Prima di iniziare verifichiamo cosa pensiamo noi

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Prima di iniziare verifichiamo cosa pensiamo noi
ISTITUTO COMPRENSIVO “BERTO BARBARANI”
di scuola dell‟Infanzia - Primaria
Secondaria di Primo grado
CELEBRAZIONE DEL 4 NOVEMBRE
“TANTE VITE… PER LA PACE”
Minerbe, 7- 8 novembre 2009
CELEBRAZIONE DEL IV NOVEMBRE
Accogliendo l‟invito dell‟Amministrazione Comunale e dell‟ Associazioni Locale Combattenti e
Reduci, anche quest‟anno la Scuola intende continuare a celebrare la ricorrenza del IV novembre in
un modo tutto particolare, con l‟intento di riuscire a dare a tale evento tutto il suo profondo valore
e significato.
Le motivazioni di fondo
L‟opportunità del coinvolgimento dell‟Istituto è fondata su due considerazioni di base.
La prima: ogni ragazzo è già “tutto dentro la sua storia” e reca con sé le tracce del suo tempo.
Imparando a riconoscere ed interpretare questi segni egli si avvia gradualmente sul cammino della
storia: dalla memoria alla conoscenza, dal passato alla cultura dell‟oggi e del domani.
La seconda: con l‟insegnamento della storia la scuola può aiutare i giovani a riscoprire nel passato
le ragioni del loro futuro.
Con l‟apporto della storia infatti gli insegnanti possono realizzare la convivenza democratica e la
costituzione della identità come ricostruzione della memoria collettiva e delle tradizioni culturali.
La storia inoltre rende possibile la partecipazione dei giovani ai fenomeni del proprio tempo,
aiutandoli a mettere in connessione passato, presente e futuro.
I soggetti coinvolti
Il coinvolgimento degli studenti ha riguardato gli alunni delle classi terminali, le quinte e le terze
medie delle scuole del Comune di Minerbe, ma nel percorso sono state inserite anche quelli delle
classi iniziali per garantire una sorta di continuità nella trasmissione dei valori e di passaggio
ideale del testimone, a garanzia del processo di identificazione culturale delle giovani generazioni.
Gli esiti
Per portare gli studenti a percepire la storia come un elemento della loro identità culturale, si è
fatto leva sulla loro curiosità e sul loro coinvolgimento emotivo, operativo e partecipativo.
Accanto allo studio della storia scritta tradizionale, gli studenti della scuola secondaria e primaria
di Minerbe hanno infatti affiancato la ricerca di testimonianze e di vissuti personali, con metodo di
approfondimento e di ricerca, per conoscere meglio i fatti e gli avvenimenti di quel periodo e
compenetrare in essi con la dovuta consapevolezza.
Con questo lavoro dimostrano così la loro originalità ed un‟autentica capacità di condurre con
sicurezza una ricerca storica e sociale al tempo stesso.
Sono stati condotti per “strada” dagli insegnanti che avranno così il merito di aver fatto loro amare
la storia, questo paese, i suoi abitanti con le loro significative esperienze di vita.
Gliene siamo grati perché portando i giovani a riscoprire e ad interpretare i segni del passato li
aiutano anche ad individuare una prospettiva del futuro.
I ragazzi non sono nuovi a questo tipo di lavoro.
Lo scorso anno hanno sviluppato un percorso di ricerca storica sul monumento ai caduti eretto
nella piazza del paese e sulle vie dedicate a ricordo di fatti, personaggi e luoghi significativi della
prima guerra mondiale: via Pasubio, via Ragazzi del ‟99, via Cavalieri di Vittorio Veneto, via
Cesare Battisti,…
Quest‟anno, attraverso l‟intervista al signor Silvio Giuliari, ma soprattutto attraverso le lettere dal
fronte di guerra di Silvino al fratello Luigi Giuliari, sono riusciti a ricostruire la grande guerra ed in
particolare la dura vita dei soldati in trincea, le condizioni dei feriti e la situazione della
popolazione.
Ancora una volta meritano la nostra ammirazione e un giusto riconoscimento per il lavoro svolto.
Il metodo di lavoro
Nel „900 si ha un‟evoluzione generale dell‟universo delle conoscenze. In questo panorama anche la
storia si rinnova; non si ha più una storia in prevalenza politica o diplomatica, ma una storia di
avvenimenti e di fatti; di conseguenza cambia anche l‟approccio al documento in sé e si amplia
notevolmente il campo stesso della documentazione storica. Al fare storia basato essenzialmente
sulla documentazione scritta, si sostituisce così una storia “ricostruita” su una molteplice varietà di
documentazione: scritti di ogni genere, documenti figurativi, reperti vari, testimonianze
orali,…Nulla è privo di significato, tutto diventa importante.
Il lavoro svolto dalla scuola si colloca in questa prospettiva. Gli studenti sono stati così coinvolti
nella ricerca di oggetti, fonti e testimonianze nella convinzione che ogni documento insegna
sempre qualcosa del passato e non esiste una realtà storica già fatta ma fatti da interpretare da tutti
i possibili punti di vista: del soldato, della popolazione, del nemico-avversario,…
Le famiglie hanno corrisposto rendendo disponibile diverso materiale, consentendone alla scuola
la fruizione e affidandole il compito di custodirne la memoria.
Particolarmente interessante si è rivelato il materiale fornito dalla famiglia Giuliari; ha permesso
infatti diverse analisi ed approfondimenti che si sono concretizzati nelle pagine che seguono, da
considerare una prima tappa del percorso più ampio che si intende realizzare nel tempo.
Il risultato/prodotto
La prima parte costituisce il “pre-testo narrativo” in quanto le lettere dal fronte di guerra di Silvino
al fratello Luigi consentono successivamente agli studenti di dare voce al loro sentire. Il fascicolo,
così composto, si articola secondo il seguente sviluppo:
I Parte: “ UNA FAMIGLIA ALLA GUERRA ”: senso del dovere e contributo dato alla
guerra da parte dei fratelli Giuliari
II Parte: “CONOSCERE LA GUERRA PER AFFERMARE LA PACE” riflessioni, disegni e
ricerche a cura degli alunni della scuola primaria
III Parte: “DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE AD OGGI” ovvero il difficile equilibrio
tra “ Il rifiuto della guerra e il dovere di difendere la Patria ”, sviluppata dagli
studenti della scuola media
UNA FAMIGLIA ALLA GUERRA
Il sipario si è aperto su una famiglia di Minerbe che ha contribuito alla ricerca con grande
disponibilità, offrendo uno squarcio toccante dal punto di vista umano e davvero interessante dal
punto di vista storico.
È la famiglia di Pio Giuliari che abita in via Comuni. Giuseppe Giuliari, il nonno, risiedeva nella
seconda metà dell‟800 a Donzellino d‟Illasi, una zona del Comune al di là del Progno più vicina a
Lavagno che al Comune di Illasi, in piena zona agricola. Il terreno era piuttosto arido, adatto solo a
viti, mandorli e melograni, per cui successivamente i discendenti si stabiliranno in altre zone del
veronese, tra cui Palù di Zevio dove avvieranno culture innovative.
L‟albero genealogico originato da Giuseppe Giuliari e Lucia Grigolini risulta così articolato:
Giuliari Giuseppe ↔ Grigolini Lucia
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________________________________________________________________________________
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↓
↓
↓
↓
↓
Antonio
Attilio
Luigi
Silvino
Francesco Marcello
Stella
Maria
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(1892)
(1894)
(1895)
(1901)
(1903)
Silvio
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destinatario autore delle lettere
Intervistato
↓
Pio
↓
Silvia
↓
Francesco, alunno della cl. I A della Scuola media
Come si può rilevare si tratta di una famiglia numerosa come molte a quel tempo.
Otto erano i figli e tra questi quattro maschi erano nati, verso la fine del secolo, in anni così vicini
che i fogli matricolari che li riguardano parlano di rinvii in congedo provvisorio in attesa del
congedamento del fratello maggiore. Evidentemente la legge intendeva salvaguardare il più
possibile l‟integrità delle famiglie.
In modo diverso tutti i maschi hanno partecipato a vicende belliche tanto che, racconta Sivio
Giuliari, il pensiero della guerra, trascorsa o percepita come pericolo imminente, permeava la vita
dei giovani del tempo e in particolare la sua famiglia, come lui ben ricorda.
Antonio, il maggiore, partecipò alla guerra di Libia, quindi alla prima Guerra mondiale
contemporaneamente ai tre fratelli nati prima della fine del secolo.
La famiglia riferisce che anche Francesco e Marcello saranno interessati dalla seconda guerra
mondiale. Davvero si può affermare “una famiglia alla guerra”. Il nipote Silvio, oggi anziano,
afferma: “Un miracolo che siano tornati tutti”.
Silvio Giuliari racconta anche del forte legame nell‟intera numerosa famiglia, e nello specifico della
cura per la corrispondenza epistolare dei fratelli soldati fra loro, e con il resto della famiglia a casa,
nel veronese.
Silvio Giuliari abita a Lonigo dove ha svolto attività importanti di insegnamento nella Scuola di
agraria. È il discendente della famiglia che ha vivo il ricordo degli zii e che si è messo a
disposizione dei ragazzi della Scuola interessati alla ricerca.
Attraverso questa testimonianza indiretta è come avessimo conosciuto di persona alcuni dei
protagonisti della grande guerra e i loro grandi problemi, impensabili ai nostri giorni.
E Silvino la prima guerra mondiale l‟ha vissuta davvero, come racconta in alcune lettere
conservate dalla famiglia Giuliari e pervenute attraverso il nipote Francesco.
SILVINO E LUIGI GIULIARI
Lo scrivente dimostra grande vicinanza verso il fratello Luigi, il quale avrà senz‟altro risposto a
missive così significative. Erano vicini d‟età essendo nati il primo nel 1894 e il secondo nel 1895.
Le notizie dei due soldati ci giungono dai ricordi di famiglia, come già detto, e dai fogli matricolari
rilevati dall‟Archivio di Stato di Verona, messi gentilmente a disposizione dalle famiglia, anch‟essa
interessata a ricostruire le vicende familiari. Tale Archivio conserva, in modo sistematico dall‟anno
1867, nella serie Ruoli Matricolari del Distretto Militare, i dati riguardanti i giovani che hanno
prestato servizio militare e i relativi congedi.
I dati personali riguardanti Luigi, destinatario delle lettere in nostro possesso, parlano di un
giovane nato il 12 novembre del 1894, sano, dai capelli e occhi castani, che sa leggere e scrivere, di
professione contadino; nel settembre del 1914 viene chiamato alle armi nel Compagnia Sussistenza,
un Corpo dell‟esercito che si occupa dei vettovagliamenti.
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Nel maggio del 1915 è in “territorio dichiarato in stato di guerra”. Vive tutta la guerra: viene infatti
registrato come “partito da territorio di guerra” nel settembre del 1919 e in congedo alla fine dello
stesso mese.
Avendo partecipato all‟intera campagna di guerra dal 15 al 18, la stampiglia dice che nel 1920
venne viene autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa ed apporre sui nastri della
stessa medaglia le fascette corrispondenti agli anni di guerra.
Il fratello Silvino Giuliari, lo scrivente, era nato il 19 novembre del 1895 e nei dati personali viene
descritto con i capelli più scuri del fratello, di professione studente.
Come riferito dal nipote Silvio, aveva frequentato il Ginnasio poi il Liceo presso l‟Istituto Maffei di
Verona: consultati i registri ha trovato il suo nome tra gli ex alunni.
Il Regio Decreto del 22 maggio del 1915 lo chiama alle armi per mobilitazione e il 1 giugno del 1915
è nella Quinta Compagnia Sanità.
Nella stessa data viene mandato in territorio “ dichiarato in stato di guerra”. Nel 1917 fa parte del
72° poi del 71° Reggimento fanteria.
Il foglio matricolare dice che da marzo del 1917 frequenta la scuola allievi ufficiali del 13° Corpo
d‟armata di Campolongo, quindi dal luglio dello stesso anno viene registrato come aspirante
ufficiale. Con questo ruolo viene mandato al fronte.
Scrive bene Silvino: il linguaggio è preciso, colorito. Dimostra uno spirito arguto e ottimista. É
poco più di un ragazzo, ma dimostra la solidità di un uomo affettuosamente vicino al fratello con il
quale condivide l‟esperienza della guerra.
Le cinque lettere in nostro possesso sono distribuite nei tre anni di guerra italiana.
6 giugno 1916
La prima lettera è molto interessante, ricca di riferimenti alla realtà circostante. Per questo verrà
presa in esame dagli alunni di due età diverse nelle sezioni successive di questo fascicolo. Dal
foglio di matricola risulta che era arrivato da pochi giorni e infatti rivela tra le righe, scritte con
buona grafia, l‟attonito stupore di fronte alla terribile realtà.
È ignota quale mansione avesse nell‟ospedale militare di Thiene. Al fratello Luigi, anche lui in
territorio di guerra, descrive nella lettera la situazione generale, lo strazio della guerra per i soldati
e i civili.
La “spedizione punitiva” da parte austriaca che ha occupato l‟altopiano di Asiago è di poco
antecedente: nel maggio gli Austriaci attaccano lo schieramento italiano sul fianco sinistro con
l‟intenzione di sfondare e far retrocedere tutto il nostro fronte che era avanzato a oriente fino
all‟Isonzo.
