novita` sui congedi parentali

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novita` sui congedi parentali
NOVITA’ SUI CONGEDI PARENTALI
Premessa
Con l’entrata in vigore, nel corso dell’anno 2012, di ben tre provvedimenti normativi,
l’ordinamento previdenziale è intervenuto profondamente sull’istituto dei congedi parentali
(già astensione facoltativa), regolamentati dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e
successive modificazioni ed integrazioni, altrimenti denominato “Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”.
In primo luogo l’art. 4, commi 24 e 25, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (c. d.
“Decreto sviluppo”), ha introdotto alcune misure di natura sperimentale per il triennio
2013-2015 rivolte a promuovere “una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura
dei figli all’interno della coppia e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”:
sullo specifico sono state apportate modificazioni “in melius” all’istituto previdenziale in
questione rispetto alla precedentemente normativa, che non ha peraltro subito restrizioni di
sorta.
In particolare sono stati introdotti, a favore del padre, (un giorno di “congedo
obbligatorio” e due giorni di “congedi facoltativi”), mentre nei confronti della madre,
alternativamente ai congedi parentali ante litteram, è stato istituito il “contributo per
l’acquisto dei servizi per l’infanzia”, che prevede, quest’ultimo, anche in questo casso in
via alternativa ai suddetti congedi:
a) l’erogazione di una somma mensile pari a 300 euro, fino ad un massimo di
sei mesi, per l’acquisto di servizi di baby-sitting, attraverso il sistema dei buoni lavoro
(altrimenti denominati “vouchers”);
b) la fruizione della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati
accreditati.
Giusta previsione dell’appena citato comma 25, il testo del “Decreto sviluppo” è
stato inoltre integrato dal decreto interministeriale 22 dicembre 2012, con il quale sono stati
stabiliti i criteri di accesso e le modalità di utilizzo delle nuove misure sperimentali.
Nello stesso decreto, all’art. 9, è stato altresì stabilito che la fruizione del contributo
per l’acquisto dei servizi per l’infanzia, comporta, per ogni quota mensile, una
corrispondente riduzione di un mese del periodo di congedo parentale di cui all’art. 32 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. A tal fine è stato previsto dalla stessa norma che
l’INPS comunichi al datore di lavoro l’ammissione della lavoratrice al beneficio prescelto.
Un terzo provvedimento è stato inserito nella “Legge di stabilità” (la n. 228 del 24
dicembre 2012) la quale, dando attuazione alla direttiva dell’Unione europea n. 2010/18/Ue,
all’art. 1, comma 339, introduce due nuove previsioni: la prima consente di fruire dei
congedi anche su base oraria (salvo alcune eccezioni di cui si parlerà in seguito), mentre
con la seconda, nel ribadire la necessità del preavviso di quindici giorni, si è inteso
ulteriormente introdurre l’obbligo di indicare l’inizio e della fine del periodo di congedo,
nonché l’opportunità di concordare adeguate misure di ripresa dell’attività lavorativa,
tenendo conto di quanto eventualmente previsto dalla contrattazione collettiva.
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Il complesso delle nuove norme, che costituisce l’oggetto del presente lavoro, si
inserisce nel più vasto contesto dei congedi, riposi e permessi a tutela delle lavoratrici e dei
lavoratori connessi alla maternità e paternità, regolamentati dal già citato decreto legislativo
26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni ed integrazioni.
I provvedimenti hanno peraltro interessato il solo comparto del lavoro subordinato,
lasciando inalterato l’intero assetto di quello autonomo: in tale ambito il campo di
operatività è ulteriormente limitato ai rapporti di lavoro di natura privatistica.
L’unica eccezione riguarda l’estensione dei benefici anche alle lavoratrici autonome
iscritte alla c. d. “Gestione separata” di cui all’art. 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995,
n. 335, amministrata dall’INPS, alle quali è consentita la fruizione del contributo per
l’acquisto dei servizi per l’infanzia fino ad un massimo di tre mesi (art. 7, comma 3, del
decreto interministeriale 22 dicembre 2012). Considerato che la norma parla di “lavoratrici
iscritte alla gestione separata”, si deve ritenere che debbano essere incluse nel suo campo
di operatività sia le madri che esercitano una libera professione per le quali non è stata
istituita una specifica Cassa di previdenza, sia quelle che prestano attività lavorativa in
regime di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto.
Qualche dubbio si pone invece con riferimento agli altri soggetti iscritti alla gestione
separata e che non si possono considerare lavoratrici in chiave giuslavoristica, nel senso che
nei loro confronti non si instaura un vero e proprio rapporto di lavoro: essi sono, è il caso di
rammentarlo, i percettori di assegni per la collaborazione ad attività di ricerca presso le
università, gli osservatori astronomici, astrofisici e vesuviano, l’ENEA e l’ASI, nonché il
Corpo forestale dello Stato, ed infine i ricercatori universitari che fruiscono di borse di
studio concesse per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca.
Staremo a vedere la presa di posizione che sarà assunta dal Ministero del lavoro e
delle politiche sociali.
