LA DECIMAZIONE 16/07/1917 Santa Maria La Longa (UD) Mia cara

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LA DECIMAZIONE 16/07/1917 Santa Maria La Longa (UD) Mia cara
LA DECIMAZIONE
16/07/1917 Santa Maria La Longa (UD)
Mia cara Concetta
Sono le due di notte e non riesco a dormire. Ho grande nostalgia di te e di
nostra figlia Nunziatina. Penso a voi come a qualche cosa di bello e puro, così lontano da
quello che si sta rivelando questa dannata guerra.
Spero che questa mia vi trovi in buona salute e che, malgrado le ristrettezze della guerra,
abbiate di che sfamarvi in maniera sufficiente.
Quando vi scrivo mi sembra di essere un po’ li con voi, e il pensiero mi attenua il peso
della nostalgia della mia famiglia e della mia dolce terra di Calabria.
Non ne posso più di trincee, di morti, di sangue. La guerra si trascina ormai da tre anni e
non se ne vede la fine.
Mi ero arruolato nei Carabinieri prima della guerra anche perché al nostro paese non
trovavo lavoro. L’alternativa alla scelta di vestire una divisa era quella di fare la vita del
contadino come mio padre, come mio nonno, come il padre di mio nonno e così via dove
si perde la memoria.
Noi Calabresi siamo nati poveri e arruolarmi mi era sembrato un bel modo di uscire da
quella spirale di miseria alla quale siamo condannati per nascita.
Poi è venuta questa maledetta guerra e sono stato comandato di svolgere i compiti di
Polizia Militare aggregato al 141 ° divisione Fanteria Catanzaro.
Non è quello che io avevo sperato di fare quando abbracciai questa divisa. Io avevo
pensato che avrei protetto la gente dalle ingiustizie e dai soprusi. Mi vedevo dare la
caccia ai briganti, ai ladri di bestiame o a qualche altro tipo di malfattore, ma mai avrei
pensato che avrei dovuto sparare a dei fratelli che si rifiutavano di andare all’assalto del
nemico reticenti a prestare il petto alle mitragliatrici e ai cannoni Austriaci.
Quando il battaglione esce dalle trincee e va all’assalto, noi Carabinieri abbiamo l’ingrato
compito di obbligare a combattere anche i più paurosi ma soprattutto a non nascondersi o
disertare, altrimenti abbiamo l’ordine di passarli immediatamente per le armi.
Non ci sono attenuanti all’accusa di “ codardia davanti al nemico “ e anche se lo ritengo
profondamente ingiusto devo eseguire gli ordini del mio comandante. Se non esplicassi
tali consegne sarei punito io nella stessa maniera.
Odio il compito assegnatomi, ma purtroppo non è niente, rispetto a quello che sono stato
costretto a vedere ieri.
Mia cara Concetta, scusami se mi dilungo a raccontarti le mie pene, ma sono talmente
emozionato che ti scrivo come se tu fossi un confessore e non la mia dolcissima moglie.
Ti racconterò l’accaduto dall’inizio, perché tu capisca quanta e quale pena mi attanagli il
cuore, già profondamente ferito dalle battaglie sul Carso degli ultimi tempi.
Dopo diversi mesi che le divisioni 141° e 142° avevano combattuto in trincea con il
risultato di vedersi assottigliare le fila da centinaia di morti e feriti, finalmente erano state
ritirate in questa caserma dalla quale ti scrivo, con la formale promessa di un lungo
periodo di riposo. Le divisioni era state decimate duramente dai continui assalti alla
baionetta ed una meritata tregua era necessaria a ritemprare la truppa.
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Purtroppo dopo solo pochi giorni che le divisioni erano state acquartierate in caserma si
sparse la notizia che presto sarebbero state rimandate in trincea sul Carso in prima linea.
Ne scaturì subito una feroce protesta che la sera del 15 si tramutò in un vero e proprio
ammutinamento.
La rivolta partì dagli alloggi del 141 ° e si estese a buona parte del 142 °.
Noi eravamo ancora seduti a mensa, quando arrivò trafelato un porta ordini del comando
di regimento che ci avvertì dell’accaduto. La situazione si era rivelata subito delicata,
perché non si capiva chi e quanti si erano ammutinati. Colpi di fucileria, scoppi di granate
e di gelatina avevano creato un gran putiferio che però forse era solo dimostrativo perché
non si sentivano sibilare le pallottole. Probabilmente la maggior parte dei colpi era sparata
in aria a scopo di protesta.
