Prima di iniziare verifichiamo cosa pensiamo noi
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Prima di iniziare verifichiamo cosa pensiamo noi
ISTITUTO COMPRENSIVO “BERTO BARBARANI” di scuola dell‟Infanzia - Primaria Secondaria di Primo grado CELEBRAZIONE DEL 4 NOVEMBRE “TANTE VITE… PER LA PACE” Minerbe, 7- 8 novembre 2009 CELEBRAZIONE DEL IV NOVEMBRE Accogliendo l‟invito dell‟Amministrazione Comunale e dell‟ Associazioni Locale Combattenti e Reduci, anche quest‟anno la Scuola intende continuare a celebrare la ricorrenza del IV novembre in un modo tutto particolare, con l‟intento di riuscire a dare a tale evento tutto il suo profondo valore e significato. Le motivazioni di fondo L‟opportunità del coinvolgimento dell‟Istituto è fondata su due considerazioni di base. La prima: ogni ragazzo è già “tutto dentro la sua storia” e reca con sé le tracce del suo tempo. Imparando a riconoscere ed interpretare questi segni egli si avvia gradualmente sul cammino della storia: dalla memoria alla conoscenza, dal passato alla cultura dell‟oggi e del domani. La seconda: con l‟insegnamento della storia la scuola può aiutare i giovani a riscoprire nel passato le ragioni del loro futuro. Con l‟apporto della storia infatti gli insegnanti possono realizzare la convivenza democratica e la costituzione della identità come ricostruzione della memoria collettiva e delle tradizioni culturali. La storia inoltre rende possibile la partecipazione dei giovani ai fenomeni del proprio tempo, aiutandoli a mettere in connessione passato, presente e futuro. I soggetti coinvolti Il coinvolgimento degli studenti ha riguardato gli alunni delle classi terminali, le quinte e le terze medie delle scuole del Comune di Minerbe, ma nel percorso sono state inserite anche quelli delle classi iniziali per garantire una sorta di continuità nella trasmissione dei valori e di passaggio ideale del testimone, a garanzia del processo di identificazione culturale delle giovani generazioni. Gli esiti Per portare gli studenti a percepire la storia come un elemento della loro identità culturale, si è fatto leva sulla loro curiosità e sul loro coinvolgimento emotivo, operativo e partecipativo. Accanto allo studio della storia scritta tradizionale, gli studenti della scuola secondaria e primaria di Minerbe hanno infatti affiancato la ricerca di testimonianze e di vissuti personali, con metodo di approfondimento e di ricerca, per conoscere meglio i fatti e gli avvenimenti di quel periodo e compenetrare in essi con la dovuta consapevolezza. Con questo lavoro dimostrano così la loro originalità ed un‟autentica capacità di condurre con sicurezza una ricerca storica e sociale al tempo stesso. Sono stati condotti per “strada” dagli insegnanti che avranno così il merito di aver fatto loro amare la storia, questo paese, i suoi abitanti con le loro significative esperienze di vita. Gliene siamo grati perché portando i giovani a riscoprire e ad interpretare i segni del passato li aiutano anche ad individuare una prospettiva del futuro. I ragazzi non sono nuovi a questo tipo di lavoro. Lo scorso anno hanno sviluppato un percorso di ricerca storica sul monumento ai caduti eretto nella piazza del paese e sulle vie dedicate a ricordo di fatti, personaggi e luoghi significativi della prima guerra mondiale: via Pasubio, via Ragazzi del ‟99, via Cavalieri di Vittorio Veneto, via Cesare Battisti,… Quest‟anno, attraverso l‟intervista al signor Silvio Giuliari, ma soprattutto attraverso le lettere dal fronte di guerra di Silvino al fratello Luigi Giuliari, sono riusciti a ricostruire la grande guerra ed in particolare la dura vita dei soldati in trincea, le condizioni dei feriti e la situazione della popolazione. Ancora una volta meritano la nostra ammirazione e un giusto riconoscimento per il lavoro svolto. Il metodo di lavoro Nel „900 si ha un‟evoluzione generale dell‟universo delle conoscenze. In questo panorama anche la storia si rinnova; non si ha più una storia in prevalenza politica o diplomatica, ma una storia di avvenimenti e di fatti; di conseguenza cambia anche l‟approccio al documento in sé e si amplia notevolmente il campo stesso della documentazione storica. Al fare storia basato essenzialmente sulla documentazione scritta, si sostituisce così una storia “ricostruita” su una molteplice varietà di documentazione: scritti di ogni genere, documenti figurativi, reperti vari, testimonianze orali,…Nulla è privo di significato, tutto diventa importante. Il lavoro svolto dalla scuola si colloca in questa prospettiva. Gli studenti sono stati così coinvolti nella ricerca di oggetti, fonti e testimonianze nella convinzione che ogni documento insegna sempre qualcosa del passato e non esiste una realtà storica già fatta ma fatti da interpretare da tutti i possibili punti di vista: del soldato, della popolazione, del nemico-avversario,… Le famiglie hanno corrisposto rendendo disponibile diverso materiale, consentendone alla scuola la fruizione e affidandole il compito di custodirne la memoria. Particolarmente interessante si è rivelato il materiale fornito dalla famiglia Giuliari; ha permesso infatti diverse analisi ed approfondimenti che si sono concretizzati nelle pagine che seguono, da considerare una prima tappa del percorso più ampio che si intende realizzare nel tempo. Il risultato/prodotto La prima parte costituisce il “pre-testo narrativo” in quanto le lettere dal fronte di guerra di Silvino al fratello Luigi consentono successivamente agli studenti di dare voce al loro sentire. Il fascicolo, così composto, si articola secondo il seguente sviluppo: I Parte: “ UNA FAMIGLIA ALLA GUERRA ”: senso del dovere e contributo dato alla guerra da parte dei fratelli Giuliari II Parte: “CONOSCERE LA GUERRA PER AFFERMARE LA PACE” riflessioni, disegni e ricerche a cura degli alunni della scuola primaria III Parte: “DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE AD OGGI” ovvero il difficile equilibrio tra “ Il rifiuto della guerra e il dovere di difendere la Patria ”, sviluppata dagli studenti della scuola media UNA FAMIGLIA ALLA GUERRA Il sipario si è aperto su una famiglia di Minerbe che ha contribuito alla ricerca con grande disponibilità, offrendo uno squarcio toccante dal punto di vista umano e davvero interessante dal punto di vista storico. È la famiglia di Pio Giuliari che abita in via Comuni. Giuseppe Giuliari, il nonno, risiedeva nella seconda metà dell‟800 a Donzellino d‟Illasi, una zona del Comune al di là del Progno più vicina a Lavagno che al Comune di Illasi, in piena zona agricola. Il terreno era piuttosto arido, adatto solo a viti, mandorli e melograni, per cui successivamente i discendenti si stabiliranno in altre zone del veronese, tra cui Palù di Zevio dove avvieranno culture innovative. L‟albero genealogico originato da Giuseppe Giuliari e Lucia Grigolini risulta così articolato: Giuliari Giuseppe ↔ Grigolini Lucia ↓ ________________________________________________________________________________ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ Antonio Attilio Luigi Silvino Francesco Marcello Stella Maria ↓ (1892) (1894) (1895) (1901) (1903) Silvio | | | destinatario autore delle lettere Intervistato ↓ Pio ↓ Silvia ↓ Francesco, alunno della cl. I A della Scuola media Come si può rilevare si tratta di una famiglia numerosa come molte a quel tempo. Otto erano i figli e tra questi quattro maschi erano nati, verso la fine del secolo, in anni così vicini che i fogli matricolari che li riguardano parlano di rinvii in congedo provvisorio in attesa del congedamento del fratello maggiore. Evidentemente la legge intendeva salvaguardare il più possibile l‟integrità delle famiglie. In modo diverso tutti i maschi hanno partecipato a vicende belliche tanto che, racconta Sivio Giuliari, il pensiero della guerra, trascorsa o percepita come pericolo imminente, permeava la vita dei giovani del tempo e in particolare la sua famiglia, come lui ben ricorda. Antonio, il maggiore, partecipò alla guerra di Libia, quindi alla prima Guerra mondiale contemporaneamente ai tre fratelli nati prima della fine del secolo. La famiglia riferisce che anche Francesco e Marcello saranno interessati dalla seconda guerra mondiale. Davvero si può affermare “una famiglia alla guerra”. Il nipote Silvio, oggi anziano, afferma: “Un miracolo che siano tornati tutti”. Silvio Giuliari racconta anche del forte legame nell‟intera numerosa famiglia, e nello specifico della cura per la corrispondenza epistolare dei fratelli soldati fra loro, e con il resto della famiglia a casa, nel veronese. Silvio Giuliari abita a Lonigo dove ha svolto attività importanti di insegnamento nella Scuola di agraria. È il discendente della famiglia che ha vivo il ricordo degli zii e che si è messo a disposizione dei ragazzi della Scuola interessati alla ricerca. Attraverso questa testimonianza indiretta è come avessimo conosciuto di persona alcuni dei protagonisti della grande guerra e i loro grandi problemi, impensabili ai nostri giorni. E Silvino la prima guerra mondiale l‟ha vissuta davvero, come racconta in alcune lettere conservate dalla famiglia Giuliari e pervenute attraverso il nipote Francesco. SILVINO E LUIGI GIULIARI Lo scrivente dimostra grande vicinanza verso il fratello Luigi, il quale avrà senz‟altro risposto a missive così significative. Erano vicini d‟età essendo nati il primo nel 1894 e il secondo nel 1895. Le notizie dei due soldati ci giungono dai ricordi di famiglia, come già detto, e dai fogli matricolari rilevati dall‟Archivio di Stato di Verona, messi gentilmente a disposizione dalle famiglia, anch‟essa interessata a ricostruire le vicende familiari. Tale Archivio conserva, in modo sistematico dall‟anno 1867, nella serie Ruoli Matricolari del Distretto Militare, i dati riguardanti i giovani che hanno prestato servizio militare e i relativi congedi. I dati personali riguardanti Luigi, destinatario delle lettere in nostro possesso, parlano di un giovane nato il 12 novembre del 1894, sano, dai capelli e occhi castani, che sa leggere e scrivere, di professione contadino; nel settembre del 1914 viene chiamato alle armi nel Compagnia Sussistenza, un Corpo dell‟esercito che si occupa dei vettovagliamenti. 4 Nel maggio del 1915 è in “territorio dichiarato in stato di guerra”. Vive tutta la guerra: viene infatti registrato come “partito da territorio di guerra” nel settembre del 1919 e in congedo alla fine dello stesso mese. Avendo partecipato all‟intera campagna di guerra dal 15 al 18, la stampiglia dice che nel 1920 venne viene autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa ed apporre sui nastri della stessa medaglia le fascette corrispondenti agli anni di guerra. Il fratello Silvino Giuliari, lo scrivente, era nato il 19 novembre del 1895 e nei dati personali viene descritto con i capelli più scuri del fratello, di professione studente. Come riferito dal nipote Silvio, aveva frequentato il Ginnasio poi il Liceo presso l‟Istituto Maffei di Verona: consultati i registri ha trovato il suo nome tra gli ex alunni. Il Regio Decreto del 22 maggio del 1915 lo chiama alle armi per mobilitazione e il 1 giugno del 1915 è nella Quinta Compagnia Sanità. Nella stessa data viene mandato in territorio “ dichiarato in stato di guerra”. Nel 1917 fa parte del 72° poi del 71° Reggimento fanteria. Il foglio matricolare dice che da marzo del 1917 frequenta la scuola allievi ufficiali del 13° Corpo d‟armata di Campolongo, quindi dal luglio dello stesso anno viene registrato come aspirante ufficiale. Con questo ruolo viene mandato al fronte. Scrive bene Silvino: il linguaggio è preciso, colorito. Dimostra uno spirito arguto e ottimista. É poco più di un ragazzo, ma dimostra la solidità di un uomo affettuosamente vicino al fratello con il quale condivide l‟esperienza della guerra. Le cinque lettere in nostro possesso sono distribuite nei tre anni di guerra italiana. 