Un’altra perplessità riguarda la durata temporale dell’erogazione del contributo che,
come si è appena evidenziato, è previsto per le lavoratrici in questione fino ad un massimo
di tre mesi: tale parametro, meno favorevole rispetto a quello stabilito per le lavoratrici
dipendenti, sembrerebbe (anzi la cosa si può dare per certa) in contrasto con la sentenza
della Corte Costituzionale n. 257 del 22 novembre 2012, con la quale è stata dichiarata
l’illegittimità costituzionale di una situazione del tutto analoga, vale a dire quella che
prevede la corresponsione dell’indennità di maternità a favore delle madri adottive o
affidatarie per soli tre mesi anziché cinque, come avviene per la generalità dei casi.
Con tale sentenza la Corte, ha riaffermato il principio, da ritenersi ormai consolidato,
secondo il quale “ …. omissis …. gli istituti nati a salvaguardia della maternità non hanno
più, come per il passato, il fine precipuo ed esclusivo della protezione della donna, ma sono
destinati anche alla garanzia del preminente interesse del minore che va tutelato non soltanto
per quanto attiene ai bisogni più propriamente fisiologici ma anche in riferimento alle
esigenze di carattere relazionale ed affettivo, collegate allo sviluppo della sua personalità.”
Sulla base della presa di posizione del Giudice delle leggi, chi scrive ritiene che ben
difficilmente la norma in esame potrà resistere al vaglio di costituzionalità: ciò che lascia
non senza imbarazzo è inoltre la perseveranza del legislatore nell’emanare norme che sono
in netto contrasto con il suddetto principio.
Per tornare nell’ambito del lavoro subordinato, le lavoratrici che svolgono l’attività
in regime di tempo parziale potranno usufruire del contributo più sopra citato in misura
riproporzionata in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. (art. 7, comma 2,
del decreto interministeriale 22 dicembre 2012).
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Per quanto concerne infine i dipendenti del comparto pubblico, occorre rilevare che,
almeno al momento in cui si scrive, essi si trovano in una sorta di “limbo previdenziale”.
Con nota n. DFP0008629 P-4. 17. 1. 5 del 20 febbraio 2013, infatti, la Presidenza del
Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica, Servizi studi e consulenza per
il trattamento del personale, ha chiarito che la normativa di cui si discorre non è
direttamente applicabile ai rapporti di lavoro dei dipendenti di pubbliche
amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
“atteso che, come disposto dall’art. 1, commi 7 e 8, della citata l. n. 92 del 2012, tale
applicazione è subordinata all’approvazione di apposita normativa su richiesta del Ministro
della pubblica amministrazione e la semplificazione. Pertanto, per i dipendenti pubblici
rimangono validi ed applicabili gli ordinari istituti disciplinati dal d. lgs. n. 151 del 2001 e
nei CCNL di comparto.”
Quanto sarà illustrato in prosieguo si intende pertanto riferibile, salvo la sola
eccezione che riguarda le iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26,
della legge 8 agosto 1995, n. 335, unicamente ai congedi parentali previsti per i rapporti
di lavoro subordinato posti in essere nel settore privato.
Brevi cenni sui congedi parentali
Dato per scontato che chi ci legge sia già in possesso degli elementi che
contraddistinguono il complesso istituto lavoristico-previdenziale in epigrafe, in questa sede
ci limitiamo a ricordare (la trattazione integrale dell’argomento richiederebbe ben altro
spazio) che il congedo parentale costituisce un diritto potestativo, che fa capo ad entrambi i
genitori, rivolto a rendere inesigibile unilateralmente la prestazione lavorativa di
natura subordinata in atto al momento dell’esercizio del diritto medesimo.
I genitori possono dunque sospendere la prestazione lavorativa per assistere il figlio
entro l’ottavo anno di età del medesimo (e, cioè, fino al giorno, compreso, dell’ottavo
compleanno) secondo le modalità stabilite dal Testo unico.
Ai sensi dell’art. 32, comma 1, dello stesso T. U., il diritto potestativo di assentarsi
dal lavoro compete a ciascuno di essi “jure proprio”, dal momento che destinatari dei
congedi sono entrambi i genitori che prestano un’attività lavorativa.
La finalità sottesa all’istituto del congedo parentale postula l’abbandono della
logica secondo la quale la cura della prole debba essere esclusivamente femminile,
ruolo che la donna, pur mantenendola ancora in via primaria rispetto all’uomo, deve
ora condividerlo con quest’ultimo, realizzando peraltro la sostanziale parità di
responsabilità e di poteri all’interno della famiglia.
Va da sé che potranno fruire del suddetto diritto potestativo i genitori che, al
momento della richiesta, abbiano in corso un rapporto di lavoro subordinato e che, con
riferimento alla prestazione lavorativa, sia pienamente produttivo di effetti.
Ne consegue perciò che ne sono escluse le lavoratrici sospese a zero ore, quelle
disoccupate ed infine quelle impossibilitate per altro motivo alla prestazione lavorativa (v. la
circolare dell’INPS n. 17 del 27 gennaio 1982, punto 13).
Per poter accedere al congedo parentale, i lavoratori interessati dovranno non solo
presentare all’Istituto previdenziale apposita domanda (v. al riguardo le circolari dell’INPS
n. 82 del 2 aprile 2001 e n. 103 dell’11 maggio 2001), ma anche preavvisare il proprio
datore di lavoro.
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La norma recepisce la disposizione contenuta nella direttiva dell’Unione europea n.