Alcuni contenuti riguardanti le responsabilità circa l‟evolversi della situazione bellica fanno
pensare che la missiva non fosse stata censurata. Secondo Silvio Giuliari la censura era in verità
una prassi che rimaneva sulla carta, data la confusione, la mancanza di tempo e i problemi
impellenti di ben altra natura. Anche i francobolli erano merce rara, come annota in fondo alla
prima pagina il soldato Silvino.
Thiene 6 giugno 1916
Caro Luigi, ho ricevuto or ora la cartolina che mi spedisti il primo corrente mese e
m’affretto a risponderti. Causa di questo mio lungo silenzio è stato il grande affollamento di feriti in
quest’ospedale, che, dalla metà di maggio sino al presente lo tiene sempre pieno zeppo. Si lavora
giorno e notte. Ti basti sapere che mentre prima l’ospedale funzionava con un numero di 300 letti,
ora questo numero si è quasi triplicato. C’è stato qualche giorno in cui ne sono entrati poco meno di
800 mentre la media è di 300. E quasi tutti vengono traslocati su altri ospedali poche ore dopo il
loro arrivo, e così è un continuo entrare e uscire. E come ti dico c’è molto da lavorare perché il
personale di truppa è sempre lo stesso.
In questi giorni caro Luigi ho potuto conoscere un pochino a fondo cosa voglia dire la parola
“guerra”! Quante disgrazie!
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Quanti padri di famiglia dovranno vivere inoperosi per tutta la loro vita, incapaci di qualsiasi
lavoro!
Forse avrai sentito dire che gli abitanti di tutti questi paesetti di confine, a cominciare da 5 Km
sopra Tiene hanno dovuto abbandonare le loro case smettere dai loro interessi per andare in altri
paesi più tranquilli. A vederli passare questi poveri montanari con un paio di vaccherelle magre con
un pollo con una forma di formaggio insomma con tutto quello che avevano di più prezioso nel loro
paese, vederli passare dico, inerti e silenziosi come compagnie di frati, era uno spettacolo assai triste.
Anche a Schio stanno facendo S. Martino, e tutti i signori di Thiene se ne sono andati come pure
tutti i negozianti di stoffe i pizzicagnoli e via discorrendo. Ora non si trova più nulla..
Se continua di questo passo fra pochi giorni dovremo abbandonare anche l’ospedale. Sembra anzi,
che, nel caso si dovesse partire si vada a Montebello Vicentino, poco lontano da Lonigo.
I feriti raccontano che gli austriaci si avanzano a schiere serrate. E quasi sempre si avvicinano tanto
che i nostri sono costretti a far scoppiare i proiettili a qualche centinaio di metri dalla bocca del
cannone. In questo modo i nostri ne distruggono delle compagnie intiere, ma distrutta una ce n’è
subito pronta un’altra e sempre così. Insomma i morti da parte del nemico in qualche posto hanno
raggiunto l’altezza di qualche metro.
Mentre dalla nostra parte ci sono pochissimi morti. E questo perché non si espongono molto ai
pericoli, e se è il caso si ritirano.
Il coraggio degli austriaci è dovuto al cognac alla graspa e ad altri liquori che hanno nello stomaco.
Non avrei mai creduto che si giungesse a tal punto da dover abbandonare delle posizioni, che, tutti
quelli che le hanno visitate dicono che si potevano difendere con i sassi. Il male è stato che i nostri
c’erano sulle montagne, ma non avevano l’ordine di sparare, e così hanno dovuto abbandonare quei
siti.
E qui c’è del mistero, che molti lo spiegano con la parola tradimento da parte dei nostri comandanti.
C’è una posizione, che in linea retta non dista più di 20 Km da Tiene, sulla quale si vedono
benissimo a occhi nudo scoppiare i proiettili del nemico. Cadono così fitti che nessuno arriva a
contarli, neppure per cinque minuti.
A dirtela in poche parole c’è molto pericolo che gli austriaci riescano a scendere dalle montagne. E
allora? …
Speriamo che non abbia mai a spuntare l’alba di quel giorno.
I preparativi che si stanno facendo da queste parti è una cosa che non ti puoi immaginare. Ci sono
già diverse squadroni di cavalleria, la quale serve solo per le campagne guerresche in pianura.
Pensando a tutte queste cose noi dobbiamo a maggior ragione stare allegri che dopo tutto siamo
abbastanza fortunati. Ti pare? Da casa mi scrivono che godono ottima salute, che hanno notizie dei
fratelli, e che gli affari van bene.
Nella speranza di poter ancora fra una settimana inviarti i miei saluti da quest’Ospedale ti saluta
caramente il tuo Silvino Ciao ciao
( Non trovandosi a Thiene francobolli di sorta sono costretto ad affrancarla con 9 carte francobolli
che per caso mi trovo in tasca)
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Nell‟obiettivo di inserire la lettera sopra trascritta nel contesto geografico e storico, la scuola ha
chiesto e ricevuto notizie e fotografie da uno storico della zona dell‟alto vicentino: Luca Valente.
Per quanto riguarda i dati riguardanti l‟ospedale militare egli afferma che erano in funzione a
Thiene più ospedali militari, oltre a diversi posti di medicazione.
A suo parere, l‟ospedale citato nella lettera , visto l‟alto numero di accoglienze, poteva essere
l‟ospedale del Barcon al Collegio Vescovile, tra Thiene e Sarcedo, perché questo godeva di una
struttura molto ampia: l‟ipotesi però non è convalidata da alcun dato.
Per quanto riguarda i discorsi sul “tradimento” , parola sottolineata da Silvino nella lettera
olografa, lo storico Valente precisa che erano chiacchiere pessimiste e disfattiste da retrovia, tipiche
di quando la situazione al fronte era difficile: in quel momento infatti sembrava imminente lo
sfondamento austriaco.
Le foto che ci sono pervenute costituiscono interessante riscontro visivo ai contenuti della lettera:
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Profughi di Arsiero al loro arrivo a Marano Vicentino la mattina del 19 maggio 1916
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12 ottobre 1917
Dal gennaio del 1917 è nel Reggimento fanteria come Ufficiale, e il 9 ottobre viene ferito
leggermente al petto. Rimane nell‟ospedale da campo di Cervignano del Friuli per tutto il mese.
Si nota qui l‟impatto con il pericolo vero e, in quel frangente doloroso, il desiderio di avere la
vicinanza del fratello. Poi si pente di averlo allarmato, così lo rassicura e gli dice che “ è una
cosuccia da poco”.
Inserendo questa data nelle vicende belliche generali, è da ricordare che da agosto a settembre il
nostro esercito consegue qualche successo sull‟Isonzo, ma viene sfondato nell‟ottobre dalla
massiccia offensiva che prende il nome da Caporetto.
Zona guerra, li 12 ottobre 917
Mio caro Luigi, il giorno 9 corrente sono sceso dalla trincea con una leggera ferita al petto.
Mi trovo ricoverato nell’ospedale da campo in Cervignano, dal quale uscirò guarito fra pochi giorni.
Sono stato fortunato assai. Pensa che fui colpito proprio in direzione del cuore. Se per disgrazia
quella palletta di shrapnel avesse avuto un pochina di forza maggiore mi avrebbe mandato all’altro
mondo senza lasciarmi gridare nemmeno “mamma”. Invece fortuna volle che si arrestasse nella
carne senza quasi toccarmi la costola. Me la levarono subito, non mi ha arrecato tanto dolore. Fu
una palletta molto intelligente. Adesso sto benone, senza febbre solo con grande appetito. Se per caso
ti venisse la voglia di venirmi a trovare il mio indirizzo è questo: G. S. Ospedale da campo 037
Cervignano.
Però puoi farne a meno che si tratta di una cosuccia da poco. Termino inviandoti un saluto e un
bacio affettuoso. Silvino Ciao
26 ottobre 1917
Crede di ritornare alla Compagnia anche se non del tutto guarito. Gli “garba poco” partecipare alla
“grande offensiva” in siti, ironicamente, definiti “deliziosi”. Promette di andare a trovare il
fratello qualora disponesse di una bicicletta. Lo consiglia di non rinunciare a una licenza per
aspettarlo, ma eventualmente di approfittarne per divertirsi. La gioventù reclama i suoi diritti.
Sono i tragici giorni della disfatta di Caporetto (24-27 ottobre) quando il nostro schieramento è
obbligato a retrocedere disordinatamente sino al Piave abbandonando vaste zone del Veneto.
La località citata, dove ha la “solita occupazione” il fratello, è molto probabilmente Capriva del
Friuli, nei pressi di Gorizia, sul confine del 1914.
Zona guerra, li 26 10 1917
Mio carissimo Luigi, da quanto ho potuto capire stamattina io rientrerò alla mia
compagnia presto, prima che si sia rimarginata completamente la ferita. Di questo poco me ne
importa dato che non soffro dolore alcuno. Mi secca solo perché vado proprio in tempo per
partecipare alla grande offensiva di cui si parla tanto. A onor del vero uscire da qui prima della
completa guarigione per andare in siti tanto deliziosi, mi garba poco affatto. Questo mi pare
abbastanza giusto, non è vero? Però stai tranquillo che ci tenterò per quanto mi sarà possibile, di
fare una scappata costì a Capriva. Anzi ti assicurerei di venire, il guaio solo che si frappone sta nel
trovare la bicicletta. In un modo o nell’altro spero di dileguare questo inconveniente. Allora,
carissimo, ti racconterò tante cose. Per ora abbiti auguri e saluti infiniti e cari. Affmo Silvino.
Se hai l’occasione di ottenere la licenza ti raccomando tanto di non lasciarla scappare per me. Vai,
se puoi, in licenza subito e divertiti, se io farò una scappata costì e non ti troverò, sarò sempre
contento lo stesso. Una passeggiata fa sempre bene, non ti pare? Di nuovo Silvino, Ciao
14 novembre 1917
Scrive in carta intestata della famiglia. Diversamente dalle previsioni, in seguito alla ferita è
destinato a un ospedale qualunque, perciò arriva a Verona e dalla città torna a casa spesso. Così
partecipa alla vita della propria famiglia di agricoltori, con gli affari di compravendite che si
intrecciano con le difficoltà procurate dalla guerra.
Si dimostra preoccupato per la minaccia di sgomberi del territorio con il pericolo di perdere ogni
bene, così comunica al fratello l‟idea di mettere al sicuro biancheria e altro, e nello stesso tempo
presidiare l‟azienda perché “ non vada tutto sciupato”.
Il periodo storico corrisponde ai giorni successivi a Caporetto, quando la preoccupazione
dell‟invasione austriaca arrivava evidentemente fino alle zone del veronese.
Li 14 novembre 1917
Carissimo Luigi, dopo lungo silenzio ti do mie nuove. Dunque il giorno 28 dello
scorso ottobre lasciai l’ospedale di Cervignano, e, un po’ a piedi un po’ in camions, dopo due giorni
mi recai a S. Donà di Piave. Là mi presentai all’ospedale di tappa dal quale venni messo in uscita il
giorno appresso perché mi recassi in un ospedale territoriale qualunque. Approfittai di quella
occasione venni a Calmiero quindi a casa e al primo di questo mese mi presentai all’ospedale di
Verona. Il giorno 10 venni messo in uscita con 10 giorni di riposo da passare a Verona. In questi
giorni scappo sempre a casa. Non so presso quale reggimento verrò assegnato. E tu hai sempre la
solita occupazione? Non occorre che ti descriva il viaggio che feci poiché anche tu l’avrai provato.
Non è vero? Qui a casa sono sempre indecisi sul da fare.
Alcuni signorotti come Gelmini(?) Mancini e tanti altri hanno spedito della biancheria in Toscana.
Io consigliai il papà di fare un viaggio sull’appennino e trovare una stanza o una casetta in
campagna e spedire subito la biancheria migliore, i materassi di lana e quanto altro più si può. Nel
caso poi capitasse la disgrazia di sgomberare mandare subito la famiglia laggiù e qui restare in uno
coi Zanini(?) perché non vada tutto sciupato. Forse partirà domani in cerca di questo locale. Che ti
pare? Io mi sono interessato assai in città e questa soluzione credo sia la migliore.
In questi giorni abbiamo smerciato tutta la legna e un paio di vitelli. Adesso abbiamo dei buoi. In
tutto sono dieci. Forse due o quattro li diamo al governo. Sarebbe molto bene poiché li paga a buon
prezzo, più della piazza.
Il vino invece non si può smerciare. Ne abbiamo intorno 400 quintali.
Tu stai sempre allegro e sappi che qui si fa sempre quello che meglio consigliano. Fra qualche giorno,
se la burrasca incomincia a cessare, ti spedirò io un bel vaglia. Per adesso abbiti un’infinità di saluti
affettuosissimi e gli auguri più sinceri dal tuo affmo Silvino.
5 giugno 1918
La zona di guerra è l‟alta montagna dove l‟inverno si prolunga. Silvino esprime il desiderio di
tornare a casa anche per poche ore.
Descrive in modo efficace la battaglia (marmittoni austriaci, l‟abbaiare delle armi italiane) che si
alterna alla calma quando le condizioni climatiche sono avverse. Ma nei pensieri di questo giovane
soldato c‟è la famiglia e la preoccupazione per il fratello Luigi al quale invia un‟infinità di saluti
affettuosissimi e gli auguri più sinceri.