6 giugno 1916 La prima lettera è molto interessante, ricca di riferimenti alla realtà circostante. Per questo verrà presa in esame dagli alunni di due età diverse nelle sezioni successive di questo fascicolo. Dal foglio di matricola risulta che era arrivato da pochi giorni e infatti rivela tra le righe, scritte con buona grafia, l‟attonito stupore di fronte alla terribile realtà. È ignota quale mansione avesse nell‟ospedale militare di Thiene. Al fratello Luigi, anche lui in territorio di guerra, descrive nella lettera la situazione generale, lo strazio della guerra per i soldati e i civili. La “spedizione punitiva” da parte austriaca che ha occupato l‟altopiano di Asiago è di poco antecedente: nel maggio gli Austriaci attaccano lo schieramento italiano sul fianco sinistro con l‟intenzione di sfondare e far retrocedere tutto il nostro fronte che era avanzato a oriente fino all‟Isonzo. Alcuni contenuti riguardanti le responsabilità circa l‟evolversi della situazione bellica fanno pensare che la missiva non fosse stata censurata. Secondo Silvio Giuliari la censura era in verità una prassi che rimaneva sulla carta, data la confusione, la mancanza di tempo e i problemi impellenti di ben altra natura. Anche i francobolli erano merce rara, come annota in fondo alla prima pagina il soldato Silvino. Thiene 6 giugno 1916 Caro Luigi, ho ricevuto or ora la cartolina che mi spedisti il primo corrente mese e m’affretto a risponderti. Causa di questo mio lungo silenzio è stato il grande affollamento di feriti in quest’ospedale, che, dalla metà di maggio sino al presente lo tiene sempre pieno zeppo. Si lavora giorno e notte. Ti basti sapere che mentre prima l’ospedale funzionava con un numero di 300 letti, ora questo numero si è quasi triplicato. C’è stato qualche giorno in cui ne sono entrati poco meno di 800 mentre la media è di 300. E quasi tutti vengono traslocati su altri ospedali poche ore dopo il loro arrivo, e così è un continuo entrare e uscire. E come ti dico c’è molto da lavorare perché il personale di truppa è sempre lo stesso. In questi giorni caro Luigi ho potuto conoscere un pochino a fondo cosa voglia dire la parola “guerra”! Quante disgrazie! 5 Quanti padri di famiglia dovranno vivere inoperosi per tutta la loro vita, incapaci di qualsiasi lavoro! Forse avrai sentito dire che gli abitanti di tutti questi paesetti di confine, a cominciare da 5 Km sopra Tiene hanno dovuto abbandonare le loro case smettere dai loro interessi per andare in altri paesi più tranquilli. A vederli passare questi poveri montanari con un paio di vaccherelle magre con un pollo con una forma di formaggio insomma con tutto quello che avevano di più prezioso nel loro paese, vederli passare dico, inerti e silenziosi come compagnie di frati, era uno spettacolo assai triste. Anche a Schio stanno facendo S. Martino, e tutti i signori di Thiene se ne sono andati come pure tutti i negozianti di stoffe i pizzicagnoli e via discorrendo. Ora non si trova più nulla.. Se continua di questo passo fra pochi giorni dovremo abbandonare anche l’ospedale. Sembra anzi, che, nel caso si dovesse partire si vada a Montebello Vicentino, poco lontano da Lonigo. I feriti raccontano che gli austriaci si avanzano a schiere serrate. E quasi sempre si avvicinano tanto che i nostri sono costretti a far scoppiare i proiettili a qualche centinaio di metri dalla bocca del cannone. In questo modo i nostri ne distruggono delle compagnie intiere, ma distrutta una ce n’è subito pronta un’altra e sempre così. Insomma i morti da parte del nemico in qualche posto hanno raggiunto l’altezza di qualche metro. Mentre dalla nostra parte ci sono pochissimi morti. E questo perché non si espongono molto ai pericoli, e se è il caso si ritirano. Il coraggio degli austriaci è dovuto al cognac alla graspa e ad altri liquori che hanno nello stomaco. Non avrei mai creduto che si giungesse a tal punto da dover abbandonare delle posizioni, che, tutti quelli che le hanno visitate dicono che si potevano difendere con i sassi. Il male è stato che i nostri c’erano sulle montagne, ma non avevano l’ordine di sparare, e così hanno dovuto abbandonare quei siti. E qui c’è del mistero, che molti lo spiegano con la parola tradimento da parte dei nostri comandanti. C’è una posizione, che in linea retta non dista più di 20 Km da Tiene, sulla quale si vedono benissimo a occhi nudo scoppiare i proiettili del nemico. Cadono così fitti che nessuno arriva a contarli, neppure per cinque minuti. A dirtela in poche parole c’è molto pericolo che gli austriaci riescano a scendere dalle montagne. E allora? … Speriamo che non abbia mai a spuntare l’alba di quel giorno. I preparativi che si stanno facendo da queste parti è una cosa che non ti puoi immaginare. Ci sono già diverse squadroni di cavalleria, la quale serve solo per le campagne guerresche in pianura. Pensando a tutte queste cose noi dobbiamo a maggior ragione stare allegri che dopo tutto siamo abbastanza fortunati. Ti pare? Da casa mi scrivono che godono ottima salute, che hanno notizie dei fratelli, e che gli affari van bene. Nella speranza di poter ancora fra una settimana inviarti i miei saluti da quest’Ospedale ti saluta caramente il tuo Silvino Ciao ciao ( Non trovandosi a Thiene francobolli di sorta sono costretto ad affrancarla con 9 carte francobolli che per caso mi trovo in tasca) 6 Nell‟obiettivo di inserire la lettera sopra trascritta nel contesto geografico e storico, la scuola ha chiesto e ricevuto notizie e fotografie da uno storico della zona dell‟alto vicentino: Luca Valente. Per quanto riguarda i dati riguardanti l‟ospedale militare egli afferma che erano in funzione a Thiene più ospedali militari, oltre a diversi posti di medicazione. A suo parere, l‟ospedale citato nella lettera , visto l‟alto numero di accoglienze, poteva essere l‟ospedale del Barcon al Collegio Vescovile, tra Thiene e Sarcedo, perché questo godeva di una struttura molto ampia: l‟ipotesi però non è convalidata da alcun dato. Per quanto riguarda i discorsi sul “tradimento” , parola sottolineata da Silvino nella lettera olografa, lo storico Valente precisa che erano chiacchiere pessimiste e disfattiste da retrovia, tipiche di quando la situazione al fronte era difficile: in quel momento infatti sembrava imminente lo sfondamento austriaco. Le foto che ci sono pervenute costituiscono interessante riscontro visivo ai contenuti della lettera: 7 Profughi di Arsiero al loro arrivo a Marano Vicentino la mattina del 19 maggio 1916 8 12 ottobre 1917 Dal gennaio del 1917 è nel Reggimento fanteria come Ufficiale, e il 9 ottobre viene ferito leggermente al petto. Rimane nell‟ospedale da campo di Cervignano del Friuli per tutto il mese. Si nota qui l‟impatto con il pericolo vero e, in quel frangente doloroso, il desiderio di avere la vicinanza del fratello. Poi si pente di averlo allarmato, così lo rassicura e gli dice che “ è una cosuccia da poco”. Inserendo questa data nelle vicende belliche generali, è da ricordare che da agosto a settembre il nostro esercito consegue qualche successo sull‟Isonzo, ma viene sfondato nell‟ottobre dalla massiccia offensiva che prende il nome da Caporetto. Zona guerra, li 12 ottobre 917 Mio caro Luigi, il giorno 9 corrente sono sceso dalla trincea con una leggera ferita al petto. Mi trovo ricoverato nell’ospedale da campo in Cervignano, dal quale uscirò guarito fra pochi giorni. Sono stato fortunato assai. Pensa che fui colpito proprio in direzione del cuore. Se per disgrazia quella palletta di shrapnel avesse avuto un pochina di forza maggiore mi avrebbe mandato all’altro mondo senza lasciarmi gridare nemmeno “mamma”. Invece fortuna volle che si arrestasse nella carne senza quasi toccarmi la costola. Me la levarono subito, non mi ha arrecato tanto dolore. Fu una palletta molto intelligente. Adesso sto benone, senza febbre solo con grande appetito. Se per caso ti venisse la voglia di venirmi a trovare il mio indirizzo è questo: G. S. Ospedale da campo 037 Cervignano. Però puoi farne a meno che si tratta di una cosuccia da poco. Termino inviandoti un saluto e un bacio affettuoso. Silvino Ciao 26 ottobre 1917 Crede di ritornare alla Compagnia anche se non del tutto guarito. Gli “garba poco” partecipare alla “grande offensiva” in siti, ironicamente, definiti “deliziosi”. Promette di andare a trovare il fratello qualora disponesse di una bicicletta. Lo consiglia di non rinunciare a una licenza per aspettarlo, ma eventualmente di approfittarne per divertirsi. La gioventù reclama i suoi diritti. Sono i tragici giorni della disfatta di Caporetto (24-27 ottobre) quando il nostro schieramento è obbligato a retrocedere disordinatamente sino al Piave abbandonando vaste zone del Veneto. La località citata, dove ha la “solita occupazione” il fratello, è molto probabilmente Capriva del Friuli, nei pressi di Gorizia, sul confine del 1914. Zona guerra, li 26 10 1917 Mio carissimo Luigi, da quanto ho potuto capire stamattina io rientrerò alla mia compagnia presto, prima che si sia rimarginata completamente la ferita. Di questo poco me ne importa dato che non soffro dolore alcuno. Mi secca solo perché vado proprio in tempo per partecipare alla grande offensiva di cui si parla tanto. A onor del vero uscire da qui prima della completa guarigione per andare in siti tanto deliziosi, mi garba poco affatto. Questo mi pare abbastanza giusto, non è vero? Però stai tranquillo che ci tenterò per quanto mi sarà possibile, di fare una scappata costì a Capriva. Anzi ti assicurerei di venire, il guaio solo che si frappone sta nel trovare la bicicletta. In un modo o nell’altro spero di dileguare questo inconveniente. Allora, carissimo, ti racconterò tante cose. Per ora abbiti auguri e saluti infiniti e cari. Affmo Silvino. Se hai l’occasione di ottenere la licenza ti raccomando tanto di non lasciarla scappare per me. Vai, se puoi, in licenza subito e divertiti, se io farò una scappata costì e non ti troverò, sarò sempre contento lo stesso. Una passeggiata fa sempre bene, non ti pare? Di nuovo Silvino, Ciao 14 novembre 1917 Scrive in carta intestata della famiglia. Diversamente dalle previsioni, in seguito alla ferita è destinato a un ospedale qualunque, perciò arriva a Verona e dalla città torna a casa spesso. Così partecipa alla vita della propria famiglia di agricoltori, con gli affari di compravendite che si intrecciano con le difficoltà procurate dalla guerra. Si dimostra preoccupato per la minaccia di sgomberi del territorio con il pericolo di perdere ogni bene, così comunica al fratello l‟idea di mettere al sicuro biancheria e altro, e nello stesso tempo presidiare l‟azienda perché “ non vada tutto sciupato”. Il periodo storico corrisponde ai giorni successivi a Caporetto, quando la preoccupazione dell‟invasione austriaca arrivava evidentemente fino alle zone del veronese. Li 14 novembre 1917 Carissimo Luigi, dopo lungo silenzio ti do mie nuove. Dunque il giorno 28 dello scorso ottobre lasciai l’ospedale di Cervignano, e, un po’ a piedi un po’ in camions, dopo due giorni mi recai a S. Donà di Piave. Là mi presentai all’ospedale di tappa dal quale venni messo in uscita il giorno appresso perché mi recassi in un ospedale territoriale qualunque. Approfittai di quella occasione venni a Calmiero quindi a casa e al primo di questo mese mi presentai all’ospedale di Verona. Il giorno 10 venni messo in uscita con 10 giorni di riposo da passare a Verona. In questi giorni scappo sempre a casa. Non so presso quale reggimento verrò assegnato. E tu hai sempre la solita occupazione? Non occorre che ti descriva il viaggio che feci poiché anche tu l’avrai provato. Non è vero? Qui a casa sono sempre indecisi sul da fare. Alcuni signorotti come Gelmini(?) Mancini e tanti altri hanno spedito della biancheria in Toscana. Io consigliai il papà di fare un viaggio sull’appennino e trovare una stanza o una casetta in campagna e spedire subito la biancheria migliore, i materassi di lana e quanto altro più si può. Nel caso poi capitasse la disgrazia di sgomberare mandare subito la famiglia laggiù e qui restare in uno coi Zanini(?) perché non vada tutto sciupato. Forse partirà domani in cerca di questo locale. Che ti pare? Io mi sono interessato assai in città e questa soluzione credo sia la migliore. In questi giorni abbiamo smerciato tutta la legna e un paio di vitelli. Adesso abbiamo dei buoi. In tutto sono dieci. Forse due o quattro li diamo al governo. Sarebbe molto bene poiché li paga a buon prezzo, più della piazza. Il vino invece non si può smerciare. Ne abbiamo intorno 400 quintali. Tu stai sempre allegro e sappi che qui si fa sempre quello che meglio consigliano. Fra qualche giorno, se la burrasca incomincia a cessare, ti spedirò io un bel vaglia. Per adesso abbiti un’infinità di saluti affettuosissimi e gli auguri più sinceri dal tuo affmo Silvino. 