96/34/CE del 6 giugno 1996 rivolta appunto a fissare un termine di preavviso: l’ordinamento
del nostro Paese non si è tuttavia preoccupato di stabilire le circostanze in relazione alle
quali il datore di lavoro avrebbe potuto differire l’autorizzazione al congedo per motivi
collegati alle esigenza tecnico-produttive dell’impresa.
Il legislatore nazionale ha con ciò inteso riaffermare l’ineludibile priorità
attribuita alle esigenze della cura del bambino rispetto a quelle del processo produttivo
aziendale: l’intenzione è confermata dalla c. d. “clausola di salvaguardia”, con la quale si
esclude l’operatività del preavviso in tutti i casi in cui sussista una oggettiva impossibilità in
capo al lavoratore a rispettare l’anticipazione della comunicazione, circostanza, questa, che
appare ampiamente condivisibile.
Inoltre il mancato rispetto del termine in questione non potrà in ogni caso legittimare
un rifiuto alla concessione del congedo, bensì tutto al più comportare il posticipo del suo
inizio: resta comunque fermo che qualora l’interessato si assenti dal servizio senza la
preventiva comunicazione al datore di lavoro, questi potrà comminare la sanzione
disciplinare a titolo di assenza ingiustificata.
Il congedo parentale si qualifica anche come una prestazione previdenziale (che si
pone perciò a carico dell’Istituto assicuratore (ora, salvo il caso dei giornalisti e dei liberi
professionisti forniti di Cassa di previdenza, l’INPS), ancorchè anticipata dal datore di
lavoro in virtù della delegazione ex lege e recuperata mediante il s. d. “sistema del
conguaglio”.
L’ammontare di tale prestazione è pari al 30% della retribuzione percepita nel mese
o periodo lavorato precedente l’inizio del congedo medesimo. Tale indennità spetta fino al
terzo anno di vita del bambino per un periodo massimo complessivo tra i genitori di 6 mesi.
Può essere estesa anche oltre i 3 anni di età del figlio, ma solo in presenza di un determinato
reddito massimo.
La durata massima dell’astensione facoltativa, nel comparto del lavoro subordinato,
giusta previsione dell’art. 32 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, è la seguente:
a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità di cui al
Capo III, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
b) al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o
frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso in cui quest’ultimo eserciti il
diritto di astenersi dal lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre
mesi;
c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato
non superiore a dieci mesi.
Anche in questo caso, qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal
lavoro per un periodo continuativo o frazionato non inferiore a tre mesi, il limite
complessivo dei congedi parentali dei genitori è elevato a undici mesi.
Il congedo parentale spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non
ne abbia diritto.
Il congedo parentale è normalmente fruibile “a giornate intere”: tuttavia, come si è
già avuto modo di segnalare, la legge di stabilità per l’anno 2013 (la n. 228 del 24 dicembre
2012), all’art. 1, comma 239, affida alla contrattazione collettiva l’ulteriore possibilità di
poterne beneficiare “su base oraria”: in tale contesto dovranno essere stabiliti i criteri di
calcolo della suddetta base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola
giornata lavorativa.
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La stessa norma prevede inoltre un trattamento di riguardo a favore di talune
categorie di lavoratori. Infatti, “Per il personale del comparto sicurezza e difesa di quello dei
vigili del fuoco e soccorso pubblico, la disciplina collettiva prevede, altresì, al fine di tenere
conto delle peculiari esigenze di funzionalità connesse all’espletamento dei relativi servizi
istituzionali, specifiche e diverse modalità di fruizione e di differimento del congedo.”
La nuova previsione legislativa, pertanto, non può trovare immediata applicazione
in quanto necessita dell’intervento della contrattazione collettiva di settore, contrattazione
che, si auspica, venga attivata al più presto in considerazione della considerevole platea dei
soggetti interessati.
L’innovazione rappresenta inoltre un vantaggio di notevole portata per i genitori, dal
momento che consente di bilanciare le opposte esigenze lavorative di entrambi con quelle
economiche della compagine familiare, senza cioè incidere troppo sul livello di reddito da
lavoro dipendente. Bisogna infatti ricordare che la retribuzione riconosciuta nel periodo di
congedo parentale è pari al 30% dello stipendio, motivo che giustifica la diluizione
temporale di detti permessi, che comporterebbero, diversamente, una decurtazione notevole
dello stipendio nel caso in cui si utilizzino un consistente numero di giorni nell’arco del
mese.
In questo modo è inoltre possibile distribuire in maniera più equilibrata negli anni i
periodi di congedo spettante (come già sappiamo, potranno essere fruiti entro l’ottavo anno
di vita del figlio).
Rispetto alla previgente normativa, infine, da un alto viene ribadito che deve essere
fornito un termine di preavviso non inferiore a quindici giorni, mentre, dall’altro lato, è
stato ulteriormente aggiunto l’obbligo dell’indicazione dell’inizio e della fine del periodo
di congedo, come pure che durante tale periodo il lavoratore e il datore di lavoro possono
concordare, ove necessario, adeguate misure di ripresa dell’attività lavorativa tenendo conto
di quanto eventualmente stabilito dalla contrattazione collettiva.
A tale riguardo si osserva che tali due ultime innovazioni sono fortunatamente di
immediata applicazione, dal momento che l’indicazione del periodo di congedo può essere
predisposto sulla base di accordi individuali tra le due parti in causa, mentre nella ripresa
dell’attività lavorativa la necessità della contrattazione collettiva è solo eventuale.
