Il rifiuto a contrarre come pratica commerciale

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Il rifiuto a contrarre come pratica commerciale
Il rifiuto a contrarre come pratica commerciale anticoncorrenziale alla luce
della normativa antitrust
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. La normativa antitrust comunitaria e nazionale: introduzione e
cenni. – 3. Definizione di posizione dominante e suoi criteri d’individuazione. – 4. Sfruttamento
abusivo della posizione dominante. – 5. Il rifiuto a contrarre come ipotesi di sfruttamento
abusivo di posizione dominante – 6. Il sistema delle tutele a livello comunitario e a livello
nazionale.
1. Nell’ambito della tutela del mercato, sia interno che comunitario, riveste notevole
importanza la c.d. normativa antitrust.
Si tratta di quel complesso normativo posto a tutela del corretto svolgimento della
libera concorrenza tra imprese, all’interno del quale è possibile distinguere due
sottogruppi di disposizioni in ragione dei soggetti che ne sono i principali destinatari:
una prima serie di obblighi e divieti rivolti agli operatori economici del mercato,
finalizzati ad evitare l’insorgenza di comportamenti commerciali anticoncorrenziali
(accordi tra imprese, abuso di posizione dominante, concentrazioni); ed una seconda
serie di obblighi e divieti destinati alle autorità pubbliche, volti ad evitare che
attraverso provvedimenti di carattere economico (i cosiddetti “aiuti di stato”) si creino
situazioni di squilibrio tra le imprese, con effetti di distorsione della libera
concorrenza.
Nel primo dei due sottogruppi considerati, in particolare, come sopra accennato,
obiettivo della normativa è impedire che le imprese, singolarmente o congiuntamente,
pregiudichino la regolare competizione economica (i) adottando condotte che
integrano intese (accordi o pratiche concordate) restrittive della concorrenza, (ii)
abusando della propria posizione dominante nel mercato o (iii) addivenendo a
concentrazioni idonee a creare o rafforzare una posizione di monopolio od oligopolio.
La questione che ci prefiggiamo di affrontare nella presente trattazione ha ad oggetto
un particolare comportamento imprenditoriale che, a determinate condizioni, può
integrare una fattispecie di abuso di posizione dominante con effetti restrittivi della
concorrenza: il rifiuto a contrarre.
Si consideri, nella specie, il rifiuto della società Alfa a stipulare un contratto di
fornitura con altro imprenditore, la società Beta, suo cliente abituale. Quest’ultimo, in
conseguenza del rifiuto a contrarre oppostogli dal fornitore Alfa, si trova in difficoltà
nel reperimento del bene oggetto di fornitura, essenziale per lo svolgimento della
propria attività economica (un componente del prodotto finito realizzato da Beta).
Il comportamento di Alfa, dunque, potrebbe risultare distorsivo della concorrenza,
qualora producesse l’effetto di costringere Beta ad uscire dal mercato in cui vende i
propri prodotti finiti, a causa del venir meno di una primaria fonte di
approvvigionamento.
Si tratta, quindi, di capire a che condizioni il comportamento di Alfa rientri tra le
condotte sanzionate dalla normativa antitrust (in particolare l’abuso di posizione
dominante) e quindi se la situazione di Beta possa trovare tutela.
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2. Fonte principale delle disposizioni a tutela della concorrenza nel diritto italiano è la
L. 287/1990, che all’art. 3 sancisce il divieto per un’impresa che abbia una posizione
dominante nel mercato di abusare di tale propria posizione allo scopo di limitare o
distorcere la concorrenza nel medesimo mercato.
Va precisato che i divieti per le imprese introdotti dalla summenzionata legge sono
stati mutuati dalle norme elaborate in ambito comunitario, ed in particolare dagli artt.
81 e 82 TCE (ora artt. 101 e 102 TFUE1) i quali, specularmente agli artt. 2 e 3 della L.
287/1990, disciplinano i divieti di intese anticoncorrenziali tra imprese (art. 81 TCE) e
l’abuso di posizione dominante (art. 82).
Il campo di applicazione delle due coppie di norme è tuttavia ben distinto: troveranno
applicazione gli artt. 2 e 3 L. 287/1990 qualora il fenomeno incida nel solo mercato
nazionale, mentre gli artt. 81 e 82 TCE si applicano qualora la condotta
anticoncorrenziale abbia una portata transfrontaliera, ossia rechi pregiudizio al
commercio tra Stati membri.
È anche opportuno evidenziare che la L. 287/1990 rinvia ai principi elaborati
dall’ordinamento comunitario per l’interpretazione delle disposizioni in essa
contenute. In particolare l’art. 1, comma 4°, così testualmente recita: “L’interpretazione
delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell’Ordinamento delle
Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza”.
Per comprendere la portata delle norme italiane antitrust, dunque, non si può
prescindere dall’elaborazione giurisprudenziale degli artt. 81 e 82 TCE operata dalla
Corte di Giustizia delle Comunità Europee e dalla prassi applicativa ed interpretativa
della Commissione Europea elaborata nelle proprie comunicazioni esplicative2 e nelle
decisioni emanate in conformità ai poteri che le sono conferiti dal Consiglio3.
Nello specifico del caso oggetto di esame, senza dubbio le norme che entrano in gioco
per verificare l’illiceità della condotta di Alfa sono l’art 3 L. 287/1990 e l’art. 82 TCE,
che disciplinano lo sfruttamento abusivo di posizione dominante, rispettivamente a
livello nazionale e a livello comunitario. Infatti, il rifiuto a contrarre opposto dal
fornitore può determinare una limitazione degli sbocchi e/o della produzione, in
grado di produrre effetti distorsivi della concorrenza a danno degli operatori
economici – e, in ultima analisi, dei consumatori finali – solo se il fornitore in questione
detenga una posizione dominante sul mercato. È chiaro che solo un operatore che gode
di una posizione dominante in un mercato possa permettersi di assumere decisioni
Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea firmato a Lisbona il 12 dicembre 2007, in vigore dal 1°
dicembre 2009, che modifica il Trattato della Comunità Europea, in GUCE C306 del 17 dicembre 2007.