5 giugno 1918 La zona di guerra è l‟alta montagna dove l‟inverno si prolunga. Silvino esprime il desiderio di tornare a casa anche per poche ore. Descrive in modo efficace la battaglia (marmittoni austriaci, l‟abbaiare delle armi italiane) che si alterna alla calma quando le condizioni climatiche sono avverse. Ma nei pensieri di questo giovane soldato c‟è la famiglia e la preoccupazione per il fratello Luigi al quale invia un‟infinità di saluti affettuosissimi e gli auguri più sinceri. In questa lettera cita anche il fratello Attilio, classe 1892, arruolato come bersagliere nel 1913 e coinvolto anche lui dalla guerra 1915 – 18 con le mansioni di automobilista, come registrato nel foglio di matricola che lo riguarda. Pochi giorni dopo la data della lettera, l‟esercito austriaco riprenderà l‟offensiva sul Piave, e, passato il fiume, occuperà il Montello. Qui l‟offensiva sarà respinta e nel luglio ci sarà la ritirata austriaca. In questa situazione di guerra di trincea Silvino non fa cenno all‟esatta località in cui si trova, ma la dipinge a parole in modo efficace. Il nipote Silvio racconta che, per ragioni strategiche, era obbligatorio omettere il nome della località di partenza della lettera a vantaggio di una generica dicitura “zona di guerra”, come si legge nell‟intestazione delle lettere di Silvino dal fronte. Zona guerra, li 5 giugno 918 Caro Luigi, mi trovo sempre quassù in mezzo alla neve. Anche adesso fuori il tempo imperversa, vento e neve. Non mi par vero che in pianura la stagione sia splendida e che il sole si renda insopportabile. Fra un paio di settimane metterò a riposo, potrò più facilmente persuadermi. Allora poi se mi verrà accordato un breve permesso voglio scappare a casa, anche per poche ore. Di salute sto magnificamente bene, e anche per il sito. Adesso vi è calma assoluta, solo quando scompare la nebbia e si fa vedere il sole arrivano certi marmittoni che mettono il male in corpo. Anche i nostri però non sono da disprezzare, e basta che il nemico spari pochi colpi perché si mettano ad abbaiare ferocemente. Non ho ancora ricevuto uno scritto da casa in cui mi dicano che Attilio è arrivato a destinazione. Spero di riceverlo fra non molto. Anche tu dimmi se te la passi sempre bene, come io ti auguro con tutto il cuore. Termino salutandoti affettuosamente Silvino La famiglia ricorda che Silvino dopo la guerra lavorerà per un periodo presso un Istituto bancario a Tregnago, ma poi si dedicherà al suo lavoro preferito: l‟agricoltura, un amore mai abbandonato che durante il periodo in cui era in armi lo aveva persino spinto ad innestare le rose selvatiche presenti nelle zone di guerra. Silvino Giuliari; sposerà Tersilia, avrà nove figli e vivrà fino all‟età di 93 anni 11 SILVIO GIULIARI I contenuti dell’intervista Sono Silvio Giuliari, sono nato nel 1924; mio padre era Antonio, il figlio maggiore del nonno Giuseppe. Non ricordo bene quando mio padre sia nato, ma conosco bene la sua vita. Nel 1910 è stato in Libia ed ha vissuto anche la guerra dell‟Abissinia. Conservo molte lettere scritte nel periodo in cui era in Africa. Ha partecipato anche alla prima guerra mondiale, è stato soprattutto a Rovereto, poco lontano dal confine Italia-Austria, nel reparto sussistenza. E‟ tornato dalla guerra, ma non è vissuto molto a lungo; è morto infatti nel 1933 quando io avevo 8 anni, lasciando tre figli molto piccoli di cui io ero il maggiore. Io non sono mai andato in battaglia perché sono stato chiamato alle armi nel marzo del 1943, quando frequentavo l‟istituto tecnico agrario di Bosegana di Padova, tanto che mi hanno concesso un‟aspettativa, vale a dire un rinvio, per permettermi di finire l‟ultimo anno, cioè fino a settembre quando terminava la scuola. In questo periodo di tempo, il fascismo era stato sconfitto e l‟Italia divisa: a nord si aveva la repubblica di Salò, tenuta ancora dai fascisti di Mussolini, a sud, in Sicilia, era avvenuto lo sbarco degli americani. Come dicevo, sono partito soldato nel 1943, sotto la repubblica di Salò. Ero negli Alpini e mi hanno mandato a Bassano del Grappa. In quel periodo, il pericolo di essere presi e portati a lavorare in Germania era molto forte. Io e alcuni altri soldati ci eravamo così attrezzati con una bicicletta e un vestito borghese, custoditi presso una famiglia, pronti per scappare non appena fosse giunto l‟ordine di partenza del battaglione. Una volta sono scappato anch‟io da Bassano; in bicicletta sono giunto fino a casa, a Vago. E‟ stato nel febbraio del 1944. Il re era in esilio, il generale Badoglio al sud, al nord invece il maresciallo Graziani che, a marzo del 1944, emana il famoso editto secondo il quale chi non si fosse presentato alla leva o avesse abbandonato l‟esercito era da considerarsi disertore e quindi da sottoporre a fucilazione. Così in famiglia mi consigliarono di ritornare a Bassano anche perché nell‟azienda di casa vi era insediato un nucleo di tedeschi che mi avrebbero potuto prendere con facilità e trasferirmi ai lavori forzati in Germania. Sono così tornato a Bassano e, siccome avevo il titolo di perito agrario, cioè di scuola superiore, il colonnello mi ha chiamato per fare il corso Allievi Ufficiali; io non lo volevo fare, ma alla fine ho dovuto accettare. Il corso si è svolto nell‟asilo di Montecchio Maggiore in quanto a Bassano la scuola Allievi Ufficiali, che era una delle più grandi d‟Italia, era occupata dai tedeschi. Ha conosciuto il nonno Giuseppe? Sì, mio nonno, il papà dello zio Silvino, dello zio Luigi e di mio padre stesso, era proprietario di una azienda agricola ad Illasi, posta a fianco del Progno, un torrente che scorre in paese. Mio nonno aveva un fratello e abitavano entrambi a Donzellino d‟ Illasi, nell‟azienda di famiglia. Provenivano dalla bassa di San Michele perché i Giuliari si erano collocati, numerosi, nel basso veronese dove c‟è una villa Giuliari. Anche a Verona c‟è un Palazzo Giuliari, ora sede dell‟Università. Un casato quindi con una lunga storia familiare. Una parte dei Giuliari si è trasferita anche in Val d‟Illasi, dove c‟era un clima migliore che nelle basse. Dapprima mio nonno Giuseppe ed il suo fratello, che si chiamava Dionisio, sono vissuti insieme nell‟azienda d‟Illasi, ma in seguito all‟acquisto di un‟altra proprietà, posta più in alto rispetto a quella del Donzellino, in quest‟ultima vi si è trasferito Giuseppe. Nell‟altra, dove vi è anche una bella chiesetta, vi è rimasto Dionisio, il fratello più anziano. Io conservo numerose lettere in cui mio padre scrive allo zio Dionisio. Ci parla della sua famiglia? Le situazioni familiari dei Giuliari le racconto volentieri perché dal 1924, quando sono nato, sono sempre stato assieme ai miei cugini. Si deve sapere che al Donzellino il terreno è molto sassoso a causa della ghiaia portata in grandissima quantità dal Progno. I terreni pertanto sono molto ghiaiosi e d‟estate estremamente siccitosi; l‟unica coltura che allora si poteva fare per avere un reddito era l‟uva per la sua buona resistenza alla siccità. Mio nonno infatti aveva concentrato tutto il lavoro dell‟azienda sulla vite, producendo un vino molto buono che veniva collocato in una cantina sotterranea con una slitta trascinata da muli. Si faceva un ottimo vino che il nonno vendeva ai migliori ristoranti di Vicenza e Verona. Il lunedì mio nonno andava sempre al mercato di Verona con un campione del vino da vendere; qualche volta si fermava al Vago, dove io abitavo, proprio lungo la strada che scendeva da Illasi, e mi portava con sé in carrozza, a Verona. Un‟altra pianta che veniva bene, in quanto molto resistente alla siccità, era il mandorlo, e quindi si producevano molte mandorle. Se ne rompeva il guscio e le mandorle, così sgusciate, venivano vendute a buon prezzo alle pasticcerie per fare i dolci, dando così un buon reddito. Di questo mercato c‟è traccia anche nelle lettere dello zio. Un‟altra pianta meravigliosa era quella del melograno che dava frutti molto rigogliosi. A migliorarne la produzione - mi si dice - sia stato proprio mio padre che, tornato dall‟Albania, ha portato dei semi che poi qui hanno dato il via a piante che sono arrivate a dare frutti rigogliosi di quasi un chilo. E‟ però una pianta che sotto il profilo dell‟utile dà quasi nulla nel senso che viene venduta in piccole quantità. I fratelli Giuliari sono stati sempre uniti sino avanti nell‟età, ma le famiglie crescevano e bisognava andare avanti: fortunatamente hanno sempre guadagnato con l‟agricoltura. Ad un certo punto però la famiglia Giuliari, vedendo che i terreni ghiaiosi e la siccità condizionavano la produzione, nel 1920, dopo la guerra, decide di acquistare 40 campi di terra in zona irrigua, nel comune di Zevio, al Palù. Qui vi si trasferiscono tre degli otto figli di Giuseppe, facendo una fortuna enorme anche perché, avendo tutti studiato agricoltura a Remedello di Brescia, erano ben preparati. Hanno così cominciato a piantare frutti, dapprima le pesche e poi le mele, ed è stato un grande successo perché la produzione era alta, data la presenza dell‟acqua. Altri Giuliari si sono trasferiti a Isola e ora, del ceppo originario, siamo più di 360 cugini. Alcuni di noi si sono laureati e hanno seguito anche strade diverse dall‟agricoltura; io, per esempio, sono dottore in agraria e sono stato Preside dell‟Istituto Agrario di Lonigo, nonché Direttore dell‟Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria, che mi ha dato modo di conoscere non solo l‟Italia, ma l‟intera Europa, dati i contatti di questo Istituto con tutti i maggiori centri di ricerca europei. Ci parla dello zio Silvino? L‟autore delle lettere, che voi ragazzi avete letto, era mio zio Silvino. Faceva il militare a Thiene, quindi non molto lontano dal fronte che passava poco sopra Asiago e sui monti del Pasubio e della Valsugana. Silvino Giuliari era arrivato a Thiene nel reparto sanità, che comprendeva anche l‟ospedale di Thiene; lì vi ha trascorso gran parte del suo periodo di guerra, ma è stato ferito sul fronte del Pasubio dove l‟avevano inviato dopo essere diventato ufficiale. Nell‟ospedale ogni persona aveva il suo settore: lui non era medico, né infermiere ma, svolgeva altri servizi. Successivamente, quando è diventato ufficiale, non l‟hanno più tenuto lì, ma l‟hanno mandato al fronte dove c‟era molto bisogno. In quel tempo, anche mio padre era al fronte. Dopo essere tornato dalla guerra di Libia, si trovava al forte di Rovereto dove non si combattevano le battaglie che avvenivano invece sull‟Ortigara, ma più che altro operazioni di controllo del fronte, con frequenti spinte ed irruzioni, al di là del fronte tedesco, per rilevare se il nemico costruisse delle fortificazioni. In seguito anche mio padre è stato inviato al fronte, al momento della strafenxpedition infatti quasi tutti i soldati sono stati trasferiti nella zona della Valsugana. Qui mio padre vi è rimasto fino alla fine della guerra ed è ritornato a casa nel 1919. La località in cui mio padre è rimasto per più tempo è Arsiero, ma è stato anche a Bassano perché lui, che era sergente maggiore, aveva un gruppo cosiddetto di cariaggi, tirati da muli, con cui portavano il vitto in prima linea. Ogni 15 giorni arrivavano i rifornimenti dalla Valsugana e lui con i suoi uomini provvedeva al loro trasferimento ai soldati al fronte Silvino aveva compiuto gli studi al Liceo classico di Verona e non ha fatto l‟università neppure dopo la guerra quando, seguendo la sua passione innata per l‟agricoltura, ha scelto di fare il contadino come nella migliore tradizione di famiglia. Era l‟unico dei fratelli che aveva il diploma di scuola superiore, ma ha fatto lo stesso il contadino come tutti i suoi fratelli, comprando diverse aziende nel basso veronese. Come interpreta la parola “tradimento” presente nella lettera di Silvino? Nella sua lettera, datata Thiene 6 giugno 1916, parla di “tradimento” dei generali italiani perché Silvino ha avuto modo di vederne l‟operato. A Thiene infatti lo zio Silvino non ha lavorato solo presso l‟ospedale, ma anche al Comando militare. Va precisato comunque che l‟ospedale di Thiene era un ospedale vicino al fronte che riceveva quindi i soldati appena feriti, che poi venivano trasferiti a strutture ospedaliere più arretrate, come è successo anche allo stesso zio quando è stato ferito: infatti, dapprima è stato ricoverato presso l‟ospedale di Cervignano, poi in quello di Verona. Come si diceva, lo zio Silvino ha lavorato anche al Comando Superiore delle