Prima di concludere il paragrafo, sembra il caso di segnalare che si pone il problema
di stabilire se le due innovazioni più sopra esplicitate si applichino alle nascite avvenute a
partire dal 1° gennaio 2013 ovvero se possano essere accordate, ovviamente ai congedi
richiesti dopo il 31 dicembre 2012, anche in relazione ai figli nati antecedentemente al 1°
gennaio 2013.
Nel silenzio della norma (vedremo in seguito che i congedi obbligatori e facoltativi a
favore del padre di cui all’art. 4, comma 24, della legge 28 giugno 2012, n. 92, si applicano
unicamente, per espressa previsione normativa, alle nascite avvenute a partire da tale ultima
data), si ritiene di poter assumere (anzi a parere di chi scrive la presa di posizione può essere
data per certa) che i congedi spettino anche con riferimento alle nascite avvenute
antecedentemente al 1° gennaio 2013.
La portata del nuovo intervento legislativo
Le modifiche apportate all’istituto dei congedi parentali sono, come accennato in
precedenza, sostanzialmente due: il primo riguarda il padre lavoratore dipendente e
concerne l’introduzione dell’obbligatorietà (in precedenza l’astensione poteva essere
unicamente facoltativa) ad astenersi dalla prestazione per una giornata lavorativa entro i
primi cinque mesi dalla data di nascita del figlio.
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In aggiunta è stato anche previsto un ulteriore periodo di assenza di due giornate
lavorative, questa volta però con il carattere della facoltatività.
Anche se lo stretto tenore letterale dell’art. 4, commi 24 e 25, della legge 28 giugno
2012, n. 92, fa riferimento alla “nascita del figlio”, sulla base di un indirizzo della Corte
Costituzionale, da ritenersi ormai consolidato, si intendono tutelati anche gli istituti
dell’affidamento e dell’adozione: in tal senso si esprime peraltro anche il decreto
interministeriale 22 dicembre 2012 (art. 1, comma 4), che colma così l’originaria lacuna
contenuta nel “Decreto sviluppo”.
Il secondo coinvolge la sola madre, che ha ora la possibilità di commutare il congedo
parentale in un contributo per l’acquisto di “vouchers” per i servizi di baby-sitting, ovvero
per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati
accreditati, da richiedere al datore di lavoro.
Recita infatti il suddetto comma 24 che “Al fine di sostenere la genitorialità,
promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno
della coppia e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, in via sperimentale
per gli anni 2013-2015:
a) il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio,
ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno. Entro il medesimo periodo,
il padre lavoratore dipendente può astenersi per un ulteriore periodo di due giorni, anche
continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di
astensione obbligatoria spettante a quest’ultima. In tale ultima ipotesi, per il periodo di due
giorni goduto in sostituzione della madre è riconosciuta un’indennità giornaliera a carico
dell'INPS pari al 100 per cento della retribuzione e per il restante giorno in aggiunta
all’obbligo di astensione della madre è riconosciuta un’indennità pari al 100 per cento della
retribuzione. Il padre lavoratore è tenuto a fornire preventiva comunicazione in forma scritta
al datore di lavoro dei giorni prescelti per astenersi dal lavoro almeno quindici giorni prima
dei medesimi. All’onere derivante dalla presente lettera, valutato in 78 milioni di euro per
ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, si provvede, quanto a 65 milioni di euro per ciascuno
degli anni 2013, 2014 e 2015, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di
spesa di cui all’articolo 24, comma 27, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e, quanto a 13 milioni
di euro per ciascuno degli anni 2013-2015, ai sensi del comma 69 del presente articolo;
b) nei limiti delle risorse di cui al comma 26 e con le modalità di cui al
comma 25, è disciplinata la possibilità di concedere alla madre lavoratrice, al termine del
periodo di congedo di maternità, per gli undici mesi successivi e in alternativa al congedo
parentale di cui al comma 1, lettera a), dell’articolo 32 del citato testo unico di cui al decreto
legislativo n. 151 del 2001, la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di babysitting, ovvero per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei
servizi privati accreditati, da richiedere al datore di lavoro.”
Il successivo comma 25 prevede inoltre che “Con decreto, di natura non
regolamentare, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero
dell’economia e delle finanze, da adottare entro un mese dalla data di entrata in vigore della
presente legge, sono stabiliti, nei limiti delle risorse di cui al comma 26:
a) i criteri di accesso e le modalità di utilizzo delle misure sperimentali di cui
al comma 24;
b) il numero e l’importo dei voucher di cui al comma 24, lettera b), tenuto
anche conto dell’indicatore della situazione economica equivalente del nucleo familiare di
appartenenza.”
Il previsto decreto, di cui è già stato fatto cenno nel paragrafo precedente, è stato
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana in data 22 dicembre 2012 ed il
suo contenuto sarà esplicitato nel corso della trattazione.
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Per espressa previsione normativa (art. 3, comma 3, dell’appena citato decreto
interministeriale) i congedi obbligatorio e facoltativo a favore del padre non possono essere
frazionati ad ore: ciò significa che la fruizione su base oraria rimane circoscritta ai congedi
regolamentati dalla normativa pregressa che, ci sembra il caso di ribadirlo, non ha subito
modifica alcuna.
