Novità in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e

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Novità in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e
Novità
in
tema
di
licenziamento
per
giustificato motivo oggettivo
e dimissioni
Si segnalano due novità contenute nella L. 92/2012, meglio
nota come c.d. “Riforma Fornero”, le quali potranno avere un
significativo rilievo nella gestione pratica di talune
posizioni.
Ci si riferisce, in particolare, alle novità in materia di
tentativo obbligatorio di conciliazione nelle ipotesi di
licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e di convalida
delle dimissioni / risoluzioni consensuali.
Si suddividono le due ipotesi.
1. Tentativo obbligatorio di conciliazione nei casi di
licenziamenti per giustificato motivo oggettivo
Oltre le significative modifiche apportate all’art. 18, L.
300/1970 (cioè la norma che prevede e disciplina le tutele a
beneficio del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo;
di tale materia, se vorrai, ti fornirò un breve
aggiornamento), la c.d. “Riforma Fornero” stabilisce che, dal
18 luglio 2012, i datori di lavoro, aventi i requisiti
dimensionali di cui all’articolo 18, della Legge n. 300/1970
(cioè più di 15 dipendenti nell’unità produttiva in cui si è
proceduto al licenziamento ovvero più di 60 dipendenti
sull’intero territorio nazionale), prima di procedere al
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dovranno
avviare una procedura conciliativa dinanzi alla Commissione
provinciale di conciliazione, presso la Direzione Territoriale
del Lavoro di competenza, di cui all’articolo 410 c.p.c.
Si trascrivo, sul punto, il nuovo art. 7, della L. 604/1966,
cosi come sostituito dalla L. 92/2012:
“1. Ferma l’applicabilità, per il licenziamento per giusta
causa e per giustificato motivo soggettivo, dell’articolo 7
della legge 20 maggio 1970, n. 300, il licenziamento per
giustificato motivo oggettivo di cui all’articolo 3, seconda
parte, della presente legge, qualora disposto da un datore di
lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18,
ottavo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive
modificazioni, deve essere preceduto da una comunicazione
effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale
del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, e
trasmessa per conoscenza al lavoratore.
2. Nella comunicazione di cui al comma 1, il datore di lavoro
deve dichiarare l’intenzione di procedere al licenziamento per
motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento
medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla
ricollocazione del lavoratore interessato.
3.
La
Direzione
territoriale
del
lavoro
trasmette
la
convocazione al datore di lavoro e al lavoratore nel termine
perentorio di sette giorni dalla ricezione della richiesta:
l’incontro si svolge dinanzi alla commissione provinciale di
conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura
civile.
4. La comunicazione contenente l’invito si considera
validamente effettuata quando è recapitata al domicilio del
lavoratore indicato nel contratto di lavoro o ad altro
domicilio formalmente comunicato dal lavoratore al datore di
lavoro, ovvero è consegnata al lavoratore che ne sottoscrive
copia per ricevuta.
5. Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di
rappresentanza cui sono iscritte o conferiscono mandato oppure
da un componente della rappresentanza sindacale dei
lavoratori, ovvero da un avvocato o un consulente del lavoro.
6. La procedura di cui al presente articolo, durante la quale
le parti, con la partecipazione attiva della commissione di
cui al comma 3, procedono ad esaminare anche soluzioni
alternative al recesso, si conclude entro venti giorni dal
momento in cui la Direzione territoriale del lavoro ha
trasmesso la convocazione per l’incontro, fatta salva
l’ipotesi in cui le parti, di comune avviso, non ritengano di
proseguire la discussione finalizzata al raggiungimento di un
accordo. Se fallisce il tentativo di conciliazione e,
comunque, decorso il termine di cui al comma 3, il datore di
lavoro può comunicare il licenziamento al lavoratore.
7. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la
risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano
le disposizioni in materia di Assicurazione sociale per
l’impiego (ASpI) e può essere previsto, al fine di favorirne
la ricollocazione professionale, l’affidamento del lavoratore
ad un’agenzia di cui all’articolo 4, comma l, lettere a) e b),
del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
8. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche
dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di
conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla
stessa, è valutato dal giudice per la determinazione
dell’indennità risarcitoria di cui all’articolo 18, settimo
comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive
modificazioni, e per l’applicazione degli articoli 91 e 92 del
codice di procedura civile.
9. In caso di legittimo e documentato impedimento del
lavoratore a presenziare all’incontro di cui al comma 3, la
procedura può essere sospesa per un massimo di quindici
giorni”.
Sempre in materia, l’art. 1, comma 41, della L. 92/2012
afferma che:
“Il licenziamento intimato all’esito del procedimento
disciplinare di cui all’articolo 7 della legge 20 maggio 1970,
n. 300, oppure all’esito del procedimento di cui all’articolo
7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come sostituito dal
comma 40 del presente articolo, produce effetto dal giorno
della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato
avviato, salvo l’eventuale diritto del lavoratore al preavviso
o alla relativa indennità sostitutiva; è fatto salvo, in ogni
caso, l’effetto sospensivo disposto dalle norme del testo
unico delle disposizioni legislative in materia di tutela
della maternità e della paternità, di cui al decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Gli effetti rimangono
altresì sospesi in caso di impedimento derivante da infortunio
occorso sul lavoro. Il periodo di eventuale lavoro svolto in
costanza della procedura si considera come preavviso
lavorato”.