In questa lettera cita anche il fratello Attilio, classe 1892, arruolato come bersagliere nel 1913 e
coinvolto anche lui dalla guerra 1915 – 18 con le mansioni di automobilista, come registrato nel
foglio di matricola che lo riguarda.
Pochi giorni dopo la data della lettera, l‟esercito austriaco riprenderà l‟offensiva sul Piave, e,
passato il fiume, occuperà il Montello. Qui l‟offensiva sarà respinta e nel luglio ci sarà la ritirata
austriaca.
In questa situazione di guerra di trincea Silvino non fa cenno all‟esatta località in cui si trova, ma la
dipinge a parole in modo efficace.
Il nipote Silvio racconta che, per ragioni strategiche, era obbligatorio omettere il nome della località
di partenza della lettera a vantaggio di una generica dicitura “zona di guerra”, come si legge
nell‟intestazione delle lettere di Silvino dal fronte.
Zona guerra, li 5 giugno 918
Caro Luigi, mi trovo sempre quassù in mezzo alla neve. Anche adesso fuori il tempo
imperversa, vento e neve. Non mi par vero che in pianura la stagione sia splendida e che il sole si
renda insopportabile. Fra un paio di settimane metterò a riposo, potrò più facilmente persuadermi.
Allora poi se mi verrà accordato un breve permesso voglio scappare a casa, anche per poche ore. Di
salute sto magnificamente bene, e anche per il sito. Adesso vi è calma assoluta, solo quando
scompare la nebbia e si fa vedere il sole arrivano certi marmittoni che mettono il male in corpo.
Anche i nostri però non sono da disprezzare, e basta che il nemico spari pochi colpi perché si
mettano ad abbaiare ferocemente. Non ho ancora ricevuto uno scritto da casa in cui mi dicano che
Attilio è arrivato a destinazione. Spero di riceverlo fra non molto. Anche tu dimmi se te la passi
sempre bene, come io ti auguro con tutto il cuore. Termino salutandoti affettuosamente Silvino
La famiglia ricorda che Silvino dopo la guerra lavorerà per un periodo presso un Istituto bancario
a Tregnago, ma poi si dedicherà al suo lavoro preferito: l‟agricoltura, un amore mai abbandonato
che durante il periodo in cui era in armi lo aveva persino spinto ad innestare le rose selvatiche
presenti nelle zone di guerra.
Silvino Giuliari; sposerà Tersilia, avrà nove figli e vivrà
fino all‟età di 93 anni
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SILVIO GIULIARI
I contenuti dell’intervista
Sono Silvio Giuliari, sono nato nel 1924; mio padre era Antonio, il figlio maggiore del nonno
Giuseppe. Non ricordo bene quando mio padre sia nato, ma conosco bene la sua vita. Nel 1910 è
stato in Libia ed ha vissuto anche la guerra dell‟Abissinia. Conservo molte lettere scritte nel
periodo in cui era in Africa. Ha partecipato anche alla prima guerra mondiale, è stato soprattutto a
Rovereto, poco lontano dal confine Italia-Austria, nel reparto sussistenza. E‟ tornato dalla guerra,
ma non è vissuto molto a lungo; è morto infatti nel 1933 quando io avevo 8 anni, lasciando tre figli
molto piccoli di cui io ero il maggiore.
Io non sono mai andato in battaglia perché sono stato chiamato alle armi nel marzo del 1943,
quando frequentavo l‟istituto tecnico agrario di Bosegana di Padova, tanto che mi hanno concesso
un‟aspettativa, vale a dire un rinvio, per permettermi di finire l‟ultimo anno, cioè fino a settembre
quando terminava la scuola.
In questo periodo di tempo, il fascismo era stato sconfitto e l‟Italia divisa: a nord si aveva la
repubblica di Salò, tenuta ancora dai fascisti di Mussolini, a sud, in Sicilia, era avvenuto lo sbarco
degli americani.
Come dicevo, sono partito soldato nel 1943, sotto la repubblica di Salò. Ero negli Alpini e mi hanno
mandato a Bassano del Grappa. In quel periodo, il pericolo di essere presi e portati a lavorare in
Germania era molto forte. Io e alcuni altri soldati ci eravamo così attrezzati con una bicicletta e un
vestito borghese, custoditi presso una famiglia, pronti per scappare non appena fosse giunto
l‟ordine di partenza del battaglione.
Una volta sono scappato anch‟io da Bassano; in bicicletta sono giunto fino a casa, a Vago. E‟ stato
nel febbraio del 1944. Il re era in esilio, il generale Badoglio al sud, al nord invece il maresciallo
Graziani che, a marzo del 1944, emana il famoso editto secondo il quale chi non si fosse presentato
alla leva o avesse abbandonato l‟esercito era da considerarsi disertore e quindi da sottoporre a
fucilazione.
Così in famiglia mi consigliarono di ritornare a Bassano anche perché nell‟azienda di casa vi era
insediato un nucleo di tedeschi che mi avrebbero potuto prendere con facilità e trasferirmi ai lavori
forzati in Germania.
Sono così tornato a Bassano e, siccome avevo il titolo di perito agrario, cioè di scuola superiore, il
colonnello mi ha chiamato per fare il corso Allievi Ufficiali; io non lo volevo fare, ma alla fine ho
dovuto accettare. Il corso si è svolto nell‟asilo di Montecchio Maggiore in quanto a Bassano la
scuola Allievi Ufficiali, che era una delle più grandi d‟Italia, era occupata dai tedeschi.
Ha conosciuto il nonno Giuseppe?
Sì, mio nonno, il papà dello zio Silvino, dello zio Luigi e di mio padre stesso, era proprietario di
una azienda agricola ad Illasi, posta a fianco del Progno, un torrente che scorre in paese.
Mio nonno aveva un fratello e abitavano entrambi a Donzellino d‟ Illasi, nell‟azienda di famiglia.
Provenivano dalla bassa di San Michele perché i Giuliari si erano collocati, numerosi, nel basso
veronese dove c‟è una villa Giuliari. Anche a Verona c‟è un Palazzo Giuliari, ora sede
dell‟Università. Un casato quindi con una lunga storia familiare. Una parte dei Giuliari si è
trasferita anche in Val d‟Illasi, dove c‟era un clima migliore che nelle basse.
Dapprima mio nonno Giuseppe ed il suo fratello, che si chiamava Dionisio, sono vissuti insieme
nell‟azienda d‟Illasi, ma in seguito all‟acquisto di un‟altra proprietà, posta più in alto rispetto a
quella del Donzellino, in quest‟ultima vi si è trasferito Giuseppe. Nell‟altra, dove vi è anche una
bella chiesetta, vi è rimasto Dionisio, il fratello più anziano.
Io conservo numerose lettere in cui mio padre scrive allo zio Dionisio.
Ci parla della sua famiglia?
Le situazioni familiari dei Giuliari le racconto volentieri perché dal 1924, quando sono nato, sono
sempre stato assieme ai miei cugini.
Si deve sapere che al Donzellino il terreno è molto sassoso a causa della ghiaia portata in
grandissima quantità dal Progno. I terreni pertanto sono molto ghiaiosi e d‟estate estremamente
siccitosi; l‟unica coltura che allora si poteva fare per avere un reddito era l‟uva per la sua buona
resistenza alla siccità. Mio nonno infatti aveva concentrato tutto il lavoro dell‟azienda sulla vite,
producendo un vino molto buono che veniva collocato in una cantina sotterranea con una slitta
trascinata da muli. Si faceva un ottimo vino che il nonno vendeva ai migliori ristoranti di Vicenza e
Verona. Il lunedì mio nonno andava sempre al mercato di Verona con un campione del vino da
vendere; qualche volta si fermava al Vago, dove io abitavo, proprio lungo la strada che scendeva
da Illasi, e mi portava con sé in carrozza, a Verona.
Un‟altra pianta che veniva bene, in quanto molto resistente alla siccità, era il mandorlo, e quindi si
producevano molte mandorle. Se ne rompeva il guscio e le mandorle, così sgusciate, venivano
vendute a buon prezzo alle pasticcerie per fare i dolci, dando così un buon reddito. Di questo
mercato c‟è traccia anche nelle lettere dello zio.
Un‟altra pianta meravigliosa era quella del melograno che dava frutti molto rigogliosi. A
migliorarne la produzione - mi si dice - sia stato proprio mio padre che, tornato dall‟Albania, ha
portato dei semi che poi qui hanno dato il via a piante che sono arrivate a dare frutti rigogliosi di
quasi un chilo. E‟ però una pianta che sotto il profilo dell‟utile dà quasi nulla nel senso che viene
venduta in piccole quantità.
I fratelli Giuliari sono stati sempre uniti sino avanti nell‟età, ma le famiglie crescevano e bisognava
andare avanti: fortunatamente hanno sempre guadagnato con l‟agricoltura. Ad un certo punto
però la famiglia Giuliari, vedendo che i terreni ghiaiosi e la siccità condizionavano la produzione,
nel 1920, dopo la guerra, decide di acquistare 40 campi di terra in zona irrigua, nel comune di
Zevio, al Palù. Qui vi si trasferiscono tre degli otto figli di Giuseppe, facendo una fortuna enorme
anche perché, avendo tutti studiato agricoltura a Remedello di Brescia, erano ben preparati.
Hanno così cominciato a piantare frutti, dapprima le pesche e poi le mele, ed è stato un grande
successo perché la produzione era alta, data la presenza dell‟acqua.
Altri Giuliari si sono trasferiti a Isola e ora, del ceppo originario, siamo più di 360 cugini.
Alcuni di noi si sono laureati e hanno seguito anche strade diverse dall‟agricoltura; io, per esempio,
sono dottore in agraria e sono stato Preside dell‟Istituto Agrario di Lonigo, nonché Direttore
dell‟Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria, che mi ha dato modo di conoscere non solo
l‟Italia, ma l‟intera Europa, dati i contatti di questo Istituto con tutti i maggiori centri di ricerca
europei.
Ci parla dello zio Silvino?
L‟autore delle lettere, che voi ragazzi avete letto, era mio zio Silvino. Faceva il militare a Thiene,
quindi non molto lontano dal fronte che passava poco sopra Asiago e sui monti del Pasubio e della
Valsugana.
Silvino Giuliari era arrivato a Thiene nel reparto sanità, che comprendeva anche l‟ospedale di
Thiene; lì vi ha trascorso gran parte del suo periodo di guerra, ma è stato ferito sul fronte del
Pasubio dove l‟avevano inviato dopo essere diventato ufficiale.
Nell‟ospedale ogni persona aveva il suo settore: lui non era medico, né infermiere ma, svolgeva
altri servizi. Successivamente, quando è diventato ufficiale, non l‟hanno più tenuto lì, ma l‟hanno
mandato al fronte dove c‟era molto bisogno.
In quel tempo, anche mio padre era al fronte. Dopo essere tornato dalla guerra di Libia, si trovava
al forte di Rovereto dove non si combattevano le battaglie che avvenivano invece sull‟Ortigara, ma
più che altro operazioni di controllo del fronte, con frequenti spinte ed irruzioni, al di là del fronte
tedesco, per rilevare se il nemico costruisse delle fortificazioni.
In seguito anche mio padre è stato inviato al fronte, al momento della strafenxpedition infatti quasi
tutti i soldati sono stati trasferiti nella zona della Valsugana. Qui mio padre vi è rimasto fino alla
fine della guerra ed è ritornato a casa nel 1919. La località in cui mio padre è rimasto per più tempo
è Arsiero, ma è stato anche a Bassano perché lui, che era sergente maggiore, aveva un gruppo
cosiddetto di cariaggi, tirati da muli, con cui portavano il vitto in prima linea. Ogni 15 giorni
arrivavano i rifornimenti dalla Valsugana e lui con i suoi uomini provvedeva al loro trasferimento
ai soldati al fronte
Silvino aveva compiuto gli studi al Liceo classico di Verona e non ha fatto l‟università neppure
dopo la guerra quando, seguendo la sua passione innata per l‟agricoltura, ha scelto di fare il
contadino come nella migliore tradizione di famiglia.
Era l‟unico dei fratelli che aveva il diploma di scuola superiore, ma ha fatto lo stesso il contadino
come tutti i suoi fratelli, comprando diverse aziende nel basso veronese.
Come interpreta la parola “tradimento” presente nella lettera di Silvino?
Nella sua lettera, datata Thiene 6 giugno 1916, parla di “tradimento” dei generali italiani perché
Silvino ha avuto modo di vederne l‟operato.
A Thiene infatti lo zio Silvino non ha lavorato solo presso l‟ospedale, ma anche al Comando
militare. Va precisato comunque che l‟ospedale di Thiene era un ospedale vicino al fronte che
riceveva quindi i soldati appena feriti, che poi venivano trasferiti a strutture ospedaliere più
arretrate, come è successo anche allo stesso zio quando è stato ferito: infatti, dapprima è stato
ricoverato presso l‟ospedale di Cervignano, poi in quello di Verona.
Come si diceva, lo zio Silvino ha lavorato anche al Comando Superiore delle Forze Armate
dislocato a Thiene in un grande fabbricato, ora restaurato, dove c‟era il comando. In questo modo
lo zio Silvino ha avuto la possibilità di vedere come gli ufficiali dirigevano le operazioni trovando
il tempo di divertirsi mentre i soldati al fronte morivano, e per questo scrive che gli ufficiali erano
da considerarsi dei “traditori”.