Forze Armate dislocato a Thiene in un grande fabbricato, ora restaurato, dove c‟era il comando. In questo modo lo zio Silvino ha avuto la possibilità di vedere come gli ufficiali dirigevano le operazioni trovando il tempo di divertirsi mentre i soldati al fronte morivano, e per questo scrive che gli ufficiali erano da considerarsi dei “traditori”. Ma è la vita ad essere così: chi è al fronte è al fronte, chi è nelle retrovie, è tutta altra cosa. Quando si è in campo di battaglia è molto diverso. Ha altri ricordi dello zio Silvino e di Luigi? Sì e molto bene. Sono morti anziani e così li potuti conoscere ed essere a loro vicino per molto tempo. Erano persone molto intelligenti ed appassionati di agricoltura, ma anche molto preparati. Immaginatevi che mio zio Silvino mi raccontava che dopo le grandi battaglie, dalla strafenxpedition a Caporetto, c‟erano anche sull‟altopiano di Asiago dei periodi di quiete e lui andava ad innestare le rose nei boschi per poterle vedere fiorire in primavera. Luigi ha avuto tredici figli con i quali io ho vissuto diversi anni facendo il quattordicesimo perché a me piaceva molto andare nelle campagne del Palù dove c‟era ogni ben di Dio di tutti i tipi. Quando vi si sono trasferiti i Giuliari, c‟era un‟agricoltura di tipo primitivo per cui hanno dovuto farvi la bonifica, scavare i fossi per togliere l‟acqua ricavandone un terreno fertilissimo che produceva di tutto: c‟erano uccelli e pesci in quantità inesauribile, bastava prosciugare un tratto di fosso per raccogliere un quintale di pesce. Gli zii, non solo Silvino e Luigi, ma anche gli altri loro fratelli, mi parlavano un po‟ tutti della guerra perché in guerra ci sono andati e ne hanno avuto esperienza. Ad un certo momento hanno anche messo il loro papà nella situazione di trovare una casa sull‟Appennino contro il pericolo dell‟occupazione tedesca. A quel tempo si viveva con preoccupazione, giorno dopo giorno, il clima della guerra; si rendevano conto che i tedeschi erano forti, avevano costruito forti massicci e sicuri dotati di artiglierie potenti in grado di lanciare granate estremamente distruttive anche a molti chilometri di distanza. Le hanno descritto come era la guerra a quel tempo? Da un punto di vista di strategia geografica militare il Pasubio era una delle tante montagne tenute dai tedeschi; i tedeschi infatti, all‟inizio della guerra del „15-18, non hanno concentrato le loro battaglie, come era sempre avvenuto precedentemente, sulla strada della Valpolicella e lungo il corso dell‟Adige da cui era facile scendere fino alla pianura italiana, ma hanno utilizzato un‟altra tattica. In questa guerra infatti, i tedeschi, con una strategia particolare, dato che loro erano ben affermati nelle zone di Levico, di Folgaria e della famosa Luserna, avevano tentato di rompere il fronte italiano proprio sotto alle montagne di Vicenza per arrivare poi, da qui, in pianura. In questo modo tutto l‟esercito italiano, dislocato da Brescia sino a Trieste, sarebbe stato tagliato a metà ed i tedeschi avrebbero così potuto contare su una sicura vittoria. Si era nel 1916 quando contro l‟Italia è stata attuata la strafexpedition tedesca, una battaglia ferocissima per l‟ impiego di una grande quantità di mezzi e di uomini, senza considerare il fatto che, mentre il nemico occupava le posizioni alte delle montagne, gli italiani invece dovevano risalire dalla Valsugana e si trovavano quindi in maggiore difficoltà, con battaglie terribili anche per la popolazione. Il timore dell‟occupazione tedesca infatti era tanto grande che lo zio Silvino, in una lettera, invita la sua famiglia a trasferirsi in un paese dell‟Appennino. Nella parte alta del vicentino, dall‟altipiano di Asiago fino ad Arsiero, ultimo paese occupato durante la strafexpedition, già molte popolazioni erano state fatte sfollare. Arsiero è poco lontano da Thiene, una decina di chilometri, quindi i tedeschi avevano praticamente oltrepassato tutte le Alpi, costringendo l‟Italia in una situazione molto difficile. Abbiamo infatti una lettera in cui lo zio Silvino, che era all‟ospedale di Thiene, non si rendeva conto del numero dei feriti che arrivavano dal fronte, parla addirittura di 500-600 persone, che poi erano trasferite, quasi subito, in altri ospedali più arretrati, per far così posto ai continui arrivi di nuovi soldati. Gli scontri infatti erano terribili e i militari venivano colpiti in battaglie durissime che comportavano la decimazione di interi battaglioni che venivano mandati all‟assalto contro mitraglie che li colpivano facendoli cadere accatastati gli uni sopra gli altri. Erano infatti battaglie di posizione molto sanguinose che comportavano assalti molto cruenti. Si ricorda se tutti i figli del nonno Giuseppe sono tornati dalla guerra? Tutti i figli di Giuseppe – i miei zii – sono tornati dalla guerra. Sono stati molto fortunati. Io conservo una lettera dello zio Silvino, in cui scrive di essere stato colpito proprio sul Pasubio, un posto che sono andato a visitare e dove sono state combattute grandi battaglie. C‟è il Corno italiano e quello tedesco e sono visibili inoltre tutti gli stratagemmi messi in atto, da entrambe le parti, per poter distruggere il maggior numero di soldati possibile. Essendo infatti su posizioni contrapposte e molto alte, entrambi gli eserciti avevano pensato di fare delle gallerie attraverso le quali raggiungere il nemico e colpirlo, facendole saltare. Questo per farvi capire che lassù c‟è stata una guerra, non solo con tanti morti e feriti, ma anche di grande lavoro perché scavare gallerie non era semplice, si usava infatti solo il piccone. Famosa è la strada delle gallerie che va da Passo Xomo di Schio fino al Rifugio Papa del Pasubio, attraverso gallerie scavate dagli artiglieri dentro le montagne. Le gallerie, come anche le trincee, erano molto importanti perché bastava essere allo scoperto per venire colpiti. Ora queste trincee sono state recuperate e rimesse in efficienza e si possono così vedere tutte quelle utilizzate nella battaglia dell‟Ortigara. E‟ molto interessante poterle vedere, così ci si rende conto che italiani e tedeschi, nelle gallerie, combattevano anche da una distanza di 30 metri, tanto da potersi lanciare pezzi di pane da una trincea all‟altra. Come erano le trincee? Ve ne sono di lunghe anche chilometri, se poste di fronte al nemico. Sono profonde un metro e settanta e quindi ad altezza d‟uomo; restando un po‟ abbassati si rimaneva al di sotto dell‟artiglieria nemica che veniva potenziata con mezzi a sempre più lunga gittata e che sparava tutti i giorni dai forti circostanti. Più che l‟artiglieria però era la mitragliatrice a mietere il maggior numero di vittime e feriti, mentre l‟aviazione a quel tempo non era ancora sviluppata. La mitragliatrice veniva utilizzata soprattutto contro le avanzate e molti ne risultavano colpiti. Perché i soldati bevevano graspa? Io ho avuto un maestro di scuola elementare che è stato Capitano degli Arditi che erano in prima linea ed il cui compito era quello di andare a tagliare i reticolati per aprire le vie prima delle battaglie. Bevevano per non capire niente e non fermarsi davanti alle mitragliatrici. Non erano sempre ubriachi, solo quando era necessario si ricorreva a ciò anche per attutire la paura. Tutti i soldati avevano paura, quando si vedevano i compagni cadere bisognava trovare la forza di continuare, una cosa molto difficile. Chi era in prima linea aveva però escogitato artifici e precauzioni per evitare i pericoli e salvare la vita; anche ventimila i morti al giorno e la paura era naturale che prendesse tutti. Come si difendevano? Dopo tanti anni di trincea, avevano imparato a mettere in atto strategie difensive. I nostri soldati contro i colpi di granata che scoppiavano vicini e contro i “Shrapnel”, che dirompevano a una certa altezza, lanciando pallini e pezzi di ferro tutto intorno, si riparavano dietro un masso, oppure dietro un muretto di protezione o una buca che li avrebbe salvati. Io ho conosciuto molti soldati reduci della guerra 15-18, anche quelli che erano stati coinvolti nella ritirata di Caporetto. Li ho conosciuti perché dopo la guerra hanno lavorato nella nostra azienda. Non è da dire che la seconda guerra mondiale sia stata meno terribile, solo che non è stata una guerra di posizione e di trincea. Quando frequentavo l‟istituto tecnico di Padova, ho visto che sono partiti per la Russia i migliori ragazzi, giovani alti anche un metro e ottanta, quasi tutti bellunesi, di cui pochi tornati. Sono morti infatti di freddo o fame. Gli altri che sono stati invece in Africa, a Tobruc e in Libia, cui scrivevo, come anche quelli che sono stati mandati in Albania, hanno avuto una sorte diversa dai soldati della prima guerra. 16 I suoi zii scrivevano lettere a casa? Sì, scrivevano a casa e anche si rispondevano tra di loro. Durante la guerra infatti la corrispondenza con i genitori, tra fratelli ma anche con i cugini, era notevole. Dalle lettere inoltre si può capire che la famiglia mandava loro pacchi e soldi per cui c‟era una strettissima unione familiare, che si è sempre mantenuta anche in seguito. Solo che chi era vicino faceva presto a riceverle, gli altri un po‟ meno e non sempre si trovavano i francobolli. Silvino infatti in una sua lettera scrive che doveva imbucarla senza francobollo perché dove c‟erano migliaia di soldati non se ne trovavano perché finivano presto. A volte i soldati stavano anche 5-6 mesi senza ricevere posta perché nelle linee avanzate non sempre arrivava, era già molto se arrivava il vitto, il resto era un po‟ in secondo piano. Voglio farvi notare inoltre che quando Silvino scrive mette “zona di guerra” perché era proibitissimo indicare la località. Io stesso rimango stupito del fatto che mio padre, che scriveva dall‟Albania, mettesse sempre regolarmente il nome della cittadina che avevano conquistato. CONOSCERE LA GUERRA PER AFFERMARE LA PACE” Percorso della Scuola Primaria “Tutti parliamo di guerra, ma nessuno di noi giovani europei può dire di conoscere pienamente il significato di questa parola.” Classi V sez. A e B Scuola Primaria G. Zanella, Minerbe Prima di iniziare verifichiamo cosa pensiamo noi. “COS‟E‟ PER NOI LA GUERRA? COSA PENSIAMO QUANDO SENTIAMO QUESTA PAROLA?” Classe V°A *La guerra è un atto di violenza (Edoardo) *Si pensa che con la guerra,si risolvono i maggiori problemi del mondo,ma è la guerra il più grande problema del mondo(Giulia F) *Dove finisce il dialogo inizia la guerra (Elena) *In guerra c’è tanta povertà e tristezza (Gabriele) *La guerra si fa per sconfiggere i nemici (Aiman) *La guerra è un divertimento per gli uomini cattivi(Giulia L) *In guerra vengono uccise molte persone senza un vero motivo(Samantha) *La guerra è una lotta tra stati (Eva) *La guerra può essere fatta per proteggere la propria patria (Chiara) *Secondo me la guerra vuol dire odio (Anna) *La guerra porta molti orfani, anche se sanno bene che i loro papà sono morti da eroi(Giulia Q) *Fanno la guerra per portare la pace(Denis) *La guerra fa paura ai bambini(Vanessa) Classe V° B *È una cosa brutta,è quando, tra due parti, una vuole essere superiore all’altra (Stefano S.) *Qualcuno che spara a qualcun’ altro (Diletta) *È una ribellione: una parte è decisa a fare una cosa che l’altra parte non vuole (Andrea T.) *È un “ litigio “ tra due popoli per possedere la stessa cosa(Nicolò) *Quando qualcuno vuole imporre la propria religione(Osama) *È come il colore nero: brutto e spento(Martina) *È una “cosa “ difficile da superare e da dimenticare (Melissa) *È disperazione, tanti litigi e la associo al nero perché è brutto e al rosso il sangue(Marta) *È paura di morire (Lorenzo) *È dolore per la morte dei tuoi cari (Vittoria) *È aiutare gli altri popoli in lotta (Valentina) *È triste perché spesso bisogna lasciare le cose a cui si tiene di più(Stefano Z.) *Bambini armati che combattono (Andrea M.) *Molti bambini orfani (tutta la classe) UN PO’ DI STORIA: 4 NOVEMBRE 1918 Questa data segnò la fine di una lunga guerra che aveva insanguinato l‟Europa. L‟Italia vi aveva partecipato per liberare le province di Trento, Trieste e l‟Istria (occupate dagli austriaci) e ristabilire i suoi confini naturali. Seicentomila soldati italiani morirono e, in loro memoria, ogni Comune dedicò un monumento o una lapide che ne porta incisi i nomi perché le generazioni future ricordino coloro i quali sono morti per rendere la nostra patria più grande e gloriosa. NEL NOSTRO PAESE, situato nella piazza principale (p.zza IV novembre), c‟è un monumento piuttosto grande dedicato al “milite ignoto”, sul cui basamento sono riportati i nomi dei combattenti nati qui e morti in guerra. Con la classe siamo usciti per osservarlo da vicino: il monumento è piuttosto alto, di pietra bianca e raffigura un soldato in divisa con elmetto, giubba e cinturone con le cartucce ed un coltello, pantaloni infilati negli stivaloni. Questa statua è appoggiata a due colonne spezzate simbolo di tutte le giovani vite spezzate dalla crudeltà della guerra. Marta B. Posta ai piedi del milite vi è una lapide con scritto: ” PER UN‟ITALIA PIU‟ GRANDE MCMXV – MCMXVIII” 20 Cosa può pensare un soldato quando uccide un nemico? Abbiamo letto questa lettera di E.M. Remarque che ha cercato di interpretarne il pensiero e le emozioni. “Io non ti volevo uccidere, se tornassi indietro non lo farei purché non lo facessi neanche tu. Prima per me eri solo un nemico; soltanto ora vedo che sei un uomo come me. Prima temevo la tua baionetta e le tue bombe a mano; ora vedo il tuo volto e scopro che ci somigliamo. Perdonami! Perché non ci hanno mai detto che le vostre famiglie sono in ansia come le nostre e che abbiamo lo stesso terrore? Perdonami! Come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste armi e queste uniformi potresti essere mio fratello.” Abbiamo analizzato queste poesie di G. Ungaretti SAN MARTINO DEL CARSO Di queste case (1) non è rimasto che qualche brandello di muro. Di tanti che mi corrispondevano(2) non è rimasto neppure tanto.