Non ti nascondo che, malgrado ormai abbiamo visto di tutto, la situazione che si era creata
mi aveva particolarmente preoccupato, anche perché vedevo che il nostro tenente era
indeciso su come agire.
Il frastuono era comunque assordante e i comandanti, non sapendo come comportarsi,
chiesero subito ordini al comando di Palmanova da dove diversi ufficiali superiori
arrivarono immediatamente per rendersi conto della situazione.
Un gruppo di rivoltosi si diresse anche verso gli alloggi di Gabriele D’Annunzio, forse per
coinvolgerlo nella protesta o forse per dimostrare contro la sua idea di interventismo in una
guerra che quei poveri ragazzi del Sud non avevano voluto e non capivano.
Gli scontri durarono tutta la notte e pian piano verso l’alba scemarono praticamente del
tutto.
Alla distribuzione mattutina del caffè tutti erano rientrati nei ranghi, ma l’episodio si era
rivelato troppo grave per essere dimenticato. Serviva una punizione esemplare perché non
si ripetessero più fatti del genere. A noi carabinieri ci fu ordinato di controllare i fucili di
ogni soldato e ne trovammo quattro con la canna ancora tiepida.
I proprietari delle armi che avevano sparato furono immediatamente arrestati e portati in
guardina, ma i disordini avevano convolto molti più soldati con un comportamento che il
Comando Generale aveva giudicato gravissimo e inqualificabile.
L’ordine che ne seguì era inequivocabile : decimazione.
Cara Concetta, la decimazione è una pratica che ha fondamenta antichissime. Veniva
praticata già dai romani quando un reparto di militari si ammutinava e non si poteva
individuare un vero responsabile. Consiste, oggi, nel scegliere un soldato ogni dieci e
fucilarlo alla schiena .
Purtroppo il sistema, che viene usato solo in tempo di guerra e solo in casi eccezionali,
rischia di passare per le armi anche chi è assolutamente innocente. La pratica è
evidentemente terribile e inumana , ma cosa c’è di umano in una guerra?
Francamente avevo pensato che la decisione sarebbe stata solo sventolata come uno
spauracchio e poi, data la situazione, ritirata, ma mi sbagliavo.
I militari vennero tutti fatti schierare nel piazzale e prelevato un soldato ogni dieci. Furono
così scelti dodici fanti del 141° e dodici del 142 ° .
Assieme ai quattro già imprigionati furono mandati all’interno del perimetro del cimitero di
Santa Maria La longa e fatti mettere con la faccia al muro.
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Venne poi comandato un plotone di esecuzione proprio tra i compagni dei condannati e a
noi Carabinieri ci fu ordinato di piazzarci dietro a tutti con una mitragliatrice da usare in
caso di ulteriori insubordinazioni.
Per finire la macabra messa in scena un’altra compagnia di soldati scavava una fossa
comune per seppellire i cadaveri ad esecuzione avvenuta.
A niente valsero i pianti, le maledizioni, le bestemmie. Venne chiamato il Cappellano
militare che arrivò subito, e dopo aver chiesto ad ognuno di loro se volevano pentirsi,
diede loro una benedizione sommaria.
I componenti del plotone di esecuzione erano forse più spaventati e addolorati dei
condannati. Nessuno aveva il coraggio di guardare quei poveri soldati vestiti di una divisa
che indossavano solo per dovere. Ogni esortazione alla disciplina e all’onore di soldato
suonava quasi come una presa in giro. L’aria era pesante e la situazione delicatissima.
All’ordine dell’ufficiale di far fuoco i carnefici presero la mira senza veramente impegnarsi
nel guardare il mirino del proprio fucile.
Dopo il boato dello sparo, alcuni dei condannati caddero a terra morti, alcuni di loro solo
feriti si lamentavano in maniera straziante mentre un paio che erano stati risparmiati
tentarono di fuggire cercando di scavalcare il muro del cimitero.
Fummo allora noi Carabinieri che finimmo l’opera falciando a colpi di mitragliatrice coloro
che avevano tentato la fuga.