Ma è la vita ad essere così: chi è al fronte è al fronte, chi è nelle retrovie, è tutta altra cosa. Quando
si è in campo di battaglia è molto diverso.
Ha altri ricordi dello zio Silvino e di Luigi?
Sì e molto bene. Sono morti anziani e così li potuti conoscere ed essere a loro vicino per molto
tempo. Erano persone molto intelligenti ed appassionati di agricoltura, ma anche molto preparati.
Immaginatevi che mio zio Silvino mi raccontava che dopo le grandi battaglie, dalla
strafenxpedition a Caporetto, c‟erano anche sull‟altopiano di Asiago dei periodi di quiete e lui
andava ad innestare le rose nei boschi per poterle vedere fiorire in primavera.
Luigi ha avuto tredici figli con i quali io ho vissuto diversi anni facendo il quattordicesimo perché
a me piaceva molto andare nelle campagne del Palù dove c‟era ogni ben di Dio di tutti i tipi.
Quando vi si sono trasferiti i Giuliari, c‟era un‟agricoltura di tipo primitivo per cui hanno dovuto
farvi la bonifica, scavare i fossi per togliere l‟acqua ricavandone un terreno fertilissimo che
produceva di tutto: c‟erano uccelli e pesci in quantità inesauribile, bastava prosciugare un tratto di
fosso per raccogliere un quintale di pesce.
Gli zii, non solo Silvino e Luigi, ma anche gli altri loro fratelli, mi parlavano un po‟ tutti della
guerra perché in guerra ci sono andati e ne hanno avuto esperienza. Ad un certo momento hanno
anche messo il loro papà nella situazione di trovare una casa sull‟Appennino contro il pericolo
dell‟occupazione tedesca. A quel tempo si viveva con preoccupazione, giorno dopo giorno, il clima
della guerra; si rendevano conto che i tedeschi erano forti, avevano costruito forti massicci e sicuri
dotati di artiglierie potenti in grado di lanciare granate estremamente distruttive anche a molti
chilometri di distanza.
Le hanno descritto come era la guerra a quel tempo?
Da un punto di vista di strategia geografica militare il Pasubio era una delle tante montagne tenute
dai tedeschi; i tedeschi infatti, all‟inizio della guerra del „15-18, non hanno concentrato le loro
battaglie, come era sempre avvenuto precedentemente, sulla strada della Valpolicella e lungo il
corso dell‟Adige da cui era facile scendere fino alla pianura italiana, ma hanno utilizzato un‟altra
tattica.
In questa guerra infatti, i tedeschi, con una strategia particolare, dato che loro erano ben affermati
nelle zone di Levico, di Folgaria e della famosa Luserna, avevano tentato di rompere il fronte
italiano proprio sotto alle montagne di Vicenza per arrivare poi, da qui, in pianura. In questo
modo tutto l‟esercito italiano, dislocato da Brescia sino a Trieste, sarebbe stato tagliato a metà ed i
tedeschi avrebbero così potuto contare su una sicura vittoria.
Si era nel 1916 quando contro l‟Italia è stata attuata la strafexpedition tedesca, una battaglia
ferocissima per l‟ impiego di una grande quantità di mezzi e di uomini, senza considerare il fatto
che, mentre il nemico occupava le posizioni alte delle montagne, gli italiani invece dovevano
risalire dalla Valsugana e si trovavano quindi in maggiore difficoltà, con battaglie terribili anche
per la popolazione. Il timore dell‟occupazione tedesca infatti era tanto grande che lo zio Silvino, in
una lettera, invita la sua famiglia a trasferirsi in un paese dell‟Appennino.
Nella parte alta del vicentino, dall‟altipiano di Asiago fino ad Arsiero, ultimo paese occupato
durante la strafexpedition, già molte popolazioni erano state fatte sfollare. Arsiero è poco lontano
da Thiene, una decina di chilometri, quindi i tedeschi avevano praticamente oltrepassato tutte le
Alpi, costringendo l‟Italia in una situazione molto difficile.
Abbiamo infatti una lettera in cui lo zio Silvino, che era all‟ospedale di Thiene, non si rendeva
conto del numero dei feriti che arrivavano dal fronte, parla addirittura di 500-600 persone, che poi
erano trasferite, quasi subito, in altri ospedali più arretrati, per far così posto ai continui arrivi di
nuovi soldati.
Gli scontri infatti erano terribili e i militari venivano colpiti in battaglie durissime che
comportavano la decimazione di interi battaglioni che venivano mandati all‟assalto contro
mitraglie che li colpivano facendoli cadere accatastati gli uni sopra gli altri. Erano infatti battaglie
di posizione molto sanguinose che comportavano assalti molto cruenti.
Si ricorda se tutti i figli del nonno Giuseppe sono tornati dalla guerra?
Tutti i figli di Giuseppe – i miei zii – sono tornati dalla guerra. Sono stati molto fortunati.
Io conservo una lettera dello zio Silvino, in cui scrive di essere stato colpito proprio sul Pasubio, un
posto che sono andato a visitare e dove sono state combattute grandi battaglie. C‟è il Corno
italiano e quello tedesco e sono visibili inoltre tutti gli stratagemmi messi in atto, da entrambe le
parti, per poter distruggere il maggior numero di soldati possibile. Essendo infatti su posizioni
contrapposte e molto alte, entrambi gli eserciti avevano pensato di fare delle gallerie attraverso le
quali raggiungere il nemico e colpirlo, facendole saltare.
Questo per farvi capire che lassù c‟è stata una guerra, non solo con tanti morti e feriti, ma anche di
grande lavoro perché scavare gallerie non era semplice, si usava infatti solo il piccone. Famosa è la
strada delle gallerie che va da Passo Xomo di Schio fino al Rifugio Papa del Pasubio, attraverso
gallerie scavate dagli artiglieri dentro le montagne.
Le gallerie, come anche le trincee, erano molto importanti perché bastava essere allo scoperto per
venire colpiti. Ora queste trincee sono state recuperate e rimesse in efficienza e si possono così
vedere tutte quelle utilizzate nella battaglia dell‟Ortigara. E‟ molto interessante poterle vedere, così
ci si rende conto che italiani e tedeschi, nelle gallerie, combattevano anche da una distanza di 30
metri, tanto da potersi lanciare pezzi di pane da una trincea all‟altra.
Come erano le trincee?
Ve ne sono di lunghe anche chilometri, se poste di fronte al nemico. Sono profonde un metro e
settanta e quindi ad altezza d‟uomo; restando un po‟ abbassati si rimaneva al di sotto
dell‟artiglieria nemica che veniva potenziata con mezzi a sempre più lunga gittata e che sparava
tutti i giorni dai forti circostanti. Più che l‟artiglieria però era la mitragliatrice a mietere il maggior
numero di vittime e feriti, mentre l‟aviazione a quel tempo non era ancora sviluppata. La
mitragliatrice veniva utilizzata soprattutto contro le avanzate e molti ne risultavano colpiti.
Perché i soldati bevevano graspa?
Io ho avuto un maestro di scuola elementare che è stato Capitano degli Arditi che erano in prima
linea ed il cui compito era quello di andare a tagliare i reticolati per aprire le vie prima delle
battaglie. Bevevano per non capire niente e non fermarsi davanti alle mitragliatrici. Non erano
sempre ubriachi, solo quando era necessario si ricorreva a ciò anche per attutire la paura. Tutti i
soldati avevano paura, quando si vedevano i compagni cadere bisognava trovare la forza di
continuare, una cosa molto difficile. Chi era in prima linea aveva però escogitato artifici e
precauzioni per evitare i pericoli e salvare la vita; anche ventimila i morti al giorno e la paura era
naturale che prendesse tutti.
Come si difendevano?
Dopo tanti anni di trincea, avevano imparato a mettere in atto strategie difensive. I nostri soldati
contro i colpi di granata che scoppiavano vicini e contro i “Shrapnel”, che dirompevano a una certa
altezza, lanciando pallini e pezzi di ferro tutto intorno, si riparavano dietro un masso, oppure
dietro un muretto di protezione o una buca che li avrebbe salvati.
Io ho conosciuto molti soldati reduci della guerra 15-18, anche quelli che erano stati coinvolti nella
ritirata di Caporetto.
Li ho conosciuti perché dopo la guerra hanno lavorato nella nostra azienda. Non è da dire che la
seconda guerra mondiale sia stata meno terribile, solo che non è stata una guerra di posizione e di
trincea.
Quando frequentavo l‟istituto tecnico di Padova, ho visto che sono partiti per la Russia i migliori
ragazzi, giovani alti anche un metro e ottanta, quasi tutti bellunesi, di cui pochi tornati. Sono morti
infatti di freddo o fame. Gli altri che sono stati invece in Africa, a Tobruc e in Libia, cui scrivevo,
come anche quelli che sono stati mandati in Albania, hanno avuto una sorte diversa dai soldati
della prima guerra.
16
I suoi zii scrivevano lettere a casa?
Sì, scrivevano a casa e anche si rispondevano tra di loro. Durante la guerra infatti la
corrispondenza con i genitori, tra fratelli ma anche con i cugini, era notevole. Dalle lettere inoltre si
può capire che la famiglia mandava loro pacchi e soldi per cui c‟era una strettissima unione
familiare, che si è sempre mantenuta anche in seguito.
Solo che chi era vicino faceva presto a riceverle, gli altri un po‟ meno e non sempre si trovavano i
francobolli. Silvino infatti in una sua lettera scrive che doveva imbucarla senza francobollo perché
dove c‟erano migliaia di soldati non se ne trovavano perché finivano presto.
A volte i soldati stavano anche 5-6 mesi senza ricevere posta perché nelle linee avanzate non
sempre arrivava, era già molto se arrivava il vitto, il resto era un po‟ in secondo piano.
Voglio farvi notare inoltre che quando Silvino scrive mette “zona di guerra” perché era
proibitissimo indicare la località. Io stesso rimango stupito del fatto che mio padre, che scriveva
dall‟Albania, mettesse sempre regolarmente il nome della cittadina che avevano conquistato.
CONOSCERE LA GUERRA PER AFFERMARE LA PACE”
Percorso della Scuola Primaria
“Tutti parliamo di guerra, ma nessuno di noi giovani europei
può dire di conoscere pienamente
il significato di questa parola.”
Classi V sez. A e B Scuola Primaria G. Zanella,
Minerbe
Prima di iniziare verifichiamo cosa pensiamo noi.
“COS‟E‟ PER NOI LA GUERRA?
COSA PENSIAMO QUANDO SENTIAMO QUESTA PAROLA?”
Classe V°A
*La guerra è un atto di violenza (Edoardo)
*Si pensa che con la guerra,si risolvono i maggiori problemi del mondo,ma è la guerra il più
grande problema del mondo(Giulia F)
*Dove finisce il dialogo inizia la guerra (Elena)
*In guerra c’è tanta povertà e tristezza (Gabriele)
*La guerra si fa per sconfiggere i nemici (Aiman)
*La guerra è un divertimento per gli uomini cattivi(Giulia L)
*In guerra vengono uccise molte persone senza un vero motivo(Samantha)
*La guerra è una lotta tra stati (Eva)
*La guerra può essere fatta per proteggere la propria patria (Chiara)
*Secondo me la guerra vuol dire odio (Anna)
*La guerra porta molti orfani, anche se sanno bene che i loro papà sono morti da
eroi(Giulia Q)
*Fanno la guerra per portare la pace(Denis)
*La guerra fa paura ai bambini(Vanessa)
Classe V° B
*È una cosa brutta,è quando, tra due parti, una vuole essere superiore all’altra (Stefano S.)
*Qualcuno che spara a qualcun’ altro (Diletta)
*È una ribellione: una parte è decisa a fare una cosa che l’altra parte non vuole (Andrea T.)
*È un “ litigio “ tra due popoli per possedere la stessa cosa(Nicolò)
*Quando qualcuno vuole imporre la propria religione(Osama)
*È come il colore nero: brutto e spento(Martina)
*È una “cosa “ difficile da superare e da dimenticare (Melissa)
*È disperazione, tanti litigi e la associo al nero perché è brutto e al rosso il sangue(Marta)
*È paura di morire (Lorenzo)
*È dolore per la morte dei tuoi cari (Vittoria)
*È aiutare gli altri popoli in lotta (Valentina)
*È triste perché spesso bisogna lasciare le cose a cui si tiene di più(Stefano Z.)
*Bambini armati che combattono (Andrea M.)
*Molti bambini orfani (tutta la classe)
UN PO’ DI STORIA: 4 NOVEMBRE 1918
Questa data segnò la fine di una lunga guerra che aveva insanguinato l‟Europa.
L‟Italia vi aveva partecipato per liberare le province di Trento, Trieste e l‟Istria (occupate dagli
austriaci) e ristabilire i suoi confini naturali.
Seicentomila soldati italiani morirono e, in loro memoria, ogni Comune dedicò un monumento o
una lapide che ne porta incisi i nomi perché le generazioni future ricordino coloro i quali sono
morti per rendere la nostra patria più grande e gloriosa.