In sostanza, in caso di licenziamento per giustificato motivo
oggettivo, non si potrà più consegnare solo e semplicemente la
lettera di recesso al lavoratore, ma si dovrà – prima di tale
atto – inviare mediante raccomanda a.r. – oppure con posta
elettronica certificata – una comunicazione alla Direzione
Territoriale del Lavoro (con in copia conoscenza il
lavoratore, il quale potrà firmare la comunicazione per
ricezione), avente poi il medesimo contenuto della lettera di
licenziamento (motivazioni economico/organizzative ed
impossibilità di occupazione alternativa del lavoratore),
tuttavia con indicazione del fatto che il recesso è solo
preventivato – ma non attuale, ed efficace solo al termine del
percorso conciliativo – e delle eventuali, ma non
obbligatorie, misure di sostegno alla rioccupazione (es.
outsourcing).
Il procedimento di conciliazione avrà termine se entro 7
giorni la Direzione Territoriale del Lavoro non procede alla
convocazione delle parti ovvero – se tale convocazione c’è
stata nei termini – decorsi 20 giorni dall’invio della
convocazione da parte della Direzione Territoriale del Lavoro
(sempre che le parti non decidano di “allungare” questo
termine, chiedendo la fissazione di un nuovo incontro).
In entrambi i casi, dunque nell’ipotesi in cui non si riesca a
raggiungere una conciliazione, il datore di lavoro potrà
comunicare al lavoratore il licenziamento, in sostanza
consegnandogli la lettera di licenziamento (mediante
raccomandata a.r. o consegnata a mani) contenente i motivi e
ragioni già esposte nella comunicazione inerente l’avvio del
tentativo di conciliazione.
La malattia insorta durante il periodo del tentativo di
conciliazione non potrà sospendere l’efficacia risolutiva del
licenziamento, mentre potrà avere tale effetto sospensivo
l’eventuale infortunio.
Giacché il licenziamento avrà efficacia dal momento dell’avvio
del tentativo di conciliazione, l’eventuale periodo di normale
attività durante la procedura conciliativa verrà considerato
preavviso lavorato.
In sintesi, da un punto di vista pratico e nei casi in cui si
valuti l’opportunità di una conciliazione quale alternativa al
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non si potrà
più incontrare il lavoratore sottoponendogli l’alternativa tra
la sottoscrizione di una scrittura privata e la consegna della
lettera di licenziamento (qualora non accetti la transazione e
conciliazione).
Sarà invece consigliabile – per evitare il rischio che,
qualora si tenti un approccio informale, il lavoratore si
metta in malattia, e ciò tenuto conto del fatto che l’effetto
sospensivo della malattia stessa continuerà ad operare per i
casi in cui la procedura conciliativa non sia stata avviata –
procedere all’avvio della procedura conciliativa (nei modi
poc’anzi descritti) e tentare in tale contesto l’eventuale
conciliazione.
Si rammenta però che tale procedura sarà applicabile solo se
il datore di lavoro superi la soglia occupazionale di 15
dipendenti nel sito produttivo in cui si deve procedere al
licenziamento ovvero la soglia occupazionale di 60 dipendenti
sull’intero territorio nazionale.
2. Convalida delle dimissioni e risoluzioni consensuali
Dal 18 luglio 2012, tutti coloro i quali vorranno dimettersi o
risolvere consensualmente, con l’azienda, il proprio rapporto
di lavoro dovranno provvedere alla convalida con una delle
modalità contemplate dalla normativa.
La convalida, in definitiva, viene considerata quale “conditio
sine qua non” per rendere efficace la risoluzione del rapporto
di lavoro, che nel frattempo rimane sospesa all’adempimento
convalidativo.
Ma vediamo quali sono le procedure previste e dove il
lavoratore può rivolgersi per convalidare le dimissioni ovvero
le risoluzioni consensuali.
I soggetti abilitati alla convalida delle dimissioni sono:
1. la Direzione territoriale del lavoro, competente per
territorio;
2. il Centro per l’impiego, competente per territorio;
3. la sottoscrizione da parte del lavoratore di apposita
dichiarazione apposta in calce alla ricevuta di
trasmissione della comunicazione di cessazione del
rapporto di lavoro (COT).
Il datore di lavoro deve verificare che il lavoratore adempia
alla convalida; non soltanto passivamente, aspettando la
consegna delle dimissioni convalidate dalla DTL o dal CPI, ma
anche, in caso di dimissioni prive di convalida, attivamente,
invitando, entro 30 giorni dalla data delle dimissioni, il
lavoratore attraverso una comunicazione scritta e recapitata
presso il domicilio del lavoratore stesso o nelle sue proprie
mani.
L’invito dovrà contenere la ricevuta di trasmissione della
comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro al Centro
per l’Impiego, chiedendo al lavoratore medesimo di
sottoscrivere tale ricevuta di trasmissione per la convalida
delle dimissioni / risoluzione consensuale ovvero di
presentarsi presso uno dei predetti centri per convalidare le
dimissioni / risoluzione consensuale.
A questo punto il lavoratore avrà 7 giorni di tempo, dalla
ricezione dell’invito, per sottoscrivere la comunicazione di
cessazione del rapporto di lavoro oppure per recarsi presso il
proprio datore di lavoro o altro soggetto abilitato alla
convalida. Nel caso non provveda, entro il suddetto termine,
non potrà più far valere la mancata attuazione delle procedure
previste dalla nuova norma per invalidare la cessazione del
rapporto di lavoro.
L’immobilismo del datore di lavoro, nel reperire la convalida,
fa sì che le dimissioni si considerano definitivamente prive
di effetto.
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