2 Si vedano ad esempio le Linee Guida della Commissione relativa alla nozione di effetti sul commercio
contenuta negli articoli 81 e 82 del Trattato, in GUCE C101 del 27 aprile 2004 e la Comunicazione della
Commissione sulla nozione di mercato rilevante, in GUCE C372 del 09 dicembre 1997.
3 In forza del Regolamento CE n. 1/2003 la Commissione è l’organo deputato a verificare il rispetto da parte
delle imprese della normativa antitrust a livello comunitario. I poteri della Commissione in quest’ambito
includono lo svolgimento di indagini e l’emanazione di decisioni indirizzate alle imprese, che possono
contenere, tra l’altro, l’ingiunzione a porre fine al comportamento accertato come anticoncorrenziale e/o
l’irrogazione di sanzioni.
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commerciali come quella di rifiutarsi di vendere i propri prodotti a determinati
potenziali clienti, senza che tale sua posizione venga intaccata.
3. Si rende quindi necessario procedere a definire il concetto di posizione dominante, ai
sensi della normativa sulla concorrenza.
Nonostante né il TCE né la L. 287/1990 contengano un’espressa definizione di
posizione dominante, la Commissione Europea si è adoperata, sin dall’entrata in
vigore dei trattati comunitari, per specificare tale concetto. Nel proprio Memorandum
sulle concentrazioni del 19654 la Commissione ha affermato che “si deve parlare di
posizione dominante su un dato mercato quando una o più imprese possono influire in maniera
sostanziale sulle decisioni di altri agenti economici mediante una strategia indipendente, in
modo che una concorrenza praticabile e sufficientemente efficace non possa svolgersi né
mantenersi su tale mercato”. Successivamente, anche la Corte di Giustizia5 si è
pronunciata sul punto, giungendo ad elaborare una nozione di posizione dominante
condivisa ed ormai consolidata, a cui fa riferimento, sul piano nazionale, anche
l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato6 (di seguito l’Autorità Garante)7.
In particolare, per posizione dominante, in base a tale definizione ormai consolidata,
s’intende la posizione di potenza economica grazie alla quale l’impresa che la detiene è
in grado di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato in
questione, ed ha la possibilità di tenere comportamenti alquanto indipendenti nei
confronti dei concorrenti, dei clienti e, in ultima analisi, dei consumatori8.
4 Memorandum sulle concentrazioni della Commissione del 1965, Bruxelles, 1966, p. 1183. Cfr. anche Decisione
n. 72/21/CEE, in GUCE, L7, 1972, p. 25: un’impresa si trova in posizione dominante quando può disporre di
un’ampia libertà di comportamento che le permette di agire senza tener conto dei concorrenti, degli
acquirenti o dei fornitori.
5 CGCE, 25 ottobre 1977, in causa 38/77, Metro c. Commissione, in Raccolta, 1977, p. 1875. Successivamente
ribadita da CGCE, 14 febbraio 1978, in causa 27/76, United Brands c. Commissione, in Raccolta, 1978, p. 207.
6 Si tratta di un’autorità indipendente e collegiale istituita con la L. 287/1990, alla quale con la L. n. 215/2004
sono state attribuite competenze anche in materia di pratiche concorrenziali scorrette, pubblicità ingannevole
e compartiva ed in materia di conflitti di interessi. L’Autorità Garante ha il compito di applicare la L. n. 287
del 1990 vigilando: a) sulle intese restrittive della concorrenza; b) sugli abusi di posizione dominante; c) sulle
operazioni di concentrazione che comportano la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante
in modo tale da eliminare o ridurre in misura sostanziale e duratura la concorrenza. L'Autorità Garante ha
anche il compito di applicare le norme contenute nel decreto legislativo n. 145/2007 (attuazione della
direttiva 2005/29/CE) sulla pubblicità ingannevole e comparativa illecita e nel Titolo III, Capo II del decreto
legislativo n. 206 del 2005 (Codice del Consumo), così come modificate dal decreto legislativo n. 146/2007, in
materia di pratiche commerciali scorrette. I principali obiettivi sono: a) assicurare le condizioni generali per
la libertà di impresa, che consentano agli operatori economici di poter accedere al mercato e di competere
con pari opportunità; b) tutelare i consumatori, favorendo il contenimento dei prezzi e i miglioramenti della
qualità dei prodotti che derivano dal libero gioco della concorrenza.
7 Numerose sono le decisioni in cui l’Autorità Garante riprende la definizione di posizione dominante
elaborata a livello comunitario; per citarne alcune AG, 17 dicembre 1998, Consorzio Risposta c/ Ente poste
italiane, in Boll., 1998, p. 51; AG, 2 marzo 1995, De Montis Catering Roma c/ Aeroporti Roma, in Boll., 1995,
p. 5; AG, 24 marzo 1993, Ducati c/ SIP, in Boll., 1993, p. 6.
8 In dottrina si veda diffusamente PAPPALARDO, Il diritto comunitario della concorrenza, Torino, 2007, p. 397 ss.
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È sempre la Commissione ad aver delineato i criteri fattuali che permettono di
individuare quando un’impresa si trovi in posizione dominante: i principali sono (i) il
mercato rilevante in cui essa opera e (ii) la quota di mercato da essa detenuta. Con
riferimento al primo criterio, il mercato rilevante è a sua volta distinto in mercato
merceologico da un lato e mercato geografico dall’altro.
Quanto alla declinazione merceologica della nozione di mercato rilevante, nella
propria Comunicazione sulla definizione del mercato rilevante9, la Commissione
afferma che “il mercato del prodotto rilevante [il mercato merceologico, ndr.] comprende
tutti i prodotti e/o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore
(nel caso di specie dal cliente-imprenditore), in ragione delle caratteristiche dei prodotti, del
prezzo, e dell’uso al quale sono destinati”, mentre “il mercato geografico rilevante comprende
l’area nella quale le imprese in causa forniscono o acquistano prodotti o servizi, nei quali le
condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere tenuta distinta dalle
zone geografiche contigue perché in queste ultime le condizioni di concorrenza sono
sensibilmente diverse”10.