NEL NOSTRO PAESE, situato nella piazza principale (p.zza IV novembre), c‟è un monumento
piuttosto grande dedicato al “milite ignoto”, sul cui basamento sono riportati i nomi dei
combattenti nati qui e morti in guerra.
Con la classe siamo usciti per osservarlo da vicino:
il monumento è piuttosto alto, di pietra bianca e raffigura
un soldato in divisa con elmetto, giubba e cinturone con le
cartucce ed un coltello, pantaloni infilati negli stivaloni.
Questa statua è appoggiata a due colonne spezzate
simbolo di tutte le giovani vite spezzate dalla crudeltà
della guerra.
Marta B.
Posta ai piedi del milite vi è una lapide con scritto:
” PER UN‟ITALIA PIU‟ GRANDE
MCMXV – MCMXVIII”
20
Cosa può pensare un soldato quando uccide un nemico?
Abbiamo letto questa lettera di E.M. Remarque che ha cercato di interpretarne il pensiero e le
emozioni.
“Io non ti volevo uccidere, se tornassi indietro non lo farei purché non lo facessi neanche
tu.
Prima per me eri solo un nemico; soltanto ora vedo che sei un uomo come me.
Prima temevo la tua baionetta e le tue bombe a mano; ora vedo il tuo volto e scopro che ci
somigliamo. Perdonami!
Perché non ci hanno mai detto che le vostre famiglie sono in ansia come le nostre e che
abbiamo lo stesso terrore? Perdonami!
Come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste armi e queste uniformi potresti
essere mio fratello.”
Abbiamo analizzato queste poesie di G. Ungaretti
SAN MARTINO DEL CARSO
Di queste case (1)
non è rimasto
che qualche
brandello di muro.
Di tanti
che mi corrispondevano(2)
non è rimasto
neppure tanto.(3)
Ma nel cuore
nessuna croce manca.
E‟ il mio cuore
il paese più straziato.(4)
G. Ungaretti
Note: 1- le case di S. Martino del Carso, paese dell‟autore vicino a Gorizia, bombardato nel 1915.
2- mi amavano come io amavo loro.
3- mentre delle case è rimasto qualche pezzo di muro, delle persone amate non è rimasto
neppure quello.
4- fra tutti gli orrori visibili il cuore del poeta è il “ luogo “ dove c‟è più dolore perché ricorda
le persone care che la guerra ha portato via.
Commento: è una poesia triste perché parla del dolore dell‟autore vedendo la sua casa e il suo
paese distrutto. Ma la sua sofferenza più grande è per la morte dei suoi cari, dei suoi amici e dei
suoi conoscenti. Gli ultimi quattro versi sono una metafora che vuol significare che il suo cuore è
come un grande cimitero pieno di croci .
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Poesia:
SOLDATI
Si sta come
d‟autunno
sugli alberi
le foglie
G. Ungaretti
Commento: questa poesia è una metafora per spiegare che in guerra il pericolo è sempre vicino e
ogni soldato è esposto continuamente alla morte tanto quanto le foglie in autunno sono sempre sul
punto di staccarsi dall‟albero.
Stefano Z.
A conferma di ciò che afferma quest‟ultima poesia, abbiamo letto la lettera dal fronte del soldato
Silvino Giuliari, inviata al fratello Luigi il 12 ottobre 1917( già presentata nella I° parte del
fascicolo), nella quale dice che:
“…..mi trovo ricoverato nell’ospedale da campo…. Sono stato fortunato assai. Pensa che
fui colpito proprio in direzione del cuore. Se per disgrazia quella palletta avesse avuto un
pochina di forza maggiore mi avrebbe mandato all’altro mondo senza lasciarmi gridare
nemmeno “ mamma”.Invece, fortuna volle che si arrestasse nella carne…….”
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Molte informazioni su ciò che succedeva in tempo di guerra e in che modo accadeva le abbiamo
ricavate da un‟altra lettera di Silvino, inviata sempre al fratello Luigi il 6 giugno 1916 da Thiene, in
provincia di Vicenza ( già presentata nella prima parte).
Abbiamo letto la testimonianza, analizzata e suddivisa in quattro parti poiché il mittente dà
notizie ed informazioni di argomenti diversi riguardo a ciò che stava succedendo intorno a lui.
Ne riportiamo alcuni stralci con i nostri disegni:
“… il grande affollamento di feriti in quest’ospedale….che mentre prima funzionava con un numero di 300
letti ora questo numero si è quasi triplicato…”
Chiara B.
“...gli abitanti hanno dovuto abbandonare le loro case……vederli passare con un paio di vaccherelle magre
con un pollo con una forma di formaggio….inerti e silenziosi….era uno spettacolo assai triste…”
DilettaZ.
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“I feriti raccontano che gli austriaci si avanzano a schiere serrate….i morti da parte del nemico hanno
raggiunto l’altezza di qualche metro. Mentre dalla nostra parte ci sono pochissimi morti…c’è pericolo che gli
austriaci riescano a scendere dalle montagne…..”
LucaM.
“…I preparativi che si stanno facendo da queste parti è una cosa che non ti puoi immaginare.Ci sono già
diversi squadroni di cavalleria…”
Andrea T.
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Il 4 novembre tuttavia si commemorano i caduti di tutte le guerre successive al primo conflitto
mondiale fino a quelli recenti a causa dei contrasti in atto nel mondo.
In internet abbiamo trovato degli articoli che trattano tali argomento e ci ha colpito uno che parla
dei bambini che vivono questa realtà.
Riflettendone insieme ci siamo resi conto di quanto siamo fortunati a vivere nel nostro paese.
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OGGI IN AFGHANISTAN
Scontri sanguinari tra diverse etnie che convivono nello stesso territorio, hanno comportato
l‟intervento dell‟America e dell‟Europa che, da qualche anno, inviano i loro contingenti militari per
ristabilire la pace nel paese. Tuttavia, ancor oggi, ci sono molti attentati terroristici che, a volte,
coinvolgono anche militari delle forze di pace: americani, inglesi, spagnoli, portoghesi, italiani.
In questo periodo si trova in Afghanistan il Corpo dei paracadutisti della Folgore, anche della
caserma di Legnago, per cercare di aiutare i civili nella:
- costruzione di strade,
- costruzione di ospedali e di scuole,
- riorganizzazione dell‟esercito regolare e della polizia
- organizzazione del governo
Purtroppo alcuni di loro sono rimasti uccisi in attentati, anche kamikaze.
Dal Corriere della Sera
A loro va la nostra preghiera e il nostro pensiero affinché ogni guerra finisca e nel mondo regni la
pace.
PREGHIERA DEI PARA‟
Eterno, immenso Dio che creasti gli infiniti spazi e ne misurasti le misteriose profondità, guarda a
noi, Paracadutisti d’Italia, che nell’adempimento del nostro dovere balzando dai nostri apparecchi, ci
lanciamo nella vastità dei cieli.
Manda l’Arcangelo S. Michele e nostro custode, guida e proteggi l’ardimentoso volo, come nebbia al sole,
davanti a noi, siano dissipati i nostri nemici. Candida come la seta del paracadute sia sempre la nostra fede e
indomito coraggio.
La nostra giovane vita è tua o Signore! Se è scritto che cadiamo, sia! Ma da ogni goccia del nostro sangue
sorgano gagliardi figli e fratelli innumeri, orgogliosi del nostro passato, sempre degni del nostro immancabile
avvenire.
Benedici, o Signore, la nostra patria, le famiglie, i nostri cari! Per loro nell’alba e nel tramonto sempre la
nostra vita! E per noi o Signore, il tuo glorificante sorriso.
Così sia.
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“SE VUOI LA PACE”
Se vuoi la pace
dichiara guerra alla guerra
al tuo egoismo
che vuole tutto per sé
e non ti fa vedere
il bisogno del tuo fratello.
Combatti ogni desiderio di dominio
che vuole farti comandare
nel gioco, a scuola, a casa
dappertutto.
Se vuoi la pace
cerca che tutti attorno a te
abbiano il necessario,
abbiano la possibilità di parlare:
siano liberi.
Come vuoi essere libero tu
di parlare, di lavorare,
di pregare, di amare, di vivere.
La pace incomincia DA TE.
G. ELBA
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“ DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE AD OGGI ”
“ Il difficile equilibrio tra il rifiuto della guerra
e il dovere di difendere la Patria”
Percorso della Scuola media
Ogni individuo ha la possibilità di aprire la strada al rispetto dell’altro e ad una vita migliore:
la pace non è soltanto una tregua tra due parti,
ma è una “costruzione quotidiana” che inizia dall’animo e dalla mente di ognuno.
Classi terze, scuola media di Minerbe
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Introduzione
Il 4 novembre 1918, novantuno anni fa, si completava con la vittoria italiana contro gli austriaci a
Vittorio Veneto la guerra sul fronte italiano, durata 41 mesi: più di tre anni di freddo e fame sotto il
rombo delle artiglierie nemiche, con in prima linea ragazzi provenienti dalle più diverse aree
geografiche d‟Italia, uniti tutti da una bandiera, il nostro Tricolore.
La fine della Prima Guerra Mondiale chiudeva il ciclo delle campagne nazionali per l'Unità d'Italia,
un cammino lungo, difficile, doloroso, partito dalla Prima Guerra d'Indipendenza e portato a
termine con il concorso della popolazione di tutte le regioni d‟Italia.
L‟Istituto anche quest‟anno intende celebrare la ricorrenza del IV Novembre ricordando i caduti
del primo conflitto mondiale, ma anche tutti quei militari che oggigiorno perdono la vita nelle aree
calde del mondo per affermare la cultura della pace e della solidarietà e per intervenire, in
circostanze di particolare rischio, per l‟incolumità della popolazione civile.
Tutti gli alunni dell‟Istituto Comprensivo di Minerbe oltre a ricordare chi non c‟è più, sia egli stato
protagonista della prima guerra mondiale o sia nuova vittima, hanno voluto con le loro attività
“gridare” il rifiuto della guerra, com‟è scritto a chiare lettere anche nella nostra Costituzione.
Contenuti del percorso
La terza sezione del fascicolo, realizzata dagli allievi della Scuola Secondaria di Primo Grado di
Minerbe, dopo una prima pagina di inquadramento storico degli eventi riguardanti la
partecipazione italiana al primo conflitto mondiale, sviluppa l‟analisi della lettera di Silvino al
fratello Luigi, datata 6 giugno 1916, e già inserita nella prima parte del fascicolo. Ne riporta la
prima e l‟ultima pagina olografa e ne effettua quindi la ricostruzione storica inerente autore e
destinatario, gli avvenimenti accaduti nel territorio di stesura della stessa ed infine l‟analisi
testuale.
Il lavoro prosegue quindi con la ricerca e l‟attenta analisi di canti e poesie ed in particolare:
 La canzone del Piave, per ricordare l‟episodio legato all'attacco violento da parte dell‟esercito
austriaco contro quello italiano, che si era ripreso dallo scoraggiamento e dal disordine di
Caporetto, così, quella che doveva essere la sconfitta definitiva dell'Italia, si risolse in una
grande vittoria difensiva;
 Non sei che una croce, poesia dedicata a tutti quei soldati caduti nel corso della I Guerra
mondiale, molti dei quali rimasti senza un nome o un dato identificativo. Il componimento
rappresenta un vero richiamo dell‟autore alle future generazioni a non dimenticare quanti
hanno sacrificato la loro giovane vita nel nome di un ideale. Sul significato della poesia, gli
alunni di III A hanno elaborato alcune significative riflessioni;
 Il canto degli italiani, ovvero l‟inno d‟Italia, esaminato e poi cantato, assieme ai compagni
della Primaria, nel corso della commemorazione pubblica del 4 novembre in “versione
ridotta”, ossia soltanto la prima strofa ed il ritornello;
 La guerra di Piero, canzone, anche quest‟ultima esaminata ed eseguita coralmente dagli
allievi della Secondaria per evidenziare la contraddittorietà e l‟inutilità della guerra. Sul
componimento, inoltre, la classe III C ha aggiunto le proprie riflessioni.
Di seguito, sono state raccolte dagli allievi di I e II B alcune riflessioni generali sul primo conflitto
mondiale che hanno portato alla creazione di un vero testo poetico sui veri valori che tutti
dobbiamo difendere: la famiglia, l‟onestà, le cose semplici,..
L‟ultima parte di questa sezione ci riporta ai giorni nostri e raccoglie il significato e la riflessione su
due importanti articoli della Costituzione italiana, ovvero l‟art. 11 e l‟art. 52, che sanciscono il
rifiuto della guerra da parte del nostro Paese e, al contempo, il dovere sacro di difenderlo. E‟ per
questo motivo che il pensiero conclusivo è andato a coloro che, per riportare la pace in alcune zone
calde del mondo, hanno sventuratamente perso la loro vita.
30
L’Italia nel primo conflitto mondiale: cenni storici.
Il 28 giugno 1914 uno studente serbo spara contro l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono
d‟Austria. L‟attentato, di matrice anarchica, innesca una serie di reazioni che culminano il 28 luglio
del 1914 quando l‟Austria presenta la dichiarazione di guerra alla Serbia: è l‟inizio di un conflitto
che, per la prima volta nella storia, assume un carattere mondiale. L'Austria, la Germania e poi la
Turchia scendono in campo contro la Serbia, mentre con quest'ultima si schierano la Russia, la
Francia, l'Inghilterra e poi il Giappone e gli Stati Uniti.