La portata del nuovo intervento legislativo (continua): i congedi a favore del padre
Ribadito che sia il congedo obbligatorio che quello facoltativo devono essere fruiti
dal padre, anche adottivo o affidatario, lavoratore dipendente entro il quinto mese di vita del
figlio, l’art. 1, comma 2, del decreto interministeriale del 22 dicembre stabilisce che il
congedo obbligatorio di un giorno è fruibile “anche durante il congedo di maternità
della madre, in aggiunta ad esso.”
Ne consegue che la giornata di congedo obbligatorio del padre non avrà nessuna
influenza sul periodo di astensione obbligatoria materna.
A mente dell’art. 1, comma 7, del decreto interministeriale del 22 dicembre 2012, la
disciplina dei congedi obbligatorio e facoltativo a favore del padre si applica alle nascite
avvenute a partire dal 1° gennaio 2013.
Il successivo comma 3 prevede che la fruizione da parte del padre del congedo
facoltativo di uno o due giorni, anche continuativi, è condizionata alla scelta della madre
lavoratrice di non fruire di altrettanti giorni del proprio congedo di maternità. In caso
di richiesta da parte del padre, la conseguenza sarà perciò di anticipare il termine finale del
congedo post-partum della madre per un numero di giorni pari a quelli utilizzati dal padre
medesimo: come dire che la fruizione del congedo facoltativo da parte di quest’ultimo avrà
ripercussioni “in peius” sul periodo di puerperio.
Non è un caso che il successivo art. 2 del decreto interministeriale stabilisce che il
trattamento previdenziale riservato al congedo facoltativo (l’argomento sarà ripreso a breve
con maggior dovizia di particolari) venga rapportato al 100 per cento della retribuzione (in
pratica corrispondente a quello del congedo di maternità), con ciò rendendo indifferente
anche sul piano economico, nell’ambito del nucleo familiare, l’utilizzo da parte dell’uno o
dell’altro coniuge.
La norma non solo rafforza il ruolo del padre nell’assolvimento dei compiti di
cura dei figli, ma fornisce anche un ulteriore elemento di flessibilità nell’interscambio
delle incombenze tra i coniugi: la diposizione normativa obbedisce infatti al principio, più
volte riaffermato in tutte le sedi istituzionali, secondo il quale l’interesse precipuo del
“Welfare State” coincide con quello della cura dei figli.
Il concetto è ribadito dal comma 4 dello stesso decreto, laddove si stabilisce che “Il
congedo facoltativo è fruibile dal padre anche contemporaneamente all’astensione della
madre.” La poco felice formulazione letterale del testo della norma lascia tuttavia qualche
dubbio interpretativo. Si pone infatti questione se l’astensione della madre debba essere
riferita al periodo di congedo post-partum (ipotesi che sembrerebbe la più probabile) ovvero
se debba essere invece messa in relazione anche alla richiesta contemporanea del congedo
parentale da parte dei due coniugi.
Staremo a vedere la presa di posizione che sarà adottata dal Ministero del lavoro e
delle politiche sociali.
L’accrescimento nell’ambito familiare della posizione paterna si evince anche con
riferimento al congedo obbligatorio: il comma sei del decreto interministeriale del 22
dicembre 2012 sancisce che “Il giorno del congedo obbligatorio è riconosciuto altresì al
padre che fruisce del congedo di paternità ai sensi dell’art. 28 del decreto legislativo 26
marzo 2001, n. 151.”
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Il padre lavoratore, è noto, ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del
congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di
morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento
esclusivo del bambino al padre: si deve ritenere senza ombra di dubbio che, in
applicazione analogica del comma 2, il congedo obbligatorio a favore del padre si
cumuli (nel senso che si aggiunga) a quello del genitore medesimo.
L’art. 1, comma 7, del decreto interministeriale conclude statuendo che sia il
congedo obbligatorio che quello facoltativo concessi al padre si applica alle nascite avvenute
a partire dal 1° gennaio 2013.
Per quanto concerne le modalità di calcolo del trattamento economico dei congedi
di cui si discorre (e riprendiamo l’argomento accennato in precedenza), occorre operare una
serie di precisazioni di carattere tecnico-procedurale.
L’art. 2 del più volte citato decreto interministeriale stabilisce che l’indennità (che,
ripetesi, si qualifica come una vera e propria prestazione previdenziale a carico dell’INPS)
debba essere “pari al 100 per cento della retribuzione, corrisposta secondo le modalità
stabilite nell’art. 22, comma 2, del decreto legislativo 26 .marzo 2001, n. 151. Con
riferimento al trattamento normativo e previdenziale si applicano le disposizioni previste in
materia di congedo di paternità dagli articoli 29 e 30 del citato decreto legislativo n. 151 del
2001.”
Detto in estrema sintesi, ai sensi dell’art. 23 del più volte citato Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, per
retribuzione si intende quella media globale giornaliera del periodo di paga
quadrisettimanale o mensile scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del
quale ha avuto inizio il congedo.
Al suddetto importo va aggiunto il rateo giornaliero relativo alla gratifica natalizia o
alla tredicesima mensilità e agli altri premi o mensilità o trattamenti accessori eventualmente
erogati al lavoratore.
Concorrono a formare la retribuzione gli stessi elementi che vengono considerati agli
effetti della determinazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria per le indennità
economiche di malattia.
Inoltre, l’importo della retribuzione media globale giornaliera si ottiene dividendo
per trenta l’ammontare totale della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del
quale ha avuto inizio il congedo.