Tali definizioni sono state quindi recepite dall’Autorità Garante, per cui anche al livello
nazionale la nozione di mercato rilevante coincide con quella sopraindicata.
Si evidenzia, infatti, come di recente anche la Corte di Cassazione11 si sia pronunciata
in tal senso affermando che “Ai fini della determinazione del mercato di riferimento o
«mercato rilevante» - operazione preliminare ed imprescindibile per l'accertamento di una
condotta anticoncorrenziale ai sensi dell'art. 3 legge n. 287 del 1990 (c.d. legge antitrust) occorre prendere in considerazione tanto l'estensione geografica in cui l'operazione denunciata
si colloca o sortisce effetti (mercato geografico), quanto l'ambito del prodotto o del servizio che la
medesima operazione investe (mercato del prodotto); per l'individuazione di tale mercato
interessato, sui quali cioè si registra una posizione dominante ed un abuso della medesima,
occorre tenere conto (secondo la «Comunicazione della Commissione sulla definizione del
mercato rilevante ai fini dell'applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza» del
1997) dei parametri ritenuti essenziali dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria, costituiti
dalla sostituibilità della domanda e dalla sostituibilità dell'offerta”.
In altri termini, si è affermato che il mercato del prodotto comprende tutti i prodotti
dotati di un certo grado di sostituibilità dal punto di vista del consumatore,
sostituibilità determinata dalle caratteristiche fisiche dei prodotti, dall’uso al quale
sono destinati e dal prezzo12.
I summenzionati fattori, cioè le caratteristiche fisiche, la destinazione d’uso ed il
prezzo, pur consentendo di individuare il mercato merceologico rilevante, non
possono tuttavia essere valutati in modo assoluto, dovendo invece essere interpretati
Cfr. nota 2.
Comunicazione della Commissione ul. cit.
11 Cass. civ., sez. I, 13 febbraio 2009, n. 3638, in Giust. civ. Mass., 2009, p. 235.
12 In tal senso si leggano CGCE 14 febbraio 1978, in causa 27/76, United Brands c. Commissione, cit., ove viene
specificamente individuato il mercato rilevante in relazione alle caratteristiche e all’utilizzo del prodotto, e
AG 10 aprile 2002, Marinzulich/Tirrenia, in Boll., 1992, 7 in cui assumono rilievo le peculiarità del servizio di
trasporto merci via mare.
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alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, preferenze dei consumatori
comprese13.
La declinazione geografica del mercato rilevante, invece, consiste in quell’area dove le
condizioni di concorrenza dei prodotti considerati sono sufficientemente omogenee e
tali da distinguere la zona in esame da aree contigue caratterizzate da condizioni di
concorrenza diverse. Anche in questo caso il criterio determinante è la sostituibilità
dell’offerta; pertanto, se in presenza di una variazione di prezzo di un certo prodotto si
registra uno spostamento della domanda verso altro fornitori provenienti da una zona
contigua e la capacità degli stessi fornitori a soddisfare tale domanda, questa zona
dovrà essere compresa nel mercato geografico rilevante.
Il mercato rilevante geografico sarà quindi tanto più ristretto quanto più sono presenti
fattori che limitano la capacità delle imprese appartenenti a diverse aree geografiche di
soddisfare le domande del prodotto considerato14.
I sopra indicati principi hanno trovato applicazione pratica tanto a livello
comunitario15 quanto a livello nazionale16.
Individuato il mercato rilevante in cui opera l’impresa, per verificare se essa detenga
una posizione dominante al suo interno si dovrà procedere al calcolo della quota di
mercato che essa detiene. Anche questo criterio, elaborato a livello comunitario, è stato
utilizzato dall’Autorità Garante.
La quota di mercato dovrà essere considerata sia nel suo aspetto assoluto che in quello
relativo17. Infatti, una quota assai elevata (es. superiore all’80%) farà presumere la
presenza di una posizione dominante18. Diversamente, per percentuali inferiori (es.
30% o 40%) bisognerà valutare, caso per caso, le effettive quote di mercato controllate
dai concorrenti, e qualora queste risultino notevolmente inferiori a quelle dell’impresa
esaminata, verrà a delinearsi una posizione dominante.
Invero non è necessario, affinché un’impresa detenga una posizione dominante, che vi
sia un oligopolio o un monopolio di fatto: non occorre cioè che sia stata eliminata ogni
concorrenza, bastando la possibilità per una o più imprese di eliminare dal mercato, a
proprio piacimento, le imprese concorrenti19.
Cfr. in dottrina PAPPALARDO, op. cit., p. 412 ss.
Cfr. in dottrina PAPPALARDO, op. cit., p. 431 ss.
15 Cfr. CGCE 13 febbraio 1979, in causa 85/76, Hoffmann-la Roche c. Commissione, in Raccolta, 1979, p. 461 e
CGCE 9 novembre 1983, in causa 322/81, Michelin c. Commissione, in Raccolta, 1983, p. 3461.
16 Cfr. AG 31 ottobre 1996, Associazione italiana Calciatori / Panini, in Boll., 1996, p. 44.
17 Per una valutazione assoluta della quota di mercato si legga AG 2 maggio 1996, Costituzione rete dealers /
GSB, in Boll., 1996, p. 18. Per una valutazione relativa della quota di mercato si legga AG 29 luglio 1996,
Ciba/Pioneer, in Boll., 1996, p. 31.