In una prima fase la guerra si caratterizza come "guerra di movimento", ma presto, contro le
speranze degli imperi centrali che contavano di risolvere il conflitto in tempi rapidi, si passa ad
una vera e propria guerra di logoramento, che vede come protagonista la trincea.
Per quasi un anno il nostro Paese mantiene una posizione neutrale all‟interno del conflitto,
rimanendo per tutto il tempo diviso in due schieramenti contrapposti: gli interventisti e i
neutralisti. Sono favorevoli alla guerra i Nazionalisti, i Repubblicani, i Conservatori e i sindacalisti
rivoluzionari: invocano l‟intervento contro l‟Austria allo scopo di ottenere la liberazione di Trento
e Trieste, città simbolo dell‟unità incompleta dell‟Italia. Contro gli interventisti e a favore della
pace si schierano i cattolici, i Socialisti riformisti e i Liberali guidati da Giovanni Giolitti. Pur se in
minoranza, gli interventisti hanno la meglio: il 24 maggio 1915 il Governo italiano dichiara guerra
all‟Impero Austro – Ungarico, ma non alla Germania (la dichiarazione di guerra alla Germania si
avrà soltanto il 27 agosto 1916).
Il nostro esercito combatterà quasi esclusivamente nelle regioni nord-orientali d‟Italia e anche su
questo fronte il conflitto si svolgerà essenzialmente nelle trincee scavate nelle montagne da soldati
reclutati fra le fasce più povere della popolazione. L‟anno più difficile per l‟esercito italiano è il
1917. In questo anno, infatti, a seguito di un‟offensiva austriaca divenuta sempre più pressante, il
nostro esercito subisce una pesante sconfitta a Caporetto (24 ottobre) ed è costretto a ripiegare fino
al Piave.
Le perdite italiane e in uomini e in materiali sono gravissime. Ma presto ha inizio una grande
controffensiva delle truppe italiane, che dal Grappa e dal Piave dilagano fino a Trento e Trieste.
Nel pomeriggio del 3 novembre i delegati austriaci firmano la resa. L‟armistizio (patto di Villa
Giusti) entra in vigore il 4 novembre 1918. Termina così la guerra sul fronte italo - austriaco, pochi
giorni prima della conclusione generale del conflitto, che vede il crollo della Germania e
dell'Impero austro - ungarico.
Il bilancio del conflitto è drammatico: 689.000 morti, quasi il doppio di quelle che saranno le
vittime italiane della Seconda Guerra Mondiale, e 1.050.000 tra mutilati e feriti.
UNA LETTERA DELLA I GUERRA MONDIALE
Lettera olografa di Silvino Giuliari, 1a pagina
32
Lettera olografa di Silvino Giuliari, ultima pagina
Thiene-6 giugno 1916
Gli avvenimenti del territorio di Thiene dagli inizi della I guerra mondiale all’esaurimento
della Strafexpedition, 16 giugno 1916.
Grazie alle ricerche dello storico Luca Valente1, veniamo al corrente che, fin dagli inizi della I
guerra mondiale, Thiene, cittadina da dove è stata spedita la fonte epistolare datata 6 giugno 1916,
fu attraversata dalle truppe che si dirigevano sull‟altopiano di Asiago e in Valdastico o che
prendevano stanza in città.
Nonostante la cospicua presenza militare, però, le prime bombe nemiche caddero sulla città solo il
22 maggio 1916, qualche giorno prima della stesura della lettera in nostro possesso, e non fecero
gravi danni.
Gli austriaci avevano lanciato la famosa Strafexpedition (dal tedesco spedizione punitiva), l‟offensiva
austroungarica che si prefiggeva lo sfondamento del fronte prealpino tra il Pasubio e il Brenta, con
asse centrale lungo la Valle dell‟Astico, e la successiva irruzione nella pianura vicentina. Sul piano
strategico generale ciò avrebbe precluso le vie della ritirata verso l‟Adige o il Po del grosso
dell‟esercito italiano schierato in Cadore e sul fronte dell‟Isonzo, infliggendo così all‟Italia una
disfatta decisiva avente come scopo finale la sua eliminazione dal conflitto europeo.
Decine di feriti giungevano intanto agli ospedali e ai posti di medicazione della città, come si
apprende anche dalle vivide parole del mittente della missiva.
Il pericolo che le truppe nemiche sfondassero e calassero in pianura era elevatissimo: in città
serpeggiava la paura, i più benestanti raccolsero le proprie cose e se ne andarono. Ben peggiore,
però, era la situazione delle popolazioni dell‟altopiano di Asiago, della valle dell‟Astico e della
fascia pedemontana, costrette ad una fuga precipitosa di fronte all‟avanzata nemica. Da Asiago,
Conco, Lusiana, Posina, Arsiero e da tanti altri paesi un flusso ininterrotto di povera gente
attraversò Thiene in quei giorni.
Come sottolinea la storica Silvana Battistello2, nascevano intanto nei paesi di accoglienza i comitati
di soccorso o di preparazione civile che avevano il compito di alleviare la sofferenza dei profughi
fornendo loro aiuto e assistenza. Come è naturale immaginare, visto che la maggior parte degli
uomini erano stati chiamati alle armi, i profughi erano soprattutto donne, bambini e vecchi. Con i
pochi mezzi di trasporto a disposizione, carichi di masserizie, scendevano a valle quasi sempre a
piedi, trascinando qualche animale o tenendo in braccio i bambini più piccoli.
Forti, anche in questo caso, sono le frasi riportate dal sig. Silvino Giuliari.
Il 16 giugno la Strafexpedition si esauriva e gli austriaci erano costretti alla difensiva dalla reazione
italiana.
La sanità militare italiana durante la guerra.
Sempre grazie all‟apporto dello storico L. Valente3, apprendiamo che il sistema medico sanitario
militare italiano era gestito dai soldati del Corpo della Sanità Militare e dall‟apparato della Croce
Rossa Italiana.
Di norma l‟unità operativa di base della Sanità Militare al fronte era la Sezione di Sanità, diretta da
un capitano medico chirurgo ed operante a livello di reggimento di fanteria, che a sua volta si
divideva in due Reparti di Sanità aggregati ognuno al Comando di battaglione e comandati da un
tenente medico chirurgo. Il Reparto di Sanità era composto, oltre che dal tenente comandante, da
altri uno o due aspiranti ufficiali medici subalterni, da un cappellano militare e da circa una
trentina di militari infermieri, portaferiti e barellieri (soldati della Sanità militare, ma anche fanti
reclutati estemporaneamente per quel compito) divisi in squadre da dieci elementi (dirette da
1
Luca Valente, LA GRANDE GUERRA A THIENE, Estratto da Così eravamo. Thiene Obiettivo sulla storia, Comune di
Thiene, 2005;
2
Silvana Battistello, I PROFUGHI DELL’ALTO VICENTINO DURANTE LA GRANDE GUERRA, Estratto da Forte Rivon Numero Unico, Rivista dell’Associazione Ricercatori Storici IV Novembre Schio, Anno 2009, N. 10;
3
Cfr. nota n°1.
34
sergenti o caporali Aiutanti di Sanità nel numero di due per battaglione) ripartite tra le varie
compagnie.
Subito dietro alle prime linee si trovavano i posti di medicazione, infermerie campali sistemate in
punti defilati o il più possibile al riparo dal fuoco nemico, dove venivano sommariamente fasciati e
medicati i feriti che non erano riusciti da soli ad arrestare emorragie, fasciarsi arti rotti o maciullati
rischiando il dissanguamento; in seguito i feriti raggiungevano a piedi o in groppa a muli, a spalla
o in autoambulanze gli Ospedaletti da Campo.
Poi tramite le Sezioni di Sanità i feriti medicati venivano sgomberati verso altri Ospedali da
Campo (strutture sistemate su baracche o tendopoli che accoglievano i feriti aggravatisi o quelli
che avevano meno di 30 gg. di convalescenza) o più indietro sui vari Ospedali Divisionali,
d‟Armata o Territoriali della Croce Rossa Italiana. Tutto il territorio della retrovia fu riempito da
questi grandi Ospedali, alloggiati in prossimità di grandi strade o ferrovie, dentro a scuole, ad
ospedali civili o a grandi ville padronali.
Analisi della lettera
Noi allievi di III A della Scuola Secondaria di Primo Grado con l‟insegnante di Lettere abbiamo
letto ed analizzato la fonte epistolare sopra presentata, dopo un inquadramento del periodo storico
in questione e degli avvenimenti legati alla zona di Thiene e in seguito alla presentazione dei
momenti salienti della vita in guerra dell‟autore. Abbiamo quindi realizzato una scheda di analisi
che mette in evidenza l‟autore, il destinatario, il luogo e la data di stesura e le principali tematiche
affrontate, con particolare riferimento alle stesse parole utilizzate dal mittente che bene
testimoniano i fatti e i suoi sentimenti legati agli stessi.
La scheda di analisi può essere così sintetizzata:
o Autore: Silvino
o Destinatario: Luigi
o Luogo e data della stesura: Thiene, 6 giugno 1916
o Tematiche affrontate:
 L‟autore si trova in ospedale a Thiene, sostiene che c‟è “molto da lavorare” e che “si lavora
giorno e notte” perché c‟è “affollamento di feriti”, infatti solitamente entrano in media 300
persone, ora invece ce ne sono poco meno di 800.
 Il signor Silvino rimane colpito dall‟enorme numero di uomini che rimarranno inabili in
seguito alle ferite riportate in guerra:”Quante disgrazie! Quanti padri di famiglia dovranno
vivere inoperosi per tutta la loro vita, incapaci di qualsiasi lavoro”.
 Lo scrivente riporta la notizia dell‟abbandono dei “paesetti di confine” da parte dei
montanari con i loro animali da stalla e da cortile e con i pochi beni in loro possesso, e
delle cittadine di Schio e di Thiene da parte dei benestanti e dei negozianti.
 Noi alunni apprendiamo che forse anche l‟ospedale di Thiene verrà spostato a
Montebello Vicentino, poco lontano da Lonigo, proprio per il pericolo rappresentato
dall‟avanzata degli austriaci.
 L‟autore a chiare lettere afferma che il nemico avanza, “gli austriaci avanzano a schiere
serrate”, che è alto il numero dei morti fra le schiere avversarie e che “il coraggio degli
austriaci è dovuto al cognac, alla grappa e ad altri liquori che hanno nello stomaco”. Di
conseguenza, gli italiani non si espongono molto ai pericoli, si ritirano e quindi ci sono,
in quel momento, meno vittime nel nostro esercito. Nell‟autore nasce un dubbio: c‟è
stato un tradimento da parte dei comandanti? Forse i nostri soldati non avevano
l‟ordine di sparare contro gli austriaci? “Il male è stato che i nostri c’erano sulle montagne,
ma non avevano l’ordine di sparare, e così hanno dovuto abbandonare quei siti. E qui c’è del
mistero, che molti lo spiegano con la parola tradimento da parte dei nostri comandanti”.
Anche nella parte finale della lettera, il sig. Silvino Giuliari torna a sottolineare il
pericoloso nemico che sente avanzare ed i preparativi messi in atto dalla cavalleria
italiana, più adatta al combattimento in pianura:”A dirtela in poche parole c’è molto
pericolo che gli austriaci riescano a scendere dalle montagne. E allora? …
Speriamo che non abbia mai a spuntare l’alba di quel giorno.
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I preparativi che si stanno facendo da queste parti è una cosa che non ti puoi immaginare. Ci
sono già diverse squadroni di cavalleria, la quale serve solo per le campagne guerresche in
pianura”.
 Nella chiusa della lettera, lo scrivente non manca di tranquillizzare l‟animo del fratello,
raccontandogli anche in sintesi le buone nuove da casa e salutandolo caramente:
“Pensando a tutte queste cose noi dobbiamo a maggior ragione stare allegri che dopo tutto siamo
abbastanza fortunati. Ti pare? Da casa mi scrivono che godono ottima salute, che hanno notizie
dei fratelli, e che gli affari van bene”
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LA CANZONE DEL PIAVE
I fatti storici
I fatti storici che ispirano l‟autore risalgono al giugno del 1918 quando l‟Austria-Ungheria decise di
sferrare un grande attacco sul fronte del Piave per piegare definitivamente l‟esercizio italiano, già
sconfitto a Caporetto.
La Landwehr, ossia l‟esercito austro-ungarico, fu costretta ad arrestarsi a causa della piena del
fiume.
Ebbe così inizio la resistenza delle forze armate del regno d‟Italia che costrinsero gli Astro-Ungarici
a ripiegare.
In occasione dell‟offensiva battaglia italiana (battaglia di Vittorio Veneto) avvenuta nell‟ottobre
del 1918, il fronte del Piave fu nuovamente teatro di scontri tra l‟Austria-Ungheria e l‟Italia. Ormai
l‟imperiale regio esercito era disgregato e gli italiani sfondarono le linee nemiche.
Il testo
Le quattro strofe hanno quattro specifici argomenti:
1. La marcia dei soldati verso il fronte (presentata nella canzone come una marcia a difesa delle
frontiere italiane; tecnicamente però fu l‟Italia ad aggredire l‟impero asburgico);
2. la ritirata di Caporetto;
3. la difesa del fronte sulle sponde del Piave;
4. l‟attacco finale e la conseguente vittoria.