(3) Ma nel cuore nessuna croce manca. E‟ il mio cuore il paese più straziato.(4) G. Ungaretti Note: 1- le case di S. Martino del Carso, paese dell‟autore vicino a Gorizia, bombardato nel 1915. 2- mi amavano come io amavo loro. 3- mentre delle case è rimasto qualche pezzo di muro, delle persone amate non è rimasto neppure quello. 4- fra tutti gli orrori visibili il cuore del poeta è il “ luogo “ dove c‟è più dolore perché ricorda le persone care che la guerra ha portato via. Commento: è una poesia triste perché parla del dolore dell‟autore vedendo la sua casa e il suo paese distrutto. Ma la sua sofferenza più grande è per la morte dei suoi cari, dei suoi amici e dei suoi conoscenti. Gli ultimi quattro versi sono una metafora che vuol significare che il suo cuore è come un grande cimitero pieno di croci . 21 Poesia: SOLDATI Si sta come d‟autunno sugli alberi le foglie G. Ungaretti Commento: questa poesia è una metafora per spiegare che in guerra il pericolo è sempre vicino e ogni soldato è esposto continuamente alla morte tanto quanto le foglie in autunno sono sempre sul punto di staccarsi dall‟albero. Stefano Z. A conferma di ciò che afferma quest‟ultima poesia, abbiamo letto la lettera dal fronte del soldato Silvino Giuliari, inviata al fratello Luigi il 12 ottobre 1917( già presentata nella I° parte del fascicolo), nella quale dice che: “…..mi trovo ricoverato nell’ospedale da campo…. Sono stato fortunato assai. Pensa che fui colpito proprio in direzione del cuore. Se per disgrazia quella palletta avesse avuto un pochina di forza maggiore mi avrebbe mandato all’altro mondo senza lasciarmi gridare nemmeno “ mamma”.Invece, fortuna volle che si arrestasse nella carne…….” 22 Molte informazioni su ciò che succedeva in tempo di guerra e in che modo accadeva le abbiamo ricavate da un‟altra lettera di Silvino, inviata sempre al fratello Luigi il 6 giugno 1916 da Thiene, in provincia di Vicenza ( già presentata nella prima parte). Abbiamo letto la testimonianza, analizzata e suddivisa in quattro parti poiché il mittente dà notizie ed informazioni di argomenti diversi riguardo a ciò che stava succedendo intorno a lui. Ne riportiamo alcuni stralci con i nostri disegni: “… il grande affollamento di feriti in quest’ospedale….che mentre prima funzionava con un numero di 300 letti ora questo numero si è quasi triplicato…” Chiara B. “...gli abitanti hanno dovuto abbandonare le loro case……vederli passare con un paio di vaccherelle magre con un pollo con una forma di formaggio….inerti e silenziosi….era uno spettacolo assai triste…” DilettaZ. 23 “I feriti raccontano che gli austriaci si avanzano a schiere serrate….i morti da parte del nemico hanno raggiunto l’altezza di qualche metro. Mentre dalla nostra parte ci sono pochissimi morti…c’è pericolo che gli austriaci riescano a scendere dalle montagne…..” LucaM. “…I preparativi che si stanno facendo da queste parti è una cosa che non ti puoi immaginare.Ci sono già diversi squadroni di cavalleria…” Andrea T. 24 Il 4 novembre tuttavia si commemorano i caduti di tutte le guerre successive al primo conflitto mondiale fino a quelli recenti a causa dei contrasti in atto nel mondo. In internet abbiamo trovato degli articoli che trattano tali argomento e ci ha colpito uno che parla dei bambini che vivono questa realtà. Riflettendone insieme ci siamo resi conto di quanto siamo fortunati a vivere nel nostro paese. 25 OGGI IN AFGHANISTAN Scontri sanguinari tra diverse etnie che convivono nello stesso territorio, hanno comportato l‟intervento dell‟America e dell‟Europa che, da qualche anno, inviano i loro contingenti militari per ristabilire la pace nel paese. Tuttavia, ancor oggi, ci sono molti attentati terroristici che, a volte, coinvolgono anche militari delle forze di pace: americani, inglesi, spagnoli, portoghesi, italiani. In questo periodo si trova in Afghanistan il Corpo dei paracadutisti della Folgore, anche della caserma di Legnago, per cercare di aiutare i civili nella: - costruzione di strade, - costruzione di ospedali e di scuole, - riorganizzazione dell‟esercito regolare e della polizia - organizzazione del governo Purtroppo alcuni di loro sono rimasti uccisi in attentati, anche kamikaze. Dal Corriere della Sera A loro va la nostra preghiera e il nostro pensiero affinché ogni guerra finisca e nel mondo regni la pace. PREGHIERA DEI PARA‟ Eterno, immenso Dio che creasti gli infiniti spazi e ne misurasti le misteriose profondità, guarda a noi, Paracadutisti d’Italia, che nell’adempimento del nostro dovere balzando dai nostri apparecchi, ci lanciamo nella vastità dei cieli. Manda l’Arcangelo S. Michele e nostro custode, guida e proteggi l’ardimentoso volo, come nebbia al sole, davanti a noi, siano dissipati i nostri nemici. Candida come la seta del paracadute sia sempre la nostra fede e indomito coraggio. La nostra giovane vita è tua o Signore! Se è scritto che cadiamo, sia! Ma da ogni goccia del nostro sangue sorgano gagliardi figli e fratelli innumeri, orgogliosi del nostro passato, sempre degni del nostro immancabile avvenire. Benedici, o Signore, la nostra patria, le famiglie, i nostri cari! Per loro nell’alba e nel tramonto sempre la nostra vita! E per noi o Signore, il tuo glorificante sorriso. Così sia. 27 “SE VUOI LA PACE” Se vuoi la pace dichiara guerra alla guerra al tuo egoismo che vuole tutto per sé e non ti fa vedere il bisogno del tuo fratello. Combatti ogni desiderio di dominio che vuole farti comandare nel gioco, a scuola, a casa dappertutto. Se vuoi la pace cerca che tutti attorno a te abbiano il necessario, abbiano la possibilità di parlare: siano liberi. Come vuoi essere libero tu di parlare, di lavorare, di pregare, di amare, di vivere. La pace incomincia DA TE. G. ELBA 28 “ DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE AD OGGI ” “ Il difficile equilibrio tra il rifiuto della guerra e il dovere di difendere la Patria” Percorso della Scuola media Ogni individuo ha la possibilità di aprire la strada al rispetto dell’altro e ad una vita migliore: la pace non è soltanto una tregua tra due parti, ma è una “costruzione quotidiana” che inizia dall’animo e dalla mente di ognuno. Classi terze, scuola media di Minerbe 29 Introduzione Il 4 novembre 1918, novantuno anni fa, si completava con la vittoria italiana contro gli austriaci a Vittorio Veneto la guerra sul fronte italiano, durata 41 mesi: più di tre anni di freddo e fame sotto il rombo delle artiglierie nemiche, con in prima linea ragazzi provenienti dalle più diverse aree geografiche d‟Italia, uniti tutti da una bandiera, il nostro Tricolore. La fine della Prima Guerra Mondiale chiudeva il ciclo delle campagne nazionali per l'Unità d'Italia, un cammino lungo, difficile, doloroso, partito dalla Prima Guerra d'Indipendenza e portato a termine con il concorso della popolazione di tutte le regioni d‟Italia. L‟Istituto anche quest‟anno intende celebrare la ricorrenza del IV Novembre ricordando i caduti del primo conflitto mondiale, ma anche tutti quei militari che oggigiorno perdono la vita nelle aree calde del mondo per affermare la cultura della pace e della solidarietà e per intervenire, in circostanze di particolare rischio, per l‟incolumità della popolazione civile. Tutti gli alunni dell‟Istituto Comprensivo di Minerbe oltre a ricordare chi non c‟è più, sia egli stato protagonista della prima guerra mondiale o sia nuova vittima, hanno voluto con le loro attività “gridare” il rifiuto della guerra, com‟è scritto a chiare lettere anche nella nostra Costituzione. Contenuti del percorso La terza sezione del fascicolo, realizzata dagli allievi della Scuola Secondaria di Primo Grado di Minerbe, dopo una prima pagina di inquadramento storico degli eventi riguardanti la partecipazione italiana al primo conflitto mondiale, sviluppa l‟analisi della lettera di Silvino al fratello Luigi, datata 6 giugno 1916, e già inserita nella prima parte del fascicolo. Ne riporta la prima e l‟ultima pagina olografa e ne effettua quindi la ricostruzione storica inerente autore e destinatario, gli avvenimenti accaduti nel territorio di stesura della stessa ed infine l‟analisi testuale. Il lavoro prosegue quindi con la ricerca e l‟attenta analisi di canti e poesie ed in particolare: La canzone del Piave, per ricordare l‟episodio legato all'attacco violento da parte dell‟esercito austriaco contro quello italiano, che si era ripreso dallo scoraggiamento e dal disordine di Caporetto, così, quella che doveva essere la sconfitta definitiva dell'Italia, si risolse in una grande vittoria difensiva; Non sei che una croce, poesia dedicata a tutti quei soldati caduti nel corso della I Guerra mondiale, molti dei quali rimasti senza un nome o un dato identificativo. Il componimento rappresenta un vero richiamo dell‟autore alle future generazioni a non dimenticare quanti hanno sacrificato la loro giovane vita nel nome di un ideale. Sul significato della poesia, gli alunni di III A hanno elaborato alcune significative riflessioni; Il canto degli italiani, ovvero l‟inno d‟Italia, esaminato e poi cantato, assieme ai compagni della Primaria, nel corso della commemorazione pubblica del 4 novembre in “versione ridotta”, ossia soltanto la prima strofa ed il ritornello; La guerra di Piero, canzone, anche quest‟ultima esaminata ed eseguita coralmente dagli allievi della Secondaria per evidenziare la contraddittorietà e l‟inutilità della guerra. Sul componimento, inoltre, la classe III C ha aggiunto le proprie riflessioni. Di seguito, sono state raccolte dagli allievi di I e II B alcune riflessioni generali sul primo conflitto mondiale che hanno portato alla creazione di un vero testo poetico sui veri valori che tutti dobbiamo difendere: la famiglia, l‟onestà, le cose semplici,.. L‟ultima parte di questa sezione ci riporta ai giorni nostri e raccoglie il significato e la riflessione su due importanti articoli della Costituzione italiana, ovvero l‟art. 11 e l‟art. 52, che sanciscono il rifiuto della guerra da parte del nostro Paese e, al contempo, il dovere sacro di difenderlo. E‟ per questo motivo che il pensiero conclusivo è andato a coloro che, per riportare la pace in alcune zone calde del mondo, hanno sventuratamente perso la loro vita. 30 L’Italia nel primo conflitto mondiale: cenni storici. Il 28 giugno 1914 uno studente serbo spara contro l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d‟Austria. L‟attentato, di matrice anarchica, innesca una serie di reazioni che culminano il 28 luglio del 1914 quando l‟Austria presenta la dichiarazione di guerra alla Serbia: è l‟inizio di un conflitto che, per la prima volta nella storia, assume un carattere mondiale. L'Austria, la Germania e poi la Turchia scendono in campo contro la Serbia, mentre con quest'ultima si schierano la Russia, la