18 In tal senso TPG 06 ottobre 1994, in causa T-83/91, Tetra Pak c. Commissione, 1994, in Racc. II-762.
19 In tal senso CGCE, 14 febbraio 1978, in causa 27/76, United Brands c. Commissione, cit. In modo simile anche
CGCE, 13 febbraio 1979, in causa 85/76, Hoffman-La Roche c. Commissione, cit. secondo cui la posizione di
potenza economica in cui si concreta la posizione dominante “a differenza di una situazione di monopolio o di
quasi monopolio, non esclude l’esistenza di una certa concorrenza, ma pone l’impresa che la detiene in grado, se non di
decidere, almeno di influire notevolmente sul modo in cui si dovrà svolgere detta concorrenza e, comunque, di
comportarsi senza doverne tenere conto e senza che, per questo, simile condotta le arrechi pregiudizio”.
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Conclusivamente, va sottolineato che i criteri del mercato rilevante e della quota di
mercato, sebbene principali, non siano gli unici che guidano nell’individuazione della
posizione dominante.
Altri fattori da prendere in considerazione sono: la struttura dell’impresa, il numero e
la forza dei concorrenti, la presenza di barriere all’entrata, l’esistenza di vantaggi
tecnologi o finanziari detenuti dall’impresa20.
4. Il funzionamento del mercato non è distorto, di per sé, dal fatto che un’impresa
raggiunga grandi dimensioni. Talvolta, per operare in modo efficiente, è necessario
essere attivi su larga scala e in più mercati. Inoltre, un’impresa può crescere proprio
grazie al comportamento “virtuoso” sul mercato, offrendo prodotti che meglio di altri,
per il prezzo o per la qualità, soddisfano le esigenze dei consumatori.
La legge quindi non vieta la posizione dominante in quanto tale, ma pone dei vincoli ai
possibili comportamenti di un’impresa che si trova in questa posizione.
Infatti, sia l’art. 82 T.C.E. sia l’art. 3 della L. 287/1990 vietano lo sfruttamento abusivo
(abuso) di siffatta posizione21. In tal senso si esprime anche la Corte di Giustizia22
affermando che “la constatazione dell’esistenza di una posizione dominante non comporta di
per sé alcun addebito nei confronti dell’impresa interessata, ma significa solo che questa,
indipendentemente dalla causa di tale posizione, è tenuta in modo particolare a non
compromettere col suo comportamento lo svolgimento della concorrenza effettiva e non falsata
nel mercato comune”.
Così come per la definizione di posizione dominante, anche per l’abuso di quest’ultima
né il Trattato né la legge n. 287 del 1990 forniscono una definizione23.
Ricorrendo quindi alla giurisprudenza ed alla prassi applicativa, si può notare che lo
sfruttamento abusivo della posizione dominante è stato individuato nel
“comportamento dell’impresa in posizione dominante atto ad influire sulla struttura di un
mercato in cui, proprio per il fatto che vi opera detta impresa, il grado di concorrenza è già
In dottrina per la definizione e la determinazione della quota di mercato cfr. PAPPALARDO, cit., p. 453 ss.
In generale sul tema del risarcimento dei danni da sfruttamento abusivo di posizione dominante v.
NIVARRA, La tutela civile: profili sostanziali, in FRIGNANI, PARDOLESI, PATRONI GRIFFI, UBERTAZZI (a cura di),
Diritto Antitrust italiano, 1993, II, p. 1449 ss.; TOFFOLETTO, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per
la violazione della normativa antitrust, 1996; BASTIANON, Abuso di posizione dominante e risarcimento del danno, in
Danno e resp., 2003, p. 1215 ss.; ID., Violazione della normativa antitrust e risarcimento del danno, in ivi, 1996, p.
555 ss.; ID., Antitrust e risarcimento del danno: atto secondo, ivi, 1997, p. 602 ss.; ID., Il risarcimento del danno per
violazione della normativa antitrust in Inghilterra e in Italia, ivi, 1998, p. 1066 ss.; ID., Antitrust e risarcimento del
danno tra Cassazione e giurisprudenza di merito, ivi, 2001, p. 291; OSTI, Abuso di posizione dominante e danno
risarcibile, ivi, 1996, p. 105 ss.; CARBONE, Abuso di posizione dominante, rifiuto della prestazione e provvedimento
d’urgenza, in Corr. giur., 1995, p. 338 ss.; CORONGIU, Nota sul tema dell’abuso di posizione dominante, in Giur. it.,
2001, p. 1 ss.
22 CGCE, 9 novembre 1983, in causa 322/81, Michelin c. Commissione, cit.
23 L’Autorità Garante, nella propria Relazione annuale sulla politica di concorrenza del 30 aprile 1991 ha rilevato
che la legge nazionale, così come l’art. 82 TCE, non fornisce una definizione di posizione dominante o di
abuso della stessa e che riguardo a tali concetti si presentano, sia a livello nazionale sia a livello comunitario,
rilevanti incertezze interpretative, per l’assenza di criteri di riferimento sufficientemente precisi ed oggettivi.
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sminuito”24. Tale comportamento ha come effetto “di ostacolare, ricorrendo a mezzi diversi
da quelli su cui si impernia la concorrenza normale tra prodotti e servizi, fondata sulle
prestazioni degli operatori economici, la conservazione del grado di concorrenza ancora esistente
sul mercato o lo sviluppo di detta concorrenza”25.
5. Ebbene, nella fattispecie in esame sembra potersi individuare un’ipotesi di
sfruttamento abusivo di posizione dominante mediante il rifiuto a contrarre opposto
dal fornitore ad un suo cliente abituale. L’atto unilaterale con cui l’impresa in
posizione dominante si rifiuta di contrarre può, infatti, produrre effetti
anticoncorrenziali quali la limitazione degli sbocchi, espressamente prevista sia
dall’art. 82, comma 2°, lett. b) TCE che dall’art. 3, comma 1, lett. b) L. 287/199026.
In dottrina27 si è evidenziato in primo luogo che, per integrare un comportamento
abusivo, non è necessario che l’impresa in posizione dominante abbia
intenzionalmente voluto limitare la concorrenza del proprio cliente abituale. Dovrà
pertanto considerarsi abusivo il rifiuto a contrarre opposto dall’impresa in posizione
dominante, pur in assenza di un disegno volto all’estromissione di un concorrente dal
mercato, quando tale comportamento determini, nei fatti, un effetto anticoncorrenziale.