L’ultima e forse più dolorosa operazione fu quella del colpo di grazia alla nuca che
l’ufficiale comandante il plotone di esecuzione diede a quei poveri disgraziati.
Ti assicuro che in questi mesi di morti e di atrocità ne ho visto di ogni tipo e credevo ormai
di esserne immune, ma giustiziare così dei fratelli mi ha profondamente commosso.
Ad osservare quello spettacolo desolante era presente anche Gabriele D’Annunzio che
impavido come sempre non aveva mosso ciglio durante tutta l’esecuzione.
Chissà se la vista di quei poveri ragazzi mandati al macello l’avrà ispirato per qualche ode
o poesia infarcita di lodi agli eroi di un mondo antico che sicuramente non esiste più.
Nessuno qui crede più che la guerra sia quel lasciapassare per la gloria come ci avevano
promesso e come ci avevano esaltato.
Siamo costretti a combattere contro un nemico che possiede armi e materiali molto di più
efficaci dei nostri. Noi siamo solo carne da cannone e ancora se non bastasse, adesso
dobbiamo anche punire in maniera esemplare chi non si lancia con entusiasmo contro le
mitragliatrici nemiche. Come si può chiedere a dei giovani pieni di voglia di vivere di
immolarsi per un ideale che non condividono ? E’ terribile pensare alla rassegnazione di
ragazzi che vanno alla morte quasi certa che se non è procurata dal nemico, lo è
barbaramente perpetrata dai propri superiori.
A chi gioverà questa guerra che stiamo combattendo? Chi si esalterà in caso di vittoria ?
Di chi sarà la responsabilità se perderemo ? Non certo di noi calabresi che siamo così
lontani da questi confini e la guerra non la sentiamo come nostra. L’Italia è stata unita solo
da cinquant’anni ed ancora non riusciamo a capire perché dobbiamo combattere dei
soldati così distanti dalle nostre città.
Gli ufficiali superiori e i Generali si esaltano se conquistiamo una posizione o una trincea
nemica, sprecandosi in richiami ai fasti delle invincibili Legioni Romane. Loro però non
vivono nel fango delle postazioni martellati continuamente dai cecchini e dai cannoni
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nemici. Non si lanciano tra i reticolati di filo spinato sparando contro il nemico che ci falcia
con le sue mitragliatrici. Loro sono al sicuro nelle caserme di Palmanova o di Udine e
guardano solo carte topografiche spostando questo o quel battaglione come pedine di una
scacchiera ordinando di prendere posizione ad ogni costo infischiandosene se i morti
saranno decine, centinaia o addirittura migliaia.
Non discuto sulla legittimità del provvedimento che in tempo di guerra obbliga a sanzioni
particolarmente severe, ma mi permetto di dubitare degli effetti pratici di una pena così
efferata. Come combatteranno adesso questi soldati ? Sarà ancora il senso del dovere a
guidare questi ragazzi o sarà la disperazione a lanciarli nella mischia ? La Catanzaro ha
sempre dimostrato di svolgere egregiamente il compito assegnatole con dedizione e con
atti di autentico eroismo, non meritavano una punizione del genere che infangherà
ingiustamente la loro bandiera.
Per evitare questa spaventosa punizione, forse bastava che ci fosse stato qualche
maggior avvicendamento tra i reparti.
Ci sono divisioni che dall’inizio della guerra non sono state così messe sotto pressione.
Forse bastava spostare i battaglioni dalle prime alle seconde linee e l’avvicendamento
sarebbe risultato sicuramente più sopportabile. Era necessario capire perché era avvenuto
questo ammutinamento e non solo reprimere in maniera indiscriminata.
Mia dolce sposa, ormai è fatto.
Cosa ne sarà adesso di questi giovanotti stanchi stressati e adesso anche umiliati non lo
so.
Forse un giorno tutto questo avrà un senso o forse la storia che è fatta di secoli e millenni
dimenticherà questi tristi episodi. Certo che per noi che ne siamo stati coinvolti sarà
durissima non pensare a ciò che abbiamo visto.
Termino questa mia triste lettera con un bacio a te e a nostra figlia. Prega per me che
ritrovi un po’ di serenità e che questa guerra finisca presto.
Tuo innamoratissimo
Carmelo.
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