Francia, l'Inghilterra e poi il Giappone e gli Stati Uniti. In una prima fase la guerra si caratterizza come "guerra di movimento", ma presto, contro le speranze degli imperi centrali che contavano di risolvere il conflitto in tempi rapidi, si passa ad una vera e propria guerra di logoramento, che vede come protagonista la trincea. Per quasi un anno il nostro Paese mantiene una posizione neutrale all‟interno del conflitto, rimanendo per tutto il tempo diviso in due schieramenti contrapposti: gli interventisti e i neutralisti. Sono favorevoli alla guerra i Nazionalisti, i Repubblicani, i Conservatori e i sindacalisti rivoluzionari: invocano l‟intervento contro l‟Austria allo scopo di ottenere la liberazione di Trento e Trieste, città simbolo dell‟unità incompleta dell‟Italia. Contro gli interventisti e a favore della pace si schierano i cattolici, i Socialisti riformisti e i Liberali guidati da Giovanni Giolitti. Pur se in minoranza, gli interventisti hanno la meglio: il 24 maggio 1915 il Governo italiano dichiara guerra all‟Impero Austro – Ungarico, ma non alla Germania (la dichiarazione di guerra alla Germania si avrà soltanto il 27 agosto 1916). Il nostro esercito combatterà quasi esclusivamente nelle regioni nord-orientali d‟Italia e anche su questo fronte il conflitto si svolgerà essenzialmente nelle trincee scavate nelle montagne da soldati reclutati fra le fasce più povere della popolazione. L‟anno più difficile per l‟esercito italiano è il 1917. In questo anno, infatti, a seguito di un‟offensiva austriaca divenuta sempre più pressante, il nostro esercito subisce una pesante sconfitta a Caporetto (24 ottobre) ed è costretto a ripiegare fino al Piave. Le perdite italiane e in uomini e in materiali sono gravissime. Ma presto ha inizio una grande controffensiva delle truppe italiane, che dal Grappa e dal Piave dilagano fino a Trento e Trieste. Nel pomeriggio del 3 novembre i delegati austriaci firmano la resa. L‟armistizio (patto di Villa Giusti) entra in vigore il 4 novembre 1918. Termina così la guerra sul fronte italo - austriaco, pochi giorni prima della conclusione generale del conflitto, che vede il crollo della Germania e dell'Impero austro - ungarico. Il bilancio del conflitto è drammatico: 689.000 morti, quasi il doppio di quelle che saranno le vittime italiane della Seconda Guerra Mondiale, e 1.050.000 tra mutilati e feriti. UNA LETTERA DELLA I GUERRA MONDIALE Lettera olografa di Silvino Giuliari, 1a pagina 32 Lettera olografa di Silvino Giuliari, ultima pagina Thiene-6 giugno 1916 Gli avvenimenti del territorio di Thiene dagli inizi della I guerra mondiale all’esaurimento della Strafexpedition, 16 giugno 1916. Grazie alle ricerche dello storico Luca Valente1, veniamo al corrente che, fin dagli inizi della I guerra mondiale, Thiene, cittadina da dove è stata spedita la fonte epistolare datata 6 giugno 1916, fu attraversata dalle truppe che si dirigevano sull‟altopiano di Asiago e in Valdastico o che prendevano stanza in città. Nonostante la cospicua presenza militare, però, le prime bombe nemiche caddero sulla città solo il 22 maggio 1916, qualche giorno prima della stesura della lettera in nostro possesso, e non fecero gravi danni. Gli austriaci avevano lanciato la famosa Strafexpedition (dal tedesco spedizione punitiva), l‟offensiva austroungarica che si prefiggeva lo sfondamento del fronte prealpino tra il Pasubio e il Brenta, con asse centrale lungo la Valle dell‟Astico, e la successiva irruzione nella pianura vicentina. Sul piano strategico generale ciò avrebbe precluso le vie della ritirata verso l‟Adige o il Po del grosso dell‟esercito italiano schierato in Cadore e sul fronte dell‟Isonzo, infliggendo così all‟Italia una disfatta decisiva avente come scopo finale la sua eliminazione dal conflitto europeo. Decine di feriti giungevano intanto agli ospedali e ai posti di medicazione della città, come si apprende anche dalle vivide parole del mittente della missiva. Il pericolo che le truppe nemiche sfondassero e calassero in pianura era elevatissimo: in città serpeggiava la paura, i più benestanti raccolsero le proprie cose e se ne andarono. Ben peggiore, però, era la situazione delle popolazioni dell‟altopiano di Asiago, della valle dell‟Astico e della fascia pedemontana, costrette ad una fuga precipitosa di fronte all‟avanzata nemica. Da Asiago, Conco, Lusiana, Posina, Arsiero e da tanti altri paesi un flusso ininterrotto di povera gente attraversò Thiene in quei giorni. Come sottolinea la storica Silvana Battistello2, nascevano intanto nei paesi di accoglienza i comitati di soccorso o di preparazione civile che avevano il compito di alleviare la sofferenza dei profughi fornendo loro aiuto e assistenza. Come è naturale immaginare, visto che la maggior parte degli uomini erano stati chiamati alle armi, i profughi erano soprattutto donne, bambini e vecchi. Con i pochi mezzi di trasporto a disposizione, carichi di masserizie, scendevano a valle quasi sempre a piedi, trascinando qualche animale o tenendo in braccio i bambini più piccoli. Forti, anche in questo caso, sono le frasi riportate dal sig. Silvino Giuliari. Il 16 giugno la Strafexpedition si esauriva e gli austriaci erano costretti alla difensiva dalla reazione italiana. La sanità militare italiana durante la guerra. Sempre grazie all‟apporto dello storico L. Valente3, apprendiamo che il sistema medico sanitario militare italiano era gestito dai soldati del Corpo della Sanità Militare e dall‟apparato della Croce Rossa Italiana. Di norma l‟unità operativa di base della Sanità Militare al fronte era la Sezione di Sanità, diretta da un capitano medico chirurgo ed operante a livello di reggimento di fanteria, che a sua volta si divideva in due Reparti di Sanità aggregati ognuno al Comando di battaglione e comandati da un tenente medico chirurgo. Il Reparto di Sanità era composto, oltre che dal tenente comandante, da altri uno o due aspiranti ufficiali medici subalterni, da un cappellano militare e da circa una trentina di militari infermieri, portaferiti e barellieri (soldati della Sanità militare, ma anche fanti reclutati estemporaneamente per quel compito) divisi in squadre da dieci elementi (dirette da 1 Luca Valente, LA GRANDE GUERRA A THIENE, Estratto da Così eravamo. Thiene Obiettivo sulla storia, Comune di Thiene, 2005; 2 Silvana Battistello, I PROFUGHI DELL’ALTO VICENTINO DURANTE LA GRANDE GUERRA, Estratto da Forte Rivon Numero Unico, Rivista dell’Associazione Ricercatori Storici IV Novembre Schio, Anno 2009, N. 10; 3 Cfr. nota n°1. 34 sergenti o caporali Aiutanti di Sanità nel numero di due per battaglione) ripartite tra le varie compagnie. Subito dietro alle prime linee si trovavano i posti di medicazione, infermerie campali sistemate in punti defilati o il più possibile al riparo dal fuoco nemico, dove venivano sommariamente fasciati e medicati i feriti che non erano riusciti da soli ad arrestare emorragie, fasciarsi arti rotti o maciullati rischiando il dissanguamento; in seguito i feriti raggiungevano a piedi o in groppa a muli, a spalla o in autoambulanze gli Ospedaletti da Campo. Poi tramite le Sezioni di Sanità i feriti medicati venivano sgomberati verso altri Ospedali da Campo (strutture sistemate su baracche o tendopoli che accoglievano i feriti aggravatisi o quelli che avevano meno di 30 gg. di convalescenza) o più indietro sui vari Ospedali Divisionali, d‟Armata o Territoriali della Croce Rossa Italiana. Tutto il territorio della retrovia fu riempito da questi grandi Ospedali, alloggiati in prossimità di grandi strade o ferrovie, dentro a scuole, ad ospedali civili o a grandi ville padronali. Analisi della lettera Noi allievi di III A della Scuola Secondaria di Primo Grado con l‟insegnante di Lettere abbiamo letto ed analizzato la fonte epistolare sopra presentata, dopo un inquadramento del periodo storico in questione e degli avvenimenti legati alla zona di Thiene e in seguito alla presentazione dei momenti salienti della vita in guerra dell‟autore. Abbiamo quindi realizzato una scheda di analisi che mette in evidenza l‟autore, il destinatario, il luogo e la data di stesura e le principali tematiche affrontate, con particolare riferimento alle stesse parole utilizzate dal mittente che bene testimoniano i fatti e i suoi sentimenti legati agli stessi. La scheda di analisi può essere così sintetizzata: o Autore: Silvino o Destinatario: Luigi o Luogo e data della stesura: Thiene, 6 giugno 1916 o Tematiche affrontate: L‟autore si trova in ospedale a Thiene, sostiene che c‟è “molto da lavorare” e che “si lavora giorno e notte” perché c‟è “affollamento di feriti”, infatti solitamente entrano in media 300 persone, ora invece ce ne sono poco meno di 800. Il signor Silvino rimane colpito dall‟enorme numero di uomini che rimarranno inabili in seguito alle ferite riportate in guerra:”Quante disgrazie! Quanti padri di famiglia dovranno vivere inoperosi per tutta la loro vita, incapaci di qualsiasi lavoro”. Lo scrivente riporta la notizia dell‟abbandono dei “paesetti di confine” da parte dei montanari con i loro animali da stalla e da cortile e con i pochi beni in loro possesso, e delle cittadine di Schio e di Thiene da parte dei benestanti e dei negozianti. Noi alunni apprendiamo che forse anche l‟ospedale di Thiene verrà spostato a Montebello Vicentino, poco lontano da Lonigo, proprio per il pericolo rappresentato dall‟avanzata degli austriaci. L‟autore a chiare lettere afferma che il nemico avanza, “gli austriaci avanzano a schiere serrate”, che è alto il numero dei morti fra le schiere avversarie e che “il coraggio degli austriaci è dovuto al cognac, alla grappa e ad altri liquori che hanno nello stomaco”. Di conseguenza, gli italiani non si espongono molto ai pericoli, si ritirano e quindi ci sono, in quel momento, meno vittime nel nostro esercito. Nell‟autore nasce un dubbio: c‟è stato un tradimento da parte dei comandanti? Forse i nostri soldati non avevano l‟ordine di sparare contro gli austriaci? “Il male è stato che i nostri c’erano sulle montagne, ma non avevano l’ordine di sparare, e così hanno dovuto abbandonare quei siti. E qui c’è del mistero, che molti lo spiegano con la parola tradimento da parte dei nostri comandanti”. Anche nella parte finale della lettera, il sig. Silvino Giuliari torna a sottolineare il pericoloso nemico che sente avanzare ed i preparativi messi in atto dalla cavalleria italiana, più adatta al combattimento in pianura:”A dirtela in poche parole c’è molto pericolo che gli austriaci riescano a scendere dalle montagne. E allora? … Speriamo che non abbia mai a spuntare l’alba di quel giorno. 35 I preparativi che si stanno facendo da queste parti è una cosa che non ti puoi immaginare. Ci sono già diverse squadroni di cavalleria, la quale serve solo per le campagne guerresche in pianura”. Nella chiusa della lettera, lo scrivente non manca di tranquillizzare l‟animo del fratello, raccontandogli anche in sintesi le buone nuove da casa e salutandolo caramente: “Pensando a tutte queste cose noi dobbiamo a maggior ragione stare allegri che dopo tutto siamo abbastanza fortunati. Ti pare? Da casa mi scrivono che godono ottima salute, che hanno notizie dei fratelli, e che gli affari van bene” >>>>>>>>>>>>>>>> <<<<<<<<<<<<<<< LA CANZONE DEL PIAVE I fatti storici I fatti storici che ispirano l‟autore risalgono al giugno del 1918 quando l‟Austria-Ungheria decise di sferrare un grande attacco sul fronte del Piave per piegare definitivamente l‟esercizio italiano, già sconfitto a Caporetto. La Landwehr, ossia l‟esercito austro-ungarico, fu costretta ad arrestarsi a causa della piena del fiume. Ebbe così inizio la resistenza delle forze armate del regno d‟Italia che costrinsero gli Astro-Ungarici a ripiegare. In occasione dell‟offensiva battaglia italiana (battaglia di Vittorio Veneto) avvenuta nell‟ottobre del 1918, il fronte del Piave fu nuovamente teatro di scontri tra l‟Austria-Ungheria e l‟Italia. Ormai l‟imperiale regio esercito era disgregato e gli italiani sfondarono le linee nemiche. Il testo Le quattro strofe hanno quattro specifici argomenti: 1. La marcia dei soldati verso il fronte (presentata nella canzone come una marcia a difesa delle frontiere italiane; tecnicamente però fu l‟Italia ad aggredire l‟impero asburgico); 2. la ritirata di Caporetto; 3. la difesa del fronte sulle sponde del Piave; 4. l‟attacco finale e la conseguente vittoria. La Canzone del Piave Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio; l'esercito marciava per raggiunger la frontiera per far contro il nemico una barriera! Muti passaron quella notte i fanti, tacere bisognava e andare avanti. S'udiva intanto dalle amate sponde sommesso e lieve il tripudiar de l'onde. Era un presagio dolce e lusinghiero. il Piave mormorò: "Non passa lo straniero!" Ma in una notte triste si parlò di tradimento e il Piave udiva l'ira e lo sgomento. Ahi, quanta gente ha visto venir giù, lasciare il tetto, per l'onta consumata a Caporetto. Profughi ovunque dai lontani monti, venivano a gremir tutti i ponti. 