Infine, sulla base della giurisprudenza comunitaria, l’appena citato art. 23, comma 1,
del T. U., deve essere interpretato nel senso che la retribuzione percepita nel mese
immediatamente precedente quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo deve tener
conto di ogni aumento di retribuzione che interverrà durante il periodo di percezione
dell’indennità del congedo parentale.
Avuto riguardo alle modalità di fruizione dei congedi, l’art. 3 del decreto
interministeriale del 22 dicembre 2012 stabilisce che, sia per fruire del congedo obbligatorio
di un giorno, sia di quello facoltativo di uno o due giorni, il padre debba comunicare “in
forma scritta al datore di lavoro i giorni in cui intende fruirne, con un anticipo non minore di
quindici giorni, ove possibile in relazione all’evento nascita, sulla base della data presunta
del parto. La forma scritta della comunicazione può essere sostituita dall’utilizzo, ove
presente, del sistema informativo aziendale per la richiesta e la gestione delle assenze. Il
datore di lavoro comunica all’INPS le giornate di congedo fruite, attraverso i canali
telematici mesi a disposizione dall’Istituto medesimo.
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Nel caso di congedo facoltativo, il padre lavoratore allega alla richiesta una
dichiarazione della madre di non fruizione del congedo di maternità a lei spettante per un
numero di giorni equivalente a quello fruito dal padre, con la conseguente riduzione del
congedo medesimo. La predetta documentazione dovrà essere trasmessa anche al datore di
lavoro della madre.
I congedi di cui ai commi 2 e 3, dell’art. 1 [quello obbligatorio e quello facoltativo,
n. d. a.], non possono essere frazionati ad ore.”
Il lavoratore deve dunque assolvere alla sola incombenza di comunicare al
proprio datore di lavoro i periodi di assenza dal servizio, il quale ultimo, a sua volta,
dovrà prendersi carico di tutti i collegamenti con l’INPS.
Per quanto riguarda la relazione sussistente tra il termine di preavviso e la data
presunta del parto, espressamente citato dalla norma, appare evidente l’intento del
legislatore di consentire la fruizione dei congedi anche subito dopo la nascita del figlio, nel
presupposto che anche durante i primi giorni di vita le cure parentali siano evidentemente
necessarie.
Sulla base di conclamate situazioni analoghe, salvo i casi di forza maggiore, non
sembra potersi rinvenire, in capo al datore di lavoro, un potere di diniego dei congedi di che
trattasi, dal momento che la cura del bambino, da realizzare mediante la condivisione dei
compiti in un momento così fondamentale della sua vita, ha una valenza primaria su cui è
impergnato (la circostanza è stata già messa nella dovuta evidenza nel corso della
trattazione) l’intero assetto della tutela del complesso istituto lavoristico-previdenziale della
maternità/paternità.
La portata del nuovo intervento legislativo (continua): i benefici a favore della madre
Il “Decreto sviluppo” prevede due agevolazioni a favore della madre lavoratrice,
entrambe facoltative ed alternative, sia fra di loro, sia con il congedo parentale previsto
dall’art. 32, comma 1, lettera a), del “Testo Unico più volte citato (si tratta, in particolare,
del periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi): al termine del periodo di
congedo di maternità e negli undici mesi successivi , la madre lavoratrice può chiedere un
contributo utilizzabile o per l’acquisto di servizi di baby-sitting, ovvero per fare fronte agli
oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, da
richiedere al datore di lavoro.
Sotto l’aspetto quantitativo, il beneficio consiste nella corresponsione di una somma
pari a 300 euro mensili, per un massimo di sei mesi in base alla richiesta della lavoratrice
interessata e potrà essere erogata, non in ogni caso, bensì nei limiti delle risorse all’uopo
stanziate, così come stabilito dall’art. 10 del decreto interministeriale del 22 dicembre 2012,
20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, che graverà sul “Fondo per il
finanziamento di interventi in termini quantitativi e qualitativi a favore dell’incremento
dell’occupazione giovanile e delle donne”, istituito dall’art. 24, comma 27, del decreto legge
6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Al monitoraggio dell’andamento della spesa provvederà l’INPS, che dovrà inoltre
comunicarne le risultanze “ … omissis … al Ministero del lavoro e delle politiche sociali
e al Ministero delle finanze anche al fine di una eventuale revisione dei criteri di accesso a
delle modalità di utilizzo del beneficio per gli anni di sperimentazione successivi al primo.”
(art. 10, comma 3, del più volte citato decreto interministeriale).
Per quanto appena illustrato, a differenza del congedo parentale ante litteram, il
contributo in questione non si qualifica perciò come una prestazione previdenziale,
bensì come una prestazione di natura assistenziale.
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Per accedere all’uno o all’altro dei benefici, la madre lavoratrice deve presentare
apposita domanda all’INPS tramite i consueti canali telematici e secondo le modalità
tecnico-operative che dovranno essere stabilite dallo stesso Istituto previdenziale: al
momento in cui si scrive non risulta peraltro che ciò sia avvenuto.
Nella domanda dovrà inoltre essere indicato a quale delle due opzioni la madre
lavoratrice intende accedere. Dal momento che la fruizione dei benefici in questione
comporta la riduzione di altrettante mensilità dei congedi parentali, l’istante dovrà indicare
altresì il numero delle mensilità di cui intende fruire: la lavoratrice potrebbe infatti avere
interesse ad utilizzare il congedo parentale in luogo dell’acquisto dei servizi per l’infanzia.