In secondo luogo si è sottolineato che, se da una parte vi è la libertà di ciascun
operatore economico di scegliere i propri contraenti, dall’altra tale facoltà di scelta non
spetta all’impresa in posizione egemone in tutti quei casi nei quali la decisione di non
rifornire un determinato cliente è finalizzata, più o meno esplicitamente, ad
estromettere quest’ultimo dal mercato in vista di un rafforzamento della propria
posizione di forza28.
Va precisato, inoltre, che l’abuso di posizione dominante attuato mediante rifiuto a
contrarre ha una connotazione c.d. “verticale”: colpisce infatti necessariamente due
mercati, il mercato “a monte”, quello del prodotto venduto dal fornitore in posizione
dominante, in cui si attua l’abuso e si riscontra l’effetto distorsivo della concorrenza, ed
il mercato “a valle”, quello del prodotto venduto dall’acquirente rifiutato, ove si
verifica il solo effetto anticoncorrenziale.
Pertanto, affinché vi possa essere un abuso di posizione dominante sanzionato dalla
normativa antitrust è necessario che il fornitore operi in entrambi i mercati, i quali
solitamente sono tra loro collegati: in quello del prodotto che egli si rifiuta di fornire –
mercato nel quale detiene una posizione dominante – ed anche in quello del prodotto
realizzato dall’acquirente escluso - mercato del quale egli cerca di accaparrarsi una
quota.
Tanto la giurisprudenza comunitaria quanto quella nazionale si sono più volte
pronunciate sullo sfruttamento abusivo di posizione dominante mediante rifiuto
CGCE, 13 febbraio 1979, in causa 85/76, Hoffamn-La Roche c.Commissione, cit.
Ibidem. Nello stesso senso CGCE, 11 dicembre 1980, in causa 31/80, L’Oreal c. Commissione, in Raccolta,
1980, p. 3775. In dottrina cfr. PAPPALARDO, op.cit., p. 472 ss.
26 Cfr. PAPPALARDO, op. cit., p. 524 ss.
27 BASTIANON, L’abuso di posizione dominante, in Dir. priv. oggi, Milano, 2001, p. 205.
28 BASTIANON, op.cit., p. 232.
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unilaterale di contrarre con potenziali clienti. Una decisione emblematica per il tema in
esame è stata la sentenza del Corte di Giustizia nel noto caso c.d. “Chiquita”29. In quella
sede il giudice comunitario ha considerato abusivo il fatto che l’impresa in posizione
dominante avesse deciso di sospendere le forniture ad un vecchio cliente, “reo”
soltanto di aver partecipato alla campagna promozionale di un prodotto concorrente.
Nella sentenza si legge che “un’impresa la quale detenga una posizione dominante per la
distribuzione di un dato prodotto e che goda del prestigio di un marchio noto e apprezzato dai
consumatori non ha facoltà di sospendere le forniture a un vecchio cliente, ligio agli usi
commerciali, se gli ordini di detto cliente non presentano alcunché di normale. … Omissis… il
rifiuto di vendita limita gli sbocchi a danno dei consumatori e provoca una discriminazione che
può spingersi fino all’eliminazione di un operatore commerciale dal mercato considerato”.
Considerazioni sostanzialmente analoghe si leggono nella pronuncia sul caso
Commercial Solvent Corporation30, relativa all’abuso di posizione dominante da parte
di un produttore di materie prime che, allo scopo di entrare sul mercato dei prodotti
finiti, si rifiutava di rifornire un proprio cliente, anch’esso fabbricante di prodotti
finiti31. Nello stesso senso si è espressa la Commissione nella propria Decisione
8.12.1977 sul caso Hugin/Lipton32, ove si legge che “il comportamento di Hugin [rifiuto
di fornire i pezzi di ricambio dei registratori di cassa, n.d.r.] costituisce un abuso in
quanto … Lipton era, per quanto riguarda i pezzi di ricambio, un loro cliente di primaria
importanza da oltre dodici anni, e il rifiuto di fornire i pezzi di ricambio ha avuto l’effetto di
eliminare un importante concorrente nel settore dei servizi di assistenza, manutenzione e
riparazione su una parte sostanziale del mercato comune”.
In ambito nazionale, anche l’Autorità Garante si è più volte pronunciata sulla
fattispecie del rifiuto a contrarre. Si menzionano i casi 3C Communications33, in cui è
stato dichiarato illecito il rifiuto della SIP di concedere a 3C Communications nuove
linee telefoniche, A.i.s./A.T.I./Italkali34, in cui il principale produttore di sale si era
assicurato il rispetto della clausola di acquisto esclusivo da parte dei propri clienti
mediante la minaccia dell’interruzione delle forniture e, talvolta, mediante l’effettiva
interruzione delle stesse, Sign/Stet-Sip35, in cui è stato giudicato abusivo il rifiuto
opposto da Stet di fornire a Sign l’elenco generale degli abbonati telefonici su cd-rom,
impedendo così a quest’ultima di commercializzare un nuovo prodotto telefonico,
Compagnia portuale di Brindisi36, in cui è stato ritenuto abusivo il rifiuto della
CGCE 14 febbraio 1978, in causa 27/76, United Brands c. Commissione, cit.
CGCE 6 marzo 1974, in cause 6 e 7/73, Commercial Solvent corporation c. Commissione, in Raccolta, 1974, p. 23.
31 CGCE 6 marzo 1974, in cause 6 e 7/73, Commercial Solvent corporation c. Commissione, cit.: “Il detentore di una
posizione dominante sul mercato delle materie prime che, nell’intento di riservare tali materie alla propria produzione di
prodotti finiti, rifiuti di rifornire un proprio cliente, anch’esso fabbricante di prodotti finiti, col rischio di eliminare del
tutto dal mercato il cliente e concorrente, ai sensi dell’art. 82 TCE sfrutta in modo abusivo la propria posizione
dominante”.