36 S'udiva allor dalle violate sponde sommesso e triste il mormorio de l'onde. Come un singhiozzo in quell'autunno nero il Piave mormorò: "Ritorna lo straniero!" E ritornò il nemico per l'orgoglio e per la fame voleva sfogar tutte le sue brame, vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora sfamarsi e tripudiare come allora! No, disse il Piave, no, dissero i fanti, mai più il nemico faccia un passo avanti! Si vide il Piave rigonfiar le sponde e come i fanti combattevan l'onde. Rosso del sangue del nemico altero, il Piave comandò: "Indietro va', straniero!" Indietreggiò il nemico fino a Trieste fino a Trento e la Vittoria sciolse l'ali al vento! Fu sacro il patto antico, tra le schiere furon visti risorgere Oberdan, Sauro e Battisti! Infranse alfin l'italico valore le forche e l'armi dell'Impiccatore! Sicure l'Alpi, libere le sponde, e tacque il Piave, si placaron l'onde. Sul patrio suol vinti i torvi Imperi, la Pace non trovò né oppressi, né stranieri! Spiegazione di alcune strofe della nota canzone (1°-2°-4° strofa) Il 24 Maggio 1915 segnò l‟entrata dell‟Italia nella I Guerra Mondiale. I nostri soldati partirono dalle loro case (la maggior parte veniva dal meridione) per raggiungere il fiume Isonzo, teatro di combattimenti. L‟autore li immagina mentre marciano silenziosi, assorti nei loro pensieri, nelle loro paure, verso le linee di confine. In questa avanzata il fiume Piave (che si trovava in territorio italiano) diventò un grande complice: il rumore delle sue acque sembrava spronare e rassicurare i nostri soldati. Nella seconda strofa si parla della sconfitta di Caporetto, l‟autore allude ad un “fosco evento”. Si pensava che la responsabilità della disfatta fosse da attribuire al tradimento di un reparto dell‟esercito. In seguito si appurò che il reparto ritenuto responsabile era stato eliminato dai gas letali. Nel disastro di Caporetto interi battaglioni erano allo sbando oltre la grande quantità di morti e di feriti. E il Piave? Era sempre lì, anch‟esso piangeva la disfatta. Nella strofa finale c‟è la gioia della vittoria e il riferimento a tre patrioti: Oberdam, Sauro e Battisti. Questi eroi lottarono perché Trento e Trieste tornassero a essere italiani (da qui il nome irredentisti). Furono impiccati dagli austriaci. La canzone del Piave trabocca di amor patrio, tant‟è vero che dal 1943 al 1946 fu adottato come inno Nazionale della Repubblica Italiana. 37 Non sei che una croce Non sei che una croce Nessuno forse sa più perchè sei sepolto lassù nel camposanto sperduto sull'Alpe, soldato caduto. Nessuno sa più chi tu sia soldato di fanteria coperto di erbe e di terra, vestito del saio di guerra, l'elmetto sulle ventitré nessuno ricorda perché posata la vanga e il badile portando a tracolla il fucile salivi sull'Alpe,salivi cantavi e di piombo morivi ed altri morivano con te ed ora sei tutto di Dio. Il sole, la pioggia, l'oblio t'han tolto anche il nome d'un fronte non sei che una croce sul monte che dura nei turbini e tace custode di gloria e di pace. R.Perseni Riflessioni sul significato della poesia “Non sei che una croce” è il titolo di una poesia riguardante la Prima Guerra Mondiale. L‟autore ha scelto questa frase come titolo per dimostrare che la maggior parte dei soldati che hanno combattuto in questa guerra sono stati dimenticati, naturalmente non dai loro famigliari, ma dal resto della popolazione che, alla fine di questo triste periodo, fa il possibile per scordarsi della guerra e delle conseguenze che ha portato, e cerca di ricominciare tutto daccapo, credendo in una “nuova vita” migliore. E‟ triste pensare che, a volte, questi soldati hanno fatto di tutto per riportare la pace, abbandonando le proprie case, il proprio paese, i propri cari, e poi vengono ripagati con la morte. La loro unica consolazione è il pensiero di affidare le proprie anime a Dio, delle anime che non hanno commesso peccati gravi perché erano costrette ad uccidere ed a fare del male alla gente solo per riportare la pace per volontà di coloro che li comandavano. Questa è una poesia che fa pensare molto e fa riflettere su tante cose. Ad esempio sul fatto che questi soldati sono stati dimenticati e di molti non si sa nemmeno il nome, nonostante tutto quello che hanno fatto sia per quel periodo, sia per noi per assicurarci un futuro migliore e senza guerre. Questa poesia fa provare diverse emozioni come la tristezza, la solitudine, la nostalgia, ecc. Ad esempio, solo il fatto di pensare alle enormi distese di croci fa avvertire delle sensazioni particolari, perché ognuna di esse rappresenta un uomo o un ragazzo morto giovane, che, magari, ha dovuto abbandonare anche la scuola per andare a combattere in guerra. 38 Ed ecco che entrano in ballo la tristezza e la malinconia e viene da pensare che, al loro posto, potrebbe esserci stato chiunque, anche una persona a cui si tiene particolarmente. Per concludere, a me hanno colpito gli ultimi cinque versi “Il sole, la pioggia, l’oblio t’han tolto anche il nome d’un fronte non sei che una croce su un monte che dura nei turbini e tace custode di gloria e di pace.” perché ribadiscono che, ormai, delle persone morte in guerra non è rimasta che una croce che è là sola sopra un monte a custodire gloria e pace e sembra che combatta per resistere e tirare avanti. GIULIA Questa poesia sulla prima guerra mondiale racconta la storia di un soldato caduto, del quale rimane solo una croce ed è dimenticato dalle persone. Morì fucilato durante la guerra sulle Alpi e altri morirono con lui. Spesso non si sanno i nomi dei caduti e di frequente sono dimenticati. È stato grazie al coraggio di tutti se noi ora viviamo nella libertà e nella pace. La poesia è molto commovente perché con parole semplici ed esplicite parla della sofferenza e dell‟immenso dolore che solo la guerra può portare. Quello che mi ha colpito è che questi soldati erano consapevoli del loro destino di morte, ma nonostante questo, lottavano con tutte le loro forze in nome della libertà e dell‟amor di Patria. Purtroppo il loro sacrificio a volte ha lasciato le persone indifferenti e tutto va perduto, persino il nome del luogo dove hanno combattuto perdendo la vita. Per fortuna, rimane almeno una croce a testimoniare questo coraggio alle future generazioni. SARA La poesia “Non sei che una croce” parla di ciò che rimane di un soldato caduto durante la Prima Guerra Mondiale. La croce sull‟Alpe sta ad indicare il punto dov‟è stato ucciso, ma il suo nome è stato cancellato dalle intemperie e quindi si è perso ogni ricordo. Nessuno più pensa alla fatica di questo soldato nello scavare le trincee per cercare di salvarsi la vita e di quando cantava con gli altri soldati salendo sul monte mentre il nemico sparava. Ora, riposa in pace dimenticato da tutti. Dopo aver letto questa poesia, ho riflettuto molto sullo stato di ansia nel quale vivevano questi soldati, coscienti di poter perdere la vita per difendere la patria. Mi rendo conto che nella società contemporanea in cui vivo, l‟uomo corre e si affanna per arrivare, per averne di più, senza mai soffermarsi a ricordare il sacrificio di tanti soldati caduti in guerra per ottenere la libertà del nostro Paese dalla sottomissione degli altri Stati. Per questo, bisognerebbe dare più valore alla giornata del 4 novembre; in tal modo la croce sull‟Alpe non parlerebbe invano del suo sacrificio. ARIANNA “Non sei che una croce nessuno forse sa più perché sei sepolto lassù nel camposanto sperduto sull’Alpe, saldato caduto”. Nell‟immedesimarmi in questo soldato, la presente frase ha suscitato in me molti sentimenti: la paura di essere stata lì in quel momento, la paura di morire, il timore di avere per la prima volta impugnato il fucile, anche la paura di non tornare a casa, di non rivedere la propria famiglia. Questi versi mi hanno colpita molto perché parlano di un uomo o di un ragazzo che ha avuto molto coraggio, che ha offerto la propria vita per riportare la pace in Italia. Per il coraggio e l‟impegno dimostrato egli merita di essere onorato e ricordato. Questa parte della poesia mi ricorda i cimiteri costruiti vicino alle pinete dell‟Altopiano di Asiago; qui sono stati sepolti i soldati deceduti durante la prima guerra mondiale. Tutte le persone possono andarli a visitare, lasciando un pensiero, una parola, un ringraziamento. Il sole, la pioggia, l’oblio t’han tolto anche il nome d’un fronte non sei che una croce su un monte che dura nei turbini e tace custode di gloria e di pace.” 39 A distanza di tanti anni, le persone hanno dimenticato coloro che hanno combattuto una guerra che, come tutte le guerre, porta alla morte, al sacrificio della vita, al dolore per chi combatte e per i famigliari dei combattenti. Questi ultimi versi mi ricordano quelle croci solitarie che incontro passeggiando in pineta. A malapena si riesce a leggere il nome, vedere la fotografia, la data di nascita e di morte, quando sono presenti. Spesso non c‟è nessun fiore, qualche volta uno unico e rovinato dalla pioggia e dal sole. Quando passo, mi fermo sempre a dire una preghiera e in questo modo onoro la memoria di quei soldati. CLARISSA La poesia “Non sei che una croce”, scritta da R. Perseni, narra la storia di soldati che hanno combattuto durante la prima guerra mondiale e sono morti combattendo; ora, di essi non se ne ricorda il nome , il loro ricordo è simboleggiato da una croce sul monte che giace alle intemperie. Di questa poesia mi ha colpito la parte dove dice “Nessuno forse sa più perché sei sepolto lassù”; secondo il mio punto di vista, l‟autore ha voluto adoperare queste parole perché molte persone non danno importanza alla morte dei soldati in genere, se non nei giorni in cui ricorrono festività particolari, soprattutto non sanno o non ricordano il perché di queste morti, cioè i vari motivi per cui un Paese è stato in guerra contro un altro. DAVIDE Questa poesia è dedicata ai caduti in guerra in Italia. La parte che mi ha colpito di più è quando parla della fatica e dello sforzo che ha fatto un soldato di fanteria per sopravvivere, ma alla fine è stato ucciso. Oggi non si sa chi era e non si sa da dove veniva, ma si sa che ha dato la vita per la Patria.”Ora è tutto di Dio”, scrive l‟autore, cioè l‟anima del caduto è ora da Dio. Questa parte della poesia è risultata per me quella che più mi ha impressionato e toccato. VALID 40 CANTO DEGLI ITALIANI ”Fratelli d’Italia” Premessa Nel corso delle lezioni di Musica e di Italiano noi alunni della Secondaria di Primo Grado abbiamo compreso e imparato il significato della I strofa e del ritornello del Canto degli italiani, più famoso col nome di Inno di Mameli, dal nome del suo autore, Goffredo Mameli. Per tutti noi è l‟inno ufficiale del nostro Stato. Esso fu adottato come inno nazionale italiano fin dal 1946; tuttavia il testo della Costituzione non ne parla, così come non c‟è alcuna legge che ne ufficializzi l‟uso. Comunque esso è ormai un‟abitudine consolidata. È un testo ricco di riferimenti storici che ricordano, in particolare, le occasioni in cui l‟Italia riuscì a sconfiggere il nemico invasore. La prima strofa, che noi ragazzi di Scuola Secondaria di I grado e i bambini della Primaria canteremo, ricorda la vittoria di Scipione l‟Africano su Annibale e la grandezza dell‟antico Impero di Roma, di cui l‟Italia è erede diretta. Testo Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa. Dov’è la vittoria? Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò. RIT. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò! Parafrasi libera O fratelli d’Italia, l’Italia si è svegliata e si è messa sulla testa l’elmo di Scipione l’Africano. Dov’è la dea Vittoria? Essa porga, sottomessa, il capo all’Italia perché Dio ha fatto della Vittoria la schiava di Roma. Uniamoci per combattere, cerchiamo di essere pronti a morire, lo vuole la nostra Nazione. 