Si può anche verificare che la madre lavoratrice abbia già utilizzato integralmente il
periodo di congedo parentale di cui all’art. 32 del Testo unico: ricordiamo a tale riguardo
che la medesima, trascorso il periodo previsto per l’astensione obbligatoria dopo il parto
(ossia a partire dal primo giorno del quarto mese successivo alla nascita del figlio, salvo
possibili proroghe), può fruire entro l’ottavo anno di età del bambino (e, cioè, fino al giorno,
compreso, dell’ottavo compleanno) di un periodo di congedo parentale, continuativo o
frazionato, non superiore a 6 mesi.
Ricorrendo tale evenienza, la madre non avrà titolo per beneficiare del contributo per
l’acquisto dei servizi per l’infanzia: in tal senso va interpretato, sia pure in via deduttiva,
l’art. 4, comma 2, del decreto interministeriale 22 dicembre 2012, laddove si recita che “La
richiesta può essere presentata anche dalla lavoratrice che abbia già fruito in parte del
congedo parentale.”
Atteso inoltre che l’erogazione del contributo di cui si discorre è riconosciuto, come
già sottolineato, nei limiti delle risorse disponibili, “le domande dovranno essere
presentate nel corso dello spazio temporale, unico a livello nazionale, i cui termini
iniziale e finale saranno fissati dall’INPS, che provvederà a darne adeguata, preventiva
comunicazione attraverso i diversi canali informativi disponibili. All’esito del monitoraggio
di cui in premessa, l’INPS potrà valutare, per gli anni 2014 e 2015, un eventuale
frazionamento delle procedure di ammissione ai benefici, con conseguenziale correlato
frazionamento delle risorse disponibili nell’anno considerato.” (art. 6, comma 2, del decreto
interministeriale del 22 dicembre 2012).
Possono partecipare ai bandi, oltre alle lavoratrici i cui figli siano già nati, anche
quelle per le quali la data presunta del parto sia fissata entro quattro mesi dalla scadenza del
bando medesimo (art. 6, comma 3, del decreto interministeriale del 22 dicembre 2012).
Il successivo comma 4 prevede inoltre che “Il beneficio di cui agli articoli 4 e 5
[quelli relativi al servizio di baby-sitting o per far fronte agli oneri della rete pubblica dei
servizi per l’infanzia, n. d. a]) è riconosciuto nei limiti delle risorse indicate all’art. 10,
comma 1 [rubricato con il titolo di “Monitoraggio delle spesa e copertura finanziaria, n. d.
a.] per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, sulla base della graduatoria nazionale che
terrà conto dell’indicatore della situazione economica equivalente del nucleo familiare di
appartenenza (ISEE) con ordine di priorità per i nuclei familiari con ISEE di valore inferiore
e, a parità di ISEE, secondo l’ordine di presentazione.
Le graduatorie saranno pubblicate dall’INPS entro quindici giorni dalla scadenza del
bando.
Entro i successivi quindici giorni, le lavoratrici utilmente collocate in graduatoria, le
quali abbiano optato per il contributo al servizio di baby-sitting, potranno recarsi presso le
sedi dell’INPS per ricevere i voucher richiesti.”
L’art. 7 del più volte citato decreto interministeriale del 22 dicembre 2012, ai commi
1, 2 e 3, prevede tuttavia alcune esclusioni, la prima delle quali riguarda le madri lavoratrici
che, relativamente al figlio per il quale intendano usufruire del beneficio, risultino esentate
totalmente dal pagamento della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati
convenzionati.
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La norma nulla prevede circa l’ipotesi dell’esenzione parziale, per cui è da ritenere
che, ricorrendo tale circostanza, la lavoratrice possa beneficiare del contributo in misura
ridotta.
Staremo in che modo l’INPS affronterà il problema.
La seconda esclusione concerne le lavoratrici che già fruiscono, sempre
relativamente ai figli per i quali sono richiesti i contributi, dei benefici di cui al “Fondo per
le politiche relative ai diritti ed alle pari opportunità”, istituito dall’art. 19, comma 3, del
decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248. Detto per la
cronaca, il Fondo ha gli specifici compiti di promuovere interventi per favorire la
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, di promuovere iniziative di contrasto dei
fenomeni di tratta e grave sfruttamento, e di assolvere altre incombenze che in questa sede
non sembra il caso di elencare.
La terza e la quarta sono afferenti al riproporzionamento del beneficio in caso di
rapporto di lavoro a tempo parziale della madre e della previsione della riduzione a tre mesi
del contributo a favore delle lavoratrici iscritte alla gestione separata, rispettivamente:
entrambi gli argomenti sono stati trattati in premessa, per cui, allo scopo di non ripeterci,
facciamo essi rinvio.
Il comma 4, infine, regolamenta un caso di decadenza dal contributo per l’acquisto
dei servizi per l’infanzia qualora venga riconosciuto, successivamente all’ammissione al
contributo medesimo, il diritto all’esenzione totale dal pagamento della rete pubblica dei
servizi per l’infanzia o dei servizi privati convenzionati. Per espressa previsione normativa,
la decadenza medesima riguarda il solo periodo successivo alla data del riconoscimento
dell’esenzione, senza peraltro che il soggetto che ne abbia eventualmente beneficiato sia
tenuto a restituire le somme percepite precedentemente.
