legamenti o esiti di questi. Il dolore, specialmente da carico o da avvio, si associa ad un certo grado di
impotenza funzionale. Frequenti anche le osteocondrosi e osteocondriti che sono un importante causa di
dolore.
Artrosi del rachide. La spondiloartrosi, specie se valutata con gli esami radiografici, è estremamente
frequente. I primi segni sono visibili già dall’età di 30 anni e, nella popolazione over70 anni è praticamente
sempre presente. La spondiloartrosi colpisce le articolazioni interapofisarie, uncovertebrali e costovertebrali.
Si tratta di un quadro di osteocondrosi intervertebrale e spondilosi deformante che possono associarsi tra
loro ed interessare tutti i tratti della colonna vertebrale. I tratti cervicale e lombare della colonna vertebrale
sono i più colpiti. Quindi, Il collegamento tra ogni sintomo riferibile a queste regioni e il rilievo radiografico
di OA è improprio dato che i generatori di dolore sono molteplici, come i dischi intervertebrali, la muscolatura
paravertebrali e le radici nervose.

Artrosi cervicale. Anche se riscontrabile nel 70-80 % dei soggetti anziani, la maggior parte di questi
individui non presenta sintomi di rilievo, se non modeste cervicalgie o una lieve limitazione nei
movimenti del collo. Gli osteofiti posteriori, visibili in RX, sono quelli che hanno una maggior rilevanza
clinica, dato che possono interferire con le strutture nervose e vascolari dando luogo a manifestazioni
cliniche quali la cervicobrachialgia, causata dalla compressione sulle strutture nervose. La
compressione sulle strutture vascolari è abbastanza rara e provoca il “drop-attack” durante i
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movimenti di iperestensione del collo e della testa, ovvero l’insufficienza vertebro-basilare che causa
un’improvvisa caduta a terra, senza perdita di coscienza, per mancato controllo sugli arti inferiori.
Un’altra condizione non molto frequente a questo livello è la stenosi del canale midollare da
osteofitosi marginale.

Artrosi dorsale. Nonostante il frequente riscontro radiologico, i sintomi sono meno importanti data
la minore mobilità di questo tratto della colonna per la presenza del complesso costo-sternale, ed
alle minori sollecitazioni a cui è sottoposto.

Artrosi lombare. Nonostante la frequenza del riscontro radiografico non tutti i dolori lombari sono
associati a questi condizione, ma piuttosto a contratture o stiramenti muscolari e, soprattutto per le
forme di lombalgia cronica, a discopatia. Le alterazioni artrosiche delle vertebre e delle articolazioni
intervertebrali hanno però un ruolo chiave data lo stretto rapporto con il disco intervertebrale e la
maggior sollecitazione al carico rispetto agli altri tratti della colonna. Non è infrequente l’associazione
con la spondilolistesi, ovvero lo scivolamento, più frequentemente anteriore, di una vertebra su
quella sottostante. Un’altra manifestazione frequente a questo livello è l’OA delle articolazioni
interapofisarie che causa una sintomatologia cronica che spesso viene confusa con la radicolopatia,
visto che si irradia alle regioni paravertebrali lombo-sacrali basse, alle natiche e alla faccia posteriore
della coscia. Di rado gli osteofiti sono responsabili di una compressione diretta a livello delle radici
nervose.
TERAPIA.
Gli obiettivi della terapia dell’artrosi sono il controllo del dolore, della rigidità articolare, il controllo della
flogosi, la prevenzione delle deformità e il recupero della funzione articolare. Il raggiungimento di questi
obiettivi, oltre a migliorare la qualità di vita dei pazienti, dovrebbe rallentare la progressione di malattia. Per
raggiungere tale risultato, risulta chiaro che devono essere usati tutti i mezzi disponibili, dalla terapia
farmacologica locale e sistemica, la riabilitazione e le terapie fisiche, la terapia occupazionale, la correzione
dei fattori predisponenti modificabili (es. calo ponderale), che devono essere necessariamente coordinati per
essere efficaci. Tali indicazioni stanno finalmente assumendo importanza e sono state elencate nelle maggiori
linee guida di trattamento dell’OA.
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TERAPIA FARMACOLOGICA E OPZIONI CHIRURGICHE.
La terapia farmacologica prevede l’impiego di farmaci analgesici, antinfiammatori e farmaci modificatori di
malattia (DMOAD e SYSADOA). La scelta del farmaco o la combinazione di farmaci deve essere dettata
indiscutibilmente dal quadro clinico del momento.

Il paracetamolo e il tramadolo sono gli analgesici maggiormente utilizzati per il dolore di tipo lieve
moderato, mentre l’uso degli oppioidi deve essere limitato al controllo del dolore moderato severo.
Alcuni studi hanno dimostrato un’ottima efficacia degli analgesici topici che stanno avendo una
diffusione sempre maggiore. Tra questi segnaliamo la capsaicina transdermica e gli anestetici locali.

Gli antinfiammatori trovano indicazione sia come terapia sintomatica che come terapia per le fasi
infiammatorie, dove questa sia stata accertata. L’uso dei FANS, di qualunque categoria
appartengono, è gravato da frequenti reazioni avverse ed effetti collaterali, quali i disturbi
gastrointestinali e cardiovascolari, specie nel paziente anziano. Sempre più usati ultimamente e con
buoni risultati, sia in termini di efficacia che di ridotti effetti collaterali, sono i prodotti topici.

I DMOAD (Disease Modifying Osteoarthitis Drugs) e i SYSADOA (Symptomatic Slow Acting Drugs for
Osteoarthritis) sono farmaci che interferiscono con le modificazioni strutturali caratteristiche
dell’artrosi con l’intento non solo di ridurre o eliminare i sintomi ma anche di rallentare la
progressione di malattia. Tra queste sostanze, che stanno finalmente avendo una discreta diffusione,
i più usati sono la glucosamina, il condroitin solfato, la diacereina, il collageno di tipo II, l’acido
ialuronico gli estratti di soia e avocado.

Tra le terapie intra-articolari l’acido ialuronico è stato ampiamente studiato e trova applicazione
specialmente nelle articolazioni di carico quali il ginocchio e la coxofemorale. I corticosteroidi intraarticolari sono usati nel controllo delle reazioni sinovitiche dove la sua efficacia è ampiamente
documentata ma bisogna porre molta attenzione nel caso di microfratture subcondrali o grossi geodi
iuxta-articolari dove il suo uso potrebbe essere addirittura rischioso.

La terapia corticosteroidea orale non è indicata nel trattamento dell’artrosi e trova indicazione solo
per la terapia delle manifestazioni peri articolari o tendinee ad essa associate.

La chirurgia dell’artrosi è oggi ben diversificata e consente il trattamento di questi pazienti dove le
restanti terapie hanno fallito. Le possibilità chirurgiche comprendono gli interventi di osteotomia per
il riallineamento dei capi articolari, di artrodesi o stabilizzazione articolare e di artroprotesi.
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