41 LA GUERRA DI PIERO La guerra di Piero, canzone celeberrima, scritta da F. De Andrè, dell'inizio degli anni 1960, è il racconto al contempo dolce e triste della contraddittorietà e stupidità della guerra, fatto dal punto di vista di chi l'ha vissuta in prima persona, un semplice soldato. Riportiamo qui di seguito il testo della canzone. Dormi sepolto in un campo di grano Non è la rosa, non è il tulipano Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi Ma sono mille papaveri rossi. «Lungo le sponde del mio torrente Voglio che scendano i lucci argentati, Non più i cadaveri dei soldati Portati in braccio dalla corrente». Così dicevi ed era d'inverno E come gli altri verso l'inferno Te ne vai triste come chi deve; Il vento ti sputa in faccia la neve. Fermati Piero, fermati adesso, lascia che il vento ti passi un po' addosso, Dei morti in battaglia ti porti la voce: "Chi diede la vita ebbe in cambio una croce". Ma tu non la udisti e il tempo passava Con le stagioni, a passo di java, Ed arrivasti a passar la frontiera In un bel giorno di primavera. Cadesti a terra senza un lamento E ti accorgesti in un solo momento Che la tua vita finiva quel giorno E non ci sarebbe stato ritorno. «Ninetta mia, a crepare di maggio Ci vuole tanto, troppo coraggio, Ninetta bella, dritto all'inferno Avrei preferito andarci d'inverno». E mentre il grano ti stava a sentire Dentro alle mani stringevi il fucile, Dentro alla bocca stringevi parole Troppo gelate per sciogliersi al sole. Dormi sepolto in campo di grano Non è la rosa, non è il tulipano Che ti fan veglia dall'ombra dei fossi Ma sono mille papaveri rossi. E mentre marciavi con l'animo in spalla Vedesti un uomo in fondo alla valle Che aveva il tuo stesso identico umore Ma la divisa di un altro colore. Sparagli Piero, sparagli ora, E dopo un colpo sparagli ancora, Fino a che tu non lo vedrai esangue Cadere a terra a coprire il suo sangue. «E se gli sparo in fronte o nel cuore, Soltanto il tempo avrà per morire, Ma il tempo a me resterà per vedere, Vedere gli occhi di un uomo che muore». E mentre gli usi questa premura, Quello si volta, ti vede, ha paura Ed imbracciata l'artiglieria Non ti ricambia la cortesia. 42 Narrazione Come un proprio e vero racconto, abbiamo qui essenzialmente due voci: quella del narratore e quella del protagonista. Il narratore è esterno e parla in terza persona, ma in alcuni momenti entra nella narrazione con le sue esortazioni («Fermati Piero»,«Sparagli Piero»), immedesimandosi nella situazione e perciò provocando anche un maggior coinvolgimento nel lettore/ascoltatore. Il discorso riportato di Piero, che si trova in tre strofe (strofa 2, 8 e 11), rende più tangibile la figura di Piero (che altrimenti rimarrebbe un semplice soldato-fantasma in mezzo a molti altri) accentuando così il coinvolgimento del lettore/ascoltatore. Ritmo Oltre ad essere musicata, questa canzone presenta a livello testuale numerose ripetizioni che le danno un ritmo particolare e che sottolineano nel testo i passaggi più carichi di significato e di emotività. Così, ad esempio, nella strofa 8, in cui si riporta il discorso centrale di Piero (se sparo a quel soldato io vedrò morire un uomo), si ripetono per due volte le espressioni: “il tempo” e “vedere”. Il tempo infatti è protagonista della situazione:mentre Piero si sofferma a riflettere sul fatto che proprio il tempo darà a lui la possibilità di vedere un uomo che muore, egli perde irrimediabilmente tempo e dà così modo all‟altro di agire. Infatti, a differenza della strofa 8 che con le sue ripetizioni scandisce un tempo assai lento, la strofa 9, quella in cui l‟altro soldato agisce senza perdere tempo, si muove su un ritmo veloce “si volta, ti vede, ha paura”. Campi semantici e antitesi -la morte: il dormire sepolto, l‟ ombra dei fossi, i cadaveri dei soldati, l‟inverno, i morti in battaglia, la croce, i colpi da sparare ,il vedere un uomo che muore, le parole gelate; -la vita: il grano, i papaveri rossi, i lucci argentati, la primavera, la figura dell‟amata (Ninetta); -il tempo: il fermarsi, il tempo che passa, il passare delle stagioni, il tempo che rimane per vedere, il non ritorno dalla morte. L‟antitesi principale sulla quale si costruisce la canzone è quella tra la morte e la vita, dove ogni elemento appartenente al campo semantico dell‟uno si trova in prossimità e in contrasto con gli elementi del campo semantico dell‟altro. Tra i due termini, il tempo costituisce il tramite o la separazione, talvolta come mezzo di passaggio dalla vita alla morte (la perdita di tempo di Piero che è causa della sua morte), in altri casi come confine invalicabile tra i due mondi …“ti accorgesti in un solo momento che […] non ci sarebbe stato ritorno”. Riflessione sul significato della canzone In questa canzone l‟autore riflette sull‟insignificante ferocia della guerra e sull‟inutilità di combattere contro un soldato nemico che sicuramente prova le sue stesse paure e i suoi stessi dubbi. Anche se capisce che solo uccidendolo potrà salvarsi, non riesce a sparargli. Purtroppo questa incertezza gli costerà la vita perché il nemico lo colpirà a morte. In questo testo viene denunciata la follia della guerra con rassegnazione e tristezza. Luca La canzone dice che Piero e l‟altro soldato non partono per la guerra convinti di quello che fanno, ma solo per dovere. Quando sei in guerra, non pensi che il tuo nemico è una persona come te ed è nella tua stessa situazione. Alexandru La canzone parla di un soldato, Piero, che va in guerra. È come una poesia che racconta come lui muore perché ha avuto compassione per un soldato che però era suo nemico e questo invece, per paura, lo ha ucciso. Vanessa Nella canzone “La guerra di Piero” si capiscono i sentimenti che provano i soldati che vanno in guerra. La canzone è bella e molto poetica, sembra che l‟abbia scritta qualcuno che ha vissuto veramente tutto quello che ha provato Piero. Luana 43 ALTRE RIFLESSIONI Di fronte alla tragedia della guerra, noi ragazzi delle classi I e II B abbiamo voluto ridare vita e senso a valori che noi tutti dobbiamo oggi difendere come quelli di famiglia, di onestà, il significato profondo delle cose semplici, il trionfo dell'amore, della fede nella vita terrena e in qualcosa che va oltre, fiduciosi che la memoria possa davvero diventare speranza in una convivenza improntata a giustizia e a rispetto. Alcune delle nostre riflessioni sono state così raccolte: Mi chiamo Cristian Se fossi un fiore oggi sarei un tulipano rosso come il sangue versato dai nostri soldati se fossi un colore oggi sarei il blu della tristezza per tutti i caduti se fossi un paesaggio oggi sarei un prato di gigli puri e profumati come il ricordo dei nostri cari se fossi un paesaggio oggi sarei un prato di gigli puri e profumati come il ricordo dei nostri cari. Mi chiamo Walter se fossi un fiore oggi sarei una semplice e umile viola se fossi un colore oggi sarei il blu del terrore, della rabbia, del coraggio dei nostri caduti se fossi un paesaggio oggi sarei un campo di spighe di grano dorato come il cuore dei nostri eroi Mi chiamo Arianna Se fossi un fiore oggi sarei una rosa per esprimere l‟amore dei soldati al fronte Se fossi un colore oggi sarei il blu per non provare il terrore dei ricordi. Se fossi un paesaggio oggi sarei un monte che separa la guerra dalla pace. Se fossi un fiore oggi sarei un girasole per l‟ ubbidienza, l‟ascolto, la comprensione Mi chiamo Sofia se fossi un fiore oggi sarei una rosa d‟amore e di carità verso la mia famiglia se fossi un colore oggi sarei l‟azzurro degli infiniti cieli sereni, se fossi un paesaggio oggi sarei le dolci colline, colorate dove il silenzio ha sapore di pace. Il loro nome è sussurro generoso di umanità sono stati tutti i fiori dei nostri prati e giardini erano i colori dell’arcobaleno le vele al vento in un orizzonte di libertà. 44 QUAL E’ LA REALTA’ DI OGGI? Il rifiuto della guerra e il dovere di difendere la Patria. Art. 11 della Costituzione italiana L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. L‟articolo esprime un esplicito rifiuto della guerra come mezzo di aggressione ad un altro Stato o come strumento per risolvere i contrasti internazionali. A pochi mesi dal termine del secondo conflitto mondiale, che aveva evidenziato le potenzialità distruttive dei moderni armamenti, non poteva che emergere un fermo proposito di pace e con esso il ripudio dello strumento militare per esigenze diverse dalla difesa della patria. Tale difesa costituisce per la Costituzione un “sacro dovere del cittadino”. L‟art. 11 vieta dunque le guerre di aggressione, ma legittima interventi di tipo militare deliberati nell‟ambito di organizzazioni internazionali con il fine di garantire la pace e la giustizia nei rapporti tra le Nazioni. In virtù di quanto stabilito dalla Costituzione il nostro Paese ha partecipato e partecipa tuttora a interventi militari promossi da organizzazioni internazionali per scopi umanitari o come esercizio di legittima difesa collettiva. Ricordiamo, a tale proposito, le missioni in ambito ONU compiute in Somalia (1992-94), Mozambico (1994), Ruanda (1994), Sudan (2005) e Libano (attualmente in corso). Nell‟ambito della NATO sono invece tuttora in corso le missioni in Kosovo e Afganistan. Particolare risonanza ha avuto la missione “Antica Babilonia” sul territorio iracheno (2003-2006), in ottemperanza alla Risoluzione n. 1483 (22 maggio 2003) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La missione era finalizzata a garantire stabilità e sicurezza in Iraq, dopo l‟abbattimento del regime di Saddam Hussein da parte di una coalizione anglo-americana. Il 12 novembre 2003, nella località di Nassiria un attentato alla base italiana “Maestrale” ha provocato 19 vittime tra i militari e i civili italiani. Altre perdite hanno poi colpito la missione italiana, ufficialmente terminata l‟1 dicembre 2006. Art. 52 della Costituzione italiana La difesa della patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l‟esercizio di diritti politici. L‟ ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica. Questo è l‟unico articolo in cui la costituzione usa l‟aggettivo “sacro”: lo fa per definire il dovere di difendere la Patria. Il concetto di difesa della patria non si riferisce solo alla difesa del territorio da un nemico invasore, ma anche alla necessità di sostegno, assistenza e aiuto in caso di calamità naturali che colpiscano la popolazione e alla salvaguardia della cultura e dei valori riconosciuti dalla Costituzione stessa. Si tratta di un dovere “sacro” perché non richiede solo l‟osservanza di una norma ma chiama in gioco il senso di dedizione alla Patria, fino al sacrificio della vita in caso di guerra. Il pensiero dei costituenti era rivolto ai patrioti dell‟ottocento che si erano sacrificati per l‟indipendenza e l‟unità d‟Italia, a chi aveva perso la vita nelle guerre risorgimentali e nella Prima Guerra Mondiale. Questo riguarda “il cittadino” non solo gli uomini, ma anche le donne. 45 I caduti in Afghanistan. Dopo molti anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale, i militari italiani sono andati in Paesi stranieri per riportare la pace e, molto spesso, sono morti com‟è accaduto nelle ultime spedizioni in Afghanistan. Le ultime 6 vittime del 17 settembre 2009 a Kabul sono state 6 parà della Folgore appartenenti al 186esimo Reggimento Paracadutisti a Pisa. I loro nomi sono: il Tenente Antonio Fortunato, 35 anni; il primo Caporal Maggiore Matteo Mureddu, 26 anni; il primo Caporal Maggiore Davide Ricciuto, 26 anni; il Sergente Maggiore Roberto Valente, 37 anni; il primo Caporal Maggiore Giandomenico Pistonami, 26 anni; il primo Caporal Maggiore Massimiliano Randino, 32 anni. Era quasi mezzogiorno quando si è scatenato l‟inferno sulla strada per l‟aeroporto di Kabul: un‟autobomba con 150 chili di esplosivo si è lanciata ed è scoppiata tra due blindati Lince su cui c‟erano i soldati italiani ed ha colpito un primo mezzo del convoglio. Nessun militare a bordo di quel blindato ha avuto scampo. Le fiamme hanno raggiunto anche il secondo Lince, sul quale è morto un altro soldato e sono rimasti feriti gravemente i quattro commilitoni che erano con lui. Con loro, sono 21 i militari morti dall‟inizio della missione in Afghanistan dal 2004. A loro tutto l’onore e il nostro pensiero. 46