In caso di opzione per il servizio di baby-sitting, la prestazione verrà dunque erogata
attraverso il sistema dei buoni lavoro (cc. dd. “vouchers”) regolamentato dall’art. 72 del
decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, mentre in ipotesi di scelta della rete pubblica
di servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, il beneficio consisterà nel pagamento
diretto alla struttura prescelta, fino a concorrenza del predetto importo di 300 euro mensili e
dietro esibizione da parte della struttura della documentazione attestante l’effettiva fruizione
del servizio (art. 5, comma 2, del decreto interministeriale del 22 dicembre 2012).
Per quanto concerne i buoni lavoro, si pone questione circa la possibile ulteriore
qualificazione, anche per essi, di “vouchers orari”, introdotta dall’art. 1, comma 32, lettera
b), della legge 28 giugno 2012, n. 92, per la generalità di detti buoni: dall’impianto della
nuova previsione normativa sembrerebbe di poter fornire al quesito una risposta negativa,
visto anche che l’unico riferimento alla legge istitutiva dei vouchers (l’art. 72 del decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276) è data dall’art. 5, comma 2, del decreto
interministeriale del 22 dicembre 2012, il quale si limita ad operare un mero rinvio
contenutistico al sistema di erogazione del contributo per l’acquisto dei servizi per l’infanzia
(quello dei buoni lavoro, appunto).
Allo stessa conclusione sembrerebbe portare la circostanza che l’importo dei buoni
sia stato stabilito in misura forfetaria di 300 euro mensili a favore della madre, senza cioè
alcun riferimento ai rapporti intercorrenti tra quest’ultima e la baby-sitter.
Anche in questo caso non resta che attendere i chiarimenti che dovranno essere
adottati da chi di competenza.
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L’art. 8 (rubricato con il titolo di “Procedura per la realizzazione dell’elenco”),
stabilisce infine che “L’NPS provvede alla redazione di apposite istruzioni, pubblicate sul
sito istituzionale www.inps.it, sia per l’istituzione di un elenco delle strutture eroganti
servizi per l’infanzia aderenti alla sperimentazione di cui all’art. 4, comma 24, lettera b),
della legge n. 92/2012 [quella relativa alla rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei
servizi privati accreditati, n. d. a.], sia per le modalità di pagamento dei servizi erogati dalle
strutture medesime.
Successivamente alla pubblicazione, le strutture pubbliche e private accreditate che
abbiano interesse potranno presentare on-line all’INPS domanda di iscrizione nel suddetto
elenco. Quest’ultimo sarà poi pubblicato sul sito istituzionale dell’INPS e sarà liberamente
consultabile.
L’elenco sarà, inoltre, aggiornato in tempo reale ed integrato con la procedura di
domanda on-line delle madri lavoratrici aventi diritto al contributo di cui all’art. 4, comma
24, lettera b), della legge n. 92/2012, al fine di consentire alle madri stesse di visualizzare,
durante la compilazione della domanda on-line, le strutture presenti in elenco.
Nel caso di opzione per il contributo per l’accesso alla rete pubblica dei servizi per
l’infanzia o dei servizi privati accreditati, la lavoratrice, prima della compilazione della
domanda on-line per accedere al beneficio, è tenuta comunque a verificare la disponibilità
dei posti presso la rete pubblica dei servizi per l’infanzia o le strutture private accreditate.”
Considerazioni conclusive
I due compiti appena accennati si manifestano alquanto ardui da assolvere: l’INPS
infatti dovrà adempiere a diverse incombenze in tempi reali e tenere gli archivi automatizzati
costantemente aggiornati; le lavoratrici, dal canto loro, dovranno effettuare la verifica online della disponibilità dei posti presso la rete pubblica dei servizi per l’infanzia o le strutture
private accreditate).
Anche se non sono state stabilite sanzioni nei confronti delle madri negligenti, la
preoccupazione del legislatore è stata quella di evitare la produzione di domande che, in
conseguenza della mancata disponibilità di posti presso determinate strutture, non solo
sarebbero prive di efficacia, ma precluderebbero il soddisfacimento tempestivo delle
richiedenti collocate immediatamente a ridosso nella graduatoria e che potrebbero accedere
ad organizzazioni presso le quali vi siano margini di fruibilità.
Per tali ragioni si appalesa l’opportunità che gli enti di patronato assumano un ruolo
di assistenza a tutto campo, soprattutto nella considerazione che non tutte le richiedenti
siano in possesso della necessaria dimestichezza con le procedure automatizzate, nonostante
la ormai ampia diffusione dell’informatica individuale a tutti i livelli operativi.
Un auspicio che sembra di dover perorare è che le misure di natura sperimentale
diventino un sistema “a regime” (vale a dire che continui ad essere operativo a tempo
indeterminato oltre la scadenza del 31 dicembre del 2015), con ciò volendo sottolineare la
bontà della strada intrapresa dall’ordinamento lavoristico-previdenziale.
Allo stesso tempo l’ulteriore prospettiva è quella di risolvere, in chiave
amministrativa e/o legislativa, le problematiche che sono state sollevate per le poco felici
formulazioni letterali delle tre norme oggetto del presente lavoro.
Francavilla al Mare (CH), lì 11 marzo 2013.
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