32 Decisione 78/68/CEE dell’8 dicembre 1977, in GUCE L22, 1978, pp. 23-25.
33 AG 4 marzo 1992, 3C Communications, in Boll., 1992, p. 5.
34 AG 11 febbraio 1994, A.I.S. / A.T.I. /Italkali, in Boll., 1994, pp. 6-7.
35 AG 27 aprile 1995, Sign/Stet – Sip, in Boll., 1995, p. 17.
36 AG 11 aprile 1996, Compagnia portuale di Brindisi, in Boll., 1996, p. 28.
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Compagnia portuale di Brindisi di fornire manodopera ad un’impresa sua diretta
concorrente sul mercato, distinto ma contiguo, dello svolgimento delle operazioni
portuali.
Da quanto sopra emerge chiaramente che il rifiuto a contrarre opposto da un’impresa
in posizione dominante è da considerarsi abusivo, e quindi illecito, ogni qualvolta sia
in grado di eliminare del tutto la concorrenza esercitata dall’impresa esclusa.
6. Merita a questo punto di essere affrontato il tema del sistema di tutele avverso
l’abuso di posizione dominante. Nel concreto, come possa il contraente “rifiutato” far
valere le proprie ragioni nei confronti dell’operatore economico che si rifiuta di
contrarre, sfruttando abusivamente la propria posizione dominante nel mercato.
Preliminarmente, è opportuno svolgere brevi cenni sulle modalità attraverso le quali
vengono accertati i comportamenti anticoncorrenziali da parte delle pubbliche
autorità: la distorsione della concorrenza, infatti, sia a livello comunitario che
nazionale, viene ritenuta un pregiudizio al commercio con effetti sia sulla collettività
imprenditoriale che sui consumatori. Le norme che disciplinano tale accertamento
sono, a livello comunitario, il Regolamento (CE) 1/ 2003 e, nell’ordinamento italiano, la
stessa L. 287/1990.
Qualora l’abuso di posizione dominante ricada nell’ambito europeo, la Commissione,
d’ufficio o su iniziativa di chi vi abbia interesse, attiva una prima fase di indagine
preliminare.
Se all’esito delle indagini la Commissione accerti l’esistenza di elementi che
giustificano l’apertura di una procedura d’infrazione, invia all’impresa una
comunicazione di addebiti con cui inizia formalmente la procedura d’infrazione.
Diversamente, trasmette all’impresa una lettera di archiviazione (c.d. comfort letter) ed i
soggetti denuncianti possono, in forza del Reg. (CE) 773/200437, conoscere le
motivazioni a base della decisione e presentare osservazioni scritte.
Nell’ipotesi in cui sia accertata l’infrazione, la procedura si conclude con una decisione,
attraverso la quale si impongono all’impresa rimedi comportamentali (obblighi di
facere o di non facere) o strutturali, e possono venire inflitte sanzioni pecuniarie.
Nel caso in cui rilevi un pregiudizio grave e irreparabile alla concorrenza, la
Commissione può, altresì, disporre d’ufficio misure cautelari prima dell’emanazione
della propria decisione conclusiva (art. 8 Reg. 1/2003).
Se invece l’abuso di posizione dominante ha una portata limitata al territorio italiano,
la competenza, per quanto riguarda i profili pubblicistici della tutela, spetta
all’Autorità Garante.
Peraltro, l’Autorità Garante è competente38 a conoscere della violazione sia del diritto
comunitario antitrust che di quello nazionale e potrà quindi adottare, d’ufficio o su
37 Regolamento (CE) n. 773/2004 della Commissione del 7 aprile 2004 relativo ai procedimenti svolti dalla
Commissione a norma degli artt. 81 e 82 del Trattato CE, in GUCE, L 123, 27 aprile 2005, p. 18.
38 Art. 5 Reg. CE 1/2003.
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richiesta di parte, decisioni analoghe a quelle di competenza esclusiva della
Commissione.
Il soggetto39 che si ritenga leso potrà, quindi, rivolgersi per ottenere provvedimenti
analoghi a quelli sopra indicati all’Autorità Garante, la quale aprirà un’istruttoria
finalizzata ad accertare se vi siano state violazioni della normativa sulla concorrenza.
In ogni caso, al fine di evitare sovrapposizioni tra gli organi di controllo, l’art. 11 Reg.
CE 1/2003 prevede un meccanismo di coordinamento che assicura alla Commissione
un ruolo primario40. Tale norma prevede, infatti, che la Commissione debba essere
informata per iscritto dell’avvio di una procedura e dell’adozione di un
provvedimento finale da parte delle autorità nazionali e possa avocare a sé un
procedimento già avviato da quest’ultima. Inoltre, mentre l’avvio di una procedura
d’infrazione da parte della Commissione priva di competenza le autorità garanti
nazionali, diversamente, l’avvio di una procedura da parte di un’autorità nazionale
non priva di competenza la Commissione, la quale ha, tuttavia, l’onere di consultare
l’autorità nazionale prima di avviare il proprio procedimento.
Qualora l’Autorità Garante ravvisi gli elementi di una presunta infrazione, notifica
l’apertura dell’istruttoria all’impresa. Ai sensi dell’art. 15 L. 287/90, una volta conclusa
la fase istruttoria ed accertate le infrazioni degli artt. 2 o 3 della suindicata legge,
l’autorità garante fissa un termine per l’eliminazione delle stesse. L’Autorità Garante
può altresì comminare una sanzione amministrativa pecuniaria pari al 10% del
fatturato dell’impresa e, nei casi di reiterata inottemperanza, può disporre la
sospensione dell’attività intrapresa fino a trenta giorni. Si rileva, tuttavia, che l’autorità
non ha “il potere di emanare atti costitutivi di rapporti di diritto privato dovendo essa limitarsi
solo ad impartire un ordine che le parti dovranno poi eseguire”41.
Pertanto, nel caso di specie, percorrendo la via della tutela amministrativa si potrà
mirare ad ottenere un ordine d’interruzione della pratica abusiva ed una sanzione
pecuniaria, non invece l’imposizione da parte dell’Autorità Garante di un obbligo a
contrarre.