La Canzone del Piave
Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
dei primi fanti il ventiquattro maggio;
l'esercito marciava per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera!
Muti passaron quella notte i fanti,
tacere bisognava e andare avanti.
S'udiva intanto dalle amate sponde
sommesso e lieve il tripudiar de l'onde.
Era un presagio dolce e lusinghiero.
il Piave mormorò: "Non passa lo straniero!"
Ma in una notte triste si parlò di tradimento
e il Piave udiva l'ira e lo sgomento.
Ahi, quanta gente ha visto venir giù, lasciare il tetto,
per l'onta consumata a Caporetto.
Profughi ovunque dai lontani monti,
venivano a gremir tutti i ponti.
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S'udiva allor dalle violate sponde
sommesso e triste il mormorio de l'onde.
Come un singhiozzo in quell'autunno nero
il Piave mormorò: "Ritorna lo straniero!"
E ritornò il nemico per l'orgoglio e per la fame
voleva sfogar tutte le sue brame,
vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora
sfamarsi e tripudiare come allora!
No, disse il Piave, no, dissero i fanti,
mai più il nemico faccia un passo avanti!
Si vide il Piave rigonfiar le sponde
e come i fanti combattevan l'onde.
Rosso del sangue del nemico altero,
il Piave comandò: "Indietro va', straniero!"
Indietreggiò il nemico fino a Trieste fino a Trento
e la Vittoria sciolse l'ali al vento!
Fu sacro il patto antico, tra le schiere furon visti
risorgere Oberdan, Sauro e Battisti!
Infranse alfin l'italico valore
le forche e l'armi dell'Impiccatore!
Sicure l'Alpi, libere le sponde,
e tacque il Piave, si placaron l'onde.
Sul patrio suol vinti i torvi Imperi,
la Pace non trovò né oppressi, né stranieri!
Spiegazione di alcune strofe della nota canzone (1°-2°-4° strofa)
Il 24 Maggio 1915 segnò l‟entrata dell‟Italia nella I Guerra Mondiale. I nostri soldati partirono dalle
loro case (la maggior parte veniva dal meridione) per raggiungere il fiume Isonzo, teatro di
combattimenti. L‟autore li immagina mentre marciano silenziosi, assorti nei loro pensieri, nelle
loro paure, verso le linee di confine.
In questa avanzata il fiume Piave (che si trovava in territorio italiano) diventò un grande complice:
il rumore delle sue acque sembrava spronare e rassicurare i nostri soldati.
Nella seconda strofa si parla della sconfitta di Caporetto, l‟autore allude ad un “fosco evento”. Si
pensava che la responsabilità della disfatta fosse da attribuire al tradimento di un reparto
dell‟esercito. In seguito si appurò che il reparto ritenuto responsabile era stato eliminato dai gas
letali.
Nel disastro di Caporetto interi battaglioni erano allo sbando oltre la grande quantità di morti e di
feriti. E il Piave? Era sempre lì, anch‟esso piangeva la disfatta.
Nella strofa finale c‟è la gioia della vittoria e il riferimento a tre patrioti: Oberdam, Sauro e Battisti.
Questi eroi lottarono perché Trento e Trieste tornassero a essere italiani (da qui il nome
irredentisti). Furono impiccati dagli austriaci.
La canzone del Piave trabocca di amor patrio, tant‟è vero che dal 1943 al 1946 fu adottato come
inno Nazionale della Repubblica Italiana.
37
Non sei che una croce
Non sei che una croce
Nessuno forse sa più
perchè sei sepolto lassù
nel camposanto sperduto
sull'Alpe, soldato caduto.
Nessuno sa più chi tu sia
soldato di fanteria
coperto di erbe e di terra,
vestito del saio di guerra,
l'elmetto sulle ventitré
nessuno ricorda perché
posata la vanga e il badile
portando a tracolla il fucile
salivi sull'Alpe,salivi
cantavi e di piombo morivi
ed altri morivano con te
ed ora sei tutto di Dio.
Il sole, la pioggia, l'oblio
t'han tolto anche il nome d'un fronte
non sei che una croce sul monte
che dura nei turbini e tace
custode di gloria e di pace.
R.Perseni
Riflessioni sul significato della poesia
“Non sei che una croce” è il titolo di una poesia riguardante la Prima Guerra Mondiale. L‟autore ha
scelto questa frase come titolo per dimostrare che la maggior parte dei soldati che hanno
combattuto in questa guerra sono stati dimenticati, naturalmente non dai loro famigliari, ma dal
resto della popolazione che, alla fine di questo triste periodo, fa il possibile per scordarsi della
guerra e delle conseguenze che ha portato, e cerca di ricominciare tutto daccapo, credendo in una
“nuova vita” migliore. E‟ triste pensare che, a volte, questi soldati hanno fatto di tutto per riportare
la pace, abbandonando le proprie case, il proprio paese, i propri cari, e poi vengono ripagati con la
morte. La loro unica consolazione è il pensiero di affidare le proprie anime a Dio, delle anime che
non hanno commesso peccati gravi perché erano costrette ad uccidere ed a fare del male alla gente
solo per riportare la pace per volontà di coloro che li comandavano. Questa è una poesia che fa
pensare molto e fa riflettere su tante cose. Ad esempio sul fatto che questi soldati sono stati
dimenticati e di molti non si sa nemmeno il nome, nonostante tutto quello che hanno fatto sia per
quel periodo, sia per noi per assicurarci un futuro migliore e senza guerre. Questa poesia fa
provare diverse emozioni come la tristezza, la solitudine, la nostalgia, ecc. Ad esempio, solo il fatto
di pensare alle enormi distese di croci fa avvertire delle sensazioni particolari, perché ognuna di
esse rappresenta un uomo o un ragazzo morto giovane, che, magari, ha dovuto abbandonare
anche la scuola per andare a combattere in guerra.
38
Ed ecco che entrano in ballo la tristezza e la malinconia e viene da pensare che, al loro posto,
potrebbe esserci stato chiunque, anche una persona a cui si tiene particolarmente.
Per concludere, a me hanno colpito gli ultimi cinque versi “Il sole, la pioggia, l’oblio t’han tolto anche il
nome d’un fronte non sei che una croce su un monte che dura nei turbini e tace custode di gloria e di pace.”
perché ribadiscono che, ormai, delle persone morte in guerra non è rimasta che una croce che è là
sola sopra un monte a custodire gloria e pace e sembra che combatta per resistere e tirare avanti.
GIULIA
Questa poesia sulla prima guerra mondiale racconta la storia di un soldato caduto, del quale
rimane solo una croce ed è dimenticato dalle persone.
Morì fucilato durante la guerra sulle Alpi e altri morirono con lui.
Spesso non si sanno i nomi dei caduti e di frequente sono dimenticati. È stato grazie al coraggio di
tutti se noi ora viviamo nella libertà e nella pace. La poesia è molto commovente perché con parole
semplici ed esplicite parla della sofferenza e dell‟immenso dolore che solo la guerra può portare.
Quello che mi ha colpito è che questi soldati erano consapevoli del loro destino di morte, ma
nonostante questo, lottavano con tutte le loro forze in nome della libertà e dell‟amor di Patria.
Purtroppo il loro sacrificio a volte ha lasciato le persone indifferenti e tutto va perduto, persino il
nome del luogo dove hanno combattuto perdendo la vita. Per fortuna, rimane almeno una croce a
testimoniare questo coraggio alle future generazioni.
SARA
La poesia “Non sei che una croce” parla di ciò che rimane di un soldato caduto durante la Prima
Guerra Mondiale.
La croce sull‟Alpe sta ad indicare il punto dov‟è stato ucciso, ma il suo nome è stato cancellato
dalle intemperie e quindi si è perso ogni ricordo. Nessuno più pensa alla fatica di questo soldato
nello scavare le trincee per cercare di salvarsi la vita e di quando cantava con gli altri soldati
salendo sul monte mentre il nemico sparava. Ora, riposa in pace dimenticato da tutti.
Dopo aver letto questa poesia, ho riflettuto molto sullo stato di ansia nel quale vivevano questi
soldati, coscienti di poter perdere la vita per difendere la patria. Mi rendo conto che nella società
contemporanea in cui vivo, l‟uomo corre e si affanna per arrivare, per averne di più, senza mai
soffermarsi a ricordare il sacrificio di tanti soldati caduti in guerra per ottenere la libertà del nostro
Paese dalla sottomissione degli altri Stati.
Per questo, bisognerebbe dare più valore alla giornata del 4 novembre; in tal modo la croce
sull‟Alpe non parlerebbe invano del suo sacrificio.
ARIANNA
“Non sei che una croce nessuno forse sa più perché sei sepolto lassù nel camposanto sperduto sull’Alpe,
saldato caduto”. Nell‟immedesimarmi in questo soldato, la presente frase ha suscitato in me molti
sentimenti: la paura di essere stata lì in quel momento, la paura di morire, il timore di avere per la
prima volta impugnato il fucile, anche la paura di non tornare a casa, di non rivedere la propria
famiglia. Questi versi mi hanno colpita molto perché parlano di un uomo o di un ragazzo che ha
avuto molto coraggio, che ha offerto la propria vita per riportare la pace in Italia.
Per il coraggio e l‟impegno dimostrato egli merita di essere onorato e ricordato.
Questa parte della poesia mi ricorda i cimiteri costruiti vicino alle pinete dell‟Altopiano di Asiago;
qui sono stati sepolti i soldati deceduti durante la prima guerra mondiale.
Tutte le persone possono andarli a visitare, lasciando un pensiero, una parola, un ringraziamento.
Il sole, la pioggia, l’oblio t’han tolto anche il nome d’un fronte non sei che una croce su un monte che dura
nei turbini e tace custode di gloria e di pace.”
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A distanza di tanti anni, le persone hanno dimenticato coloro che hanno combattuto una guerra
che, come tutte le guerre, porta alla morte, al sacrificio della vita, al dolore per chi combatte e per i
famigliari dei combattenti.
Questi ultimi versi mi ricordano quelle croci solitarie che incontro passeggiando in pineta. A
malapena si riesce a leggere il nome, vedere la fotografia, la data di nascita e di morte, quando
sono presenti. Spesso non c‟è nessun fiore, qualche volta uno unico e rovinato dalla pioggia e dal
sole. Quando passo, mi fermo sempre a dire una preghiera e in questo modo onoro la memoria di
quei soldati.
CLARISSA
La poesia “Non sei che una croce”, scritta da R. Perseni, narra la storia di soldati che hanno
combattuto durante la prima guerra mondiale e sono morti combattendo; ora, di essi non se ne
ricorda il nome , il loro ricordo è simboleggiato da una croce sul monte che giace alle intemperie.
Di questa poesia mi ha colpito la parte dove dice “Nessuno forse sa più perché sei sepolto lassù”;
secondo il mio punto di vista, l‟autore ha voluto adoperare queste parole perché molte persone
non danno importanza alla morte dei soldati in genere, se non nei giorni in cui ricorrono festività
particolari, soprattutto non sanno o non ricordano il perché di queste morti, cioè i vari motivi per
cui un Paese è stato in guerra contro un altro.
DAVIDE
Questa poesia è dedicata ai caduti in guerra in Italia. La parte che mi ha colpito di più è quando
parla della fatica e dello sforzo che ha fatto un soldato di fanteria per sopravvivere, ma alla fine è
stato ucciso.
Oggi non si sa chi era e non si sa da dove veniva, ma si sa che ha dato la vita per la Patria.”Ora è
tutto di Dio”, scrive l‟autore, cioè l‟anima del caduto è ora da Dio. Questa parte della poesia è
risultata per me quella che più mi ha impressionato e toccato.
VALID
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CANTO DEGLI ITALIANI ”Fratelli d’Italia”
Premessa
Nel corso delle lezioni di Musica e di Italiano noi alunni della Secondaria di Primo Grado abbiamo
compreso e imparato il significato della I strofa e del ritornello del Canto degli italiani, più famoso
col nome di Inno di Mameli, dal nome del suo autore, Goffredo Mameli.
Per tutti noi è l‟inno ufficiale del nostro Stato. Esso fu adottato come inno nazionale italiano fin dal
1946; tuttavia il testo della Costituzione non ne parla, così come non c‟è alcuna legge che ne
ufficializzi l‟uso. Comunque esso è ormai un‟abitudine consolidata.
È un testo ricco di riferimenti storici che ricordano, in particolare, le occasioni in cui l‟Italia riuscì a
sconfiggere il nemico invasore.
La prima strofa, che noi ragazzi di Scuola Secondaria di I grado e i bambini della Primaria
canteremo, ricorda la vittoria di Scipione l‟Africano su Annibale e la grandezza dell‟antico Impero
di Roma, di cui l‟Italia è erede diretta.
Testo
Fratelli d’Italia,
l’Italia s’è desta,
dell’elmo di Scipio
s’è cinta la testa.
Dov’è la vittoria?
Le porga la chioma,
che schiava di Roma
Iddio la creò.
RIT. Stringiamoci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò.
Stringiamoci a coorte,
siam pronti alla morte.
Siam pronti alla morte,
l’Italia chiamò!
Parafrasi libera
O fratelli d’Italia,
l’Italia si è svegliata
e si è messa sulla testa
l’elmo di Scipione l’Africano.