Tuttavia, le forme di tutela per l’impresa che si ritenga pregiudicata da un
comportamento abusivo di un’altra impresa in posizione dominante non sono limitate
ad un’istanza alle autorità di vigilanza (Commissione ed Autorità nazionali), le quali,
in quanto finalizzate a proteggere gli interessi pubblici della concorrenza, non possono
fornire all’impresa istante un ristoro diretto dei danni subiti.
39 In realtà il deunciante potrà essere un’impresa che si ritenga danneggiata dal comportamento contestato;
una pubblica amministrazione; ovvero un privato cittadino.
40 Ai sensi dell’art. 11 Reg. 1/2003 la Commissione deve essere informata per iscritto dell’avvio di una
procedura e dell’adozione di un provvedimento finale da parte delle autorità nazionali e può avocare a sé un
procedimento già avviato da quest’ultima. Inoltre, mentre l’avvio di una procedura di infrazione da parte
della Commissione priva di competenza le autorità garanti, diversamente, l’avvio di una procedura da parte
di un’autorità, non priva di competenza la Commissione , la quale ha tuttavia l’onere di consultare l’autorità
nazionale prima di avviare il proprio procedimento. Pertanto, pur in presenza di un procedimento
amministrativo, come anche giudiziario, la Commissione ha quindi competenza a conoscere l’infrazione.
41 TAVISSI, SCUFFI, Diritto processuale antitrust, Milano, 1998, p. 163.
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L’impresa potrà anche rivolgersi all’autorità giudiziaria nazionale per tutelare
posizioni di natura privatistica, come ad esempio il risarcimento del danno42, la
rifusione delle spese e la possibilità di ottenere provvedimenti cautelari.
In primo luogo, è opportuno definire il meccanismo di coordinamento tra l’autorità
amministrativa e l’autorità giudiziaria. È opinione ormai consolidata che nei rapporti
tra autorità garante e giudice ordinario operi un sistema c.d. binario, fondato
sull’autonomia dei rispettivi procedimenti43. Pertanto, nel caso di specie, si potrà
ricorrere sia all’Autorità Garante sia al giudice ordinario, senza alcun rischio
d’inammissibilità per pregiudizialità o sospensione del procedimento davanti al
giudice.
In secondo luogo, va evidenziato che, in forza del principio di c.d. competenza
esclusiva44, spetta ai giudici nazionali il compito di garantire ai singoli la tutela
giurisdizionale delle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta. Da ciò deriva
che, in caso di violazione del diritto comunitario della concorrenza, i singoli e le
imprese avranno accesso “a tutti i rimedi giuridici previsti dalla legislazione nazionale alle
stesse condizioni che si applicano in caso di violazioni del diritto nazionale corrispondente”45.
Si rileva, tuttavia, che i criteri di competenza giurisdizionale sono diversi a seconda
che si lamenti la violazione della normativa comunitaria o di quella nazionale46. Infatti,
le norme antitrust comunitarie possono essere applicate dal giudice individuato
secondo gli usuali criteri di competenza territoriale e per valore definitivi dal codice di
rito, mentre la competenza a conoscere le azioni civili fondate su azioni antitrust
42 In generale sul tema del risarcimento dei danni da sfruttamento abusivo di posizione dominante v.
NIVARRA, La tutela civile: profili sostanziali, in FRIGNANI, PARDOLESI, PATRONI GRIFFI, UBERTAZZI (a cura di),
Diritto Antitrust italiano, 1993, p. 1449 ss.; TOFFOLETTO, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la
violazione della normativa antitrust, 1996; BASTIANON, Abuso di posizione dominante e risarcimento del danno, in
Danno e resp., 2003, p. 1215 ss.; ID., Violazione della normativa antitrust e risarcimento del danno, in ivi, 1996, p.
555 ss.; ID., Antitrust e risarcimento del danno: atto secondo, ivi, 1997, p. 602 ss.; ID., Il risarcimento del danno per
violazione della normativa antitrust in Inghilterra e in Italia, ivi, 1998, p. 1066 ss.; ID., Antitrust e risarcimento del
danno tra Cassazione e giurisprudenza di merito, ivi, 2001, p. 291; OSTI, Abuso di posizione dominante e danno
risarcibile, ivi, 1996, p. 105 ss., CARBONE, Abuso di posizione dominante, rifiuto della prestazione e provvedimento
d’urgenza, in Corr. giur., 1995, p. 338 ss.; CORONGIU, Nota sul tema dell’abuso di posizione dominante, in Giur. it.,
2001, p. 1 ss.
43 TAVISSI, S CUFFI, op.cit., pp. 174-175. La giurisdizione dell’Ago prescinde dall’esistenza o meno di un
provvedimento dell’Autorità garante e dall’impugnazione del medesimo, sottolineandosi l’ininfluenza sulla
competenza della Corte d’appello di parallele iniziative assunte presso altre autorità amministrative attesa
l’intrinseca diversità delle azioni fatte valere nelle diverse sedi e la conseguente diversità di tutela che dal
loro accoglimento deriverebbe.
44 BASTIANON, op.cit., p. 313.
45 Relazione sulla politica di concorrenza 1993, in GUCE, C 39, 1993, p. 6. I giudici nazionali devono garantire
ai soggetti giuridici comunitari il diritto a misure provvisorie, alla cessazione, tramite ingiunzioni, della
violazione di diritto comunitario della concorrenza di cui sono vittime e al risarcimento dei danni subiti a
causa di tale violazione, qualora siffatti rimedi giuridici siano esperibili in procedure analoghe di diritto
nazionale.
46 Le norme antitrust comunitarie possono essere applicate dal giudice individuato secondo gli usuali criteri
di competenza territoriale e per valore mentre, a conoscere le azioni civili fondate su azioni antitrust
nazionali, spetta, esclusivamente, ex art. 33, par. 2, L. 287/90, alla Corte d’appello competente per territorio.