Dov’è la dea Vittoria?
Essa porga, sottomessa, il capo all’Italia
perché Dio ha fatto della Vittoria
la schiava di Roma.
Uniamoci per combattere,
cerchiamo di essere pronti a morire,
lo vuole la nostra Nazione.
41
LA GUERRA DI PIERO
La guerra di Piero, canzone celeberrima, scritta da F. De Andrè, dell'inizio degli anni 1960, è il
racconto al contempo dolce e triste della contraddittorietà e stupidità della guerra, fatto dal punto
di vista di chi l'ha vissuta in prima persona, un semplice soldato. Riportiamo qui di seguito il testo
della canzone.
Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi.
«Lungo le sponde del mio torrente
Voglio che scendano i lucci argentati,
Non più i cadaveri dei soldati
Portati in braccio dalla corrente».
Così dicevi ed era d'inverno
E come gli altri verso l'inferno
Te ne vai triste come chi deve;
Il vento ti sputa in faccia la neve.
Fermati Piero, fermati adesso,
lascia che il vento ti passi un po' addosso,
Dei morti in battaglia ti porti la voce:
"Chi diede la vita ebbe in cambio una croce".
Ma tu non la udisti e il tempo passava
Con le stagioni, a passo di java,
Ed arrivasti a passar la frontiera
In un bel giorno di primavera.
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che la tua vita finiva quel giorno
E non ci sarebbe stato ritorno.
«Ninetta mia, a crepare di maggio
Ci vuole tanto, troppo coraggio,
Ninetta bella, dritto all'inferno
Avrei preferito andarci d'inverno».
E mentre il grano ti stava a sentire
Dentro alle mani stringevi il fucile,
Dentro alla bocca stringevi parole
Troppo gelate per sciogliersi al sole.
Dormi sepolto in campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi.
E mentre marciavi con l'animo in spalla
Vedesti un uomo in fondo alla valle
Che aveva il tuo stesso identico umore
Ma la divisa di un altro colore.
Sparagli Piero, sparagli ora,
E dopo un colpo sparagli ancora,
Fino a che tu non lo vedrai esangue
Cadere a terra a coprire il suo sangue.
«E se gli sparo in fronte o nel cuore,
Soltanto il tempo avrà per morire,
Ma il tempo a me resterà per vedere,
Vedere gli occhi di un uomo che muore».
E mentre gli usi questa premura,
Quello si volta, ti vede, ha paura
Ed imbracciata l'artiglieria
Non ti ricambia la cortesia.
42
Narrazione
Come un proprio e vero racconto, abbiamo qui essenzialmente due voci: quella del narratore e
quella del protagonista.
Il narratore è esterno e parla in terza persona, ma in alcuni momenti entra nella narrazione con le
sue esortazioni («Fermati Piero»,«Sparagli Piero»), immedesimandosi nella situazione e perciò
provocando anche un maggior coinvolgimento nel lettore/ascoltatore. Il discorso riportato di Piero,
che si trova in tre strofe (strofa 2, 8 e 11), rende più tangibile la figura di Piero (che altrimenti
rimarrebbe un semplice soldato-fantasma in mezzo a molti altri) accentuando così il
coinvolgimento del lettore/ascoltatore.
Ritmo
Oltre ad essere musicata, questa canzone presenta a livello testuale numerose ripetizioni che le
danno un ritmo particolare e che sottolineano nel testo i passaggi più carichi di significato e di
emotività.
Così, ad esempio, nella strofa 8, in cui si riporta il discorso centrale di Piero (se sparo a quel soldato
io vedrò morire un uomo), si ripetono per due volte le espressioni: “il tempo” e “vedere”.
Il tempo infatti è protagonista della situazione:mentre Piero si sofferma a riflettere sul fatto che
proprio il tempo darà a lui la possibilità di vedere un uomo che muore, egli perde
irrimediabilmente tempo e dà così modo all‟altro di agire. Infatti, a differenza della strofa 8 che con
le sue ripetizioni scandisce un tempo assai lento, la strofa 9, quella in cui l‟altro soldato agisce
senza perdere tempo, si muove su un ritmo veloce “si volta, ti vede, ha paura”.
Campi semantici e antitesi
-la morte: il dormire sepolto, l‟ ombra dei fossi, i cadaveri dei soldati, l‟inverno, i morti in battaglia,
la croce, i colpi da sparare ,il vedere un uomo che muore, le parole gelate;
-la vita: il grano, i papaveri rossi, i lucci argentati, la primavera, la figura dell‟amata (Ninetta);
-il tempo: il fermarsi, il tempo che passa, il passare delle stagioni, il tempo che rimane per vedere,
il non ritorno dalla morte.
L‟antitesi principale sulla quale si costruisce la canzone è quella tra la morte e la vita, dove ogni
elemento appartenente al campo semantico dell‟uno si trova in prossimità e in contrasto con gli
elementi del campo semantico dell‟altro.
Tra i due termini, il tempo costituisce il tramite o la separazione, talvolta come mezzo di passaggio
dalla vita alla morte (la perdita di tempo di Piero che è causa della sua morte), in altri casi come
confine invalicabile tra i due mondi …“ti accorgesti in un solo momento che […] non ci sarebbe
stato ritorno”.
Riflessione sul significato della canzone
In questa canzone l‟autore riflette sull‟insignificante ferocia della guerra e sull‟inutilità di
combattere contro un soldato nemico che sicuramente prova le sue stesse paure e i suoi stessi
dubbi. Anche se capisce che solo uccidendolo potrà salvarsi, non riesce a sparargli. Purtroppo
questa incertezza gli costerà la vita perché il nemico lo colpirà a morte. In questo testo viene
denunciata la follia della guerra con rassegnazione e tristezza. Luca
La canzone dice che Piero e l‟altro soldato non partono per la guerra convinti di quello che fanno,
ma solo per dovere. Quando sei in guerra, non pensi che il tuo nemico è una persona come te ed è
nella tua stessa situazione. Alexandru
La canzone parla di un soldato, Piero, che va in guerra. È come una poesia che racconta come lui
muore perché ha avuto compassione per un soldato che però era suo nemico e questo invece, per
paura, lo ha ucciso. Vanessa
Nella canzone “La guerra di Piero” si capiscono i sentimenti che provano i soldati che vanno in
guerra. La canzone è bella e molto poetica, sembra che l‟abbia scritta qualcuno che ha vissuto
veramente tutto quello che ha provato Piero. Luana
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ALTRE RIFLESSIONI
Di fronte alla tragedia della guerra, noi ragazzi delle classi I e II B abbiamo voluto ridare vita e
senso a valori che noi tutti dobbiamo oggi difendere come quelli di famiglia, di onestà, il
significato profondo delle cose semplici, il trionfo dell'amore, della fede nella vita terrena e in
qualcosa che va oltre, fiduciosi che la memoria possa davvero diventare speranza in una
convivenza improntata a giustizia e a rispetto.
Alcune delle nostre riflessioni sono state così raccolte:
Mi chiamo Cristian
Se fossi un fiore
oggi sarei un tulipano rosso
come il sangue versato dai nostri
soldati
se fossi un colore
oggi sarei il blu
della tristezza per tutti i caduti
se fossi un paesaggio
oggi sarei un prato di gigli
puri e profumati come il ricordo dei
nostri cari
se fossi un paesaggio
oggi sarei un prato di gigli
puri e profumati come il ricordo dei
nostri cari.
Mi chiamo Walter
se fossi un fiore
oggi sarei una semplice e umile
viola
se fossi un colore
oggi sarei il blu
del terrore, della rabbia, del
coraggio dei nostri caduti
se fossi un paesaggio
oggi sarei un campo di spighe di
grano
dorato come il cuore dei nostri eroi
Mi chiamo Arianna
Se fossi un fiore
oggi sarei una rosa
per esprimere l‟amore dei soldati al fronte
Se fossi un colore
oggi sarei il blu
per non provare il terrore dei ricordi.
Se fossi un paesaggio
oggi sarei un monte
che separa la guerra dalla pace.
Se fossi un fiore oggi sarei un girasole
per l‟ ubbidienza, l‟ascolto, la comprensione
Mi chiamo Sofia
se fossi un fiore oggi sarei una rosa
d‟amore e di carità verso la mia famiglia
se fossi un colore
oggi sarei l‟azzurro degli infiniti cieli
sereni,
se fossi un paesaggio
oggi sarei le dolci colline, colorate
dove il silenzio ha sapore di pace.
Il loro nome è sussurro generoso di umanità
sono stati tutti i fiori dei nostri prati e giardini
erano i colori dell’arcobaleno
le vele al vento in un orizzonte di libertà.
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QUAL E’ LA REALTA’ DI OGGI?
Il rifiuto della guerra e il dovere di difendere la Patria.
Art. 11 della Costituzione italiana
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce
le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
L‟articolo esprime un esplicito rifiuto della guerra come mezzo di aggressione ad un altro Stato o
come strumento per risolvere i contrasti internazionali. A pochi mesi dal termine del secondo
conflitto mondiale, che aveva evidenziato le potenzialità distruttive dei moderni armamenti, non
poteva che emergere un fermo proposito di pace e con esso il ripudio dello strumento militare per
esigenze diverse dalla difesa della patria. Tale difesa costituisce per la Costituzione un “sacro
dovere del cittadino”.
L‟art. 11 vieta dunque le guerre di aggressione, ma legittima interventi di tipo militare deliberati
nell‟ambito di organizzazioni internazionali con il fine di garantire la pace e la giustizia nei
rapporti tra le Nazioni. In virtù di quanto stabilito dalla Costituzione il nostro Paese ha partecipato
e partecipa tuttora a interventi militari promossi da organizzazioni internazionali per scopi
umanitari o come esercizio di legittima difesa collettiva.
Ricordiamo, a tale proposito, le missioni in ambito ONU compiute in Somalia (1992-94),
Mozambico (1994), Ruanda (1994), Sudan (2005) e Libano (attualmente in corso). Nell‟ambito della
NATO sono invece tuttora in corso le missioni in Kosovo e Afganistan.
Particolare risonanza ha avuto la missione “Antica Babilonia” sul territorio iracheno (2003-2006), in
ottemperanza alla Risoluzione n. 1483 (22 maggio 2003) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite. La missione era finalizzata a garantire stabilità e sicurezza in Iraq, dopo l‟abbattimento del
regime di Saddam Hussein da parte di una coalizione anglo-americana. Il 12 novembre 2003, nella
località di Nassiria un attentato alla base italiana “Maestrale” ha provocato 19 vittime tra i militari
e i civili italiani. Altre perdite hanno poi colpito la missione italiana, ufficialmente terminata l‟1
dicembre 2006.
Art. 52 della Costituzione italiana
La difesa della patria è sacro dovere del cittadino.
Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non
pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l‟esercizio di diritti politici.
L‟ ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.
Questo è l‟unico articolo in cui la costituzione usa l‟aggettivo “sacro”: lo fa per definire il dovere di
difendere la Patria. Il concetto di difesa della patria non si riferisce solo alla difesa del territorio da
un nemico invasore, ma anche alla necessità di sostegno, assistenza e aiuto in caso di calamità
naturali che colpiscano la popolazione e alla salvaguardia della cultura e dei valori riconosciuti
dalla Costituzione stessa. Si tratta di un dovere “sacro” perché non richiede solo l‟osservanza di
una norma ma chiama in gioco il senso di dedizione alla Patria, fino al sacrificio della vita in caso
di guerra. Il pensiero dei costituenti era rivolto ai patrioti dell‟ottocento che si erano sacrificati per
l‟indipendenza e l‟unità d‟Italia, a chi aveva perso la vita nelle guerre risorgimentali e nella Prima
Guerra Mondiale. Questo riguarda “il cittadino” non solo gli uomini, ma anche le donne.
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I caduti in Afghanistan.
Dopo molti anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale, i militari italiani sono andati in Paesi
stranieri per riportare la pace e, molto spesso, sono morti com‟è accaduto nelle ultime spedizioni in
Afghanistan.
Le ultime 6 vittime del 17 settembre 2009 a Kabul sono state 6 parà della Folgore appartenenti al
186esimo Reggimento Paracadutisti a Pisa.
I loro nomi sono:
il Tenente Antonio Fortunato, 35 anni;
il primo Caporal Maggiore Matteo Mureddu, 26 anni;
il primo Caporal Maggiore Davide Ricciuto, 26 anni;
il Sergente Maggiore Roberto Valente, 37 anni;
il primo Caporal Maggiore Giandomenico Pistonami, 26 anni;
il primo Caporal Maggiore Massimiliano Randino, 32 anni.
Era quasi mezzogiorno quando si è scatenato l‟inferno sulla strada per l‟aeroporto di Kabul:
un‟autobomba con 150 chili di esplosivo si è lanciata ed è scoppiata tra due blindati Lince su cui
c‟erano i soldati italiani ed ha colpito un primo mezzo del convoglio. Nessun militare a bordo di
quel blindato ha avuto scampo. Le fiamme hanno raggiunto anche il secondo Lince, sul quale è
morto un altro soldato e sono rimasti feriti gravemente i quattro commilitoni che erano con lui.
Con loro, sono 21 i militari morti dall‟inizio della missione in Afghanistan dal 2004.
A loro tutto l’onore e il nostro pensiero.
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