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nazionali, spetta, esclusivamente, ex art. 33, par. 2, L. 287/1990, alla Corte d’appello
competente per territorio.
In questa seconda ipotesi, si evidenzia che, ai sensi dell’art. 33, comma 2, L. 287/1990
“le azioni di nullità e il risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere
provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV
sono promossi davanti alla Corte di appello competente per territorio”47.
Il primo aspetto che merita di essere evidenziato consiste nel fatto che le Corti
d’appello non possono pronunciare sentenze che impongano un obbligo di contrarre o
sentenze costitutive che si sostituiscano ad un contratto, essendo quest’ultime
ammesse nei soli casi previsti dalla legge48.
Inoltre, nonostante il diverso orientamento della dottrina49, la costante
giurisprudenza50 delle Corti d’appello si è pronunciata nel senso di negare la
possibilità per le stesse di emettere provvedimenti cautelari in cui si obbliga l’impresa
a contrarre. Infatti, un provvedimento cautelare che imponga siffatto obbligo non
sarebbe compatibile con la limitata giurisdizione riconosciuta alle Corti d’appello
dall’art. 33, comma 2°, L. 287/1990, in virtù del quale la Corte è competente a
conoscere le azioni di nullità e di risarcimento del danno in relazione alla violazione
delle disposizioni cui ai titoli dal I al IV e, pertanto, anche i provvedimenti d’urgenza51,
per il loro carattere strumentale, non possono avere effetti anticipatori più ampi di
quelli del giudizio di merito, che al più può limitarsi ad una pronuncia di nullità o di
In proposito V. MASSA, La tutela civile: profili processuali, in Diritto antitrust italiano, a cura di FRIGNANI,
PARDOLESI, PATRONI GRIFFI, UBERTAZZI, Bologna, 1993, p. 1484.
48 TAVISSI SCUFFI , op.cit., p. 234. Si noti del resto che nell’ordinamento è prevista solo un’ipotesi in cui è
espressamente sancito un obbligo di contrarre, nell’art. 2597 c.c., il quale dispone che “chi esercita un’impresa
in condizione di monopolio legale ha l’obbligo di contrarre con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto
dell’impresa, osservando la parità di trattamento”. È quindi evidente che tale norma non si applichi al caso in
esame ma solo al monopolista che gode dell’esclusiva nell’offerta di beni e servizi, in virtù di legge o in base
ad una concessione amministrativa. Peraltro, per costante orientamento della giurisprudenza (Cass. civ., sez.
un., 15 marzo 1985, n. 2018, in Giur.it., 1986, p. 916), il disposto dell’art. 2597 c.c. non è comunque applicabile
al c.d. “monopolista di fatto”, sia per il carattere di norma eccezionale dell’articolo in oggetto – che ne esclude
un’interpretazione analogica – sia perché “è dubbio che una situazione di monopolio di fatto sia equiparabile ad un
monopolio di diritto”. Sempre secondo la giurisprudenza (Cass. Civ., sez. III, 23 febbraio 1994, n. 1785, in Giust.
Civ. Mass., 1994, p. 198; Cass. Civ., sez. I, 12 gennaio 1993, n. 266, in Riv. dir. ind., p. 332 ss.), inoltre, l’obbligo
di contrarre opera esclusivamente nei rapporti tra imprese e consumatori finali, dovendosi invece applicare
la diversa disciplina del divieto di discriminazione nella fornitura di cui alla legge n. 287 del 1990, che detta
norme per la tutela del mercato e della concorrenza, qualora i soggetti coinvolti siano entrambi operatori
economici.
49 TAVISSI SCUFFI, op.cit., p. 235, i quali rinviano tra gli altri a MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti,
Torino, 1985, p. 257; MANDRIOLI, I provvedimenti d’urgenza: deviazioni e proposte, in Riv. dir. proc., 1985, p. 261.
50 App. Milano 15 luglio 1992, in Foro it., 1992, c. 3393; App. Napoli 14 luglio 1993, in Diritto processuale
antitrust, cit., p. 536; App. Roma 1 aprile 1995, ivi, p. 594; App. Trieste 16 maggio 1995, ivi, p. 654; App.
Milano 3 giugno 1995, ivi, p. 633; App. Milano 8 ottobre 1994, in Foro it., 1995, c. 1325.
51 V. anche Trib. Salerno, 29 giugno 2009, in Juris data, che ha affermato che si può ricorrere all’art. 700 c.p.c.
per fronteggiare un abuso di posizione dominante o salvaguardare il diritto all’autoproduzione e, rispetto a
una causa di merito che abbia ad oggetto la nullità di un contratto , il provvedimento d’urgenza consiste
appunto nella sospensione dei suoi effetti, conformemente al “petitum” cautelare formulato dai ricorrenti.
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risarcimento del danno, ma non anche alla costituzione di un rapporto contrattuale52.
Pertanto, la concessione di una misura cautelare da parte della Corte d’appello è
funzionale a garantire che non si realizzino effetti pregiudizievoli nelle more del
procedimento di merito finalizzato ad ottenere, in sede di decisione finale, una tutela
limitata all’esercizio delle azioni di nullità o di risarcimento del danno53.
Alla luce di quanto sinora esposto, e richiamando la fattispecie presa come punto di
riferimento della nostra indagine, possiamo concludere che la società Beta, a fronte del
rifiuto oppostogli dal fornitore Alfa, premessa la sussistenza di una posizione
dominante di quest’ultimo con rilevanza nel solo mercato italiano, potrà adire
rispettivamente l’Autorità Garante, per ottenere una diffida ad interrompere la pratica
abusiva e/o una sanzione pecuniaria, e la competente Corte d’appello, al fine di
chiedere sia il risarcimento dei danni subiti, sia provvedimenti cautelari strumentali
alla richiesta risarcitoria.
52
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App. Roma 28 dicembre 1994, in Diritto processuale antitrust, cit., p. 592.
In questo senso App. Milano, sez. I, 17 dicembre 2008, in Juris data.
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